[Nonviolenza] Telegrammi. 3989



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3989 del 19 gennaio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Il 27 gennaio, "Giorno della memoria", si realizzino ovunque iniziative di studio, di riflessione, di testimonianza e d'impegno
2. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte quarta)
3. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte quinta)
4. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte sesta)
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
 
1. INIZIATIVE. IL 27 GENNAIO, "GIORNO DELLA MEMORIA", SI REALIZZINO OVUNQUE INIZIATIVE DI STUDIO, DI RIFLESSIONE, DI TESTIMONIANZA E D'IMPEGNO
 
Il 27 gennaio, "Giorno della memoria", si realizzino ovunque iniziative di studio, di riflessione, di testimonianza e d'impegno.
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Testo della Legge 20 luglio 2000, n. 211: "Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
Art. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonche' coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto e' accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinche' simili eventi non possano mai piu' accadere.
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Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni, opporsi al razzismo e a tutte le persecuzioni, opporsi al maschilismo e a tutte le oppressioni.
Salvare le vite e' il primo dovere.
 
2. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE QUARTA)
[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo, estratto da Bruno Segre, Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa.
Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, ha studiato filosofia alla scuola di Antonio Banfi; si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha insegnato in Svizzera dal 1964 al 1969; per oltre dieci anni ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; per molti anni ha presieduto l'associazione italiana "Amici di Neve Shalom Wahat as-Salam"; nel quadro di un'intensa attivita' pubblicistica, ha dedicato contributi a vari aspetti e momenti della cultura e della storia degli ebrei; ha diretto la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet". Tra le opere di Bruno Segre: Gli ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003; Israele: la paura e la speranza, Aliberti, Correggio 2014; Adriano Olivetti. Un umanesimo dei tempi moderni, Imprimatur, 2015; Che razza di ebreo sono io, Casagrande, Bellinzona 2016]
 
L'escalation della persecuzione
"Pensate: non piu' di venti anni fa, e nel cuore di questa civile Europa, e' stato sognato un sogno demenziale, quello di edificare un impero millenario su milioni di cadaveri e di schiavi. Il verbo e' stato bandito per le piazze: pochissimi hanno rifiutato, e sono stati stroncati; tutti gli altri hanno acconsentito, parte con ribrezzo, parte con indifferenza, parte con entusiasmo. Non e' stato solo un sogno: l'impero, un effimero impero, e' stato edificato; i cadaveri e gli schiavi ci sono stati".
Cosi' annota Primo Levi (1919-1987) in una testimonianza del febbraio 1961. La conquista del potere, in Germania, da parte di un regime dichiaratamente antisemita non presenta, come s'e' visto, i caratteri dell'inevitabilita'. Ma dopo avere consolidato la sua dittatura personale e di partito - e per fare cio' Hitler impiega esattamente diciotto mesi, durante i quali si sbarazza di tutti gli avversari, fuori e dentro il partito - il tiranno incomincia a dare forma al suo attacco sistematico contro gli ebrei. Dichiarata la Nsdap partito unico, sciolte tutte le altre organizzazioni politiche e sindacali, abolita la liberta' di parola e di stampa, cancellato l'"habeas corpus" dal diritto penale, Hitler inizia a gettare la sua rete sulla popolazione, per controllarla e inculcarle il nuovo vangelo della nazione e della razza superiore.
Nel diffondere un clima d'esaltazione patriottico-nazionalista e razzistica, il dittatore puo' avvalersi anche dell'adesione di ampi settori del clero e del milieu cattolico. Nel luglio1933, infatti, la Santa Sede e il Reich concludono il Concordato, che rappresenta il primo importante riconoscimento conseguito da Hitler sul terreno internazionale. Ma gia' qualche mese prima, in una dichiarazione del 2 aprile 1933, il movimento operaio cattolico offre la sua partecipazione alla creazione di "un ordinamento popolare conforme alla natura cristiana e tedesca" con forti accenti di condanna delle "forze distruttrici del materialismo, del liberalismo, del marxismo e del bolscevismo".
La morte di Hindenburg, nell'agosto 1934, offrira' a Hitler la possibilita' di fregiarsi anche del titolo e dei poteri di presidente del Reich, consentendogli di mettersi legalmente alla testa delle forze armate. Come ogni regime assoluto, il potere nazista ha bisogno di un anti-potere, di un anti-Stato su cui scaricare le colpe di tutti i guai, presenti e passati, veri e presunti, di cui i tedeschi soffrono. Hitler e' convinto che tutte le rivoluzioni, come la sua, abbiano bisogno di un punto focale di ostilita' per dare espressione "ai sentimenti di odio delle masse". Gli ebrei sono l'anti-Stato ideale.  La scelta del dittatore cade su di loro non solo per convincimento personale, ma anche per un calcolo politico razionale. Verso gli ebrei, indifesi e sentiti come "altri" da molti, e' infatti possibile indirizzare l'aggressivita' del regime (e delle masse che esso controlla) incanalandola, contemporaneamente o alternativamente, su due piste distinte: quella della violenza spontanea, altamente emotiva e "non programmata" del pogrom, e quella fredda, legale e disciplinata dallo Stato, governata dalla legge e dal potere poliziesco. Da un lato ci sono i bravacci del partito, e in particolare le camicie brune (SA), forti di piu' di mezzo milione di adepti ancor prima della fine del 1932, che seminano il terrore nelle strade lanciandosi sui passanti ebrei, picchiandoli selvaggiamente, rapinandoli spesso del loro denaro, e talvolta assassinandoli (45 ebrei vengono uccisi in questo modo nel corso del 1933 e centinaia di altri sono feriti in maniera piu' o meno grave). Dall'altro ci sono le SS, per amministrare la complicata struttura della violenza di Stato e gettare addosso agli ebrei, agli oppositori politici e a ogni altra sorta di "indesiderabili" (zingari, omosessuali, malati di mente e altri infermi) il peso dell'oppressione poliziesca, chiudendo fin d'allora molti sventurati nei recinti dei campi di concentramento.
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Due mesi dopo l'ascesa di Hitler al cancellierato, gia' esiste Dachau (nell'alta Baviera), il Lager primogenito, a cui molti altri faranno seguito. Oltre a recuperare e a rilanciare i temi antigiudaici tradizionali di matrice cristiana, cioe' l'"insegnamento del disprezzo" e le superstizioni demonologiche ereditate dal medioevo, la propaganda nazista contro gli ebrei fa proprie ed enfatizza le fantasiose teorie pseudobiologiche della "superiore razza ariana".
Ma cio' che contaddistingue i nazisti da altri gruppi politici che in Germania si colorano di antisemitismo, e che pure attribuiscono all'impegno antiebraico una certa importanza, e' il fatto che soltanto i nazisti considerano l'antisemitismo una Weltanschauung, una concezione esauriente del mondo, facendone il centro e lo scopo del loro programma. Hitler vi edifica sopra un'intera "filosofia della storia", un'interpretazione dell'esistenza umana dalle origini in poi, che rivela una certa truce originalita'. Secondo lui, la storia umana fa parte della natura e segue le stesse leggi del resto della natura. Lotta, sottomissione, distruzione sono realta' naturali immutabili. Ma mentre la natura, che non e immorale, richiede disuguaglianza, gerarchia, subordinazione dell'inferiore al superiore, la storia umana ha partorito una serie perniciosa di rivolte contro questo ordine naturale, ispirate a un egualitarismo politico che Hitler assimila a una malattia, alla disastrosa intossicazione provocata da un bacillo. La forza che sta dietro questa degenerazione letale e' lo spirito ebraico, "che e' stato presente fin dall'inizio". Gia' nell'antico Egitto i figli di Israele inquinarono una societa' sana e "naturale"; lo fecero introducendo il capitalismo (Giuseppe fu il primo capitalista) e soprattutto spingendo le plebi alla sedizione, fino al momento in cui gruppi di egiziani animati da spirito nazionalista insorsero, e gonfi d'ira cacciarono dal Paese quei fomentatori di disordini.
