[Nonviolenza] Archivi. 382



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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 382 del 6 maggio 2020

In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di aprile 2020 (parte sesta)
2. Lettera al sindaco di Viterbo affinche' nel decennale della scomparsa di Alfio Pannega la citta' in cui visse lo ricordi degnamente
3. L'arrocco del vecchio
4. Nell'odierna Giornata della Terra. Dieci tesi e un'appendice
5. Omero Dellistorti: Storia di Strappone, corta e commovente
6. Omero Dellistorti: La tortura dei libri
7. Carogno Mozzarecchi: E bbenedetto sia 'r colorabbiro

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI APRILE 2020 (PARTE SESTA)

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di aprile 2020.

2. LETTERA AL SINDACO DI VITERBO AFFINCHE' NEL DECENNALE DELLA SCOMPARSA DI ALFIO PANNEGA LA CITTA' IN CUi VISSE LO RICORDI DEGNAMENTE

Egregio sindaco,
il prossimo 30 aprile saranno trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Alfio Pannega, che di Viterbo e' stato un simbolo e un cantore.
Un decennale e' un anniversario diverso dagli altri. Dieci anni sembrano un soffio ed invece sono molti: dieci anni fa ogni viterbese avrebbe potuto dire di averlo conosciuto, molti di avere almeno una volta parlato con lui, e non pochi di essergli stati in vario modo amici; per chi oggi ha vent'anni gia' non e' piu' cosi'.
E quindi mi permetto di scriverle per proporle di voler promuovere in questa occasione come Comune di Viterbo una qualche adeguata iniziativa in ricordo di Alfio. Ovviamente con i limiti imposti dalle misure in vigore di contrasto dell'epidemia in corso.
Sapra' lei, in rappresentanza della citta', e con lei l'amministrazione comunale tutta e l'intero consiglio comunale, trovare un modo di degnamente ricordare quel concittadino, poeta per vocazione e generoso militante del movimento dei lavoratori, che chi meglio lo ha conosciuto sa essere stato un uomo virtuoso, magnanimo, luminoso; un uomo che sempre volle impegnarsi per il bene comune, che sempre lotto' contro le ingiustizie, che sempre condivise i suoi pochi averi con chiunque bussasse alla sua porta e gli chiedesse accoglienza e aiuto. Un uomo che ancora nelle ultime due decadi della sua vita ha educato - col suo esempio e con la sua vicinanza, con la parola e con i gesti - tanti giovani della citta' al rigore morale e all'impegno civile, all'amore per la poesia e la cultura, al rispetto e alla difesa delle persone, degli animali e dell'intero mondo vivente, alla lotta contro la menzogna e contro la violenza, alla solidarieta' che tutti gli esseri umani riconosce e raggiunge ed a tutti gli abusi ed a tutte le oppressioni si oppone, ad essere cuori pensanti ed agire per amore del mondo, all'antifascismo vivente, alla riflessione e all'azione nonviolenta.
Il Comune di Viterbo riconobbe questa sua testimonianza, questo suo magistero, rendendogli onore - lui ancora vivente - con una cerimonia nella sala regia di palazzo dei priori di cui sicuramente serbano commossa memoria anche molti consiglieri comunali di allora e di oggi.
Manca piu' di una settimana al 30 aprile, vi e' quindi il tempo e il modo di promuovere una commemorazione adeguata, che possa anche essere avvio per ulteriori iniziative intese a una piena comprensione e valorizzazione della sua figura e del suo lascito morale e civile. Vorrei vivamente pregarla di farsene parte diligente.
Ringraziandola fin d'ora per l'attenzione ed augurandole ogni bene, allego in calce una minima notizia sull'indimenticabile amico e compagno di tante lotte nonviolente per il bene comune, per la giustizia sociale, per il rispetto e l'accudimento della natura, per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 21 aprile 2020
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Una minima notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione. Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, 3515-3517, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213, 437.

3. L'ARROCCO DEL VECCHIO

La mia timidezza si e' fatta col tempo ancor piu' patologica
se squilla il telefono rifuggo dal toccarlo come fosse uno scorpione
al supermercato ci vado nell'ora in cui sono certo di non incontrare nessuno
non scrivo piu' una lettera da anni
ho smesso anche di andare ai funerali
dal secolo scorso non entro in un cinema in una trattoria
per strada cammino rasente i muri gli occhi bassi e biechi
la testa incassata tra le spalle nel nero gabbano intabarrato

Quando sento la radio mi accorgo che fatico a capire le parole
il mondo si e' fatto confuso i segni
sbiadiscono nelle pagine dei libri
quello che vedo nuota nella nebbia
tutto si e' fatto lento e inconsistente
ogni movimento mi costa una fatica penosa tediosa gravosa
come portare sul groppone una montagna

Mi dico che dovrei decidermi a piantarla
di concionare di scrivere ingiurie mi dico
che oggi e' un buon giorno per morire

E poi mi dico che qui non si arrende nessuno
che il fascismo non passera'
che fino all'ultimo respiro devi restare
quello che sei quello che devi essere
perche' solo finche' tu resisti
puoi sperare che resistano anche gli altri

