[Nonviolenza] Archivi. 387
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- Date: Thu, 4 Jun 2020 08:41:15 +0200
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 387 del 4 giugno 2020
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di maggio 2020 (parte seconda)
2. Omero Dellistorti: 'L zi' Sciacallo
3. Non solo sanatoria, ma abolizione della schiavitu' e dell'apartheid
4. Dal governo razzista al governo mezzo-razzista: quando si tornera' al rispetto della Costituzione repubblicana?
5. Omero Dellistorti: Frustino
6. Cessino la schiavitu', la segregazione e la persecuzione razzista in Italia
7. Omero Dellistorti: Marmostoso
8. Ricordando Peppino Impastato approssimandosi il XLII anniversario della morte
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MAGGIO 2020 (PARTE SECONDA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di maggio 2020.
2. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: 'L ZI' SCIACALLO
Lo chiamavano zi' Sciacallo e uno si penserebbe che era una personaccia. Invece no. E' che ci aveva avuto la malaria da giovane e allora ci aveva sempre freddo e per sfotterlo la gente gli diceva sempre "Che callo che fa, tu nun ciai callo?". Lui non ci si impatassava per niente ma la gente continuava a dirlo. E' strano, perche' di solito le spiritosate funzionano se quello ci rosica, invece 'l zi' Sciacallo niente. Pero' il nome gli era restato. Secondo me la gente manco se lo ricordava piu' com'era venuto fuori quel nome. La gente si scorda tutto. Tutto finisce, restano solo i nomi.
A me m'era sempre piaciuto, era uno che lavorava e che ti potevi fidare, e apposta avevamo fatto quella societa', insieme a Giacchettino e Criccheccrocche. A dire il vero a me Criccaccio non m'era mai piaciuto. Pero' era chiaro che senza Criccheccrocche la societa' non si poteva fare. Cioe', fare si poteva fare, pero' poi bisognava dare comunque la parte pure a Criccotto, e allora tanto valeva che facesse qualche cosa pure lui. Giacchettino invece era un pezzo di pane, che lo chiamavano Giacchettino per via del padre che lo chiamavano Giacchettone per via del fatto che una volta aveva detto a uno mentre giocavano a carte che se non la piantava con tutta quella fortuna allora gli avrebbe fatto una giacchetta di legno, e quello ci rideva sopra, ci risero sopra tutti; pero' quello continuo' ad avere fortuna, cosi' alla fine della partita Giacchettone pago' fino all'ultimo baiocco ma il sor fortunello non fece in tempo ad arivare a casa che una botta a cannemozze gli porto' via la testa e la fortuna. Andavano cosi' le cose ai vecchi tempi. Io lo so che la gente si lamenta sempre che ai vecchi tempi si' che si stava bene, ma quelli che si lamentano sono quelli che una botta a cannemozze non gli era arrivata, e allora sono buoni tutti a dire che allora si stava bene.
La societa' nostra finche' duro' funziono' bene: dicono tutti male di Criccheccrocche, ma io posso dire solo che bene fino all'ultimo giorno della societa'. L'ultimo giorno no.
Comunque finche' duro' fu una bella cosa. Il lavoro era di andare a tempo debito con un camion e qualche palanca, caricare le bestie e portarle dove gia' ci aspettava chi le passava dal camion nostro a un altro camion, incassavamo un tot a bestia che le contavamo insieme mentre transumavano dal camion nostro al camion di quell'altri e li' finiva il lavoro nostro. Pagavano poco ma regolari, sull'unghia. Il lavoro non era una gran fatica, tranne quando i padroni delle bestie facevano problemi. C'erano diversi modi di fare problemi.
Primo: s'appostavano di notte col fucile a sorvegliare gli animali e quando arrivavamo noi prima stavano zitti zitti e boni boni, poi mentre eravamo nel bel mezzo del lavoro cominciavano a sparare. E li' serviva 'l zi' Sciacallo, che ci aveva l'arma di precisione e ci metteva un attimo a capire da dove partivano i colpi, e ci aveva casa piena di coppe del poligono di tiro che una volta era li' li' per essere convocato nella nazionale per andare alle olimpiadi.
SecondO: la mattina dopo il lavoro chiamavano i carabinieri e dicevano che eravamo stati noi. Senza prove. Solo per chiara fama, come si dice. Ma l'appuntato faceva un salto al bar del sor Otello che noi di giorno stavamo sempre li' e ci chiedeva se eravamo stati noi, noi dicevamo di no e la storia finiva. Era che i carabinieri ci avevano paura di Criccheccrocche, o forse gli passava una mesata, o magari li ricattava con chissa' che. Ci avevano paura tutti di Criccheccrocche.
Terzo: c'erano quelli che cercavano di mettersi d'accordo prima. Venivano al bar e dicevano a Cricco che volevano mettersi sotto la sua protezione. Se lui diceva di si', loro ogni settimana lasciavano il regaletto e noi li lasciavamo in pace. Se lui diceva di no insistevano finche' il regaletto era congruo. Insomma, ando' a finire che nel paese il lavoro non c'era piu'. E siccome Criccheccrocche i regaletti se li teneva tutti per se', per noi altri tre era una micragna. Pero' per fortuna nei dintorni mica c'erano solo i paesani nostri che ci avevano le bestie. C'era pure la gente dei paesi intorno. Cosi' magari il viaggio era piu' lungo, perche' bisgnava arrivare ai poderi che magari erano a trenta, quaranta chilometri e pure meglio. Che significava che il tempo cresceva, e mentre prima in un par d'ore era tutto fatto, adesso ci voleva di partire verso mezzanotte e si finiva verso le cinque, le sei, che gia' ci si vedeva e c'era la gente in giro. Per fortuna che ci avevamo 'l zi' Sciacallo.
