[Nonviolenza] Archivi. 388



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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 388 del 5 giugno 2020

In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di maggio 2020 (parte terza)
2. Omero Dellistorti: La legge di Sturgeon, naturalmente
3. Silvia Romano e' libera
4. Little Richard
5. Alcune franche parole nell'anniversario del rogo dei libri del 10 maggio 1933 a Berlino
6. Omero Dellistorti: Notte brava con pioggia finale
7. Omero Dellistorti: Il manager
8. Omero Dellistorti: Ufficio reclami
9. Una lettera aperta ai ministri ed ai parlamentari non razzisti

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MAGGIO 2020 (PARTE TERZA)

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di maggio 2020.

2. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: LA LEGGE DI STURGEON, NATURALMENTE

Io fo cosi': mi piazzo nela sala d'aspetto di una stazione trafficata e aspetto. Del resto la sala d'aspetto serve a quello, no?
Solo che io non aspetto il treno, no, io aspetto i clienti.
E magari mi tocca di aspettare pure parecchio, no? Perche' i clienti, loro, mica ce lo sanno di essere i miei clienti. Perche' non se l'aspettano. E allora che ci entrano a fare in una sala d'aspetto se non se l'aspettano, dico io, che ci entrano a fare?
Qui si pone la questione del libero arbitrio. Perche' se non lo decidono loro di diventare i miei clienti, chi lo decide? Eh, chi lo decide? Il destino? La provvidenza, Il puro caso? Ma allora o c'e' il determinismo o c'e' solo il caos. Io voto per il caos. Mi e' sempre piaciuto il casino.
Pero' mi piace pure l'ordine e l'armonia, perche' come diceva mio cugino sono pure uno dialettico, infatti eccome se ce l'ho la parlantina sciolta, che i clienti senno' come li attrai, con le smorfie? Con le smorfie scappano. Invece io niente smorfie, solo la dialettica.
Cosi' mi metto li' nella sala d'aspetto e fo finta di dormire. Questo e' il trucco dei trucchi: che fai finta di dormire. Pero' devi stare composto, non e' che ti stravacchi, che allora la gente scappa. Se ti stravacchi e' come con le smorfie. La gente non si fida. Invece la fiducia e' tutto.
L'orario migliore e' di sera, piu' e' tardi e meglio e'. Pero' piu' e' tardi e meno clienti potenziali si presentano. E allora qui c'e' una contraddizione reale, perche' il reale e' razionale, pero' e' pure contraddittorio, apposta io dico che c'e' il caos nell'universo. Pure l'universo e' reale, che e' il motivo che si dice che il reale e' universale. Ma l'universale e' di due tipi, dice mio cugino, astratto e concreto, concreto vuole dire che e' fatto con la creta, cioe' che e' una cosa materiale; astratto invece sarebbe come se uno dicesse distratto, cioe' come una cosa che uno l'ha strattonata e quella si e' strappata e poi la puoi solo che buttare via che ormai non ci fai piu' un cavolo di niente. Alla gente gli piace la roba sana. Per esempio la vita sana, all'aperto, in campagna, pero' poi invece di andare in campagna a fare la vita sana vengono tutti qui nella sala d'aspetto delle stazioni e qui ci sono io che li aspetto, i clienti.
Allora sto qui e fo finta che dormo ma invece sento tutto, perche' il modo migliore di vedere le cose e' usare le orecchie. Non dico che la vista sia sopravvalutata, no, pure la vista ci ha i suoi meriti e infatti a tutti ci piace guardare certi giornaletti, no? Come no? Andiamo, non facciamo i timidi, ci piacciono a tutti quei giornaletti. Pure ai preti, dico io, pure ai santi. La sapete quella, scherza coi santi e lascia stare i fanti? Perche' i santi di solito sono bravi figli un po' tonti e sono pure disarmati, i fanti invece che ne sai come reagiscono? Magari sembra niente e invece come niente ci hanno una bomba a mano nella saccoccia del soprabito e allora basta un niente e si fa il botto. Che tu sei il botto, e poi che resta? Solo lo schifo per terra resta. E' il mistero della vita e della morte, il mistero dei misteri, che prima uno respirava, coi vestiti e le scarpe e tutto, e poi invece e' solo lo schifo per terra. Finche' diventi humus. Che alla fine tutto diventa humus. Questo e' materialismo scientifico, lo dice sempre mio cugino.
La parte piu' difficile del lavoro e' che t'indolisci mentre aspetti. Perche' certe volte devi aspettare, che ne so, magari pure mezza giornata. E' vero che basterebbe fare dieci, venti passi e c'e' il bar della stazione che vai li' e butti giu' un caffe', ma se il cliente arriva proprio mentre tu sei andato a prendere un caffe'? Rischi che perdi l'attimo fuggente, e poi chissa' quante altre ore ti tocca aspettare un altro cliente. Io pero' non mi lamento, primo perche' lamentarsi non serve a niente, secondo perche' gli affari di solito mi vanno bene. A proposito del fatto che lamentarsi non serve a niente, ci avete fatto caso che si lamentano tutti? Tutti i clienti, dico. Che veramente e' uno schifo che proprio non si sopporta che stanno li' che si lamentano. Che ti lamenti? Se sei gia' diventato cliente, allora ormai non serve piu' a niente. E sarebbe piu' dignitoso starsene zitti e buoni e accettare quello che non puoi piu' cambiare, no? Pero' tutti si credono che se si mettono a piagnucolare chissa' che succede. E che deve succedere? Se per un piantarello uno smettesse di lavorare allora non lavorerebbe piu' nessuno. Perche' io la parte mia la devo fare, no? E' il lavoro mio. Quelli che fanno la lagna pure prima, quelli li sopporto pure di meno. E che stai a fare tutta 'sta lagna che ancora non ti e' successo niente? Lo so che magari a loro gli pare che gia' gliene sono capitate di tutti i colori, ma invece non e' vero, perche' il bello gli deve ancora capitare, e il bello e' quando incontrano me che li aspettavo. Dico il bello perche' il modo di dire e' di dire che si dice il bello, ma mica e' bello per niente per loro quando incontrano a me. Per loro i clienti, no? Per loro il bello e' brutto. E per me il brutto e' bello. L'ha gia'scritto qualcheduno, lo devo aver letto sul Corriere dello sport o sulla Settimana enigmistica. No, a me dello sport non me ne frega niente, io lavoro sempre. Pero' se uno sta tutto il tempo nelle sale d'aspetto o il Corriere delo sport o la Settimana engimistica bisogna che ce l'hai, senno' dai nell'occhio, e i clienti svicolano. Come la anguille scivolano via. E allora visto che mi servono per non dare nell'occhio un occhio ce lo butto sul Corriere dello sport o sulla Setttimana enigmistica. A me mi piace di piu' la Settimana enigmistica perche' ci sono le barzellette. Che pero' sono sempre le stesse e dopo un po' non ti fanno piu' ridere, cosi' leggo pure le definizioni delle parole crociate che comunque qualche cosa ci si impara sempre. Pero' il piu del tempo sto col giornale nella tasca del cappotto e fo finta di dormire, e aspetto il cliente.
*
Una volta ho fatto un sogno, un sogno strano. Avevo visto alla televisione del bar - io a casa la televisione non ce l'ho, ci sto poco a casa, che la tengo a fare una televisione? - che facevano vedere un iceberg. Cosi' poi me lo sono sognato, la mattina dopo, perche' col lavoro che fo io dormo la mattina. E nel sogno c'era solo 'st'iceberg in mezzo al mare, e basta. Chi lo sa che voleva dire.