4. NELL'ODIERNA GIORNATA DELLA TERRA. DIECI TESI E UN'APPENDICE

"Non far nulla con violenza"
(Diels-Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti, 10, 3.a Cleobulo di Lindo, 11)

"La giustizia sociale, la protezione della natura e la salvezza dell'umanita'
saranno possibili solo attraverso gli orti comuni,
i filatoi a mano, le biciclette, i pannelli solari,
la riforestazione, l'economia del dono e della condivisione,
la fine delle guerre e di tutte le uccisioni,
la fine del razzismo e di tutte le persecuzioni,
la fine del maschilismo e di tutte le oppressioni,
condividere il pane, aprire le porte, accudire il bisognoso,
sentire e trattare gli altri e il mondo con riconoscimento e con riconoscenza,
tenere pulita la casa e la soglia di casa:
tutto il mondo e' la soglia di casa, tu sei la casa, tu sei tutte e tutti"
(Diels-Kranz-Raskolnikov, Supplemento a I presocratici. Testimonianze e frammenti, 10, 5.a Misone di Chene, 3,14)

1. Quello che farai al mondo, il mondo lo fara' a te.
2. Non si guarisce da soli, si guarisce insieme.
3. Non si prende cura del mondo vivente chi non si prende cura della persona che ha piu' vicino, e non si prende cura della persona che ha piu' vicino chi non capisce che ogni persona e' il suo prossimo. Siamo un'unica umana famiglia in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera, un unico mondo vivente di cui siamo insieme parte e custodi.
4. Si puo' spegnere il fuoco col fuoco? Solo facendo il bene si estingue il male, solo con la nonviolenza si contrasta la violenza, solo salvando le vite ci si oppone alla morte.
5. Solo abolendo le guerre si abolisce la fame, solo facendo cessare la rapina cessa la poverta'.
6. O si producono armi o si produce salute.
7. La natura ci parla, chi ha orecchi per intendere intenda: l'epidemia in corso e' un ultimatum.
8. La strage in corso non e' soltanto esito di un virus, e' soprattutto effetto di un'economia disumana e di una politica prona a quella disumanita'.
9. Passare dall'economia dello sfruttamento e dello sperpero all'economia della sobrieta' e del dono; passare dall'appropriazione privata alla condivisione del bene e dei beni; passare dal disperato egoismo alla civile convivenza; passare dalla logica dello sfruttamento e dell'alienazione alla logica dell'accudimento e della liberazione. Umanizzare l'umanita' riconoscendo il diritto di ogni essere umano e dell'intero mondo vivente alla vita, alla dignita' e alla solidarieta'.
10. Salvare le vite e' il primo dovere. Chi salva una vita salva il mondo.
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In guisa di appendice in calce riportiamo un breve denso testo dell'illustre scienziata e pensatrice indiana Vandana Shiva: "Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena".
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Appendice: Vandana Shiva: Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena
[Riproponiamo una volta ancora il seguente testo estratto dall'introduzione del libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006, alle pp. 16-19.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, nonviolenti, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002; Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008; Dalla parte degli ultimi, Slow Food, 2008; Ritorno alla terra, Fazi, Roma 2009; Campi di battaglia, Edizioni Ambiente, Milano 2009; Semi del suicidio, Odradek, Roma 2009; Fare pace con la Terra, Feltrinelli, Milano 2012; Storia dei semi, Feltrinelli, Milano 2013; Chi nutrira' il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli, Milano 2015; Il mondo del cibo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2015]

1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco.
Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrita' e di un'identita' individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprieta' privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprieta' intellettuale.
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2. La comunita' terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita.
Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto e' nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonche' i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanita'. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne' di trattarli con crudelta' e violenza.
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3. Le diversita' biologiche e culturali devono essere difese.
Le diversita' biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversita' biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilita'. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversita'.
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4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento.
Tutti i membri della comunita' terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento e' un diritto naturale perche' equivale al diritto alla vita. E' un diritto che non puo' essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita.
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5. La democrazia della comunita' terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici.
La realizzazione di una democrazia della comunita' terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrita', provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunita' terrena e' un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunita' stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune.
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6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali.
Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creativita' alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili e' quello di operare all'interno delle realta' locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunita' terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creativita' di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacita'. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate.
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7. La democrazia della comunita' terrena e' una democrazia che tutela la vita.
Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamento democratico da adottare gia' a partire dalla quotidianita'. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanita' e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunita' terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunita' costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilita' ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi piu' alti applicando il principio della sussidiarieta'. La democrazia della comunita' terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno.
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8. La democrazia della comunita' terrena si fonda su culture che valorizzano la vita.
Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di liberta' per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identita'. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanita' e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunita' terrena.
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9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa.
Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignita' e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future.
Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identita' diverse che condividono lo spazio comune della comunita' locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita.
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10. La democrazia della comunita' terrena promuove un sentimento di pace e solidarieta' universale.
La democrazia della comunita' terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziche' separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidita', sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarieta', la giustizia e la sostenibilita'.

5. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: STORIA DI STRAPPONE, CORTA E COMMOVENTE

Ormai non se lo ricorda piu' nessuno.
Quando torno al paese mi fermo sempre prima al cimitero, e vado a vedere la tomba di mio padre, di mia madre e dei miei tre fratelli, poi quella del zi' Nacleto, quella della sora Nina, e poi quella di Strappone. Nessuno le pulisce. Se ci avessi tempo e voglia magari potrei farlo io quando ci capito, e poi comprare un po' di fiori e schiaffarceli li', ma non lo faccio mai. Mi limito a guardare le tombe, a vedere che sono sporche che le lapidi quasi neppure si leggono. E poi mi passa la voglia di continuare e di arrivare fino al paese che e' solo un par di chilometri piu' giu'. Cosi' resto davanti al cancello del camposanto e aspetto che passi il primo pullman e me ne vo. Qualunque pullman, perche' tanto mi basta che mi porta in un paese o una citta' dove c'e' la ferrovia, che salto sul treno e me ne torno a Bergamo. Basta che arrivo a Roma e poi da li' da Ostiense o Tiburtina un treno per Bergamo lo trovi a tutte l'ore.
Non e' che abito proprio a Bergamo, ci ho un amico che sta li'. Poi ci pensa lui a dirmi dove devo andare. E io ci vo e fo il lavoro mio. Poi incasso, poi fo un po' di vacanza finche' i soldi finiscono o non mi stufo. Poi rieccomi a Bergamo bello pronto che il lavoro non manca mai. Quando sto in vacanza certe volte decido di fare un salto al paese. Non tutti gli anni, qualche volta. Pero' poi mi fermo sempre prima al camposanto e poi mi passa la voglia di arrivare proprio fino al paese paese, dove c'e' la gente viva, e me ne vo.
Quando uno al paese non ci passa mai c'e' di buono che pure se incontri qualcuno al cimitero quello non ti riconosce. Qualcuno vivo, intendo. I morti non riconoscono mai nessuno, sono morti, che devono riconoscere?
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Ci passo sempre a vedere la tomba di Strappone. Che ne so, ogni tre o quattr'anni, non e' che ci torno spesso al paese. Ci ho sempre da lavorare e quando non lavoro mi riposo. Uno dice che ci ho un sacco di tempo libero, sara' pure vero, pero' e' un lavoro che stanca. Intanto devi girare in lungo e in largo. E poi non e' che arrivi li' e dici dovrei vedere il signor Pinco Panco, e uno ti dice e' proprio quello li' col borsalino e la cravatta a pallini e tu vai li' e gli spari. Non funziona cosi'. Intanto devi fare un piano. Poi devi agire col massimo riserbo. E non ci si crede quanti contrattempi s'incontrano. Per esempio tu l'aspetti in un posto che lui a quell'ora ci va sempre e quello proprio quel giorno ci ha avuto la diarrea e non e' uscito di casa. Una giornata buttata. Oppure tu sei ormai a mezzo metro e sei li' li' per cavar fuori il ferro che quello chissa' perche' si  mette a correre come un matto come quell'imperatore quella volta e addio esecuzione. Succede sempre qualche cosa che non ti aspetti, la gente fa certe cose che pure la persona piu' normale non lo sai mai che potrebbe combinare, come quell'avvocatone coi soldi che gli uscivano dalle orecchie che da solo nello studio con tutti i mobili antichi e i libroni della legge acchiappava la cagnetta per le cianche e ci giocava a farle fare la carriola. Dove l'ho letto?
Pagare pagano bene, non dico di no. Ma sono soldi sudati dal primo all'ultimo sghei.
E poi pure le vacanze insomma non e' che sono quelle gran vacanze che uno vede al cinema o in televisione. Intanto devi mantenere il riserbo. Mica solo quando lavori, lo devi mantenere sempre. E' la prima regola deontologica della professione nostra. Una volta volevamo fare l'albo, l'ordine, o almeno un sindacato. Magari per fare una festa una volta all'anno, col congresso a Sanremo o a Bellaria e una puntata al casino'. Ma quando devi agire col massimo riserbo neanche un sindacato puoi fare. Che poi finisce che tutti i soldi li spendi in precauzioni. Come quel rapinatore di treni del far-west, dove l'ho letto? E l'unico gusto e' quando passi all'azione. Che pero' pure l'azione azione dura un microsecondo. Cosi' non c'e' gusto mai. E' come quella malattia li', la cosa precoce. Quella, si'.
Oltretutto se almeno uno ci avesse una famiglia potrebbe tornare a casa e menare la moglie, prendere a cinghiate i figli che si drogano, 'ste cose qui, la vita in famiglia, come tutti. Invece no, perche' c'e' il riserbo. Cosi' finisce che stai sempre solo, vai nelle pensioni fuori stagione che costa di meno, che a pranzo e cena ci sono solo cariatidi che ciucciano il brodino e la televisione e' in bianco e nero. E poi che fai? Passeggi sul lungomare o sul lungolago perche' senno' che vacanza e'? Guardi le vetrine dei negozi, giochi a flipper se ti capita la fortuna di trovare un bar che ce ne ha ancora uno, oppure te ne stai nella camera tua che puzza di muffa a bere da solo. Io di vizio leggo. Ho letto un mucchio di libri. Poi li lascio sulle panchine. Col lavoro che fo non e' che posso portarmi dietro una biblioteca, si deve viaggiare leggeri quando si lavora perche' non lo sai mai quando e' il momento di colpire, quando e' il momento di sparire. Leggeri si deve essere. Cosi' poi i libri finisce che me li scordo. Cioe', ogni tanto me ne ricordo qualche pezzo, ma non mi ricordo piu' quello che c'era prima e quello che veniva dopo. Come quello che lo processavano e non si ricordava perche'. Dov'e' che l'ho letto? Pero' che alla fine lo sgozzavano come un maiale questo me lo ricordo.