Poi successe il fatto di Giacchettino. Io non lo so che gli diceva la capoccia, ma un giorno venne al bar e disse che lasciava la societa'. "E perche'?", disse Criccheccrocche. "Perche' nu' lo posso piu' fa'", rispose Giacchettino. "Che e' che nun poi fa'?", chiese ancora Criccaccio. "'Sto lavoro". "E perche'?". "Perche' m'ha detto 'l zi' Barbarossa che 'l partito me vole cannita' a l'elezioni e che allora ho da smetta, perche' chi sta nel partito communista certi lavori nu' li po' fa'". "E chi lo ha detto?". "L'ha detto 'l zi' Barbarossa, te l'ho detto adesso". "E mica e' vero". "Come nun e' vero, cio' parlato mo' col zi' Barbaccia". "Nun dicevo che nun e' vero che te l'ha detto, dicevo che nun e' vero che un communista nun po' lavora'. Nun semo 'l partito de' lavoratori?". "Si', pero' 'l lavoro nostro dice 'l zi' Barbarossa che nun e' 'n lavoro da communisti". "E che ne sa lui?". "Come che ne sa? E' 'l segretario de la sezione". "De la sezione, ma ppe' ssapello uno dev'esse nun dico del comitato centrale, ma almeno almeno de la segreteria de la federazione". "E che ne sai che nun l'ha sentita la federazione?". "Si ll'eva 'ntesa lo sapevo, tu che diche?". "Mo' mica te poi creda de sape' tutto tu". "Tutto no, ma la linea del partito la conosco. Tu l'hae letto 'l Manifesto?". "Eh?". "L'opera immortale dei fondatori del socialismo scientifico, l'hae letta?". "None". "E io sine. E nel Manifesto nun c'e' scritto che 'l lavoro nostro nun e' 'n lavoro da communisti, e tutto quello che nun e' vietato vole di' che sse po' ffa'", concluse Criccheccrocche. E Giacchettino non sapeva che altro dire. Pero' la sera stessa ando' in sezione e 'l zi' Barbaccia confermo' il divieto, cosi' dovette tornare al bar e dire che non c'era niente da fare e che lasciava la societa', perche' il partito viene prima di ogni altra cosa, che il partito e' l'unica speranza della classe operaia. Cricchettone gli disse che 'l zi' Barbaccia non ne azzeccava una neanche per sbaglio e che noi eravamo tutto piu' comunisti di lui che invecchiando s'era rincoglionito mentre noi eravamo giovani e forti e da soli valevamo per trecento, e infatti quando si faceva la festa dell'Unita' chi ci stava al gioco del porcellino? Criccheccrocche. Chi ci stava in cucina a preparare i maccheroni tutte le sere per una settimana di fila? Io e 'l zi' Sciacallo. E chi - di tutto il paese - faceva la meglio sottoscrizione per la stampa comunista? Sempre noi. E quando venne la squadraccia dei fascisti per pestare proprio 'l zi' Barbarossa chi fu che mise in fuga le testedemorto e poi diede fuoco ai pezzetti ch'erano restati per terra a sporcare di sangue? Sempre noi. "E allora?", concluse Criccheccrocche. "Allora che? T'ho detto che lasso e lasso", ribatte' Giacchettino. Che poi si capi' che non era solo per via del partito, ma perche' era Ginetta che gli aveva detto che se non smetteva se lo poteva pure sognare di sposarla, e Giacchettino una cosa sola voleva: voleva sposare Ginetta. Si fanno tante chiacchiere, tanti pensieri, si fanno le guerre, le stragi, s'inventa la polvere da sparo, la dinamite, la bomba atomica, i missili che vanno sulla luna, i mondiali di pallone, si costruiscono le piramidi e i colossei, e alle fine tutto si riduce a questo: che uno vuole una cosa sola e per quella sola cosa lascia tutto. La Ginetta. E' cosi' che va.
Ma a Criccheccrocche non gi stava bene. Io gli dicevo che alla fine chi se ne frega, potevamo pure fare in tre. Ma Criccheccrocche era fatto cosi', tutto era una questione di principio. Lo diceva sempre: "E' una questione di principio". Adesso non vi dico niente, ma ve ne potrei raccontare diecimila di storie che per una questione di principio una scemenza diventava un cinema che non finiva piu'. Neno ci aveva l'abitudine di sputare per terra, a chi dava fastidio? Invece per Criccaccio era una questione di principio e gli diede fuoco alla casa. Il pizzicarolo una mattina non lo fece passare avanti agli altri clienti, ma solo perche' non se ne era accorto che c'era pure lui nel negozio che stava a tagliare il prosciutto e allora guardava solo li', ma per Criccotto era una questione di principio, e gli sgarretto' tutte le bestie che ce ne aveva tre dozzine e non le avevamo mai prelevate perche' era uno che tutte le settimane puntuale il regaletto, ma Criccotto gliele sgarretto' tutte lo stesso. Una volta che la squadra del paese giocava contro quei baronfottuti del paese vicino che noi lo chiamavamo il derbi e che finiva sempre a sassate capito' che l'arbitro ci diede un rigore che non c'era, e tutto il paese l'avrebbe portato in trionfo e gli avrebbe pure fatto il monumento, invece Cricco l'aspetto' negli spogliatoi e lo fece nero come una zampogna che a quel poveraccio dopo gli tocco' girare con le stampelle per il resto della vita, e perche'? Per una questione di principio. Era fatto cosi' Criccheccrocche, ve ne potrei raccontare diecimila di storie cosi', lasciamo perdere.
Cosi' decise che Giacchettino doveva essere punito. "E perche'?", dissi io. "Per deviazionismo ideologico piccolo-borghese", disse lui. "E che sarebbe?". "Studia i classici del marxismo cosi' ce lo sai". Rispondeva sempre cosi' quando voleva fare l'arrogante.