3. SILVIA ROMANO E' LIBERA

Finalmente Silvia Romano e' libera.

4. LITTLE RICHARD

E' deceduto Little Richard, musicista.
Con gratitudine lo ricordiamo.

5. ALCUNE FRANCHE PAROLE NELL'ANNIVERSARIO DEL ROGO DEI LIBRI DEL 10 MAGGIO 1933 A BERLINO

Il 10 maggio 1933 a Berlino gli assassini nazisti realizzarono il piu' noto dei molti roghi di libri con cui cercarono di annientare anche la memoria e la cultura che sono tanta parte della liberta' umana.
E' stata innumerevoli volte ripetuta la terribile profezia di Heinrich Heine, che dove si bruciano i libri poi si bruceranno gli uomini. Innumerevoli volte ripetuta, essa ancora non e' diventata persuasione comune dell'umanita'.
Conosco un solo inconfutabile argomento in favore della liberta' di stampa, ed e' questo da Heine enunciato.
Ne deriva un ineludibile dovere: difendere il diritto di ogni essere umano non solo a pensare i suoi veri pensieri, non solo a dire le parole che crede vere assumendosene la responsabilita', ma anche a scriverle e diffonderle nel rispetto dell'eguale diritto di ogni altro essere umano, nel rispetto del diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignita', alla liberta'. Caratteristica precipua dell'umanita' e' il suo costituirsi come universale corale colloquio cui ogni essere umano partecipa. La scrittura e i manufatti che ne derivano sono il modo con cui gli esseri umani morti, quelli ora viventi e coloro che verranno possono parlare tra loro al di la' delle distanze spaziali e temporali, comunicarsi le esperienze e le conoscenze, e proseguire il cammino che dall'ignoranza porta alla verita', che dalla solitudine porta all'incontro, che dal regno della necessita' porta al regno della liberta'.
Cosi', pensando questo, mi spaventa l'abuso delle nuove tecnologie che fagocita la lettura attenta e pensosa sostituendola con la chiacchiera istantanea e l'altrettanto istantanea perdita della memoria. Internet ci consentirebbe di mettere a disposizione di tutti gli esseri umani la biblioteca universale delll'umanita', ed invece e' utilizzato perlopiu' per la propaganda totalitaria, per la sagra delle banalita' e delle scempiaggini, per l'alluvione di insulti e volgarita', per promuovere la barbarie, per bruciare in altro modo i libri.
Difendere e leggere i libri mi sembra pertanto un dovere morale e civile, e con essi difendere l'esistenza delle biblioteche e delle librerie. Credo che ogni persona ragionevole dovrebbe preferire la frequentazione delle librerie alle mescite di acquavite, alle fumerie d'oppio, ai lupanari ove la carne umana viene venduta ai lupi, ai narcotici mass-media - che costituiscono la punta di lancia della societa' dello spettacolo di debordiana memoria e sono effettualmente le onnipervasive agenzie della scotomizzazione, dell'alienazione, della rapinatrice persuasione occulta e flagrante; i narcotici mass-media che delle mescite, le fumerie e i lupanari sono la summa e il culmine.
Di libri, della memoria delle vite e delle molte verita' e discussioni che essi recano, sono fatte le barricate di chi insorge contro il fascismo che torna.
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In questi anni - diciamo dal 1994 -, e in questi giorni - diciamo dall'inizio dell'epidemia -, nel nostro paese si fa sempre piu' tangibile il rischio totalitario. Un totalitarismo di tipo nuovo, certo, diverso da quelli di Mussolini, di Hitler e di Stalin. Ma totalitarismo anch'esso. Troppe tracce, troppi sintomi si manifestano.
Chi avrebbe creduto che appena uno, due anni fa, un governo razzista avrebbe commesso indicibili crimini contro l'umanita' con l'acquiescenza di tanta parte dei media e degli stessi organi di controllo che l'ordinamento giuridico prevede? Chi avrebbe creduto che la meta' dei membri di quel governo scellerato avrebbe continuato a governare con un governo ulteriore - quello attuale - invece di essere tratti nelle aule di giustizia, ed allontanati per sempre da tutti i pubblici uffici?
Oggi gioiamo per la liberazione di una giovane generosa volontaria italiana che in Africa aiutava bambini innocenti e che poi ha subito un lungo sequestro da parte di una o piu' bande di criminali.
Quando potremo gioire anche per la liberazione di milioni di persone che vivono e lavorano in Italia e subiscono qui e adesso persecuzioni, segregazione, schiavitu', un regime di apartheid, la violenza dei poteri criminali e di antileggi hitleriane, la violenza mafiosa, razzista, schiavista, maschilista?
Quando potremo gioire perche' finalmente sara' rispettata e applicata la Costituzione della Repubblica italiana che riconosce e difende i diritti umani di tutti gli esseri umani, che garantisce il diritto d'asilo a chi e' costretto ad abbandonare il suo paese, che come ogni legge che sia una vera legge e' la difesa del debole dall'abuso del forte, e' la protezione dell'oppressa e dell'oppresso dalla violenza dell'oppressore?
Quando potremo gioire perche' finalmente sara' riconosciuto ad ogni essere umano che vive nel nostro paese il pieno diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'?
Quando potremo gioire perche' finalmente in Italia ogni persona vedra' riconosciuti tutti i suoi diritti sociali, civili, politici, umani?
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E' in discussione in questi giorni la proposta di una sanatoria che finalmente riconosca e difenda i diritti di tutte le persone oggi ancora costrette al lavoro nero, che particolarmente nelle campagne significa sovente vera e propria schiavitu' alla merce' di un sistema di potere mafioso, razzista e assassino.
Sia varata immediatamente una legge che finalmente liberi tutte le vittime; che finalmente contrasti tutti gli schiavisti; che finalmente riconosca tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani che vivono nel nostro paese.
Nessuna persona sia piu' abbandonata alla merce' di feroci aguzzini.
Ad ogni persona sia garantito un lavoro decente e tutelato, e un alloggio dignitoso, e tutti i beni necessari alla vita, e la protezione sociale e la partecipazione democratica.
Nessun essere umano e' un clandestino in quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera. E "Una persona, un voto" e' il fondamento della democrazia.
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La memoria del passato ci ispiri ad agire affinche' gli orrori che furono cessino di ripetersi.
Il ricordo delle vittime della barbarie nazista ci convoca ad agire in difesa del diritto alla vita di ogni essere umano.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Non abbandonare nessuno all'abuso, al dolore, alla morte.
Contrastare la violenza con la forza della verita', con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Ogni essere umano e' un essere umano.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Insorga nonviolentemente ogni persona decente affinche' sia posta fine alla schiavitu' e all'apartheid nel nostro paese.
L'Italia torni finalmente al rispetto della Costituzione repubblicana scritta col sangue dei martiri della Resistenza.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

6. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: NOTTE BRAVA CON PIOGGIA FINALE

A quel tempo eravamo giovani e peggio della grandine. Io, il Maestro e Romoletto. Peggio della grandine eravamo.
C'incontravamo verso sera al bar del sor Otello, che nel nostro linguaggio segreto lo chiamavamo la nostra base vietcong. E da li' a una cert'ora che ci pareva adatta partivamo per le nostre spedizioni.
Ci avevamo tre motorini, stratruccati che sia io che il Maestro lavoravamo all'officina di Mozzicacani e li sapevamo tutti i trucchi della motoristica. Ci avevamo pure un apetto, che usavamo quando era il caso. Perche' ci sono le spedizioni che la merce poi non e' da asporto a mano, ci vuole il vettore traslocatore e per questo ci avevamo l'apetto. Che era di Spolverino che ce lo prestava all'occorrenza, anche se piu' precisamente ce lo affittava, pero' a lui gli piaceva dire che ce lo prestava per amicizia; che invece amici con Spolverino non siamo stati mai, che era uno che ti fregava tutte le volte. Diverse volte ci eravamo detti che bisognava che ci decidevamo a comprarci un furgone. O almeno una macchina. Perche' le spedizioni col motorino, a seconda del bersaglio c'e' il rischio che ti fai pure ridere dietro. E se c'e' una cosa che non sopporto e' che qualcuno mi ride dietro, o davanti.
Quel pomeriggio il tempo era stato mezzo mezzo, pareva sempre che era li' li' per piovere ma poi non pioveva mai. Pero' ogni tanto si sentiva qualche tuono in lontananza, se non erano le esercitazioni militari al poligono.
A me di raccontare le storie non mi e' mai piaciuto. Da noi si dice che il miglior discorso e' starsene zitti. E allora perche' adesso racconto 'sta storia? Mica ce lo so. La gente racconta sempre le cose che non dovrebbe raccontare, e c'e' sempre qualcuno che le sta a sentire. Perche' le stanno a sentire? Non lo so, pero' le sto a sentire pur'io, con tutto che dei fatti degli altri non me ne frega niente, io penso per me e basta. Mica fo il prete, o il comunista. Io mi faccio gli affari miei che gia' mi bastano e mi avanzano. E ci sono arrivato a settant'anni, si vede che tanto male non ho fatto, no? E sto pure ancora a piede libero. Con tutto che facevamo piu' danni della grandine. Da giovani. Poi ho continuato da solo. Quando e' il momento tu fai quello che devi fare.
Ci avete fatto caso che non parlo in dialetto? Eh? Parlo italiano come un libro stampato, io. E perche' secondo voi? Chiedetevelo e pensateci su. Lo sapete come si chiama? Si chiama prudenza, che e' una delle virtu' dei cardinali, con rispetto parlando. Perche' la regola delle regole e' di non farsi riconoscere mai. Magari poi vi chiedono: che parlava siciliano? Parlava napoletano? parlava romanaccio? E voi gli dite no, no, parlava proprio come un libro stampato, che i libri si stampano in italiano, come i giornali. Se uno parla sempre in dialetto allora se lo beccano se l'e' meritato. Conoscevo uno che parlava sempre in dialetto e allora gli toccava sterminare sempre tutti per non farsi riconoscere. Magari era entrato in una cantina per asportare un par di salami o un carratello di rosso generoso, e ci aveva trovato lo zi' Nenne e la sora Betta che stavano li' perche' a casa c'erano le creature e quando fai certe cose ci vuole la privacy come dicono oggi, e allora quello invece di legarli come salami cosi' compensava i due salami che si portava a casa che doveva fare? Li doveva seccare tutti e due solo perche' invece di parlare italiano parlava in dialetto. Io dico che sono cose che non si devono fare. Non dico che qualche volta non l'ho dovuto fare pure io, non dico che sono un santo col moccolo, pero' ho sempre cercato di ridurre lo sforzo al minimo, che ammazzare la gente e' una fatica grossa che uno si chiede sempre se ne vale la pena. Non sarebbe piu' facile se per esempio facessero una legge che certi giorni della settimana la gente deve lasciare le case libere cosi' noi facciamo quello che dobbiamo fare senza brutti incontri e non si fa male nessuno? Questa sarebbe una legge giusta, ma figurarsi se quei ladroni del governo la fanno.
Comunque alla fine non era piovuto, s'era fatta sera, e fino a domani crepasse l'officina. Mozzicacani no, lui nell'officina ci restava sempre, era il padrone, ma io e il Maestro non vedevamo l'ora di andarcene, che la schiavitu' ricominciava il giorno dopo. Io dico che chi non ci ha mai lavorato in un'officina non lo sa che e' la schiavitu'. Pure i braccianti, d'accordo, ma pure l'officina. Per questo facevamo quell'altro lavoro nel turno di notte, per farla finita di stare a cavezza nell'officina tutto il giorno. E pure per averci due soldarelli per qualche sfizietto la domenica, mica si vive di solo pane.
Al bar gia' ci aspettava Romoletto, che al bar ci fa la muffa tutto il giorno, che ci ha pure un altro lavoro che lo gestisce da li', e di giorno il bar lo chiama il suo ufficio di rappresentanza, mentre la sera diventa il covo vietcong. Io non ci aveva problemi con Romoletto, pero' quell'altro lavoro che faceva non mi piaceva per niente. Proprio per niente. E allora perche' ci lavoravo insieme quando facevamo le spedizioni? E che ne so. Cioe', il fatto era che era Romoletto che organizzava, e organizzava pure bene. Se devo dire la verita' un sacco di cose che poi mi sono servite nella vita le ho imparate proprio guardando come faceva Romoletto. Pero' quell'altro lavoro che faceva non mi stava bene. Sono cose che non si fanno.