Parlando di libri a me mi piacciono i libri che c'e' un'avventura, che succede qualche cosa. Senno' m'annoio e se mi devo annoiare mi so gia' annoiare per conto mio, non ci ho bisogno di comprare un libro, no? I libri istruttivi invece non mi piacciono. Non ci sono portato per studiare, neanche da giovane. Che e' buffo perche' invece al paese dicevano tutti che ero uno studioso e che si vedeva che mi sarei fatto strada nella vita. Invece era che li fregavo tutti, che siccome stavo sempre zitto e con la faccia storta si credevano che chissa' che pensavo e invece non pensavo a niente. No, non e' che non pensavo a niente. Pensavo a Strappone e a quello che m'aveva fatto con la Filomena. Poi usavo pure un trucchetto quando ero maschiotto e stavo al paese: camminavo per strada e facevo finta di leggere. Un giornale, un libro, qualche cosa. Facevo sempre finta di leggere, come quel prete che incontra i mafiosi che il boss vuole farsi la contadinella bella, sta in un libro che ho letto pure quello ma che mi venga un colpo se mi ricordo che libro era, che poi era pure un libro bello, con la peste e tutto.
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A Strappone a quel tempo non lo potevo toccare perche' Filomena o non Filomena comunqe eravamo amici, e poi perche' lavorava con me e con Marco, Tullio e Giulio, che sarebbero i miei tre fratelli piu' grandi. Mio padre era fissato. A me m'ha messo nome Cesare, c'e' bisogno di dirlo? Che mio padre era tanto fissato quanto zellato. Aveva fatto l'operaio per tutta la vita e s'era spezzato la schiena per farci studiare, ma noi quattro figurarsi, svelti come la polvere a scappare da scuola e andare a fare danni in giro. E insieme a noi c'era sempre Strappone, e pure Magnama'. Ce da bardasci andavamo a cerase, a cocomeri, a galline, a dar fuoco alle cose cosi' per il gusto di vedere il fuoco fino a dove arrivava, e poi una volta cresciuti il taglieggio, i furti e le rapine, il servizio completo insomma. Si doveva pur passare il tempo.  Magnama' che da regazzo era secco come un chiodo crescendo era diventato grasso come un porco perche' non smetteva un momento di abbuffarsi, pure se stavamo a fare un lavoro di notte il primo obiettivo che puntava era il frigorifero, e fu per questo che se lo bevettero. Che una volta capito' che arrivarono gli sbirri di sorpresa nel bel mezzo del lavoro e allora si sa che giddap gambe in spalla e a tutta birra, ma lui era lento che pure quando correva pareva che correva al rallentatore, come quando fanno la moviola per vedere se e' fuorigioco o rigore. Cosi' se lo sugarono con tutte le scarpe e avanti marsch in guardina e vai col liscio, cioe' con le carezze, le carezze che lasciano il segno. E il porco che fa? Canta come un usignolo, canta. Cosi' la madama a colpo sicuro il pomeriggio stesso del festival suino viene da noi, tira su proprio quelle due tavole del pavimento della cantina che solo se lo sapevi te ne accorgevi perche' sopra c'era tutto terriccio e sopra il terriccio botti e cassette e tutta la roba che uno tiene in cantina regolare regolare, ma loro avevano sentito la compilescion del ciccione e sotto le tavolette apriti sesamo ci trovano il tesoro di Ali Baba', e bravi gli sirri, cosi' sono buoni tutti. Pero' noi quattro frati ci eravamo gia' dati perche' lo immaginavamo che Caruso cantava. Cosi' in mancanza di meglio si bevono quel fesso di Strappone che stava al bar bello pacioso perche' non gli avevamo detto niente. Se era meno fesso se lo immaginava pure lui che il ciccione cantava, no? Poi capito' la disgrazia. Che mentre lo menavano per interrogarlo e lui zitto, e lo menavano e lui zitto, e lo menavano e lui zitto, alla fine lo storpiarono. E lui quando usci' dal Grand Hotel se la prese con noi. Gli prese 'sta fissa, che era colpa nostra, che mentre la madama lo scassava manco c'eravamo.