A me non mi stava bene che adesso Criccone seccava Giacchettino, cosi' pensai di andare a casa sua per avvisarlo, che magari neppure era necessario perche' doveva esserci arrivato pure da solo che Criccone ne avrebbe fatto una questione di principio. Ma qando arrivo a casa di Giacco vedo che c'e' gia' 'l zi' Sciacallo col foderone con dentro il cannone. 'L zi' Sciacallo e' uno che non parla mai, ma quella volta lo fece. Disse: "Questione di principio?". "Eh". "Me l'immaginavo. Giacchettino sta di sopra che prepara la valigia e io gli fo la guardia finche' non se ne va". "E la cannitatura?". "Prima vene la pelle". "Giusto". "Parte pure la Ginetta". "Bene". Intanto Giacchettino aveva riempito una valigia e tre borsoni prima di chiudere la porta di casa e buttare la chiave in mezzo a una fratta. Carico' le masserizie sul furgone, che ci aveva un bel furgone che era stato del fratello che era morto in una rissa, salto' su e per fare lo spiritoso disse "Hasta la vista, amigo", che e' un modo di salutare straniero che usavano al cinema quando eravamo maschiotti. E io e 'l zi' Sciacallo lo salutammo coi fazzoletti. proprio coi fazzoletti lo salutammo. Che a sentirmelo dire non ci credo neppure io che invece c'ero e ando' proprio cosi'. 'L zi' Sciacallo che quel giorno aveva deciso di consumare tute le parole che di solito diceva in un anno aggiunse: "Speramo bene". "Parti' e' partito", dissi io. "Gia', ma prima deve passa' a pija' la Ginetta". "Speramo bene", dissi io. E mentre lo dicevamo ci avevamo la voce triste, come se gia' lo sapessimo quello che gia' era successo e quello che sarebbe successo presto.
Era successo che Criccone era andato dalla Ginetta e le aveva tagliato il naso e le orecchie. Poi aveva aspettato che arrivasse Giacchettino perche' voleva che la vedesse cosi' prima di farlo secco. E dopo gli aveva sparato e risparato ma senza mirare a un organo vitale perche' voleva vederlo morire dissanguato. Era fatto cosi' Criccaccio.
Devo dire la verita', a me la cosa non mi era piaciuta per niente, pero' ormai era successo e allora si va avanti, e' cosi' che va la storia, mica solo la storia delle storie di paese, vanno cosi' tutte le storie e pure tutta la storia, quella che sta sui libri di storia. La gente viene ammazzata e la storia continua. E' cosi' che va.
E allora successe una cosa che non se l'aspettava nessuno: 'l zi' Barbarossa convoco' il direttivo della sezione e propose l'espulsione di Criccheccrocche dal partito per indegnita' politica e morale. Il direttivo voto' contro. Tutti al paese ci avevano paura di Criccheccrocche. 'L zi' Barbarossa no. E Criccheccrocche lo lascio' stare. La sera dopo della riunione del direttivo al bar dsse a me e a 'l zi' Sciacallo che gli era dispiaciuto, ma 'l zi' Barbaccia aveva fatto solo che il dovere suo, perche' se uno ammazza un compagno del partito il partito non e' che puo' fare finta di niente; cosi' stavolta non c'era stato nessun deviazionismo ideologico piccolo-borghese e quindi non si poneva nessuna questione di principio. Pero' la settimana dopo 'l zi' Barbarossa lo trovarono morto ammazzato lo stesso. Nel recinto dei maiali col collo aperto da orecchio a orecchio e poi la porcareccia aveva fatto il resto. Gli facemmo un bel funerale e la sezione fu commissariata dalla federazione e il tesseramento sospeso. Si salto' pure la festa dell'Unita' quell'anno. Era un bravo compagno 'l zi' Barbaccia. Era stato in galera e al confino sotto il fascismo, e con tutto che al confino aveva preso la tubercolosi poi era andato in montagna nele Brigate Garibaldi. Era uno bravo, e chi l'aveva ammazzato aveva fatto un'azionaccia. Lo sapevamo tutti chi l'aveva ammazzato.
Ecco, se c'era una cosa che non m'aspettavo era che 'l zi' Sciacallo una mattina venisse a casa mia che io ancora dormivo che la notte avevamo lavorato e mi facesse 'sto discorsetto: "La gente more", comincio', "e questa e' legge di natura, e' semrpe stato cosi' e sara' sempre cosi'". "E' vero", dissi io. "Pero' Auregliano non se lo meritava", continuo'. Auregliano era il nome del zi' Barbarossa. "E' vero", ripetei. "Allora mo' basta", aggiunse. "Mo' basta che?", dissi io. "Lo sai che". "Basta la societa'?". "Pure, ma questa e' solo una conseguenza. Basta lui". "Basta lui?", chiesi. "Basta lui". "E lo fai tu?". "Lo fo io". "Lo sai che tutti quelli che ci hano provato". "Lo so, ma io sparo meglio". "Non e' solo questione di averci una bella mira". "E io ce l'ho, una volta stavo quasi per andare alle Olimpiadi, ce lo sai". "Ce lo so, ma dicevo che non basta la mira". "Cio' la mira e cio' la decisione. E non serve altro". "Ma perche me lo sei venuto a di'?", dissi allora, e mi accorsi che la voce era come se mi si spegnesse, come se d'improvviso fossi stanco di tutta la stanchezza dell'universo. "Perche' era giusto che lo sapessi". "Ah". "E perche' siamo amici". "Eh". "Cosi' t'ho avvisato. Adesso lo sai. E dovresti pure da sape' quello ch'hai da fa'". "E ch'ho da fa'?". "Lo sai". "Aiutatte?". "Ma che frescacce stai a di'?". "No, chiedevo". "Non mi serve aiuto". "E allora?". "Nun ciarrivi? Che te ne vai prima che comincia la caciara". "Perche'?". "Perche' se tutto va bene, bene. Ma se andasse male". "Io sarei il prossimo". "Sicuro come una messa". "Sicuro come una messa. Grazie".