Quella sera disse: "Dal conte Tazio. Ci ho le chiavi. Questa e' la volta che ci sistemiamo". Il conte Tazio era uno coi soldi che gli uscivano dale orecchie che ci aveva una casa che pareva il palazzo reale ma non ci abitava, pero' ci abitava il guardiano e il guardiano ci aveva lo schioppo, la mira buona e il sonno leggero, e gia' ne aveva storpiati diversi di ragazzi che s'erano azzardati. Ma quella notte non c'era, o se c'era dormiva. Qualcuno le chiavi a Romoletto gliele doveva avere date e indovinate chi.
"Serve l'apetto?", chiesi. "Ma quale apetto, ci serve il camion stanotte", disse Romolaccio. "E dove lo troviamo un camion?", chiese il Maestro. "E' gia' pronto qui fuori e queste sono le chiavi pure del camion", trionfo' Romoletto facendocele tintinnare a un palmo dal naso. La verita' e' che Romoletto di noi tre era quello che ci metteva piu' impegno. pero' spartivamo sempre in parti uguali. Lo dico perche' e' vero, anche se non ci si crederebbe. Invece era proprio cosi': in tre parti uguali.
Cosi' aspettammo al bar che si facesse mezzanotte passata e poi partimmo col camion. Il palazzo reale del conte Tazio a quel tempo era qualche chilometro fuori del paese, adesso ormai hanno costruito tutto e sta dentro il paese, ma a quei tempi era fuori mano. Come arriviamo comincia la caciara dei cani, che poveracci non ci hanno altro da fare che fare caciara e allora fanno caciara tutta la notte, pero' siccome di notte tutti i cani che sentono altri cani che fanno caciara cominciano a fare caciara pure essi, dopo un po' e' un abbaiare da tutti i casali fino a dove finisce il mondo abitato, cosi' chi se ne frega dei cani che abbaiano, perche' come dice il proverbio can che abbaia non morde. Dalla parte di dietro del palazzo reale c'era un portone che ci si entrava col camion e dentro c'era un cortilone grosso come un campo da pallone e li' c'erano i magazzini, i garage, e gli accessi sia alla casa vera e propria che ai seminterrati e alle cantine che ce n'erano tre o quattro differenti, va' a capire perche'.
Romolone ci aveva tutte le chiavi, un mazzo grosso cosi', e si doveva essere fatto spiegare bene com'era fatta la casa perche' si muoveva sicuro e prima d'aprire una porta gia' ci diceva quello che c'era dietro.
Pero' non glielo avevano detto che dietro la porta del salone proprio in mezzo al salone ci aspettava il conte Tazio in persona con uno sgarro da orecchio a orecchio che gia' puzzava. E proprio mentre eravamo li' a contemplare il defunto sentiamo le sirene delle volanti che arrivavano che saranno state almeno duecento e che dovevano gia' essere appostate da quelle parti perche' in un amen gia' erano tutte entrate nel cortilone e si sentiva il galoppo delle guardie sulla scalinata che porta al salone dove eravamo noi tre babbei.
In certi  momenti si sa che non si deve pensare a niente, si corre e basta e che domineddio te la mandi buona. Romoletto no, che era un posapiano della malora e infatti diceva sempre che la prima cosa era la dignita', cosi' invece di darsela a gambe tiro' fuori la baiaffa, bilancio' il peso del corpo come se fosse Guglielmo Tell e poi non fece altro perche' le guardie che irrompevano al galoppo appena lo videro in posizione di tiro gli rafficarono addosso tutti i caricatori delle mitragliette e lo mandarono al creatore senza lasciargli dire ne' a ne' o. Il Maestro invece si mise a correre dentro la casa e corse tanto che alla fine si sfiato' che ancora non era riuscito a trovare l'uscita. Non fu cosi' fesso da tirare fuori il coltello, no, pero' se lo bevvero facile facile che alla fine e' una figuraccia pure quella. E poi s'e' fatto non so quanti anni di gabbio riconosciuto colpevole dell'efferato delitto del signor conte che invece era gia' bello che morto prima che arrivassimo noi. Ma figurarsi se qualcuno ci poteva credere, soprattutto con la testimonianza del guardiano che proprio quella notte era assente perche' aveva un parente all'ospedale e aveva dovuto assisterlo giusto giusto quella notte come confermarono le infermiere e la vedova del conte cui aveva chiesto il permesso. Ne volete sapere una? Qualche mese dopo la vedova inconsolabile e il fedele guardiano si sono sposati e sono andati a vivere a Santo Domingo coi soldi del conte che adesso gli uscivano dalle loro di orecchie, chissa' quanto sara' durato prima che uno dei due lasciasse questo mondo crudele trucidato da una banda di babbei sorpresi durante una rapina. E' cosi' che va il mondo, non mi dite che non ce lo sapevate. Comunque sui giornali un po' di tempo dopo quella notte lessi che il guardiano testimonio' che il giorno prima del fattaccio lui e il signor conte avevano sorpreso Romoletto, il Maestro e me ad aggirarci furtivamente intorno alla proprieta' dell'illustre estinto e ci avevano dovuto cacciare con impeto e sdegno (proprio cosi' disse: "con impeto e sdegno") e che noi volti in ignominiosa fuga avevamo proferito torvi lubriche sconcezze, bestemmie assortite e precise minacce di morte all'indirizzo del signor conte. E quel fesso del Maestro col suo fesso d'avvocato d'ufficio che s'appellava alla clemenza della fessa corte si busco' quello che si busco', e non fu il levante per il ponente.