Uno s'immagina che quando uno esce dal gabbio si da' una calmata, invece lui manco per niente. Il primo giorno ch'era fuori ando' a cercare Magnama', che stava in carrozzina da quando io e i miei fratelli gli avevamo spiegato che certe cose non si fanno. L'avevamo lasciato vivo e secondo me doveva pure essere contento. Pero' la linguaccia gliel'avevamo strappata e il filo della schiena gliel'avevamo rotto, perche' se uno lo lasci vivo qualche precauzione la devi pure prendere, dico io. A quel tempo la pensavo cosi', oggi penso che invece e' sbagliato, se devi fare del male a uno e' meglio che poi lo ammazzi, cosi' garantisci il riserbo. Comunque Strappone lo trovo' e prima di mandarlo al creatore lo torturo' finche' quel lumacone a forza di versacci gli fece capire dov'era che ci nascondevamo. Che non e' che fosse difficile: ci nascondevamo nel casale nostro, dove abitavano pure babbo e mamma. Cosi' senza perderci tempo Strappone fa fuori pure la madre di Magnama', arraffa quel che trova dentro casa, s'appropria per usucapione del quintone e del furgone del fratello di Magnama' che si salvo' perche' quel giorno era in trasferta con la squadra di pallone che giocava mezz'ala sinistra e era pure bravo, e via a tutta callara che ce lo sanno pure i sassi che il tempo e' denaro. Cosi' Strappone senza ride e senza piagne va dal benzinaro, si fa riempire una decina di ghirbe da venti litri che e' sempre stato uno sprecone, paga coi soldi che aveva arraffato a casa di Magnama' che per fortuna bastavano che la madre i soldi li teneva tutti insieme dentro casa e non s'era fatta pregare per dire dove a Strapponaccio che senno' gli toccava seccare pure il benzinaro che invece non c'entrava proprio niente con tutta 'sta storia, e col furgone del fratello di Magnama' che lo chiamavano Riverino s'apposta vicino al casalaccio nostro e aspetta che calino le tenebre. Mi e' sempre piaciuto quando calano le tenebre, che in se' e' una cosa che succede tutti i giorni e non significa niente, ma detto cosi' c'e' qualche cosa di poetico che dalle parole si trasmette alla cosa, non lo so se ci avete mai fatto caso, ma certe volte pure le cose piu' stupide se si dicono con le parole giuste diventano non dico belle, pero' con un certo non so che. E' quel certo non so che che da' gusto alla vita che senno' e' uno schifo e basta, come diceva quello, una storia raccontata da un fesso piena di strilli e di rabbia e che non significa un cavolo di niente. L'ho letto da qualche parte pure questo.
Allora, aspetto' che facesse notte fonda e che dentro casa ronfassero tutti e poi quatto quatto comincio' a svuotare le taniche prima tutto intorno a casa fracicando l'erbacce, la monnezza, la legna ammucchiata per l'inverno e le cassette e l'altra roba di legno che in campagna c'e' sempre un mucchio di roba di legno dappertutto non lo so perche', e gli stracci in giro e i panni che erano restati stesi sul filo e pure i muri del casale ch'erano screpolati e ci crescevano l'erbacce e i davanzali e gli infissi delle finestre, poi la porta e pure sotto la porta gli diede giu' certe belle ingorzate cosi' la benza filtrava e scolava pure dentro casa che il casale nostro ci aveva una porta sola e le finestre del pianterreno oltretutto ci avevano le sbarre che uno stava a casa sua e gli pareva gia' di stare in galera. Era un bel casale. Ci abitavamo noi, il zi' Nacleto che era vedovo e i figli erano tutti emigrati a fare i minatori in Belgio e erano sei, e la sora Nina che da giovane aveva fatto la vita e adesso che era invecchiata l'aiutava il prete e qualche altro vecchio cliente. Ci abitava pure il zi' Agusto e la sora Nora che pero' stavano all'ospedale che il zi' Agusto ci aveva avuto una trombosi, un colpo, non lo so che, e la moglie gli faceva le notti. Il casale in effetti non e' che era nostro di proprieta', stavamo tutti in affitto, il casale era dell'avvocatone che poi fece la fine che ha fatto e che se la meritava tutta.
Poi con tutta la calma sua ando' nel fienile a prendere non so quante balle di fieno, era uno forte Strappone con tutto che l'avevano storpiato, pareva Primo Carnera, magari un po' storto, e le ammucchio' tutte intorno casa nostra che gli ci sara' voluto non lo so quanto tempo ma lui era uno paziente che gli piaceva il lavoro fatto bene, pure quando lavoravamo insieme e tutte le notti si facevano bei baiocchi, e quelli erano stati bei tempi a parte il fatto della Filomena. Poi con le ultime taniche inzuppo' le balle bene bene. Poi col quintone spianato che aveva fregato pure quello a casa di Magnama' s'inquarto' a dieci metri davanti alla porta della casaccia nostra. Appiccio' uno straccio che aveva arrotolato al collo di una bottiglia perche' gli piacevano le cose melodrammatiche e allora aveva voluto fare una molotov che non ci serviva proprio pero' era uno fatto cosi', che gli piaceva fare un po'di teatro con tutto che non lo vedeva nessuno, e poi tiro' la bottiglia con lo straccio che bruciava sul muro del casale che pero' la bottiglia non solo non si ruppe ma rimbalzo' e la trovarono i caramba la mattina dopo ancora sana pero' con tutto lo straccio bruciato, perche' lui la tiro' ma quella rimbalzo' e allora nisba, perche' c'e' sempre qualche imprevisto, lo dico sempre io, cosi' gli tocco' andare a a raccoglierla per tirarla un'altra volta, ma stavolta come quando a bocce fai una palombella, proprio sopra una balla di fieno che non aspettava altro. Pero' lo stracciaccio bruciava