[Nonviolenza] Archivi. 381
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- Date: Tue, 5 May 2020 08:07:55 +0200
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 381 del 5 maggio 2020
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di aprile 2020 (parte quinta)
2. Tre anniversari e una meditazione
3. Tonino Bello, testimone e costruttore di pace
4. Ricordando Ernesto Buonaiuti
5. Omero Dellistorti: Tantalone
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI APRILE 2020 (PARTE QUINTA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di aprile 2020.
2. TRE ANNIVERSARI E UNA MEDITAZIONE
In un fazzoletto di giorni, tra oggi e la fine del mese, ricorrono tre anniversari che molto ci stanno a cuore.
Oggi, 20 aprile, e' l'ottantottesimo anniversario della nascita di don Dante Bernini, un maestro e un amico e un compagno (nel senso autentico del termine: la persona che condivide il suo pane con le altre) che ci ha lasciato alcuni mesi fa ma il cui ricordo, il magistero, la testimonianza, sono piu' vivi che mai.
Il 25 aprile nell'anniversario della liberazione d'Italia dal barbaro dominio nazifascista faremo memoria ancora una volta di tutte le donne e tutti gli uomini di volonta' buona che del fascismo furono vittime, che al fascismo resistettero, che difendendo la dignita' umana propria e di tutti il fascismo sconfissero.
Ma il 25 aprile per noi e per tutti coloro che lo hanno conosciuto ed amato e' anche l'anniversario della scomparsa di padre Ernesto Balducci, un altro straordinario maestro, e amico, e compagno, cui ci lega un affetto profondo, una gratitudine che non si estingue.
E il 30 aprile ricorrera' il decimo anniversario della scomparsa di Alfio Pannega, anch'egli indimenticabile maestro, amico e compagno.
*
L'esperienza del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo nacque negli anni Settanta del secolo scorso; sono passati piu' di quarant'anni, ed e' naturale che le persone che abbiamo avuto per luminosi punti di riferimento, piu' vecchie di noi ormai vecchi, ci lascino, come le foglie di quell'ode antica; ci lascino soli e desolati, ed insieme investiti del compito di tramandare i loro insegnamenti, di proseguire il loro impegno, di essere degni di aver conosciuto la loro testimonianza, di continuare sulla via comune da essi percorsa, la via del bene comune dell'umanita', la via dell'opposizione nitida e intransigente ad ogni violenza, ad ogni menzogna e ad ogni oppressione; la via della pace, della solidarieta', della nonviolenza; la via della condivisione del bene e dei beni.
Questo andare delle generazioni precedenti e venire delle nuove e' il ritmo della vita, che insieme ci stringe, e ci stringe il cuore. Ma l'opera delle persone buone resta, resta l'esempio, resta il legato.
Sappiamo che in un tempo molto lungo tutto finira', e che in un tempo molto piu' breve ma comunque superiore all'esistenza di una persona e di una generazione gia' svaniscono molte memorie. Come scrisse una volta Hampate' Ba, ogni volta che muore un anziano e' come se bruciasse per sempre un'intera biblioteca, si perdesse per sempre un immenso sapere. Il fiume del tempo non si arresta. La vita umana incessantemente si consuma.
E proprio per questo nel breve tempo della propria vita occorre che essa non sia dissipata ma messa a frutto, occorre che essa non sia solitudine ma dono, che sia tutta orientata e protesa a recare soccorso, accoglienza, assistenza e conforto a chiunque di soccorso, accoglienza, assistenza e conforto abbia bisogno. Siamo animali sociali, possiamo vivere una vita degna solo se la viviamo insieme. L'unico modo per non perdere la propria vita e' donarla alle altre persone, nel rispetto e nell'aiuto reciproco, nella lotta comune contro il male e la morte, nella messa in comune del pane, dell'acqua, della tenda e del fuoco. Nella lotta contro tutti i fascismi. Nella difesa condivisa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, nella difesa solidale dell'intero mondo vivente, quest'unico mondo vivente che e' la casa comune dell'umanita' intera, che di esso e' parte e custode ad un tempo.