Non l'ho mai saputo come ando' a finire. Partii subito e non mi ha mai sfiorato il cervello l'idea di cercare di telefonare a qualcuno al paese. Quando si sparisce si sparisce, e se non sparisci bene rischi che magari ti fanno sparire, per una questione di principio o per un altro motivo, c'e' sempre un motivo.
3. NON SOLO SANATORIA, MA ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU' E DELL'APARTHEID
A chi solo oggi ha aperto gli occhi diciamo che occorre non solo una sanatoria per regolarizzare tutte le persone vittime del lavoro nero, ma che occorre finalmente abolire la schiavitu' e l'apartheid nel nostro paese.
Che siano riconosciuti tutti i diritti sociali, civili, politici, umani a tutti gli esseri umani.
Che siano abrogate tutte le scellerate misure razziste e fasciste tuttora presenti nel nostro paese.
Che si riconosca ad ogni essere umano il diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Che si contrasti e si sconfigga la schiavitu', la segregazione, il razzismo e tutte le persecuzioni.
Che si riconosca ad ogni persona l'eguale diritto a partecipare alle decisioni che tutte le persone riguardano. "Una persona, un voto" e' il fondamento della democrazia.
4. DAL GOVERNO RAZZISTA AL GOVERNO MEZZO-RAZZISTA: QUANDO SI TORNERA' AL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA?
Ce lo chiediamo.
Quando verranno processati i membri e i complici del governo razzista che nel 2018-2019 ha commesso flagranti, abominevoli crimini contro l'umanita'?
Quando verranno allontanati dal governo attuale e dall'attuale parlamento i figuri che di quei crimini furono responsabili?
Quando verranno allontanati per sempre da tutti i pubblici uffici?
Un governo mezzo-razzista e' certo meno razzista del precedente governo tutto razzista, ma ancora non e' un governo democratico, ancora non e' un governo fedele alla Costituzione della repubblica italiana, ancora non e' un governo antifascista.
Che la parte antifascista, democratica e fedele alla Costituzione repubblicana del governo, del parlamento e del paese apra gli occhi, rinsavisca, e decida di battersi contro il razzismo e il fascismo, in difesa della legalita' che salva le vite, per inverare la Costituzione repubblicana.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
5. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: FRUSTINO
Lo chiamavano Frustino ma il nome vero era Attanasio. Ve lo immaginate? E chi ci avrebbe creduto? Invece Frustino gli calzava a pennello.
Era alto e secco come la fame, con un paio di baffetti sottili arricciati all'insu' che non ho mai capito che schifezza ci mettesse per reggerli, sempre con gli stivali e i calzoni a sbuffo da cavallerizzo, una camicia color cachi con due saccoccioni sul petto e altre due sulle maniche, un fazzolettone da caubboi al collo e i capelli a spazzola che parevano aghi piantati sulla zucca, e il frustino che si portava sempre dietro.
Che poi nessuno capiva che se lo portava dietro a fare, ma tanto non gli dava fastidio perche' ci aveva un laccetto che lo fissava inotorno al polso e cosi' non c'era pericolo che se lo perdeva.
Stava al bar tutto il giorno, leggeva il giornale a sbafo, e teneva udienza quando qualche poveraccio era cosi' disperato che non trovava altra via di scampo che andare da Frustino. E lui ascoltava tutti e mentre li ascoltava teneva le gambe accavallate e batteva il tempo col frustino sulo stivale. Sempre la stessa cadenza. Qualunque cosa gli dicessero lui sempre lo stesso ritmo col frustino. Altre espressioni non aveva. Poi il poveraccio finiva di dire i suoi guai e allora e solo allora Frustino diceva: "Sicuro?". E se quello diceva di si' era cosa fatta.
Non contrattava, non chiedeva nessun compenso, ma chi aveva chiesto il suo intervento sapeva che sarebbe stato suo debitore finche' campava.
*
A quel tempo al paese di solito si campava poco se non si stava attenti. Lavoro c'era, ma c'erano pure le schioppettate a pallettoni che ti portavano via la capoccia quando meno te l'aspettavi.
Bisognava stare attenti, e non esagerare mai. Perche' se esageravi c'era sempre il rischio che la vittima poi andava da Frustino.
Uno si chiede perche' a Frustino non lo toccava mai nessuno. Secondo me era perche' un po' tutti pensavamo che alla fine uno come Frustino ci voleva. Serviva a ristabilire l'equilibrio quando serviva. E serviva spesso, perche' l'equilibrio si sa che e' sempre instabile.
Ce lo so pure io che per questo ci sono i rigori della legge e la forza dello stato, ma al paese la legge e lo stato era la caserma dei carabinieri che se provavano a ficcare il naso dove non dovevano la notte stessa la caserma bruciava, chi era dentro finiva arrosto e chi provava a scappare non faceva piu' di due passi prima di finire fulminato. Dopo un po' di focaroni lo stato la capi' e i carabinieri si regolarono. Non dico che non servissero a niente, pure loro dovevano guadagnarsi la mesata, e cosi' si occupavano degli oggetti smarriti, di mettere paura ai regazzini che tiravano le buste col letame alle finestre dei maestri e dei bidelli, di sparare ai cani randagi, roba cosi'. Ma per le cose serie c'era Frustino. E di cose serie al paese ce n'erano sempre.
Se ci ripenso adesso quasi non ci credo. Adesso mi sembra che non era possibile che fosse com'era, perche' alla fine il paese era piccolo e a estinguere la popolazione ci voleva poco. Non lo so, magari era che eravamo gente prolifica. Perche' il paese comunque e' ancora li'. Io no, io me ne sono andato. E se l'ho fatto ci avro' avuto le mie ragioni, penso. Che comunque sono affari miei e non vedo perche' le dovrei raccontare.