cosi' la lascio' li' dov'era cascata e trovo' qualch'altro modo per fare quello che doveva fare, che ne so, si sara' avvicinato con lo zippo in mano a una balla bella zuppa appoggiata al muro e via: una scintilla puo' incendiare la prateria. E stavolta la luce fu. Adesso non lo so com'e' che ando' di preciso, ma il ba' e la ma' bruciarono nel letto, e cosi' il zi' Nacleto, e pure la sora Nina insieme a uno che non si e' mai saputo chi fosse che non era del paese che il friggiticcio suo s'era tutto appiccicato alla sora Nina medesima per effetto della combustione che quando lo raccontai a quel cugino mio che fa il pittore a Citta' di Castello gli venne quell'idea che poi ci ha fatto i soldi. Invece Tullio e Giulio bruciarono sulla porta di casa che ancora in mutande erano corsi giu' quando s'erano accorti che tutto il mondo s'abbrusticava, pero' non morirono per via del rogo ma perche' Strappone gli pianto' due palle in pieno petto a uno e una palla nel cuore e una tra gli occhi a quell'altro. Non era difficile a distanza ravvicinata, pero' erano stati comunque bei tiri, Strappone sparava bene, pure al tirassegno che ci vinceva i pupazzi di pezza che poi li regalava alla Filomena che era cosi' scema che gli piacevano piu' quelli che i braccialetti e gli anelli e le collane e gli orecchini che gli regalavo io frutto della mia parte del bottino delle incursioni notturne che erano roba di valore che se me l'ero rivenduta ci ero diventato ricco sfondato e invece li regalavo a quella che i miei fratelli mi ci ridevano pure dietro morammazzati. Se ne fanno di cose senza senso e uno non se ne accorge mai quanto e' ridicolo. Marco invece lo fini' col roncio, perche' Marco ci era riuscito a uscire di casa ma gia' accecato dalle fiamme e ancora mezzo addormito com'era invece di svicolare a destra o a sinistra era corso dritto dritto proprio in bocca a Strappone che dopo aver sparato il quinto colpo che lo becco' a una zampa e lo mise giu' per terra poi lo fece a pezzi col marraccio. Poi rimonto' sul furgone e via.
Io quella notte a casa non c'ero perche' la sera aveva bevuto un po' e a forza di scherzare era finita che c'era stata una rissa, ma cosi' tanto per divertirsi che infatti nessuno si era fatto male veramente, era saltato qualche dente e s'era sfranto qualche naso ma niente di piu', pero' i carubba ci avevano voluto arrestare lo stesso. Che li' per li' io avevo bestemiato tutti i santi del calendario e invece m'avevano salvato la vita. Poi dice che non e' vero che il mondo non ci si capisce niente. Me lo dissero la mattina quello ch'era successo. E mi dissero pure che poi Strappone era stato al bar e aveva lasciato una scritta fatta con un pezzo di carbone su un cartone di quelli che dentro ci stanno le birre ma quello era vuoto perche' le birre il sor Otello le aveva messe nel frigorifero e il cartone lo aveva lasciato vuoto fuori del bar cogli altri rifiuti che poi passava il camion della monnezza. Cosi' Strappone era passato li', aveva preso 'sto cartone dal mucchio delle porcherie, ci aveva scritto sopra con un tizzo di carbone, poi era entrato nel bar, aveva salutato tutti che a quell'ora non c'era quasi nessuno che saranno state le quattro di notte e c'era solo il sor Otello dietro il bancone e i soliti tre o quattro che dentro il bar ci abitano fissi quando non vanno in giro a fa' piagne qualcheduno, che poi sarebbero Ciampicone e li compari sua, e allora Strappone era andato al banco, aveva ordinato una gazzosa perche' era astemio e aveva consegnato al sor Otello quel cartone con scritto sopra "Qui regna Strappone". Poi era uscito. E poi era sparito. Il furgone lo ritrovarono davanti a casa di Sersetto la carogna al posto dell'automobile sua che era una bella macchina adesso non mi ricordo piu' se una biemmevvu' o una volvo e che la ritrovarono qualche giorno dopo giu' per una scarpata, ma Strappone non c'era. Figurarsi.
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Poi passo' il tempo, che a dire il vero il tempo passa sempre, solo che uno li' per li' non se ne accorge perche' tu sei nel vivo dell'azione e non ci pensi che intanto il tempo passa, ma il tempo passa sempre. Passo' un anno, due, tre? Adesso non mi ricordo piu' ma basterebbe fare il conto tra le date di morte sulla lapide della famiglia mia e quella di Strappone al cimitero del paese per saperlo, che ci vuole? Comunque di tempo ne passo', e se devo dire la verita' non e' che io mi ero messo a cercarlo perche' alla fin fine a me di vendicare quel branco di brutili senza cervello mica me ne fregava niente. Non dico che non mi dispiaceva, no, mica sono un selvaggio; pero' sono una persona moderna, le robe tipo occhio per occhio, Giulietta e Romeo, Inter e Milan, a me proprio non me po' frega' di meno. E poi con Strappone eravamo amici a parte la storta con la Filomena che pero' magari la colpa non era manco sua, 'ste storie so' sempre complicate e non si capisce mai come cominciano e di chi e' la colpa, che poi magari la colpa neppure c'e', c'e' solo il dolore. E il rancore.