Se questo e' - nel morboso immaginario del dittatore tedesco - il significato autentico dell'Esodo biblico, non e' errato vedere in Mose' il primo bolscevico e il vero precursore di Lenin, che secondo Hitler sarebbe stato un ebreo (mentre non lo era per nulla).
In epoca moderna gli ebrei, spasmodicamente protesi al dominio mondiale, hanno ripetuto la stessa manovra piu' e piu' volte, precisa Hitler, e i risultati sono stati la rivoluzione francese, il liberalismo, la democrazia e, alla fine, il bolscevismo. Insomma, e' giusto individuare nel giudeo il nemico universale, il colpevole assoluto: se non ci fosse l'ebreo, afferma Hitler, "dovremmo inventarlo. Occorre un avversario visibile, non basta un nemico invisibile".
Nella sua ossessiva descrizione di una presunta strategia ebraica volta alla conquista del mondo, uno dei suoi modelli e' certamente costituito dai famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion: una storica contraffazione, un falso notorio ma molto duro a morire, che piu' d'ogni altro, nel XX secolo, ha fatto male agli ebrei a partire dalla sua redazione avvenuta intorno al 1897 a Parigi per mano di uno sconosciuto agente dell'Ochrana, la polizia segreta zarista. In nome di tutte queste allucinate fandonie, camuffate da verita' scientifiche, nella Germania che ormai si e' consegnata nelle loro mani i nazisti adottano contro gli ebrei gli stessi metodi collaudati nella Spagna del XIV e XV secolo: singoli atti di violenza vengono promossi e incoraggiati onde poi servirsene quali pretesti per introdurre misure legali antiebraiche.
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Sotto la spinta della demagogia oratoria e dei media controllati da Joseph Goebbels - il ministro della Propaganda che si fa carico di aizzare le masse -, gli attacchi contro gli ebrei da parte delle camicie brune e dei membri del partito, i boicottaggi e le azioni terroristiche contro le imprese ebraiche si sviluppano e raggiungono il loro acme nell'estate del 1935. Hitler fa sapere che disapprova queste "azioni individuali", ma le lascia impunite. E in tale contesto fa emanare il 15 settembre 1935, in occasione di un congresso nazionale della Nsdap, la "Legge per la tutela del sangue e dell'onore tedesco" e le "Leggi di Norimberga": un insieme di norme che sanciscono per la prima volta il concetto di "arianita'" e definiscono con minuzia maniacale chi si debba considerare "ebreo completo" (Volljude), chi "ebreo-per-meta'", chi "ebreo-per-un-quarto". Esse privano gli ebrei dei diritti essenziali, li escludono da ogni settore della funzione pubblica e danno cosi' inizio al processo della loro netta separazione dal resto della popolazione, mettendo efficacemente in pratica il programma nazista originario (del 1920). Vengono anche messi al bando i matrimoni e le relazioni sessuali tra ebrei e tedeschi. Si stabilisce cosi' un'equazione rigida e meccanica: tedesco uguale "ariano". Non hanno rilevanza il passato, la lingua, la cultura, la nascita, la guerra fatta in uniforme tedesca. Tutto cio' che non e' ariano e' contro la nuova legge tedesca, che peraltro ha un unico interprete, il Fuehrer.
In un discorso importantissimo nel quale giustifica l'introduzione delle nuove normative, Hitler ammonisce che se quelle disposizioni volte a favorire "una soluzione laica separata" non dovessero reggere (ossia, se i burocrati dell'amministrazione statale non procedessero con zelo sufficiente), allora sarebbe necessario promulgare una legge che "passasse il problema nelle mani del Partito nazionalsocialista per la soluzione finale".
A carico degli ebrei tedeschi segue, nei due o tre anni successivi, una pioggia di soperchierie legali, alcune crudeli, altre di carattere apertamente derisorio, atte a convalidare una delle tesi di fondo del nazismo: gli ebrei sono bensi' una tenebrosa potenza universale, l'incarnazione di Satana, ma qui in Germania, nelle nostre mani, sono ridicoli e impotenti. Possono sedere solo sulle panchine pubbliche con su scritto 'nur fuer Juden' (solo per ebrei); le vacche degli ebrei non sono ammesse alla monta presso il toro comunale; un regolamento del 17 agosto 1938 stabilisce che dal primo gennaio 1939 gli ebrei possano assumere solo i nomi propri riportati in un apposito elenco predisposto dal ministero degli Interni del Reich: chi possiede un nome proprio non contenuto nella lista deve aggiungere a esso il nome ebraico di Sara (se e' donna) o di Israel (se e' uomo). Nell'aprile 1938 vengono censiti i beni patrimoniali degli ebrei, nel giugno le imprese commerciali di loro appartenenza; nel luglio e nel settembre, sull'onda di una politica che nel gergo nazista si chiama di "arianizzazione", sono tolte agli ebrei le abilitazioni all'esercizio della professione medica e le autorizzazioni a svolgere l'attivita' di avvocato e di procuratore legale. Nell'autunno del 1938 gli ebrei vedono gravemente compromessa ogni possibilita' di sopravvivere decorosamente nel mondo tedesco.
Sui 500.000 "ebrei completi" censiti nel Reich nel 1933, oltre 200.000 hanno lasciato ormai la Germania, ma l'annessione dell'Austria (marzo 1938) aggiunge al totale altrettanti ebrei austriaci, lasciando in tal modo irrisolta la "questione ebraica".
A quel punto Hitler affronta con decisione lo stadio successivo: la gestione della "questione" a livello internazionale. Se il potere ebraico in Germania e' ormai azzerato, il potere degli ebrei all'estero diviene uno dei temi centrali dei discorsi e delle cure del Fuehrer.
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Nell'ottobre 1938, pochi giorni dopo che Gran Bretagna e Francia hanno firmato gli accordi di Monaco con cui accettano che parte della Cecoslovacchia sia annessa al Terzo Reich, la Gestapo arresta ed espelle brutalmente dalla Germania circa 17.000 ebrei di nazionalita' polacca: una mossa propiziata dalla decisione del governo di Varsavia di bloccare il loro rientro in Polonia. Il figlio di uno dei profughi, Herschel Grynszpan, ha trovato rifugio da tempo a Parigi. Ha solo 17 anni, e' un mistico e un esaltato: ritenendosi chiamato a fare vendetta, il 7 novembre uccide un diplomatico tedesco a Parigi. E' il gesto che i nazisti attendono. E' la conferma della tesi del "complotto internazionale giudaico" ai danni della Germania. La risposta e' immediata: "Ora il popolo agira'", annota Goebbels nel suo diario. La pubblicazione nel 1992 delle pagine dei Tagebuecher di Goebbels relative alla "Notte dei cristalli" (come gli stessi nazisti denominano pudicamente quell'evento, nell'intento di sdrammatizzarlo) aggiungono importanti elementi interpretativi sull'interazione esistente tra Hitler, i suoi piu' stretti collaboratori, le organizzazioni di partito e i piu' ampi settori della societa' in rapporto all'inizio e alle modalita' di espletamento della violenza antiebraica.