*
Io pure stavo al bar tutto il giorno, insieme a Ciampicone e Picciafoco. Pero' stavamo sempre per conto nostro, in fondo, dove e' quasi buio. Fumavamo, giocavamo a carte e pianificavamo. Era Ciampicone che era fissato che bisognava pianificare. Poi col favore delle tenebre si agiva, ma sempre fuori del paese, parecchio fuori del paese, cioe' neppure nei paesi vicini ma direttamente in citta'. Era una saggia politica, perche' cosi' evitavamo di aver rogne con Frustino.
Ce ne erano tre di citta' dove lavoravamo. Una a una trentina di chilometri, una a un centinaio che ci si andava col treno, e una che dovevi cambiare treno due volte per arrivarci. Erano belle citta', con un sacco di divertimenti. Ma noi ci andavamo solo per lavorare, perche' Ciampicone diceva che non bisognava commettere imprudenze. Che poi invece una volta Picciafoco ne commise una e la societa' fini'. Fini' pure Picciafoco. Ciampicone non lo so, non l'ho piu' rivisto dopo quella notte. Non ho piu' rivisto nessuno dopo quella notte, avro' fatto mille chilometri in motocicletta quella notte e nei giorni appresso senza fermarmi mai e non sono piu' tornato indietro. Per questo ancora la racconto.
*
E' che a Picciafoco gli piaceva spendere. E siccome si guadagnava bene, i soldarelli ce li aveva. Pure io e Ciampicotto, pero' noi non li spendevamo ma li mettevamo da parte, che era la regola. Adesso non mi ricordo perche' c'era 'sta regola, pero' c'era. E pure questa mi pare una cosa strana, perche' se non li spendevi, che ce li avevi a fare? Da giovani si fanno un mucchio di cose buffe, dico io.
Pero' a Picciafoco gli piaceva spendere e spandere. E siccone quando uno ci ha i soldi gli pare che si puo' comprare tutto, che ti combina quell'imbecille? Che s'impecia della Luciardoletta, ecco che ti combina. Me lo ricordo come fosse ieri. La Luciardoletta, che era le sette bellezze, era una che parlava e si muoveva tutta a scatti e che non ci metteva niente a darti un mozzico su una mano o su una guancia, un mozzico vero che ti strappava via un pezzo di ciccia. E' che gli stava dietro tutto il paese e allora era dovuta diventare selvatica per difendersi, si sa come vanno le cose. Pero' a Picciafoco gli piaceva troppo e allora si convinse che doveva sposarsela. Ma alla Luciardoletta Picciafoco non gli piaceva per niente, e piu' lui le faceva regaletti e piu' lei ci sputava sopra e sputa oggi e sputa domani si sa che succede agli innamorati respinti. E cosi' successe a Picciafoco. Prima lo fece e poi l'ammazzo'.
Al paese alla Luciardoletta le volevano bene tutti, i maschi perche' la desideravano e le femmine perche' era una gagliarda che resisteva. Pero' ci avevano pure tutti paura di Ciampicone, e Picciafoco era uno della banda di Ciampicone, come me. Cosi' abbozzavano tutti. Ma la madre della Luciardoletta no.
Era vedova e tutti la chiamavano Lavedova. Ce ne erano altre al paese di vedove ma solo a lei la chiamavano Lavedova. Il marito era stato partigiano e l'avevano ammazzato i fascisti o i tedeschi, ma prima di morire ne aveva ammazzati non si sa quanti, a schioppettate, col coltello, e alla fine a cazzotti, che ci aveva la forza di un toro Gasperone. Cosi' Lavedova aveva tirato su i figli da sola che Gasperone gliene aveva fatti fare sette e quattro erano morti quando in paese arrivarono i tedeschi a dare fuoco a tutte le casa per rappresaglia di tutti quelli che Gasperone aveva fatto in tempo a mandare all'altro mondo prima che riuscissero ad ammazzarlo che quando lo riportarono era tutto sforacchato come una sacchettaccia vecchia. Ma quando arrivarono al paese i tedeschi ci trovarono i figli di Gasperone pronti che li aspettavano e alla fine solo perche' portarono un carro armato riuscirono ad ammazzarne quattro. Gli altre tre i due maschi poi erano finiti in galera e in galera li avevano fatti secchi, e in paese si diceva che li avevano arrestati apposta per farli ammazzare una volta dentro, che a farli finire in galera era stato l'avvocatone che era pure stato podesta' e che Gasperone e la famiglia sua non li aveva mai potuti vedere perche' erano comunisti.
Cosi' a Lavedova era restata viva solo la Luciardoletta che era le sette bellezze. E quando Picciafoco fece quel che fece lei non ci penso' neanche cinque minuti e si presento' da Frustino.
Noi la vedemmo da in fondo al bar, eravamo io e Ciampicone da soli perche' quel fesso di Picciafoco dopo che aveva fatto quello che aveva fatto si era nascosto l'imbecille, che invece ce lo sanno tutti che e' proprio l'errore che non si deve fare. Appena Lavedova fu uscita ci alzammo, uscimmo dal bar, e dove ando' Ciampicone non lo so, ma io zompai sulla motoguzzi e partii senza fermarmi piu' per tre giorni di fila.
*
Quanti anni saranno passati? Trenta? Quaranta? Cinquanta? E chi se lo ricorda piu'.