Cosi' ricordiamo don Dante Bernini, padre Balducci, Alfio Pannega, i martiri della Resistenza, e Primo Levi, e Vittorio Emanuele Giuntella, e tante e tanti altri che ci sono stati maestri e compagni: farne memoria non e' vuota retorica, meccanico rituale o mera funzione apotropaica; farne memoria e' rinnovare un vincolo, un legame, una promessa e un impegno con l'intera umanita'; farne memoria e' riaffermare l'umanita' dell'umanita' cosi' come ogni persona la incarna. Farne memoria e' attestare la decisione di ripetere il gesto del buon samaritano. Farne memoria e' dichiarare la volonta' di inverare una volta ancora in ogni scelta e in ogni gesto - e cosi' effettualmente tramandare - la regola aurea dell'umano convivere affermata in tutte le grandi tradizioni culturali, la regola aurea che recita: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
*
In questi tempi in cui la tragedia dell'epidemia pone l'umanita' di fronte a responsabilita' ineludibili, in primo luogo occorre agire per salvare le vite; prendersi cura del mondo vivente; prender coscienza della fragilita' non solo delle singole esistenze, ma delle societa' e delle culture, degli ecosistemi e della stessa biosfera: e presa coscienza di cio' agire per preservare la vita in tutte le sue forme, e contrastare quindi tutte le ideologie e le pratiche - sia attive che omissive - distruttive e mortifere, tutte le iniquita', tutte le devastazioni, tutti gli avvelenamenti, tutti i rapporti di dominazione e tutti gli stili di vita che provocano alienazione e perdite, dissipazione e narcosi, umiliazioni e sofferenze, privazione di senso e disperazione, abusi e vilta', cecita' e indifferenza, degradazione e desertificazione morale, sociale, fisica: in una parola l'annichilimento dell'umanita'.
La tragedia in corso ci convoca a un esame di coscienza, e dunque a deciderci a fare cio' che e' giusto e benefico e ad opporci a cio' che buono e giusto non e'.
Ci convoca a collocarci - in ogni nostra intellezione e cogitazione, in ogni nostra volizione e in ogni nostro atto - dal punto di vista dell'umanita'.
Ci convoca quindi ad abbracciare la scelta della nonviolenza, che e' l'opposizione la piu' nitida e la piu' intransigente a tutte le violenze e a tutte le vilta', a tutte le infingardaggini e a tutte le rassegnazioni; ci convoca a rompere ogni subalternita' e complicita' con il male e la morte.
Per chi scrive queste righe tutto cio' e' anzitutto la lezione di Giacomo Leopardi e Albert Camus, di Simone Weil e Hannah Arendt, di Emmanuel Levinas e di Hans Jonas, per altre persone altri saranno i riferimenti e gli esempi, ma quel che e' certo e' che tutte le voci piu' alte dell'umanita' convergono nel convocare a questo impegno comune per la comune salvezza, a questo impegno integrale di giustizia e liberta', di responsabilita' e condivisione, di riconoscimento e di riconoscenza.
E questo e' stato l'insegnamento costante di Dante Bernini, di Ernesto Balducci, di Alfio Pannega, di tutte le resistenze all'oppressione, di tutte le riflessioni e le azioni intese al bene comune dell'umanita'.
Perche' quello che conta e' riconoscere, difendere, promuovere la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani e proteggere l'esistenza dell'intero mondo vivente.
*
E cosi', in questi giorni luttuosi, dovremmo anche essere capaci di parresia, di dire la verita'.