Nella notte tra il  9 e il 10 novembre si scatena il pogrom in tutta la Germania.
Vengono devastati e saccheggiati 7.500 botteghe e magazzini appartenenti a ebrei, si distruggono migliaia di case, 167 sinagoghe subiscono la stessa sorte, 91 ebrei sono uccisi, la polizia arresta e invia in campo di concentramento piu' di 26.000 persone, scelte fra gli ebrei piu' facoltosi; verranno rilasciati nelle settimane successive in cambio della promessa scritta di emigrare al piu' presto. Tra il 10 e il 13 novembre il solo campo di Buchenwald, vicino a Weimar, ne riceve 10.454, che vengono trattati con estrema brutalita', mentre un altoparlante ripete: "Ogni ebreo che intenda impiccarsi e' cortesemente pregato di introdursi in bocca un pezzo di carta recante il proprio nome al fine di consentire l'identificazione".
Nelle prime ore del pogrom gli aggressori sono in divisa, ma poi vengono frettolosamente mandati a casa a indossare panni civili: hanno capito male le istruzioni, l'indignazione deve scaturire dal popolo, deve essere "spontanea". La polizia, dappertutto, sta a guardare; i vigili del fuoco intervengono solo la' dove le fiamme minacciano edifici o proprieta' "ariane". Singoli funzionari locali imbastiscono variazioni sul tema. A Krumbach presso Augsburg, donne ebree vengono trascinate alla sinagoga e costrette a estrarre dall'arca i rotoli della Legge e a calpestarli: devono commettere il sacrilegio cantando, quelle che si rifiutano sono uccise. A Saarbruecken gli ebrei vengono obbligati a portare paglia nel tempio, a cospargerla di benzina e ad accenderla. Qualche "indignato" va oltre il programma e si da' al saccheggio privato, e allora la polizia interviene, ma la magistratura mandera' tutti a casa con pene irrisorie. Non cosi' per gli zelanti che stuprano donne ebree. Questi vengono esclusi dal partito e puniti duramente, non gia' per la violenza commessa sulle loro vittime, bensi' per essersi essi stessi contaminati contravvenendo alla sacra legge del sangue.
All'indomani della "Notte dei cristalli" la soluzione del "problema ebraico" non puo' piu' essere differita. Il 12 novembre ha luogo una riunione interministeriale finalizzata a concludere il processo di emarginazione degli ebrei tedeschi. Sotto la presidenza di Goering - incaricato del Piano quadriennale e supremo controllore dell'economia tedesca - viene elaborata una serie di provvedimenti oltremodo gravosi e umilianti. Un primo decreto impone agli ebrei un'ammenda collettiva di un miliardo di marchi a titolo di espiazione per "l'atteggiamento ostile dell'ebraismo nei confronti del popolo e del Reich tedesco, che non arretra neppure davanti all'omicidio vigliaccamente perpetrato".
Un secondo decreto esige che gli ebrei facciano fronte personalmente ai danni causati dal pogrom e restituiscano al Reich gli indennizzi corrisposti dalle compagnie d'assicurazione. Un terzo decreto elimina definitivamente gli ebrei dalla vita economica della Germania, disponendo l'arianizzazione coatta di tutte le imprese, di tutte le attivita' commerciali e le aziende artigiane di proprieta' ebraica, ossia la loro vendita (o svendita a prezzo irrisorio) ad "ariani". Infine, a carico degli ebrei viene imposta una serie di ulteriori limitazioni: il deposito coatto di titoli, valori mobiliari e azioni; la vendita coatta di gioielli, monili e opere d'arte; il divieto di partecipare a tutte le "manifestazioni della cultura tedesca"; il divieto di frequentare cinema, teatri, mostre d'arte, conferenze, concerti, e cosi' via; l'espulsione degli ebrei da tutte le scuole tedesche; il ritiro delle patenti di guida e il divieto di possedere autoveicoli a motore; l'imposizione di aliquote fiscali piu' gravose; il divieto di esercitare le professioni di farmacista, dentista e veterinario.
Con il pogrom del novembre 1938 la vita pubblica della collettivita' ebraica tedesca viene di fatto stroncata.  Le organizzazioni ebraiche sono messe fuori legge, i loro funzionari vengono arrestati, qualsiasi pubblicazione da parte di ebrei e' bloccata.  Cessano persino quelle forme di collaborazione timide e larvate tra gli uffici ebraici e le autorita' dello Stato, che sin li' avevano continuato ad avere luogo, quanto meno nel settore dell'emigrazione.
 
3. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE QUINTA)
 
La trappola mortale
Cresciuta in misura significativa nell'atmosfera di panico seguita alla "Notte dei cristalli", l'emigrazione degli ebrei tedeschi costituisce, almeno per il momento, l'obiettivo dichiarato dei nazisti, e per gestirla viene creato nel gennaio 1939 un ufficio centrale ad hoc.
Lo scoppio della guerra (primo settembre 1939) non sembra modificare quest'obiettivo, ma modifica radicalmente le possibilita' della sua realizzazione. La conquista fulminea, a opera della Wehrmacht, della maggior parte della Polonia (le regioni  rimanenti del territorio polacco, in virtu' del patto Ribbentrop-Molotov, 23 agosto 1939, passano sotto il controllo dell'esercito sovietico le cui truppe si attestano lungo il corso del fiume Bug, che diventa cosi' la provvisoria linea di frontiera tra le due zone d'occupazione) conferisce alla "questione ebraica" connotazioni e proporzioni assolutamente inedite. L'emigrazione forzata degli ebrei comincia a presentarsi come un'opzione problematica, mentre diventano difficilmente praticabili, per esempio, i piani di quei gerarchi nazisti che pensano di "vendere" gli ebrei tedeschi in cambio di valuta estera.
Dopo avere accarezzato l'idea di rendere il territorio germanico "Judenrein" ("immune da ebrei"), i nazisti si trovano ora a fare i conti con circa due dei tre milioni e mezzo di ebrei complessivamente stanziati, prima della guerra, in Polonia (dove costituivano attorno al 10 per cento dell'intera popolazione). D'altro canto, non essendovi piu' a questo punto seri motivi per preoccuparsi delle reazioni straniere, il trattamento che i nazisti riservano agli ebrei polacchi raggiunge livelli di barbarie molto superiori a tutto cio' che si e' visto sin qui in Germania o in Austria.
Gli ebrei polacchi hanno infatti il torto d'essere "ebrei orientali": donne e uomini spogliati della dignita' di esseri umani, fatti oggetto di un disprezzo speciale in quanto ritenuti la piu' bassa forma d'esistenza all'interno di un paese nemico vinto, gia' di per se' disprezzato.