Adesso non dico che mi rivelai il piu' sveglio dei tre, ma parlano i fatti: Romolaccio con la sua posa da Giulio Cesare si fece impallinare sul posto come un piccione. Il Maestro corse corse corse e non arrivo' da nessuna parte, anzi, arrivo' dritto dritto in gattabuia. Io, non dico che stetti li' a farci chissa' quale pensamento, ma l'istinto, o l'estro, o che ne so che, mi suggeri' l'idea giusta e mi salvai. Che l'idea giusta fu di correre a tutta callara verso un finestrone e saltarci attraverso sfondando il vetro con tutti i miei centoventi chili di massa corporea, e sfondato il vetro mentre rotolavo per terra gia' sentivo il fresco odore della notte e il profumo incomparabile della liberta' che pareva persa ed era stata ritrovata. Alleluja. Mi rotolai per terra per qualche metro, mi rimisi in piedi, non ci aveva niente di rotto, e via a rotta di collo per i campi che era un buio che si tagliava con il coltello. Allora comincio' a piovere. Cosi' fitto che le guardie rinunciarono a mettersi all'inseguimento. Cosi' arrivai al casale del Billolongo, che li' per li' non lo riconobbi dove mi trovavo, con tutto che c'ero stato un sacco di volte perche' col Billolongo eravamo amici dal tempo delle scuole. Mentre riprendevo fiato sotto una tettoia, il canaccio suo, che si chiamava Rintinti', me lo ricordo ancora come si chiamava, comincia a fare la solita caciara, ma con tutta quell'acqua si sentiva  si' e no. Pero' il Billolongo ci doveva avere il sonno leggero, perche' dopo un po' vidi la porta del casale che s'apriva e lui che usciva con un pastrano sulla testa che pareva un capanno e con la carabina in mano, e si dirigeva verso di me che avevo appena appena aperto dalla gola alla coda quella bestiaccia caciarona cosi' s'era azzittata che pero' ormai il sor padrone suo l'aveva svegliato. "Chi c'e'?", strillo' il Billolongo. "Billolo', so' io, Ciampicone". "Ciampico', e che stai a fa' qui?". "Me riparo dall'acqua sotto 'sta tettoia". "E nun te potevi ripara' a casa tua?". "Passavo da 'ste parti". "A 'st'ora de notte e co' 'sto tempo?". "Eh, prima nun pioveva". "Ah, ecco". Intanto s'era avvicinato quanto bastava, e basto'. Cosi adesso faceva compagnia al canaccio suo. Neanche il tempo di sfilargli il pastrano per mettermelo io che ero gia' mollo come un pulcino, che dalla finestra s'affaccia la sora Nina e comincia a strillare pure lei: "Marce', che succede? Eh, Marce'? Che succede, Marce'?". Non la finiva piu'. Cosi' ho preso pure la carabina, il pastrano me lo sono appoggiato sulla testa che dall'alto e con tutta quell'acqua non si notava la differenza tra me e il Billo, e sono entrato a casa, ho salito le scale fino alla camera da letto e le ho sparato due palle nel cuore che ci e' restata sul colpo, e per fortuna che il fucile ha sparato perche' senno' mi toccava lavorarmela col coltello, e a me di fare del male alle donne e' una cosa che mi disgusta.
Nella stanza c'erano pure i due maschietti e la femminuccia, che dormivano tutti nella stessa stanza la sacra famiglia e gli eredi di cotanto senno erano tutti e tre in uno stesso lettone e ci avranno avuto tre anni la piu' grande che si chiamava Iolanda in onore del Corsaro Nero, e due anni i gemelli che si chiamavano Tito Livio che era il nome del padre del Billolongo buonanima e Gesualdo che non lo so perche' gli aveva messo 'sto nome da cassamortaro. Ormai mi avevano visto. Se ci avevo le cartucce facevo un lavoro svelto e pulito ma che ne sapevo dove teneva le cartucce il Billaccio, e non e' che mi potevo mettere a cercare di stanza in stanza mentre quei poveri figli erano li' che tremavano dal terrore, che sarebbe stata una crudelta'. Cosi' gli sfondai le ossa della testa uno per uno col calcio della carabina, che mi piange il cuore solo a raccontarlo che sono cose che un uomo non vorrebbe fare mai ma quando ti ci trovi o lo fai o lo fai.
Poi mi levai tutti i vestiti infangati e zuppi che ci avevo addosso e mi misi quelli di Billolongo che trovai nell'armadio, che mi stavano pure stretti e lunghi ma meglio di niente; le scarpe invece mi dovetti tenere le mie con tutto che erano fradicie perche' le sue non mi entravano. Scesi in cucina e mi feci una buona cenetta con quello che c'era: sono sempre stato uno d'appetito e di poche pretese. Intanto continuava a piovere che pareva il diluvio universale. Pero' non e' che potevo aspettare li' che si facesse giorno. Cosi' mi decisi, presi la giardinetta del Billo che ci aveva le chiavi gia' infilate e partii. Non andai a casa mia, non tornai al paese. Arrivato alla provinciale presi la direzione opposta, una mezz'ora dopo imboccai la statale. Mi fermai solo un volta per mettere benzina e per fare un goccio d'acqua. Guidai fino a mezza mattinata quando arrivai a una citta' bella grossa con una stazione ferroviaria bella grossa e presi un treno per il nord. I soldi che ci avevo, quelli miei e quelli che avevo tirato fuori dal portafoglio del Billo, erano quasi finiti. AVrei dovuto darmi da fare appena arrivato a destinazione.