Di dire che l'immane strage provocata dal coronavirus non e' solo conseguenza di un evento fortuito ed imprevedibile, ma e' conseguenza anche dell'imprevidenza e dell'irresponsabilita' di pubblici poteri che hanno privilegiato interessi di parte e calcoli egoistici, e che con narcisistica stupidita', tracotante presunzione e sconfinato egoismo, hanno contribuito in ampia misura al determinarsi della strage, che poteva essere se non evitata almeno ridotta a termini minimi con interventi tempestivi e adeguati che invece hanno tardato o non ci sono stati affatto.
Quanto ha contribuito ad espandere gli effetti funesti del virus il permanere e prevalere nei decisori pubblici - e nei potentati economici che li influenzano ed effettualmente scandalosamente dirigono - di ideologie e prassi surdeterminate dalla volonta' di mantenere come principio e cardine del loro decidere e agire il primato della massimizzazione del profitto e del consumismo sfrenato?
Quanto ha contribuito ad espandere gli effetti funesti del virus il permanere e prevalere di logiche abiette come quella che privilegia la produzione di merci (e tra esse finanche le piu' inutili e peggio che inutili, nocive: come la produzione di bombe) rispetto alle vite umane?
Quanto ha contribuito ad espandere gli effetti funesti del virus il permanere e prevalere di interessi e volonta' che nelle guerre e nelle catastrofi vedono innanzitutto lucrative occasioni di speculazione?
Dovremmo pure parlare della strage degli anziani, che l'epidemia rivela in forma apocalittica, ma che era gia' in corso, sebbene occulta, sebbene lenta, presente gia' con la scelta di recludere chi e' piu' fragile in istituzioni totali recidendo i legami con tutto cio' che da' un senso alla vita di una persona. Noi non abbiamo dimenticato la lezione di Franca Ongaro e di Franco Basaglia. Nessuno dovrebbe essere recluso in un'istituzione totale. Tra gli impegni della riforma sanitaria del 1978 decisivo era quello per la territorializzazione dell'assistenza; ma della riforma sanitaria del 1978 nel corso dei decenni si e' progressivamente fatto strame da parte di un ceto politico ed amministrativo nella sua parte dominante rivelatosi piu' che insipiente: cannibale; parte e servente del regime della corruzione: e del regime della corruzione nelle catastrofi deflagrano vieppiu' gli esiti perversi e sanguinari.
E dovremmo dire della violenza inaudita dei poteri dominanti contro gli innocenti che fuggono dalle guerre e dalla fame, e che giungono qui confidando di trovare quell'asilo che la Costituzione della Repubblica italiana garantisce loro, e che invece trovano schiavitu' e apartheid.
E della feroce dominazione di classe ai danni dei rapinati e degli impoveriti dal rapace meccanismo dello sfruttamento e del'appropriazione privata che priva finanche dei beni fondamentali la stragrande maggioranza dell'umanita': non e' affatto vero che dinanzi a una catastrofe come questa siamo tutti uguali, al contrario: essa rivela ancor piu' la violenza dei potenti, essa evidenzia ancora di piu' l'iniquita' e l'abuso dei gruppi dominanti, essa smaschera l'orrore che abitualmente i piu' non riescono a percepire non solo perche' narcotizzati dalle agenzie dell'obnubilamento (i mass-media in testa) ma anche perche', come scrisse una volta il poeta di Augusta, "quando i crimini si moltiplicano diventano invisibili".
Si', dovremmo essere capaci di parresia.
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E cosi' dovremmo anche essere capaci di misericordia, che e' un altro nome della nonviolenza, che e' il sentire e l'agire che al male si oppone, il sentire e l'agire che invera l'umanita' dell'umanita'.
La misericordia: che e' il legato piu' grande della Resistenza che sconfisse il fascismo. Lo scrisse con parole indimenticabili Piero Calamandrei nella piu' celebre delle sue epigrafi, parlando di "questo patto / giurato fra uomini liberi / che volontari si adunarono / per dignita' non per odio / decisi a riscattare / la vergogna e il terrore del mondo".
La misericordia, che ha ispirato l'intera vita di Dante Bernini, di Ernesto Balducci, di Alfio Pannega, e la vita di ogni donna e ogni uomo di volonta' buona.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.