In Polonia, inoltre, al pari che nelle altre regioni dell'Europa centro-orientale, gli ebrei vivono concentrati in vaste comunita', facilmente identificabili per la lingua (lo yiddish), le abitudini, la foggia del vestire. In piu', la professione religiosa costituisce un dato dello stato civile.
Rispetto all'Europa occidentale, percio', la persecuzione dei nazisti, favorita anche dal radicato sentimento antiebraico di ampi strati delle popolazioni locali, non richiede ne' un lavoro particolarmente gravoso di censimento delle vittime designate, ne' lunghe operazioni di "cosmesi" volte ad "anestetizzare" la sensibilita' generale. Con la capitolazione di Varsavia (27 settembre 1939) i tedeschi riguadagnano la loro frontiera orientale anteriore al 1914 annettendosi, nel quadro del Reich della Grande Germania, la Prussia occidentale, Posen, Lodz e parti della Galizia occidentale: territori che ora i nazisti chiamano Warthegau, e dai quali intendono espellere entro una precisa scadenza tutta la popolazione non tedesca, ossia piu' di otto milioni di persone. Quel che resta del territorio polacco occupato dai tedeschi viene chiamato "Governatorato generale", con Cracovia come capitale, e affidato all'amministrazione di Hans Frank (che finira' giustiziato a Norimberga il 16 novembre 1946).
Le zone di confine della Prussia occidentale, il Warthegau e la Slesia nordorientale devono ospitare una popolazione tedesca pura, e cio' attraverso l'espulsione di tutti i polacchi, gli ebrei e gli zingari, e attraverso il reinsediamento di gruppi etnici tedeschi, o Volksdeutsche, dall'Europa orientale. I polacchi devono essere deportati piu' a oriente, in quello che diventa il "Governatorato generale", e privati delle loro potenziali elite politiche per mezzo di esecuzioni sistematiche. Quanto agli ebrei, essi devono essere deportati nelle aree piu' lontane dell'impero germanico, nella regione di Lublino, tra i fiumi Bug e Vistola, predisponendo per alcuni di loro l'espulsione oltre la linea di confine con l'Unione Sovietica. Il piano nazista prevede dunque - in progressione da occidente a oriente - tre fasce di popolazione: tedesca, polacca, ebraica.
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Sin dall'inizio delle operazioni belliche, l'obiettivo dei nazisti e' l'annullamento dell'identita' politica e culturale dei polacchi, ossia la progressiva "germanizzazione" anche dei territori nei quali per il momento i polacchi andranno concentrati. Questi sudditi "alieni" vengono trattati alla stregua di "Untermensche"n ("sottouomini"), che e' lecito spostare o eliminare senza remore. Gia' vari mesi prima di scatenare la guerra, Hitler indica senza mezzi termini gli scopi che intende perseguire: annessione e germanizzazione di almeno una parte della Polonia, distruzione della nazione polacca. Nei deliranti disegni del dittatore, i polacchi devono fornire al Reich le braccia di cui esso ha bisogno, e quindi sono votati al destino di manodopera non qualificata, in grado appena di leggere e scrivere. Vanno pertanto privati di una coscienza nazionale che, nella visione hitleriana, trova sostanza soprattutto nell'influenza delle classi dirigenti.
Diversamente dalla modalita' che adotteranno in altri paesi occupati, i tedeschi non insediano qui un governo-fantoccio, ma procedono alla liquidazione brutale di una parte della classe dirigente locale, assumendo direttamente le redini dell'amministrazione civile. Cosi', ancora prima della conclusione della campagna di conquista, Hitler inizia a realizzare nel paese invaso l'apparato esteriore del suo progetto razzista. La missione viene affidata a Heinrich Himmler, il quale crea nel settembre 1939 l'Rsha (Reichssicherheitshauptamt, Ufficio centrale del Servizio di sicurezza del Reich), riunendo sotto la direzione di Reinhard Heydrich (1904-1942) la Sicherheitspolizei (Polizia di sicurezza), organo dello Stato da cui dipende la Gestapo, e l'SD (Sicherheitsdienst, Servizio di sicurezza), organo del partito. Heydrich (lo stesso gerarca che, in veste di "protettore del Reich" in Boemia e Moravia, cadra' in un agguato dei partigiani boemi a Lidice, il 29 maggio 1942), mette in piedi delle Einsatzgruppen, come ha gia' fatto in occasione dell'invasione dell'Austria, dei Sudeti e poi delle rimanenti regioni della Cecoslovacchia. Avanzando al seguito della Wehrmacht, tali gruppi hanno il compito di catturare le personalita' ostili al Reich e, in generale, di eliminare fisicamente i nemici ideologici del nazismo.
Muniti di elenchi preparati in precedenza, gli uomini di Heydrich arrestano e fucilano a migliaia le persone appartenenti alle elite polacche. E sui circa 16.000 civili polacchi giustiziati nelle sei settimane che seguono l'attacco tedesco, si stima che almeno 5.000 siano ebrei. Un decreto amministrativo del 21 settembre 1939, in cui Heydrich fissa le linee generali della persecuzione antiebraica in Polonia, distingue tra un Endziel ("obiettivo finale") di lungo periodo, non ulteriormente specificato e da tenersi rigorosamente segreto, e "misure preliminari" di breve periodo. Lo scopo di tali misure di pronta applicazione e' quello di concentrare gli ebrei il piu' rapidamente possibile nei centri urbani maggiori, attorno ai nodi ferroviari, onde poterli agevolmente controllare nell'immediato e poterli in seguito deportare in vagoni-merce, come le stesse istruzioni di Heydrich ai capi delle Einsatzgruppen precisano.
Il 23 novembre 1939, in tutto il "Governatorato generale" gli ebrei sono obbligati a portare il contrassegno distintivo: un bracciale alto 10 centimetri su cui e' montata una stella gialla a sei punte. Si tratta di una sorta di marchiatura, della quale molte testimonianze parlano (soprattutto in Germania, ove il distintivo verra' imposto soltanto nel 1941) come del provvedimento piu' infamante e degradante, per quanto ancora fisicamente indolore.
La politica di concentramento provvisorio degli ebrei in vista di un'ulteriore deportazione (forse verso qualche regione-riserva posta ai margini del costituendo Grande Reich, o addirittura nel Madagascar, come ipotizzano dalla primavera del 1940 diversi gerarchi del regime) conduce alla creazione di ghetti, il primo dei quali viene istituito a Piotrkow il 28 ottobre 1939. Gli ebrei che vivono nella citta' sono costretti ad abbandonare le loro case e a trasferirsi nell'area assegnata, che risulta subito tragicamente sovraffollata; da parte dei tedeschi, ci si preoccupa di  mantenere i rifornimenti di cibo e medicinali al livello minimo. Un'identica sorte tocca  agli oltre 200.000 ebrei che abitano a  Lodz, la citta' piu' industriale della Polonia, dove il ghetto viene istituito l'8 febbraio 1940. Piu' o meno nello stesso periodo, tutti gli ebrei presenti nel "Governatorato generale" (compresi quelli trasferiti in territorio polacco  dalla Germania, dalla Cecoslovacchia, dall'Austria) sono assoggettati al lavoro obbligatorio. I due momenti congiunti, della ghettizzazione e del lavoro coatto, prefigurano parte della dinamica che contrassegnera' piu' tardi la "soluzione finale".