7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: IL MANAGER

Ho quasi novant'anni e chi se lo sarebbe creduto che ci sarei arrivato? Le persecuzioni continuano ma io sono riuscito a non farmi prendere mai. Non lo so neppure io come ho fatto. Cioe', ce lo so, ce lo so. Sono un uomo di mondo, conosco un sacco di gente, e quando serve di allungare un bigliettone o di far recapitare una ventiquattr'ore lo so che il tempismo e' tutto. Cosi' si arriva a novant'anni.
Ma sentendo che la mia ultima ora sta arrivando vorrei lasciare questa memoria di come andarono i fatti. Altri li hanno gia' raccontati, e chi non lo sa, ma senza offesa per nessuno vorrei dire che si sono scordati di un po' di cosucce, cosucce che io invece me le ricordo ancora bene, perche' io ero il manager.
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Comincio' come una goliardata. Col figlio del falegname (se poi era figlio del falegname, che al paesetto da cui veniva dicevano tutti di no) che aveva cominciato a fare lo strano. Non ci aveva piu' voglia di lavorare, voleva fare il vagabondo, e chiacchierare di questo e di quello come nei talk-show, e magari mettere anche su degli spettacoli di arte varia, come usava allora: un po' di barzellette sporcaccione, quattro canzoncelle che andavano di moda, un po' di magia, le ballerine di fila e un sacco di chiacchiere patriottiche che in un paese occupato guadagnano subito il favore del popolino, ed e' il popolino che riempie i teatri di varieta'.
Cosi' fece 'sta specie di compagnia di giro, che era certa gente che aveva trovato per strada, chi faceva il pescatore, chi la riscossione crediti per gli usurai, chi - con rispetto parlando - la donna pubblica, insomma, gente cosi'. E recitare recitavano da cani, tutti quanti. Infatti alla fine decise che recitava solo lui e gli altri dovevano fare la claque e i pierre. Che la claque tanto tanto, ma i pierre.
Pero' lui ci aveva fantasia, ci aveva bella presenza, e ne sparava certe che la gente si diceva ma ci e' o ci fa? Che la furbizia era tutta li', instillare il dubbio, e quello lo sapeva fare, eccome.
Insomma nel giro di qualche mese si era fatto un  nome e ruzzolava per le sagre paesane, i matrimoni, e certe volte si esibiva pure nei teatri veri. Io lo vidi un giorno che faceva il numero del guaritore, che e' un trucco vecchio come il cucco, pero' funziona sempre se la gente non conosce quello che fa la parte del morto che risuscita. Era da scompisciarsi dalle risate. Ci sapeva fare. Era ancora grezzo, non era ancora una vera attrazione ne' circense ne' drammatica, pero' la stoffa c'era. Cosi' lo convocai in ufficio. Glielo dissi chiaro e tondo subito: il cinquanta per cento degli utili a me e il cinquanta per cento a te. Ma lui che era giovane ma che si vedeva che era stato tirato su a pane e volpe: "E tutta la troupe?". "Sono quattro sciamannati, li cacciamo e te la rimedio io una squadra coi controfiocchi". E lui: "Ma io ci sono affezionato, e poi con alcuni siamo pure parenti". "Ma la sanno fare qualche cosa?". "S'arrangiano". "S'arrangiano non basta, il mondo dello spettacolo e' un mondo duro". "E allora mi dispiace, ma continuo cosi', mi scusi, eh". Il furbastro. Mi tocco' dirglielo: "Guarda che un manager ti serve, quanto puoi durare a girare 'sti quattro paesetti dei dintorni? La gente le facce se le ricorda, hai voglia a truccare quello li' una volta da lebbroso, una volta da morto, una volta da zoppo, una volta da cieco, da sordomuto e da invasato, dopo un po' lo riconoscono e il giocherello si rompe". "E allora?". "Allora e' il momento del salto di qualita', io ti porto' in tournee' in tutta la regione, e poi se segui i miei consigli e cominci ad andare forte che la stoffa ce l'hai ma devi seguire i miei consigli poi ti porto pure nella capitale". "La capitale", disse lui. "La capitale", dissi io. Cosi' si decise a levarsi di torno quella masnada di imbecilli e io gli feci su misura una compagnia che era la fine del mondo, e il mio colpo di genio fu che agli attori miei gli feci fare gli stessi personaggi degli amici suoi, con gli stessi nomi, gli stessi mestieri, tutto come se venissero dalla strada, come nel neorealismo, no? La madre, per esempio: a fare la parte della madre gli ci misi una sciacquetta che ci aveva si' e no quattordici anni, che lui disse: "Ma e' tropo giovane". E io: "Ma e' cosi' che le vuole il pubblico, vedrai che successone". E successone fu.
Naturalmente tutta la troupe la usavo pure per altre cose, ci avevo diversi spettacoli e varie attivita' - sempre nel ramo ricreativo, si capisce, per uomini soli, per amanti delle emozioni forti, per fumatori occasionali e abituali, fino ai paradisi artificiali che mi ero fatto fare lo slogan da quel poeta francese, "i paradisi artificiali", "i fiori del male", forte, no? - ma a un certo punto gli spettacoli suoi tiravano talmente che li replicavamo quasi tutti i giorni, pareva di essere i Beatles, i Beach Boys, i Rolling Stones. Si lavorava in tutto il paese, e avevo gia' cominciato a pensare a quando attaccare con le tournee' all'estero, e si facevano un sacco di soldi, e poi c'era pure il merchandising, magari piu' in la' i video, un film, chi lo sa.
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Fu allora che successe che si senti' male, che ci ebbe l'esaurimento nervoso. E chi poteva immaginarselo? O forse lo dovevo immaginare, facevo il manager, lo dovevo immaginare. Comincio' a crederci. E la cosa peggiore fu che cominciarono a crederci pure quel branco di pagliacci pipparoli che gli avevo messo intorno. Cominciarono a crederci tutti. E' l'autosuggestione, in America ci hanno fatto degli studi. Uno fa sempre, che ne so, Enrico Quarto, e a un certo punto si crede di essere Enrico Quarto, o Caligola, o il grande Blek Macigno. Succede. Ci dovevo pensare prima, lo dovevo far distrarre, invece il lavoro tirava e a quel tempo se un numero funzionava l'orientamento del mercato era a sfruttarlo a piu' non posso. Adesso lo so che il segreto e' la diversificazione, ma a quel tempo, via, ero giovane pure io, e con tutto quello che mi pippavo mi pareva di essere il genio della lampada di Paladino. A quei tempi eravamo tutti cosi', pensa a Janis Joplis, a Jimi Hendrix, a Bokassa, eravamo tutti un po' sopra le righe, peace and love fratello.