Poi ieri ero al caffe' della stazione e c'e' uno che mi guarda. E mi guardava con tanta insistenza che me ne accorsi. E non e' una buona idea guardarmi fisso e farsene accorgere. Pero' era pieno di gente cosi' feci finta di non essermene accorto. Finii quello che avevo davanti sul bancone e uscii. E quello dietro. Fuori dalla stazione a destra del piazzale c'e' uno stradone che subito subito c'e' un deposito abbandonato che pare fatto apposta per fare bene uno di quei lavoretti che si fanno spicci spicci e vanno fatti bene. E gia' con la mano ancora in saccoccia mi ero messo il tirapugni e stavo per rallentare il passo per farmelo arrivare alla distanza giusta come una pera cotta, che quello fa: "Sono il figlio del sor Otello, Bastianaccio, m'avete riconosciuto?". No che non l'avevo riconosciuto. Con tutto il tempo che era passato. Pero' me lo ricordavo Bastianaccio, che faceva il garzone nel bar. Cosi' mi girai lento lento e dissi solamente: "E allora?". "Allora siete il sor Amilcare, no?". "E allora?". "Niente, non mi aspettavo d'incontrarvi qui, anzi, non mi aspettavo di rivedervi piu'". "E allora?". "Niente, se do' fastidio me ne vo". "Come m'hai trovato?". "Come che?". "Come m'hai trovato". "Cosi', per caso". "Per caso?". "Per caso". "E che vorresti?". "Niente, che dovrei volere?". "Non lo so, lo dovresti sapere tu". "No. Non voglio niente. M'ha fatto piacere rivedervi, tutto qui". "Tutto qui?". "Tutto qui". "E che ci fai qui?". "Qui dove?". "Qui". "Qui a Milano?". "Visto che siamo a Milano". "Ci abito". "E se ci abiti che ci facevi alla stazione?". "Perche' lavoro fuori. Prendo il treno". "Tornavi dal lavoro?". "Eh". "Tornavi dal lavoro, si' o no?". "Si'". "Allora va bene". "Abitate pure voi qui a Milano?". "Perche'?". "Cosi', per sapere". "E perche' lo dovresti sapere?". "No, tanto per dire". "E che c'e' da dire?". C'era qualche cosa che puzzava. Me ne accorgevo ma non riuscivo a capire che. "Niente, niente. Non volevo mica disturbare". "Bene, allora buonasera". "Buonasera, buonasera". Pero' non si girava per tornare indietro. Cosi' siamo restati fermi a guardarci. Cominciavo a pensare che non era affare da tirapugni e basta.
"Forse c'e' una cosa che ci avrei da dirvi". "Ah si'?". "Eh si'". "E allora dilla, no?". "Mo' ve la dico". "Forza, che la giornata e' un mozzico". "Vi ricordate quando ve ne andaste dal paese?". "Si' e no. E allora?". "L'avete saputo quello ch'e' successo dopo?". "No". "Frustino fece quello che doveva fare". "E allora?". "Mo' Frustino e' morto, saranno vent'anni che e' morto". "Pace all'anima sua". "Amen". "Amen". "C'e' altro?". "Ci aveva un fratello Picciafoco". "Lo so". "Mo' e' morto pure lui". "Allora e' vizio". "E' morto di cancro. Ma prima di morire ci aveva un desiderio". "E lo poteva dire a Frustino, no?". ""Ma Frustino era gia' morto". "E allora sono morti tutti e cosi' sia". "Pero' c'e' uno che ha preso il posto di Frustino". "Ma Frustino non chiacchierava tanto" urlai mentre tiravo fuori il ferro - che lo tengo sempre col silenziatore gia' messo in una saccoccia bella lunga del cappotto che mi sono fatto fare apposta dal sarto - e cominciai a sparare mirando in mezzo alle palle degli occhi.
Prima che toccasse terra l'avevo gia' afferrato e trascinato in una rientranza del muro del capannone. Era gia' morto. Lo frugai e non ci aveva armi, e niente che lasciasse pensare che fosse lui quello che avevo pensato che fosse: e so per esperienza che quando nulla lascia pensare una cosa vuole dire che e' proprio quella cosa.
Era ora di lasciare pure Milano.
6. CESSINO LA SCHIAVITU', LA SEGREGAZIONE E LA PERSECUZIONE RAZZISTA IN ITALIA
La parte razzista del governo mezzo-razzista e mezzo-democratico in carica sembra intenzionata ad opporsi alla sanatoria che restituirebbe alcuni minimi fondamentali diritti a una parte almeno delle persone che in Italia subiscono condizioni di schiavitu' o semi-schiavitu'.
La parte razzista del governo mezzo-razzista e mezzo-democratico in carica sembra intenzionata a perseverare nella persecuzione razzista, nel segregazionismo e nell'apartheid, nelle antinorme hitleriane e nell'omissione di soccorso, nei crimini contro l'umanita' commessi dallo scellerato governo del 2018-2019, nell'ostinata violazione della Costituzione della Repubblica italiana e del diritto internazionale.
E' ripugnante. E' mostruoso. E' abominevole.
*
Neppure una tragedia come quella dell'epidemia ha fatto capire a certi messeri che ogni essere umano e' un essere umano, ed in quanto tale ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Neppure una tragedia come quella dell'epidemia ha fatto capire a certi messeri che siamo una sola umana famiglia, in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Neppure una tragedia come quella dell'epidemia ha fatto capire a certi messeri che il primo dovere di ogni essere umano e di ogni umano istituto e' salvare le vite, soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Quale scandalo immenso. Quale infinito orrore. Quale oscena proterva protratta esibizione di glaciale dissolutezza, di dissennata disumanita'.
*
Siano immediatamente riconosciuti tutti i diritti sociali, civili, politici, umani a tutti gli esseri umani presenti nel nostro paese.
Si torni alla legalita' costituzionale, repubblicana, democratica ed antifascista che salva le vite e nessuno abbandona alla violenza, al dolore e alla morte.
Si torni al diritto, si torni alla morale, si torni alla ragione, si torni alla civilta', si torni all'umanita'.
*
L'Italia e' una repubblica democratica.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siano quindi allontanati i razzisti dal governo, dal parlamento, da tutti i pubblici uffici.
*
Sia adottato immediatamente un provvedimento legislativo che ripristini l'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani nel nostro paese.
Sia adottato immediatamente un provvedimento legislativo che abroghi le antinorme hitleriane dei due infami "decreti sicurezza della razza".
Sia adottato immediatamente un provvedimento legislativo che difenda ed aiuti chi di aiuto ha piu' urgente bisogno.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Cessino la schiavitu', la segregazione e la persecuzione razzista in Italia.