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Nel settembre 1940 il quartiere ebraico di Varsavia, che di li' a poco sara' trasformato in ghetto, e' posto in quarantena. Ubicato a nord della citta', nella zona industriale, esso copre un'estensione di circa quattro chilometri quadrati, pari al 2,4% della superficie urbana complessiva. Vi si trovano 240.000 ebrei e 80-90.000 polacchi cristiani.
A questi ultimi, il 16 ottobre viene intimato di sloggiare entro due settimane per fare posto ad altri ebrei, costretti ad abbandonare, sotto pena di morte, le loro abitazioni dislocate in zone diverse della citta' e della provincia. Il filo spinato e lo steccato che, sin dai primi mesi dell'occupazione tedesca, delimitano il quartiere vengono progressivamente sostituiti dalla piu' solida costruzione di un muro; e con il 15 novembre 1940 entro quel perimetro viene ufficialmente istituito il ghetto, in cui finisce concentrata e rinchiusa tutta la popolazione ebraica del territorio varsaviano composta per lo piu' di piccoli artigiani, venditori ambulanti, commercianti, operai e professionisti con le loro famiglie. Nel ghetto si trovano in tal modo insediate poco meno di 400.000 persone che nel maggio 1941, con i nuovi arrivi, diventeranno oltre 430.000, di cui 50.000 bambini. All'esterno del recinto il controllo e' esercitato dal comando militare tedesco, mentre all'interno viene imposta un'"autogestione" ebraica affidata a uno Judenrat di 24 membri e a un corpo di circa duemila poliziotti ebrei dotati di soli randelli.
Come altri Consigli ebraici istituiti dai nazisti per amministrare ghetti e comunita', lo Judenrat di Varsavia persegue a lungo l'illusorio obiettivo di rendere meno brutale la realta' della progressiva liquidazione. In pratica, esso funziona soltanto da strumento passivo d'esecuzione delle direttive tedesche.
Se altri ghetti della Polonia sono dichiarati "aperti", nel senso che da essi ci si puo' allontanare quotidianamente per ragioni di lavoro con regolari lasciapassare, il ghetto di Varsavia e' "chiuso", cioe' non offre alcuna possibilita' di uscire. Gli ebrei che vi sono ammassati, percio', sono condannati a un assoluto distacco dal mondo esterno, senza alcuna possibilita' di partecipare alla vita economica della citta' e del paese. In queste condizioni la maggioranza degli abitanti, gia' costretta a confrontarsi con tassi di sovraffollamento inverosimili (in alcune fasi, 10-12 persone per locale), cade ben presto sfinita dalla fame e dagli stenti. Tra il gennaio e il giugno 1941, oltre 13.000 persone soccombono per fame. La vita in comunita' di coabitazione promiscua, l'insufficiente alimentazione, la sporcizia e il freddo fanno rapidamente registrare i primi casi mortali di tifo. Nell'aprile 1941 i decessi superano di sette volte quelli del novembre 1940. Gli abitanti cominciano ad abituarsi passivamente alla morte: "Quasi ogni giorno per le strade c'e' gente che sviene o stramazza morta" annota nei suoi appunti Emmanuel Ringelblum (1900-1944), l'impavido organizzatore degli "archivi" del ghetto di Varsavia. "La cosa non fa piu' tanto effetto. Le strade sono sempre piu' affollate di nuovi profughi. I carri e i camion carichi di materassi degli ebrei poveri costituiscono una scena impressionante". Il 5 luglio 1942 cosi' riassume la situazione il giornale clandestino "Sturme": "Siamo stati rinchiusi fra le mura soffocanti dei ghetti, spesso non sappiamo che cosa accade ai nostri vicini e i nostri vicini non sanno come noi veniamo assassinati".
Per la gran massa di questi sventurati, lo Judenrat e' un'istituzione decisamente impopolare che, oltre a non combattere efficacemente il mercato nero, le speculazioni e la corsa agli accaparramenti, non riesce a risolvere neppure in parte i vari problemi che affliggono il ghetto, e tanto meno ad alleviare la disastrosa situazione sanitaria e alimentare. Ma soprattutto il Consiglio ebraico, il cui presidente Adam Czerniakow morira' suicida nel luglio 1942, si rende odioso poiche' e' ritenuto colpevole di favorire i benestanti e discriminare i meno abbienti.
Il danaro diventa infatti l'arbitro sovrano di una lotta sempre piu' angosciosa per la sopravvivenza. Chi dispone di un po' di danaro o di situazioni facilmente sfruttabili trova il modo di individuare, tra i funzionari dello Judenrat, alleati condiscendenti; tutto allora puo' risolversi con la corruzione, con il patteggiamento: si puo' comprare, per esempio, l'accesso a una fabbrica, a uno di quei tanto ambiti posti di lavoro, erroneamente ritenuti la piu' sicura difesa contro qualsiasi deportazione da cui sono esenti gli addetti alle industrie legate all'economia di guerra. E, sempre dietro compenso, si evitano la requisizione della propria casa, i campi di lavoro coatto, la possibilita' di cadere in uno dei continui rastrellamenti condotti con il sistema "a pettine" (Durchkammung) "per il trasferimento a Est".
Tuttavia, dopo l'aggressione tedesca all'Unione Sovietica nel giugno 1941, le retate di giovani da avviare ai lavori di fortificazione sul nuovo fronte diventano ormai una consuetudine quotidiana. E poco piu' di un anno dopo, tra il 22 luglio e il 3 ottobre 1942, ossia nel breve spazio di settantuno giorni, a Varsavia verra' messa in atto la cosiddetta "grande azione", cioe' la deportazione, mascherata da "trasferimento a scopo di lavoro", di 310.000 ebrei a Treblinka, nelle cui camere a gas saranno eliminati al ritmo di 5-7 mila al giorno.
E' abbastanza straordinario che, pure in questo contesto di disumana ferocia, per un paio d'anni un pugno d'esseri umani oppressi, cenciosi, umiliati e votati allo sterminio si riveli ancora capace di iniziative comunitarie di rilievo: scuole clandestine, primarie e secondarie, o addirittura corsi universitari, conferenze, assistenza sociale, stampa e vita politica clandestina. Nel perimetro maledetto del ghetto si riesce ad allestire un'orchestra sinfonica, si mettono in scena alcune rappresentazioni teatrali in yiddish e in lingua polacca, vi sono pittori che continuano a produrre, viene raccolta una documentazione d'archivio di grande importanza per gli storici di domani. Janusz Korczak, un'eccezionale figura di educatore, fa in modo che la vita dei giovanissimi ospiti dell'orfanotrofio da lui diretto continui a svolgersi in un clima il piu' possibile sano, libero e normale. Tutte queste iniziative devono considerarsi autentici momenti di autodifesa spirituale e costituiscono, in embrione, le occasioni di aggregazione attiva e responsabile da cui trarranno alimento le sparute forze che, all'inizio del 1943, daranno vita alla rivolta disperata del ghetto di Varsavia contro i tedeschi.