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Una minima notizia su Dante Bernini
"Vescovo emerito della diocesi di Albano, gia' presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Italiana e gia' membro della "Comece'" (Commission des Episcopats de la Communaute' Europeenne), una delle figure piu' illustri dell'impegno di pace, solidarieta', nonviolenza, che nell'arco dell'intera sua vita come sacerdote e come docente e' stato costantemente impegnato per la pace e per la giustizia, nella solidarieta' con i sofferenti e gli oppressi, nell'impegno per la salvaguardia del creato, nella promozione della nonviolenza, unendo all'adempimento scrupoloso dei prestigiosi incarichi di grande responsabilita' un costante ascolto di tutti coloro che a lui venivano a rivolgersi per consiglio e per aiuto, a tutti sempre offrendo generosamente il suo conforto e sostegno, la sua parola buona e luminosa e l'abbraccio suo saldo e fraterno". Cosi' nella motivazione del riconoscimento attribuitogli il 2 ottobre 2014, nella Giornata internazionale della nonviolenza, dalla Citta' di Viterbo con una solenne cerimonia nella Sala Regia di Palazzo dei Priori. Successivamente, il 13 aprile 2015, nell'anniversario della promulgazione della "Pacem in Terris", era stata realizzata in suo onore a Viterbo una "Giornata per la Pace".
Era nato a La Quercia, piccola frazione di Viterbo, il 20 aprile 1922, e vi era tornato a vivere nell'operosa sua vecchiaia; li' e' deceduto il 27 settembre 2019. Persona buona, costruttore di pace, luminosa figura della nonviolenza, era un punto di riferimento per ogni persona bisognosa di aiuto come per ogni persona impegnata nella solidarieta' concreta, per il bene comune dell'umanita', per la salvaguardia del mondo vivente.
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Una minima notizia su Ernesto Balducci
Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici problemi dell'ora presente.
Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa (Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato.
Opere su Ernesto Balducci: cfr. almeno i fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995; un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996; cfr. anche il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l'"uomo inedito", Fondazione Ernesto Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004.
Per contattare la Fondazione Ernesto Balducci: www.fondazionebalducci.it
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Una minima notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione. Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, 3515-3517, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213.