Ogni essere umano e' un essere umano.
7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: MARMOSTOSO
Dice che la diceva sempre 'sta parola che gnuno sapeva che vvoleva di'.
Presempio diceva: "E nun essa marmostoso". Oppure: "Hae sempre da fa' 'r marmostoso". Diceva sempre cosi'.
Finche' 'n giorno m'ha 'ncontrato ma mme che manco ce conosceveme e 'nfatti che diceva sempre cosi' mme ll'hanno detto doppo 'r fatto quelli che cc'ereno, ma oramai quer ch'era fatto e' ffatto.
Cosi' stavo all'osteria de la sora Cesira e giocavo a carte co' Facciallecra, 'r Zipippetto e co' 'Ntogno 'Ntigna. E propio allora allora evem'ordinato n'antre du' mezzilitri e du' gazzose.
Quanno entra Magnabbra' e cco' esso 'sto fregno qui tutto acchittato da coccodemamma cor corvattino, la camicia da cammeriere, la giacchetta lustra e li carzoni lustri e li stivali lustri che ppiu' llustri nun ze po'.
Io cevo certe cartacce che nun ereno bbone manco pe' puliccese 'n quer posto, e allora ero ggia' 'mpatassato, e cosi' ho strillato forte: "Oste de la malora, lo porte 'sto vino co' 'sta gazzosa o tt'ho dda fa' mmagna' tutte le dente?". Ma quer zomaro dormempiede der 'zi Cempele, che poi e' 'r marito de la sora Cesira e cch'ar bancone ce sta ssempre esso che la moje sta 'n cucina, stava a sservi' Magnabbra' cor damerino e allora me strilla "'Spetta quanno te tocca, Curcujo'". Che sse cc'e' 'na cosa che mme manna 'r zangu'all'occhie e' ssi mme fanno aspetta'.
Cosi' me so' arzato e sso' ito ar bancone e j'ho sputato. J'ho sputato, si', 'nfaccia. E allora che ssuccede? Che 'r damerino 'nvece de penza' a le cornaccia sua se permette de dimme: "Caro signore, nun zia cosi' marmostoso". Marmostoso a mme? E cchi tte pare d'essa, ah testa de pazzo che llava le pezze ar pozzo? Ce se' venuto apposta pe' 'nzurta'? Ho tirato fora 'r cortello e ll'ho spanzato. "Marmostoso". A mme. A mme 'st'inzurti?
La camicia ch'era tutta bbianca mo' era tutta zzozza de sangue e de mmerda, 'na puzza che nun ve dico, e 'ntanto mentre che stirava le zzampe rantolava come 'n porco che ssara' durato armeno 'n quarto d'ora a ffa' 'sto schifo eppoi ha smesso.
Che poi la sora Cesira e' uscita da la cucina e mm'ha cchiesto: "Ma ch'hae fatto, Curcujo'?". "Ch'ho ffatto? Gnente, ch'ho ffatto". "Ma ssi ll'hae ammazzato". "Eh, lo veggo pur'io lo veggo". "E perche'?". "Perche', perche', perche' ha detto quello che nun eva da di', ecco perche'". "E cch'ha ddetto?". "'N offesa de quelle che nun ze ponno da sopporta'". Allora 'r zi' Cempele, che nun eva sentito bbene perche' sse stava a ppuli' la faccia cor zinale: "Ma cche pparol'ha ddetto, se po' ssape'?". E allora io: "'Na parola de quelle che nun ze ponno di'". E esso: "Ma cche pparola era?". E io: "Ecco, mo' mme tocca a ddilla pur'a mme". "Eh ssi'". "E allora la dico: marmostoso m'ha ddetto, sete contente mo'?".
Allora m'hanno detto che la diceva sempre.
Uno ce dovrebbe da sta' attento a quer che ddice.
8. RICORDANDO PEPPINO IMPASTATO APPROSSIMANDOSI IL XLII ANNIVERSARIO DELLA MORTE
Ricorre domani l'anniversario della morte di Peppino Impastato, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978.
Ricordo ancora quello che lessi su alcuni giornali il giorno dopo la sua morte. Non conoscevo Peppino Impastato, e non ricordo se conoscevo gia' gli animatori del Centro siciliano di documentazione di Palermo che qualche anno dopo a lui sarebbe stato intitolato. Ma ricordo bene che la versione "ufficiale" diffusa dalle autorita', che molti giornali riferirono e che tutti sanno essere falsa, mi parve subito del tutto insostenibile. Peppino Impastato era candidato in una lista della gia' vecchia nuova sinistra alle elezioni comunali del suo paese che si sarebbero svolte qualche giorno dopo, e che potesse fare una campagna elettorale ed insieme predisporre un attentato di cui sarebbe restato vittima (questa la versione diffusa dalle autorita' e ripresa dalla stampa, atta ad occultare il delitto mafioso di cui era vittima) era una enormita' cosi' insensata che chiunque non avesse perso il lume della ragione lo avrebbe capito. Io perlomeno lo capii subito, forse anche perche' in quegli stessi giorni ero candidato in un'altra lista della gia' vecchia nuova sinistra per le elezioni provinciali che si svolgevano qui nel viterbese. E perche' in quei giorni, che erano quelli del sequestro di Aldo Moro che fu assassinato lo stesso 9 maggio in cui fu assassinato Peppino Impastato, come molti altri militanti della gia' vecchia nuova sinistra sentivo che era nel novero delle possibilita' che poteri criminali tanto illegali quanto istituzionali potessero fare quello che fecero a Peppino Impastato. E non aggiungo altro.
Negli anni successivi ho seguito sia pur da lontano il lavoro dei suoi compagni e dei suoi familiari, e sempre di piu' ho capito che quello che facevano li', durante la vita e dopo la morte di Peppino, era esattamente ispirato alle stesse decisioni morali e politiche da cui scaturiva il lavoro che facevamo noi qui. Certo, li' rischiando ogni giorno la vita, e qui no.