Dopo la "grande azione" dell'estate 1942, rimangono nel ghetto 50-60.000 persone, di cui una parte vive nascosta, nella clandestinita', mentre l'altra viene impiegata nel "ghetto industriale", cioe' nelle fabbriche dirette dai tedeschi. E "sinche' le fabbriche hanno ordinazioni" annota Ringelblum "gli ebrei hanno diritto di vivere". Ma gli operai ebrei sono in balia degli imprenditori che, facendosi forti di avere loro salvata (provvisoriamente) la vita, si sentono autorizzati a ogni sopruso, specialmente in fatto di alimentazione, taglieggiando sulle assegnazioni annonarie. E non v'e' dubbio che i principali gruppi industriali del Terzo Reich sono piu' che disposti ad approfittare della concentrazione della manodopera ebraica nei ghetti polacchi, e ben lieti di avere carta bianca per un'utilizzazione a costi irrisori di un lavoro servile che il regime offre loro con straordinaria generosita'.
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Per quanto concerne, in termini piu' generali, il programma del lavoro coatto, non v'e' dubbio che esso costituisca una forma di sfruttamento che sfocia nell'assassinio di massa, e che tale sia considerato dalle gerarchie naziste. L'espressione "Vernichtung durch Arbeit" ("annientamento tramite il lavoro") ritorna varie volte durante gli incontri che il dottor Otto Thierack, il ministro della Giustizia che morira' suicida nel 1946, ha con Goebbels e Himmler nel settembre 1942. Fritz Sauckel, il plenipotenziario del Lavoro che sovrintende alla distribuzione della manodopera, ordina che gli ebrei siano "trattati in modo da sfruttarli al massimo con la minima spesa". E una volta che questi schiavi potenziali siano stati deportati da ogni angolo d'Europa e concentrati nei campi di lavoro del "Governatorato generale" (il territorio che Hitler definisce "un grande campo di lavoro polacco"), il programma del lavoro forzato puo' essere messo in atto. Coperti di stracci e alimentati con pane, una sbobba acquosa e patate condite talvolta con avanzi di carne, gli ebrei vengono fatti lavorare dall'alba al tramonto per sette giorni la settimana.
La prima grande opera realizzata mediante il lavoro coatto e' la costruzione, nel febbraio 1940, di un enorme fossato anticarro costeggiante la nuova frontiera orientale. Da quel momento il sistema si diffonde in ogni ramo della produzione. Le grandi imprese industriali germaniche, che partecipano senza riserve allo sforzo bellico del regime, sfruttano nella maniera piu' selvaggia le risorse sia umane che materiali dei territori conquistati. Heinrich Himmler, nel corso della sua prima ispezione al campo di concentramento di Auschwitz, il primo marzo 1941, decide di destinare all'IG Farben, il colosso dell'industria chimica, 10 mila detenuti per la costruzione di una zona industriale a Dwory (un sobborgo di Auschwitz) in cui si produrranno metanolo (carburante surrogato) e caucciu' artificiale. La stessa IG Farben riesce a farsi spedire su carri-merce, proprio come se si trattasse di inerti materie prime, 250 ebree olandesi da Ravensbrueck a Dachau, mentre gli stessi carri-merce riportano 200 polacche da Dachau.
Le vittime del lavoro coatto sono costrette a tenere ritmi doppi rispetto alla norma, anche quando il compito sia quello, per esempio, di trasportare sacchi di cemento che pesano cinquanta chili. A Mauthausen, non lontano da Linz, nell'Alta Austria, dove Himmler fa apprestare un campo di lavoro nei pressi della cava di pietra municipale, i lavoratori, dotati soltanto di picconi e asce, devono cavare pesanti blocchi di granito che poi sono tenuti a sollevare dalla cava al campo su per centottantasei ripidissimi gradoni. Il tasso di sopravvivenza di questa manodopera servile oscilla tra le sei settimane e i tre mesi, senza tenere conto dei decessi da imputarsi a punizioni, incidenti o suicidi.
Il programma del lavoro coatto e' dunque una fase, un primo momento della "soluzione finale", giacche' l'uccidere tramite il lavoro costituisce il fondamento stesso del sistema concentrazionario creato dai nazisti.
 
4. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE SESTA)
 
Gli ebrei d'Occidente di fronte al Reich
Nella primavera del 1940 la macchina bellica tedesca si rimette in moto nell'Europa settentrionale e sul fronte occidentale. In aprile cadono la Danimarca e la Norvegia. In maggio e' la volta del Belgio, dell'Olanda e del Lussemburgo, che i tedeschi invadono e occupano per attirare verso il nord le forze anglo-francesi che difendono la linea Maginot, e chiuderle in una sacca mediante un'enorme manovra a tenaglia. Tra il 29 maggio e il 4 giugno, 350.000 militari inglesi e francesi in ritirata riescono, abbandonando ingenti quantita' di materiale bellico, a imbarcarsi a Dunkerque. La Francia, attaccata militarmente anche dagli italiani (10 giugno), si avvia ad arrendersi. Niente sembra resistere al rullo compressore dell'esercito di Hitler. Niente a eccezione dell'Inghilterra, che pure dista poche miglia dalle coste di quell'Europa che ormai e' quasi tutta dominata o controllata dalle armate naziste. Queste completeranno l'opera di conquista occupando nella prima meta' del 1941 anche la Bulgaria e, assieme agli italiani, la Jugoslavia e la Grecia.
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In Norvegia e in Olanda i sovrani spodestati fanno salva la loro legittimita' rifugiandosi in Gran Bretagna con i rispettivi governi. Mentre il Lussemburgo e' annesso direttamente alla Grande Germania, l'Olanda viene affidata al governo del Reichskommisar Arthur Seyss-Inquart. In questo paese il destino della numerosa collettivita' ebraica sara', fra tutte le comunita' dell'Europa occidentale, il piu' denso di tragedia. Nonostante le molte manifestazioni di coraggiosa solidarieta' da parte della popolazione, che si oppone attivamente all'occupazione nazista e alla deportazione degli ebrei, 115.000 uomini, donne e bambini (pari ai due terzi dell'intera collettivita' ebraica olandese) finiranno ad Auschwitz, Sobibor e Theresienstadt. I sopravvissuti saranno 1.070.