Pero' poi un giorno lo incontrai. Lo riconobbi subito, quasi subito. Mica perche' era storpio, che di sciancati e' pieno il mondo, ma perche' ci aveva in fronte quella cicatrice che gli avevo fatto proprio io e che la chiamavamo "il segno di Zorro". Eravamo regazzetti e si giocava a sassate, a coltellate, cosi'. Una volta mi scappo' di sfregiarlo. Ma senza cattiveria. E lui non se l'era presa a male, sono cose che da fischiotti si fanno. Amici eravamo ed amici eravamo restati. Pure dopo il fatto della Filomena, piu' o meno, suppergiu'. La faccenda della storpiatura era un'altra questione. Che poi io e gli altri fratelli mia neppure c'entravamo pero' a lui gli era partita la brocca, e quando ti parte la brocca ti parte la brocca. Mi sono sempre piaciute 'ste frasi che si dicono due volte la stessa cosa. E' poetico pure questo, no? Pare che una cosa detta due volte allora diventa vera solo perche' l'hai detta due volte. E' forte. Io se non ci avevo sempre da lavorare mi sarebbe piaciuto studiarle 'ste cose qui. Da giovane di studiare non me ne fregava niente, ma adesso un po' mi dispiace. Infatti leggo un sacco di libri. Soprattutto d'avventure. Come quelli che fanno quello sciopero li' in quella vigna e poi succede tutto quel che succede. Dov'e' che l'ho letto?
Ero in vacanza alla pensione Primavera in un paesotto col lungomare e era autunno. Per questo mi ricordo il nome della pensione. Dal giornalaro della stazione avevo appena comprato un librone che mi era piaciuto il titolo che adesso me lo sono scordato ma parlava di uno che era uscito di galera e poi gliene succedevano di tutti i colori, colle barricate, le fogne, gli infami e gli eroi, insomma tutto, saranno state due o tre milioni di pagine ma l'ho letto tutto che ci ho passato poi non quella vacanza ma una vacanza dopo, che quella pero' me la ricordo bene per via del fatto che fu la volta che incontrai Strappone. Lui stava li' tutto stortignaccolo con un valigione e s'era tagliato i baffi. Pero' il segno di Zorro si vedeva bene sulla fronte, pareva che luccicava. Li' per li' del segno di Zorro m'accorsi subito ma non riuscivo a ricordarmi perche' l'avevo notato. E' come quando ti ricordi di qualche cosa ma non ti ricordi di che, e allora ti ci scervelli sopra. Fu lui che m'aiuto': mi guardava fisso fermo fermo e a un certo punto disse "Cosi' saresti ancora vivo, eh, Cesare'?". Allora l'ho riconosciuto. "Me dispiace, Strappo'". "A me nun me dispiace, ormai e' acqua passata". "Magari per me no". "E allora se l'hai da fa', fallo". Io invece non ci avevo pensato per niente, non me ne fregava niente, e poi eravamo pure amici. Pero' lui disse quella frase "Se l'hai da fa', fallo", e allora capii che dovevo farlo anche se non mi andava di farlo, anche se era stupido farlo, oltretutto li' in mezzo a tutta quella gente. Pero' quella frase era stata detta e questo e' un altro mistero delle parole, che fanno succedere le cose anche se i cristiani non vorrebbero che succedessero. Allora posai il libro su una mensola che era li' vicina che se magari non c'era mi toccava tenere in mano il libro e non facevo niente, ma la frase era stata detta, la mensola era li', posai il libro, presi lo strumento che avevo in tasca, feci scattare fuori la lama, m'avvicinai a Strappone come per abbracciarlo, feci un mezzo giro come di danza e gli scivolai dietro e con un braccio lo reggevo e con la mano libera affondai il coltello e gli aprii la gola da orecchio a orecchio, da orecchio a orecchio gli aprii la gola. Lui non si mosse, io lo tiravo verso di me, verso una panchina addossata a un muro e ce lo misi a sedere sopra e sopra il collo stesi un fazzoletto che subito era tutto rosso, chiusi il coltello e lo rimisi in saccoccia senza neanche pulirlo strofinandolo sui calzoni sui o mia come si dovrebbe fare per giusta regola, m'avvicinai a una fontanella e mi sciacquai le mani, poi tornai indietro a prendere il libro che avevao lasciato sulla mensola e  uscii dalla stazione. Salii un tassi' ch'era parcheggiato li' davanti e mi feci portare alla pensione, presi la roba mia, saldai il conto e mi feci chiamare un altro tassi', salii e mi feci portare al paese piu' vicino a prendere il treno. La vacanza era finita.
La sera stessa feci una telefonata al cassamortaro del paese e gli dissi di andare a prendere la salma di Eulalio Roscellini nella localita' balneare di *** una volta finiti gli accertamenti di rito e di provvedere dipoi a un bel funerale e ad una tomba acconcia, che gli avrei fatto pervenire entro ventiquattr'ore l'importo per il servizio completo, piu' una ricca mancia, bella pesante. E cosi' feci.
Ah, Filomena non l'ho vista piu', non so neppure se abita ancora al paese o se se n'e' ita via pure lei. Prima o poi tutti se ne vanno, e non resta niente.

6. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: LA TORTURA DEI LIBRI

Io i libri li odio.
Perche' io moriro' molto prima di loro.
Perche' sono troppi per leggerli tutti.
Perche' quei tre o quattro che ho letto poi li ho scordati e piu' li rileggo e piu' li riscordo morammazzati.
Perche' da giovane pensavo che ne avrei scritto qualcuno pure io medesimo e invece sono diventato un vecchio barbogio e non ho scritto neanche due cartoline.
Perche' tutti i fascisti bruciano i libri, cosi' io non posso piu' bruciarli perche' non mi va di passare per fascista.
Perche' mi riempiono la casa di lepismi che quando mi alzo di notte ne trovo sul pavimento tutto un villaggio in movimento che sembrano un quadro di Bruegel il Vecchio.
E li odio per la deforestazione.
E perche riducono la cubatura di casa con le dannate scaffalature loro.
E per la polvere che non si puo' piu' neppure sbuffare o starnutire o scatarrare in casa propria.
E mi fa rabbia che ci hanno tutte quelle pagine che sono piu' delle foglie dell'albero davanti a casa mia che almeno quando e' inverno sono cascate tutte e posso finalmente spiare dalla finestra la giovinotta gagliarda che abita nel palazzo di fronte.
E mi fa rabbia due volte che costano piu' del tavernello con tutto che non servono a niente.
E tre volte mi fa rabbia che c'e' sempre un babbeo occhialuto la mattina sul treno che mi fa una capa tanta a forza di ripetere l'hai letto questo l'hai letto quello, mentre che io vorrei solo che dormire prima di entrare al ministero indove fo l'usciere; ma va' a quel paese va'.
E' roba che se magna i libri? None.
E' roba che soddisfa come quelle certe strofinate che avete capito quali? None.
E' roba bona come i soldi, i gioielli, il filmetto piccantello, l'abbonamento alla tribuna vippe, lo sciampagne e il cognacchino? None, none e none.
Io li odio i libri. A me mi piace il sesso e la violenza, e i facioli co' le cotiche.
*
E poi li odio per la Giornata mondiale del libro che tutti quei carognoni degli amici mia che ce lo sanno quanto mi ci appiccio e sgrugno e strillo mi telefonano apposta per chiedermi se festeggio.

7. CRONACHE DI NUSMUNDIA. CAROGNO MOZZARECCHI: E BBENEDETTO SIA 'R COLORABBIRO

E bbenedetto sia 'r colorabbiro
cosi' parleno solo der contaccio
e la fanno finita a ddi' de nue
che ffamo 'sto lavoro che rrichiede
abbilita' svertezza  e discrezzione.

E bbenedetto sia 'r colorabbiro
cosi' la smetteno de stacce a rroppe
co la zzunna de le donn'ammazzate
dar zu' marito che ssi ebbe da fallo
le su' bbone raggioni ll'avra' avute.

E bbenedetto sia 'r colorabbiro
cosi' la smetteno da ristufacce
co' la lagna de' laghere ggiu' 'n Libbia
de li morti ner mare e de' naufracci
che nnue emo da penza' a li spazzi nostra.

E bbenedetto sia 'r colorabbiro
cosi' se zzitteno li communisti
che oramae je da' rretta solo er papa
che ppare er tempo de le messe bitte
che poe s'e' vvisto com'anno' a ffini'.

E bbenedetto sia 'r colorabbiro
cosi' s'arisparmiamo 'na gran munchia
de penzion' a que' vecchi boiaccioni
che nun ze decideveno a mmori'
e a llibbera' le case finarmente.

Solo 'n probblema c'e' che dda' ffastidio
che mmo' che tutte semo mascherate
paremo tutte quante manoleste
e vva pperduto er debbito rispetto
a nnue professionisti de la notte.

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 382 del 6 maggio 2020
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