Cosi' sempre ho sentito che Peppino Impastato per l'intera sua vita e' stato un nostro compagno, la bella parola che etimologicamente significa la persona che condivide il suo pane con chi non ne ha, la parola vera con cui le oppresse e gli oppressi si chiamano tra loro quando decidono di lottare insieme per fare insieme giustizia e liberta', fraternita' e sororita', uguaglianza nella diversita' e responsabilita' comune, per difendere ed inverare il diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignita', alla solidarieta', alla condivisione del bene e dei beni. Per abolire tutte le uccisioni, tutte le persecuzioni, tutte le schiavitu'. Affinche' ad ogni persona sia dato a seconda dei suoi bisogni, e da ogni persona sia dato a seconda delle sue capacita'. C'e' chi lo chiama socialismo, chi comunismo, chi anarchia, chi fare la volonta' del sommo bene se il sommo bene lo scrive e lo pensa con le maiuscole come fosse una persona, chi nonviolenza, chi semplicemente umanita'.
Ed e' per questo che in occasione del ricorrere dell'anniversario della sua scomparsa sento ancora come un morso di lupo nelle viscere per quel lutto che non cicatrizza, perche' nessun lutto cicatrizza mai; ed insieme provo un sentimento contraddittorio per le commemorazioni di cui vengo a conoscenza: di gratitudine infinita per i familiari, gli amici e i compagni di Peppino che con la loro memoria e con la loro lotta lo fanno restare vivo - nel senso in cui una volta Franco Fortini scrisse per Franco Serantini "Ma se tutto e' un segno solo e diventano i destini / uno solo e noi portiamo Serantini / finche' possiamo"; e di turbamento per tante commemorazioni che sento opache o insincere e che comunque - come voleva l'autore delle Maximes - so essere l'omaggio che il vizio rende alla virtu'. Ma non escludo che cio' che a me puo' sembrare ipocrisia puo' essere anche altro, non solo ombra ma anche luce, e magari per qualcuno l'inizio di un cammino, o il ritrovamento di una via smarrita nella selva. Profondo e' il pozzo del cuore umano, e nondimeno neanch'esso insondabile, come scriveva del tempo Thomas Mann all'inizio della sua biblica tetralogia. Cosi' ogni ricordo di Peppino Impastato, ogni commemorazione, ogni intitolazione, e' comunque utile: poiche' sentendo o leggendo quel nome puo' sempre accadere che una persona dapprima ignara, o incerta, o confusa, o stanca per molte sofferenze e delusioni, una persona o anche molte, possano aprire gli occhi, ed entrare - o ritornare - nella lotta che fu anche la sua, e proseguirla: l'umanita' merita che tu prosegui quella lotta di liberazione, quell'impegno di solidarieta' che e' insieme resistenza alla menzogna e all'oppressione, universale benevolenza, vigile responsabilita' e generosa condivisione; l'umanita' intera e la tua stessa umanita' lo merita.
*
E quindi penso che un buon modo di ricordare Peppino Impastato sia mettersi in contatto con i suoi compagni di Cinisi, di Palermo, e sostenerli come si puo'.
E che un modo altrettanto buono sia quello di condurre nel luogo in cui vivi la lotta contro i poteri criminali e contro il regime della corruzione, la lotta per l'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani, la lotta contro la rapina, l'abuso, la violenza che condanna le sue vittime a una vita di strazi e a una morte prematura.
La lotta, per ripetere una volta di piu' le parole che ripeto ogni giorno a chi ancora vuole ascoltare un vecchio barbogio, contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni; la lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani; la lotta in difesa di quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera, quest'unico mondo vivente di cui siamo insieme parte e custodi. La lotta di tutte le oppresse e di tutti gli oppressi per far cessare la rapina, la violenza, l'iniquita' ed ogni devastazione. La lotta di tutte le oppresse e di tutti gli oppressi per realizzare una societa' finalmente umana.
La lotta di Peppino Impastato, e d'innumerevoli resistenti, d'innumerevoli vittime.
La lotta nonviolenta che ad ogni violenza si oppone.
La lotta nonviolenta che soccorre ed accoglie ed assiste ogni persona bisognosa di aiuto.
La lotta nonviolenta, che e' un altro nome della lotta antimafia, che e' un altro nome della lotta antifascista.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.
Nel ricordo di Peppino Impastato continuala tu la lotta per la liberazione dell'umanita' intera.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi.
*
Una minina notizia su Peppino Impastato
Giuseppe Impastato, nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile"; fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Tra le raccolte di scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2002, 2008. Tra le opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994; AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo); Umberto Santino (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato. Le sentenze di condanna dei mandanti del delitto Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2008; Giovanni Impastato e Franco Vassia, Resistere a mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato, Stampa Alternativa, Viterbo 2009.
Naturalmente sono fondamentali le molte altre ottime pubblicazioni del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"; per contatti: Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, sito: www.centroimpastato.it
Ugualmente fondamentale l'attivita' dell'"Associazione casa memoria Felicia e Peppino Impastato"; per contatti: corso Umberto I 220, 90045 Cinisi (Pa), sito: www.peppinoimpastato.com
Si vedano anche almeno i libri dedicati a Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Giuseppe Impastato che lo ha sostenuto nella sua lotta, lotta che ha proseguito dopo l'uccisione del figlio; e' deceduta nel dicembre 2004. Opere di Felicia Bartolotta Impastato: La mafia in casa mia, intervista di Anna Puglisi e Umberto Santino, La Luna, Palermo 1987. Tra le opere su Felicia Bartolotta Impastato: Anna Puglisi e Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005; Cfr. anche il profilo scritto da Anna Puglisi per l'Enciclopedia delle donne e ripubblicato anche in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 311.
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 387 del 4 giugno 2020
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