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In Danimarca il re Cristiano X (1870-1942) rimane al suo posto e cerca, pure spogliato d'ogni potere, di organizzare la protezione della popolazione, soprattutto dei cittadini "di razza ebraica": una collettivita' di circa 6.500 persone, comprendente anche i 1.350 ebrei tedeschi che, nel corso degli anni Trenta, in Danimarca hanno trovato rifugio. A tutta prima le forze germaniche che occupano il paese accordano al monarca, al governo, ai tribunali ed allo stesso parlamento un sorprendente margine di liberta'. Per un certo tempo, nemmeno gli ebrei subiscono molestie. Ma con il passare degli anni i danesi si rendono conto che con i brutali invasori ogni forma di collaborazione, anche gelida, e' impraticabile. Nel paese prende corpo la consapevolezza che, dopo tutto, la Germania non potra' vincere la guerra e che la piccola Danimarca non e' inesorabilmente condannata a divenire uno Stato vassallo nel quadro del "Nuovo Ordine" hitleriano.  Durante l'estate del 1943 i danesi danno vita alla resistenza. Le autorita' germaniche  promulgano la legge marziale, nel cui contesto progettano di deportare in Polonia l'intera comunita' ebraica. Si tratta pero' di una misura  che la popolazione danese ostacola con ogni mezzo. Dal pulpito, numerosi esponenti delle chiese evangeliche incoraggiano i fedeli ad aiutare gli ebrei. Le universita' dell'intero paese vengono chiuse per consentire agli studenti di prendere parte alle operazioni di soccorso. Secondo i piani dei nazisti, l'arresto e la deportazione degli ebrei dovrebbe avere luogo nella notte tra l'1 e il 2 ottobre 1943. Preavvisati e consapevoli di poter contare su una collaborazione vasta e capillare da parte della popolazione, i funzionari e i massimi responsabili dell'amministrazione civile di Copenhagen procurano agli ebrei nascondigli sicuri e organizzano un'operazione di salvataggio fra le piu' straordinarie mai registrate nel corso della storia. Mobilitata l'intera flotta dei pescherecci danesi per consentire agli ebrei di raggiungere le coste della neutrale Svezia, in meno di un mese riescono a traghettare al di la' del Sund 5.919 "ebrei completi", 1.301 "ebrei-per-meta'" o "per-un-quarto" e 686 non-ebrei legati a ebrei da matrimonio. Nel corso della retata messa in atto tra l'1 e il 2 ottobre, i tedeschi riescono a mettere le mani soltanto su 477 ebrei. Si tratta per la maggior parte di anziani che, troppo deboli per affrontare la traversata via mare, vengono trasportati dopo la cattura a Theresienstadt, in Boemia. Gli ebrei messi in salvo al di la' del mare dai loro concittadini danesi vivranno in Svezia indisturbati, cosi' come altri tremila rifugiati  che hanno raggiunto la Svezia prima dello scoppio della guerra, dalla Germania, dall'Austria e dalla Cecoslovacchia.
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In Belgio il re Leopoldo III (1901-1983) si arrende e viene fatto prigioniero in qualita' di capo dell'esercito, mentre il governo legale si trasferisce a Londra. Nel giro di quattro anni, la comunita' degli ebrei residenti nel paese (circa 52.000 persone), sottoposta a una serie impressionante di retate e deportazioni, subira' perdite pesantissime. Il trasporto di ebrei ad Auschwitz continuera' anche quando gli Alleati, sbarcati in Normandia il 6 giugno 1944, staranno avanzando verso le frontiere belghe.  Entro il 31 luglio 1944 - data di partenza dal campo di Malines dell'ultimo convoglio di ebrei - ben trentuno treni avranno lasciato il Belgio alla volta della Polonia. Alla fine della guerra, le comunita' ebraiche belghe constateranno d'avere perso con la  deportazione oltre 25.000 persone, cioe' circa la meta' dei propri membri.
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Particolarissimo e' il caso della Francia, dove il governo di Paul Reynaud (1878-1966), dimissionario, viene sostituito da un ministero presieduto dal reazionario e clericale maresciallo Henri-Philippe Petain (1856-1951) con l'incarico di chiedere a tedeschi e italiani l'armistizio, che entra in vigore il 25 giugno 1940. Nella maggior parte del territorio francese i tedeschi impongono un regime di occupazione. Nella parte rimanente, a sud della Loira, si insedia una forma autoritaria di governo di estrema destra, con sede a Vichy. Petain, quale capo dello Stato, chiama alla guida dell'esecutivo Pierre Laval (1883-1945); cosicche', nel contesto di un'Europa sottomessa al giogo della Germania nazista, la Francia e' l'unico grande paese che goda del privilegio di mantenere uno Stato sovrano, con un governo legale che legifera in suo nome. Una fortuna che non tardera' a trasformarsi in disonore.
Per quanto concerne gli ebrei, per esempio, il governo di Vichy adotta fin dall'inizio (estate 1940) una serie di misure che rivelano una disposizione a sottomettersi, un desiderio di subalternita' nei confronti del vincitore germanico che vanno ben al di la' delle attese degli stessi tedeschi. Nel momento del tracollo di fronte ai nazisti, in Francia gli ebrei costituiscono un insieme piuttosto composito di circa 270.000 persone, nel quale, accanto a un nucleo di ebrei che hanno ricevuto la cittadinanza sin dai tempi della Costituente, nel 1791 (patrioti e amanti dell'ordine, per lo piu' integrati nella borghesia francese e nella sua cultura), vi e' un secondo numeroso gruppo, quello degli "stranieri": immigrati dall'Europa orientale, in grande maggioranza originari dalla Polonia e dalla Russia, di lingua yiddish e talvolta, non sempre, di cultura propriamente ebraica. Questo secondo gruppo aveva fornito, nella Francia tra le due guerre, il nerbo del proletariato ebraico, coinvolto molto attivamente nella vita politica con una marcata propensione per le tendenze di sinistra.
Da subito e con grande cinismo, il governo di Vichy si da' a opporre gli uni agli altri, "francesi" e "stranieri". Senza la minima sollecitazione da parte tedesca, sin dal 22 luglio 1940 il guardasigilli Raphael Alibert sottopone a revisione tutte le naturalizzazioni intervenute dopo la legge del 1927. Il 27 settembre il governo decide di rinchiudere in campi di internamento amministrativo tutti i maschi "stranieri" dai 18 ai 55 anni "in sovrannumero nell'economia nazionale". Con una strana fretta, che nulla e nessuno impone, il 27 agosto viene abrogata la legge antirazzista del 1939 che penalizzava gli eccessi antisemiti sulla stampa. E lo stesso Petain fin dal 3 ottobre, quando non c'e' ancora stata alcuna richiesta da parte dei tedeschi, vara lo statuto degli ebrei che ben presto consentira' di spedire migliaia di francesi, ma soprattutto di "stranieri", ai forni crematori dei campi della morte. "Nessuno puo contestare",  commenta autorevolmente Robert O. Paxton, "che le prime misure antiebraiche del 1940 sono state una iniziativa  puramente francese, e che e' stata Vichy stessa, nel 1942, a insistere per cooperare alle deportazioni degli ebrei stranieri verso Est".
Prima della fine della guerra saranno 76.000 gli ebrei deportati dalla Francia, dei quali ben due terzi saranno "stranieri". In questo macabro conteggio vanno annoverati piu' di diecimila tra bambini e ragazzi: 1.900 d'eta' inferiore ai 6 anni, 4.200 tra i 6 e i 12 anni e altrettanti tra i 13 e i 17 anni. I sopravvissuti saranno meno di duemila. Molte delle vittime transiteranno da Drancy, a nord-est di Parigi, che in ogni caso non e' l'unico centro di deportazione istituito sul suolo francese: Vichy allestira' infatti diversi campi nel Midi, ossia in zona non occupata dai tedeschi, nei quali oltre tremila ebrei troveranno la morte.