Cosi' non me ne accorsi subito, pensavo che erano solo un po' fuori di testa come tutti. Se me ne accorgevo subito lo mandavo subito subito in clinica, facevo girare la voce che stava in India in meditazione, e quando la brocca gli ricominciava a funzionare si tornava in pista. Invece persi l'attimo fuggente, e la prima regola del settore e' che non devi perdere mai e poi mai l'attimo fuggente perche' questo e' un settore in cui non ci si bagna due volte nello stesso fiume, come dicono gli americani.
Ando' in paranoia lui e tutte la troupe. Per esempio quella volta dei pani e dei pesci. La raccontano tutti. E lo dovevi vedere quando la raccontava, che gli sbrilluccicavano gli occhi, a lui e a tutto il cast. Che a sentirli pareva proprio vero, e non era la solita storia del paradosso dell'attore di Diderot, era che ci credevano veramente. Ma se non c'era il sottoscritto che zitto zitto svelto svelto comprava ventimila sfilatini col prosciutto per tutto il pubblico dello stadio, ma quale miracolo? Non e' che mi lamento per le spese, si guadagnava forte, e quindi le spese erano piu' che ammortizzate, era che loro non se ne accorgevano piu' che era solo varieta'. Gli pareva che fosse tutto vero. Come l'acqua che diventava vino che era il trucco piu' vecchio del mondo, e invece lui e tutta l'allegra brigata si credettero che l'aveva fatto lui, invece che il servizio pronta consegna del tavernello dal sottoscritto organizzato. E cosi' via. Gli feci fare il numero dell'attraversamento a piedi delle acque del mare, che poi era un laghetto che si toccava sempre, e quelli a dire che era un miracolone che non s'era mai visto. Pure prima lo dicevano, li pagavo per questo, ma lo dicevano sapendolo che non era vero, e appena il pubblico usciva dal teatro giu' a sghignazzare come domineddio comanda; invece da un certo punto in poi ci credevano pure loro, ci credevano loro per primi, con tutto che ogni mattina passavano due ore di trucco e parrucco prima di andare in scena.
Ando' a finire che le autorita' si indispettirono. Quattro saltimbancate fanno piacere a tutti, un po' di divertimento per il popolaccio ci vuole, ma quando uno comincia a prendersi per profeta, e lui ormai si credeva piu' che un profeta, peggio di Jim Morrison, non mi fate dire altro, insomma, il troppo stroppia.
Io ungevo ruote a tutto spiano, sia con le autorita' locali che con quelle della citta' eterna, quell'altra citta' eterna, quella che ci aveva le legioni, i carriarmati, l'aviazione e i McDonald; ma un bel giorno mi dissero che non potevano piu' chiudere un occhio e che avrebbero preso provvedimenti. E quando quelli prendono provvedimenti sono provvedimenti, non e' che finisce a tarallucci e vino. Tu puoi pure aver vinto la Champions Ligue, l'Oscar per il miglior attore protagonista, il Nobel per chi ha inventato i maccheroni, non c'e' niente da fare, quelli quando prendono provvedimenti prendono provvedimenti.
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Quello che e' successo poi lo sanno tutti, che ve lo racconto a fare? Dico solo che solo perche' eravamo pappa e ciccia col procuratore mi avviso' di sparire un attimo prima della buriana. E cosi' feci.
Saranno passati sessant'anni da allora, e ci credereste? Si sono moltiplicati. Quando lo giustiziarono, poi dissero che era risorto. E ogni volta che le autorita' fanno fuori qualcuno dei suoi fans ne vengono fuori altri cento. Ormai quelli che stavano nella troupe saranno morti tutti e non ce n'e' stato uno che abbia confessato che era tutto spettacolo, intrattenimento, effetti speciali, insomma un lavoretto pulito per fare quattro soldarelli per la vecchiaia dando al pubblico quello che il pubblico voleva, che e' la funzione sociale dell'arte. Possibile che neppure sotto tortura rinsavivano? Neanche uno? O magari ci sara' stato qualcuno che al settimo strappo di corda o alla settima unghia strappata avra' confessato, e allora e' il governo che ritiene preferibile mantenere il segreto: perche' cosi' i sovversivi e' piu' facile individuarli e poi levarseli di torno se invece di fare le sette segrete come la carboneria si mettono a predicare in piazza. Tutta pietanza per i leoni al colosseo, che anche quello e' uno spettacolo e la societa' che lo gestisce ci ho una partecipazione anch'io, perche' gli affari sono affari e lo spettacolo deve continuare, come dicono gli americani.
Io stesso tengo conferenze raccontando le stesse bubbole come se fossero vere; lo showbiz funziona cosi'. Mi piace tenere le conferenze su quei fatti: s'incassa bene e il pubblico ti da' soddisfazione; e poi c'e' sempre qualche demente che si mette a piangere di commozione e alla fine mi baciano pure le mani, e chi mi presenta dice che forse sono l'unico testimone oculare sopravvissuto e la sala viene giu' dagli applausi. Si fanno bei soldi, ma un po' di rischio c'e', come quando organizzavo le corse clandestine, che magari il commissario di quartiere che vuole fare carriera invece di prendersi la bustarella sua e zitto gli salta l'uzzolo di fare la brillante operazione e tu come niente finisci nella retata che poi devi telefonare di corsa all'avvocato che ti tiri fuori dalla guardina prima che ti processano come sovversivo e detto fatto ti stirano su due pezzi di legno.
Di tutte le attivita' che gestisco, dopo la polvere bianca e il prestito a strozzo le conferenze su quei fatti sono la cosa che ci guadagno di piu'. Smercio pure i gadget, che vanno via come il pane. Tempo fa ero pure in trattative con gli americani per farci una serie televisiva, poi non si fece niente per una questione di diritti che c'erano gia' quattro sceneggiature pronte e tutto fini' in mano agli avvocati che magari se ne riparla tra dieci o vent'anni, quando di tutta 'sta storia non se ne ricorda piu' nessuno e allora chi trovi che ci investe i soldi che ci vogliono?
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Adesso lo voglio proprio dire: certe volte mi e' venuto il dubbio pure a me, con tutto che sono un uomo d'affari e che il mondo dello spettacolo lo conosco come le mie tasche. E che ero il manager che mise in piedi tutta la baracconata. Certe volte m'e' venuto il dubbio pure a me. Non e' buffo?

8. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: UFFICIO RECLAMI

A me 'sto lavoro mi piace.
Primo, perche' e' un lavoro creativo che ti permette di mettere in mostra le tue doti d'intrattenimento e d'invenzione.
Secondo, perche' sei a contatto con il pubblico, e alla fine il pubblico chi e'? Il pubblico siamo tutti, cioe' pure io, cosi' e' anche un modo di conoscere me stesso, una specie di seganalisi, di sicotrapia. Che oltretutto invece di pagare io mi pagano a me.
Terzo, perche' all'occorrenza si passa all'azione, e non c'e' niente di meglio dell'azione quando uno non ci vuole sentire.
E' che ci ho una visione egheliana del mondo, lo avete mai sentito dire? Sarebbe che se c'e' un problema tu fai come Napoleone, pigli e lo spiani. Questa e' una visione egheliana del mondo, che e' una cosa inventata dai tedeschi che per certe cose lasciali stare.
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E adesso fo qualche esempio cosi' capite meglio, che per capire meglio le cose la cosa migliore e' fare un esempio.
Primo esempio: tu telefoni che non ti funziona il microonde e ti rispondo io e ti dico che e' una cosa incredibile, e' uno scandalo, che cadranno le teste, eccetera eccetera, finche' tu riattacchi tutto contento. Richiama domani, bamboccio.
Secondo esempio: il giorno dopo tu ritelefoni che il microonde continua a non funzionare, e certo che continua a non funzionare, che t'aspettavi? Allora io ti dico che adesso allerto i nostri tecnici, l'Onu, il settimo cavaleggeri, mister Wolf, la Croce rossa, il mago Merlino, e che tu devi solo che aspettare buonino buonino a casa tua che adesso arrivano. Figurarsi. Manco esiste il mago Merlino.
Terzo esempio: il giorno dopo tu ritelefoni che non e' arrivato nessuno e io ti dico che devi controllare se ti funziona il campanello di casa, se c'e' stato un black-out, se il tuo quartiere e' stato messo in quarantena, se ci hai bisogno di un controllo audiometrico che allora devi telefonare al tuo medico di famiglia invece di rompere le scatole a noi che siamo una ditta seria, se capisci la mia lingua, se te l'ha mai detto nessuno che ci devi fare con la capocciaccia tua, e prima di riattaccare ti dico di pensare alla salute e alla famiglia che uomo avvisato mezzo salvato.
Quarto esempio: il giorno dopo tu richiami e dici che ci farai scrivere dall'avvocato e allora io ti dico che ti abbiamo gia' denunciato per stalking e che ti portiamo via pure la casa, la camicia e la biancheria.
Quinto esempio: il giorno dopo telefona l'avvocato tuo, gli dico due parolette e lui capisce subito che deve farla finita prima ancora di cominciare perche' ci tiene che la casa non gli vada a fuoco. Sistemato l'avvocato mando Ninetto e Sparpaglione a casa tua cosi' t'insegnano l'educazione.
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Mi piace 'sto lavoro a me, che mi piace di essere al servizio del pubblico, che poi il pubblico siamo tutti, come al cinema.

9. UNA LETTERA APERTA AI MINISTRI ED AI PARLAMENTARI NON RAZZISTI

Egregie ministre ed egregi ministri,
egregie ed egregi parlamentari,
vorremmo confortarvi nell'impegno affinche' al piu' presto si adotti un provvedimento normativo che faccia cessare il regime di effettuale apartheid nel nostro paese.
Vorremmo confortarvi nell'impegno affinche' al piu' presto si adotti un provvedimento normativo che faccia cessare il criminale protrarsi dello schiavismo nel nostro paese.
Vorremmo confortarvi nell'impegno affinche' al piu' presto si adotti un provvedimento normativo che riconosca tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani presenti nel nostro paese.
vorremmo confortarvi nell'impegno affinche' al piu' presto si adotti un provvedimento normativo che ripristini concretamente la vigenza della legalita' costituzionale nel nostro paese.
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Chiediamo: la regolarizzazione immediata di tutte le persone presenti in Italia; la fine di ogni discriminazione razzista; la fine della ripugnante complicita' istituzionale con la violenza del caporalato, del lavoro nero, della tratta, dello sfruttamento illecito e disumano.
Chiediamo: l'abrogazione di tutte le misure razziste ed incostituzionali, e innanzitutto e particolarmente quelle scelleratissime contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza".
Chiediamo: uguaglianza di dignita' e di diritti per tutti gli esseri umani; riconoscimento ed aiuto concreto e immediato alle persone piu' oppresse e piu' bisognose di aiuto.
Chiediamo: ritorno alla democrazia e al suo criterio fondamentale: "una persona, un voto".
Chiediamo: ritorno alla legalita' che salva le vite e nessuno abbandona in pugno al dolore, all'abuso, alla schiavitu', alla segregazione e alla persecuzione.
Chiediamo: ritorno al rispetto della legalita' costituzionale e del diritto internazionale; ritorno alla civile convivenza.
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Non si perda altro tempo. Non si perdano altre vite.
Ogni essere umano e' un essere umano.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 11 maggio 2020

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 388 del 5 giugno 2020
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