*
Le epigrafi di Piero Calamandrei per donne, uomini e citta' della Resistenza
VIVI E PRESENTI CON NOI
FINCHE' IN LORO
CI RITROVEREMO UNITI
MORTI PER SEMPRE
PER NOSTRA VILTA'
QUANDO FOSSE VERO
CHE SONO MORTI INVANO
(In limine al libro Uomini e citta' della Resistenza)
*
DA QUESTA CASA
OVE NEL 1925
IL PRIMO FOGLIO CLANDESTINO ANTIFASCISTA
DETTE ALLA RESISTENZA LA PAROLA D'ORDINE
NON MOLLARE
FEDELI A QUESTA CONSEGNA
COL PENSIERO E COLL'AZIONE
CARLO E NELLO ROSSELLI
SOFFRENDO CONFINI CARCERI ESILII
IN ITALIA IN FRANCIA IN SPAGNA
MOSSERO CONSAPEVOLI PER DIVERSE VIE
INCONTRO ALL'AGGUATO FASCISTA
CHE LI RICONGIUNSE NEL SACRIFICIO
IL 9 GIUGNO 1937
A BAGNOLES DE L'ORNE
MA INVANO SI ILLUSERO GLI OPRESSORI
DI AVER FATTO LA NOTTE SU QUELLE DUE FRONTI
QUANDO SPUNTO' L'ALBA
SI VIDERO IN ARMI
SU OGNI VETTA D'ITALIA
MILLE E MILLE COL LORO STESSO VOLTO
VOLONTARI DELLE BRIGATE ROSSELLI
CHE SULLA FIAMMA RECAVANO IMPRESSO
GRIDO LANCIATO DA UN POPOLO ALL'AVVENIRE
GIUSTIZIA E LIBERTA'
(Epigrafe sulla casa dei fratelli Rosselli, in Firenze, via Giusti n. 38)
*
GIUSTIZIA E LIBERTA'
PER QUESTO MORIRONO
PER QUESTO VIVONO
(Epigrafe sulla tomba dei fratelli Rosselli, nel cimitero di Trespiano - Firenze)
*
NON PIU' VILLA TRISTE
SE IN QUESTE MURA
SPIRITI INNOCENTI E FRATERNI
ARMATI SOL DI COSCIENZA
IN FACCIA A SPIE TORTURATORI CARNEFICI
VOLLERO
PER RISCATTARE VERGOGNA
PER RESTITUIR DIGNITA'
PER NON RIVELARE IL COMPAGNO
LANGUIRE SOFFRIRE MORIRE
NON TRADIRE
(Epigrafe sulla villa di via Bolognese, a Firenze - dove fu la sede della banda Carita' - nella quale Enrico Bocci fu torturato: e che fu chiamata in quei mesi "Villa triste")
*
GIANFRANCO MATTEI
DOCENTE UNIVERSITARIO DI CHIMICA
NELL'ORA DELL'AZIONE CLANDESTINA
FECE DELLA SUA SCIENZA
ARMA PER LA LIBERTA'
COMUNIONE COL SUO POPOLO
SILENZIOSA SCELTA DEL MARTIRIO
SU QUESTA CASA OVE NACQUE
RIMANGANO INCISE
LE ULTIME PAROLE SCRITTE NEL CARCERE
QUANDO SOTTRASSE AL CARNEFICE
E INVITTA CONSEGNO' ALL'AVVENIRE
LA CERTEZZA DELLA SUA FEDE
"SIATE FORTI - COME IO LO FUI"
Milano 11 dicembre 1916 - Roma febbraio 1944
(Epigrafe sulla casa di Milano, ove nacque l'11 dicembre 1916 Gianfranco Mattei)
*
LA MADRE
QUANDO LA SERA TORNAVANO DAI CAMPI
SETTE FIGLI ED OTTO COL PADRE
IL SUO SORRISO ATTENDEVA SULL'USCIO
PER ANNUNCIARE CHE IL DESCO ERA PRONTO
MA QUANDO IN UN UNICO SPARO
CADDERO IN SETTE DINANZI A QUEL MURO
LA MADRE DISSE
NON VI RIMPROVERO O FIGLI
D'AVERMI DATO TANTO DOLORE
L'AVETE FATTO PER UN'IDEA
PERCHE' MAI PIU' NEL MONDO ALTRE MADRI
DEBBAN SOFFRIRE LA STESSA MIA PENA
MA CHE CI FACCIO QUI SULLA SOGLIA
SE PIU' LA SERA NON TORNERETE
IL PADRE E' FORTE E RINCUORA I NIPOTI