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Nel dare la caccia all'ebreo in terra di Francia e fornire ai nazisti i predestinati allo sterminio, il concorso dato dalle autorita' di Vichy, in particolare nelle persone di Petain, Laval e Xavier Vallat, primo commissario generale alle "Questions juives", avra' un'importanza determinante: sia per assicurare l'isolamento degli ebrei in seno alla popolazione francese attraverso il censimento, il numerus clausus e altre operazioni preliminari, sia per sollevare i tedeschi dal peso delle retate, che verranno condotte dalla polizia francese (ordinaria e politica) non solo nella zona libera, ma anche in quella occupata. Xavier Vallat, l'ultrasciovinista chiamato a occuparsi degli Affari ebraici, era un grande invalido della prima guerra mondiale. Negli anni tra le due guerre, si era messo in evidenza nelle organizzazioni degli ex combattenti di estrema destra e nella Federation nationale catholique del generale Curieres de Castelnau, e non aveva mai nascosto il suo antisemitismo. Quando Leon Blum divenne presidente del Consiglio del Fronte popolare, nel giugno 1936, Vallat era insorto per far rilevare che "questo momento storico" era il primo in cui "questo vecchio paese gallico-romano" sarebbe stato governato da un "sottile talmudista". Il suo sciovinismo era tale da infastidire persino le autorita' occupanti germaniche. In un'occasione ritenne di avvertire un ufficiale delle SS con il quale si intratteneva: "Io sono un antisemita piu' vecchio di voi. Potrei essere vostro padre in questa materia".
Un crimine di matrice francese che non puo' essere dimenticato in questo contesto e' il famigerato rastrellamento di tredicimila ebrei che la polizia parigina rinchiude nel Velodromo d'inverno il 16 luglio 1942, affinche' vengano poi deportati nei campi di sterminio tedeschi. Altrettanto degna di memoria e' la responsabilita' personale di un alto funzionario come Maurice Papon - che ai tempi di Vichy era segretario generale della prefettura  della Gironda, e quindi gestiva a Bordeaux anche le "Questions juives" -  nella deportazione di 1.690 ebrei, tra cui oltre 200 bambini. E', quello di Papon, un caso davvero straordinario (ma non unico in Francia) di collaborazionista che, dopo la Liberazione, riesce in modo misterioso a farsi scagionare e a far dimenticare i propri crimini, riproponendosi per vari decenni come grand commis de l'Etat: prefetto della polizia di Parigi sotto de Gaulle dal 1958 al 1967 - e responsabile in tale veste dell'uccisione, da parte delle forze dell'ordine, di oltre duecento algerini residenti nella capitale -, deputato e poi addirittura ministro del Bilancio tra il 1978 e l'81, durante il settennio di Giscard d'Estaing. Protetto per decenni dall'intera classe politica francese, molto reticente nel confrontarsi con le nefandezze del regime collaborazionista di Petain, Papon comparira' soltanto nel 1997 dinanzi a una Corte d'Assise, accusato di crimini contro l'umanita'. Al termine di un processo clamoroso protrattosi per novanta udienze, verra' condannato il 2 aprile 1998 a dieci anni di prigione: una pena alla quale l'ex ufficiale-burocrate del regime di Vichy, ormai quasi novantenne, tentera' di sottrarsi fuggendo in Svizzera (ottobre 1999). Acciuffato e riconsegnato alle autorita' francesi, Papon subira' l'estrema delusione di vedersi respinta, nel marzo 2000, la domanda di grazia rivolta al presidente Jacques Chirac.
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Nel periodo 1940-1943, per le autorita' germaniche la collaborazione con le forze francesi di polizia sara' persino piu' facile di quella stabilita con i comandi del Regio Esercito italiano che, a partire dal novembre 1942, presidiano una decina di dipartimenti della Francia meridionale, nominalmente sotto la sovranita' del governo di Vichy. In questa zona, prima dell'armistizio del 1940, la presenza di ebrei non superava le 15-20.000 unita'. Ma il loro numero aumenta considerevolmente subito dopo, quando nel sud della Francia si riversano parecchie decine di migliaia di profughi provenienti dalle zone occupate dai tedeschi in Francia, Olanda e Belgio.
Le iniziative del Regio Esercito per mettere in salvo interi gruppi di ebrei sono significative e numerose, al punto da provocare un'aperta rottura con il prefetto di polizia francese del dipartimento delle Alpi Marittime, un funzionario ferocemente antisemita e filonazista, e cagionare interventi durissimi dei tedeschi che si vedono sottrarre dai soldati italiani le "unita'" destinate alla deportazione. Si calcola che prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943, nelle regioni occupate o amministrate dagli italiani (non solo in Francia, ma anche in Tunisia, in Grecia e in Dalmazia), vengano consapevolmente salvati oltre 50.000 ebrei, sfidando gli ordini dei tedeschi e dello stesso Benito Mussolini. E' una politica pianificata e messa in atto dai comandi dell'Esercito e concordata con alcuni dei dirigenti piu' influenti del ministero degli Esteri, a seguito dei rapporti sull'eccidio degli ebrei in Polonia giunti a Roma sin dall'autunno 1941. L'uomo chiave della strategia italiana a favore degli ebrei e' il conte Luca Pietromarchi. Si deve a lui, in quanto responsabile dell'ufficio destinato a trattare le relazioni con i territori occupati, la messa in atto, in collaborazione con il generale Mario Roatta (1887-1968), comandante della Seconda Armata in Slovenia e Dalmazia, di tutti i possibili cavilli burocratico-amministrativi che consentano di "insabbiare" gli ordini di consegnare gli ebrei alle truppe tedesche, che lo stesso Mussolini va impartendo.
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Una vicenda parallela e molto simile a questa vede come protagonista Dimitur Peshev, vicepresidente del parlamento bulgaro, che con astuzia ed energia riesce, praticamente da solo, a inceppare dall'interno,  nel marzo 1943, la macchina burocratica della deportazione e dello sterminio, opponendosi alla decisione del re Boris III (1894-1943) di consegnare gli ebrei bulgari ai tedeschi. Tant'e' che la Bulgaria, assieme alla Danimarca, e' l'unico Stato sotto occupazione militare nazista in cui quasi tutti gli ebrei (ve ne sono poco meno di cinquantamila) scampano alla persecuzione. Originario di Kjustendil, una cittadina dove ebrei e bulgari avevano vissuto in stretti rapporti per generazioni, Peshev "puo' essere considerato l'anti-Eichmann per eccellenza (...). Egli infatti ha dimostrato che anche nelle condizioni estreme in cui la coscienza umana e' offuscata da un conformismo generale, perche' 'leggi, usi e costumi morali non hanno piu' forza vincolante'; anche all'interno di un gruppo dirigente che ha accettato per ragioni 'irredentistiche' la logica nazista sugli ebrei; anche all'interno di un sistema burocratico che ha acconsentito allo sterminio e lo gestisce tecnicamente senza porsi domande; anche in una situazione in cui un altissimo funzionario e' tenuto a rispettare la logica degli ordini e la disciplina, e' possibile riconoscere il male e opporvisi. Alla fine e' sempre la persona umana che puo' decidere moralmente, anche in un contesto dove l'immoralita' e' diventata la norma generale".
(segue)
 
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Rita De Petra (a cura di), Livorno 1921, il tormento di una nascita, Left, Roma 2021, pp. 144, euro 6,50.
- Salo Muller, A stasera e fai il bravo. la memoria della Shoah nella storia dell'ex fisioterapista dell'Ajax, Il sole 24 ore, Milano 2021, pp. XVIII + 238, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
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Riletture
- Cristina Demaria, Teorie di genere. Femminismo, critica postcoloniale e semiotica, Bompiani, Milano 2003, pp. 532.
- Valentina Pisanty, Roberto Pellerey, Semiotica e interpretazione, Bompiani, Milano 2004, pp. 440.
 
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
7. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3989 del 19 gennaio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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