DOPO UN RACCOLTO NE VIENE UN ALTRO
MA IO SONO SOLTANTO UNA MAMMA
O FIGLI CARI
VENGO CON VOI
(Epigrafe dettata per il busto, collocato nella sala del consiglio del Comune di Campegine, di Genoveffa Cocconi, madre dei sette fratelli Cervi, morta di dolore poco dopo la loro fucilazione)
*
A POCHI METRI DALL'ULTIMA CIMA
AVVOLTA NEL NEMBO
QUALCUNO PIU' SAGGIO DISSE SCENDIAMO
MA LIVIO COMANDA
QUANDO UN'IMPRESA SI E' COMINCIATA
NON VALE SAGGEZZA
A TUTTI I COSTI BISOGNA SALIRE
DALLA MONTAGNA NERA
DOPO DIECI ANNI DAL PRIMO CONVEGNO
S'AFFACCIANO LE OMBRE IN VEDETTA
L'HANNO RICONOSCIUTO
SVENTOLANO I VERDI FAZZOLETTI
RICANTAN LE VECCHIE CANZONI
E' LIVIO CHE SALE
E' IL LORO CAPO
CHE PER NON RINUNCIARE ALLA VETTA
TRA I MORTI GIOVANI
GIOVANE ANCH'EGLI
E' VOLUTO RESTARE
ASCIUGHIAMO IL PIANTO
GUARDIAMO SU IN ALTO
IN CERCA DI TE
COME TI VIDERO I TEDESCHI FUGGENTI
FERMO SULLA RUPE
LE SPALLE QUADRATE MONTANARE
LA MASCHIA FRONTE OSTINATA
L'OCCHIO ACCESO DI DOLCE FIEREZZA
FACCI UN CENNO LIVIO
SE VACILLEREMO
A TUTTI I COSTI BISOGNA SALIRE
ANCHE SE QUESTO
E'
MORIRE
(Epigrafe per la morte di Livio Bianco avvenuta nel luglio del 1953, per una sciagura di montagna)
*
DALL'XI AGOSTO MCMXLIV
NON DONATA MA RICONQUISTATA
A PREZZO DI ROVINE DI TORTURE DI SANGUE
LA LIBERTA'
SOLA MINISTRA DI GIUSTIZIA SOCIALE
PER INSURREZIONE DI POPOLO
PER VITTORIA DEGLI ESERCITI ALLEATI
IN QUESTO PALAZZO DEI PADRI
PIU' ALTO SULLE MACERIE DEI PONTI
HA RIPRESO STANZA
NEI SECOLI
(Epigrafe apposta dopo la liberazione sulla parete di Palazzo Vecchio che guarda Via dei Gondi, a Firenze)
*
SULLE FOSSE DEL VOSTRO MARTIRIO
NEGLI STESSI CAMPI DI BATTAGLIA
O SUPPLIZIATI DI BELFIORE
O VOLONTARI DI CURTATONE E MONTANARA
DOPO UN SECOLO
MANTOVA VI AFFIDA
QUESTI SUOI CADUTI DELLA GUERRA PARTIGIANA
COME VOI SONO ANDATI INCONTRO ALLA MORTE
A FRONTE ALTA CON PASSO SICURO
SENZA VOLTARSI INDIETRO
ACCOGLIETELI OMBRE FRATERNE
SONO DELLA VOSTRA FAMIGLIA
MUTANO I VOLTI DEI CARNEFICI
RADETZKY O KESSELRING
VARIANO I NOMI DELLE LIBERAZIONI
RISORGIMENTO O RESISTENZA
MA L'ANELITO DEI POPOLI E' UNO
NELLA STORIA DOVE I SECOLI SONO ATTIMI
LE GENERAZIONI SI TRASMETTONO
QUESTA FIAMMA RIBELLE
PATIBOLI E TORTURE NON LA SPENGONO
DOPO CENT'ANNI
QUANDO L'ORA SPUNTA
I CIMITERI CHIAMANO LIBERTA'
DA OGNI TOMBA BALZA UNA GIOVANE SCHIERA
L'AVANZATA RIPRENDE
FINO A CHE OGNI SCHIAVITU' SARA' BANDITA
DAL MONDO PACIFICATO
(Epigrafe murata nella sala del Palazzo Provinciale di Mantova nel primo decennale della Resistenza, giugno 1954)
*
RITORNO DI KESSELRING
NON E' PIU' VERO NON E' PIU' VERO
O FUCILATI DELLA RESISTENZA
O INNOCENTI ARSI VIVI
DI SANT'ANNA E DI MARZABOTTO
NON E' PIU' VERO
CHE NEL ROGO DEI CASALI
DIETRO LE PORTE INCHIODATE
MADRI E CREATURE
TORCENDOSI TRA LE FIAMME
URLAVANO DISPERATAMENTE PIETA'
AI CAMERATI GUASTATORI
CHE SI GLORIARONO DI QUELLE GRIDA
SIA RESA ALFINE GIUSTIZIA
RIPRENDANO TORCE ED ELMETTI
SI SCHIERINO IN PARATA
ALTRI ROGHI DOVRANNO ESSERE ACCESI
PER LA FELICITA' DEL MONDO
NON PIU' FIORI PER LE VOSTRE TOMBE
SONO STATI TUTTI REQUISITI
PER FARE LA FIORITA
SULLE VIE DEL LORO RITORNO
LI COMANDERA' ANCORA
COLL'ONORE MILITARE
CUCITO IN ORO SUL PETTO
IL CAMERATA KESSELRING
IL VOSTRO ASSASSINO
*
IL MONUMENTO A KESSELRING
LO AVRAI
CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRA'
A DECIDERLO TOCCA A NOI
NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITA'
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE
MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIU' DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI SI ADUNARONO
PER DIGNITA' NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO
SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
CHE SI CHIAMA
ORA E SEMPRE
RESISTENZA
(Lapide murata nel Palazzo Comunale di Cuneo il 21 dicembre 1952)
*
ALL'OMBRA DI QUESTE MONTAGNE
IL 12 SETTEMBRE 1943
POCHI RIBELLI QUI CONVENUTI
ARMATI DI FEDE E NON DI GALLONI
FURONO LA PRIMA PATTUGLIA
DELLA RESISTENZA PIEMONTESE
CHE DOPO DUE INVERNI
CON DUCCIO E LIVIO AL COMANDO
PER OGNI CADUTO CENTO SOPRAGGIUNTI
DIVENTO'
L'ESERCITO DI GIUSTIZIA E LIBERTA'
DILAGANTE VITTORIOSO IN PIANURA
NEL PRIMO DECENNALE
I VIVI SALUTANO I MORTI
DORMITE IN PACE COMPAGNI
L'IMPEGNO DI MARCIARE INSIEME
VERSO L'AVVENIRE
NON E' CADUTO
(Epigrafe murata sulla Chiesa di Madonna del Colletto, inaugurata il 27 settembre 1953 con un discorso di Ferruccio Parri)
*
CONTRO OGNI RITORNO
INERMI BORGATE DELL'ALPE
ASILO DI RIFUGIATI
PRESE D'ASSALTO COI LANCIAFIAMME
ARSI VIVI NEL ROGO DEI CASALI
I BAMBINI AVVINGHIATI ALLE MADRI
FOSSE NOTTURNE SCAVATE
DAGLI ASSASSINI IN FUGA
PER NASCONDERVI STRAGI DI TRUCIDATI INNOCENTI
QUESTO VI RIUSCI'
S. TERENZIO BERGIOLA ZERI VINCA
FORNO MOMMIO TRAVERDE S. ANNA S. LEONARDO
SCRIVETE QUESTI NOMI
SON LE VOSTRE VITTORIE
MA ESPUGNARE QUESTE TRINCEE DI MARMO
DI DOVE IL POPOLO APUANO
CAVATORI E PASTORI
E LE LORO DONNE STAFFETTE
TUTTI ARMATI DI FAME E DI LIBERTA'
VI SFIDAVA BEFFARDO DA OGNI CIMA
QUESTO NON VI RIUSCI'
ORA SUL MARE SON TORNATI AL CARICO I VELIERI
E NELLE CAVE I BOATI DELLE MINE
CHIAMAN LAVORO E NON GUERRA
MA QUESTA PACE NON E' OBLIO
STANNO IN VEDETTA
QUESTE MONTAGNE DECORATE DI MEDAGLIE D'ORO
AL VALORE PARTIGIANO
TAGLIENTI COME LAME
IMMACOLATO BALUARDO SEMPRE ALL'ERTA
CONTRO OGNI RITORNO
(Epigrafe scolpita sul marmo della stele commemorativa delle Fosse del Frigido, inaugurata il 21 ottobre 1954)
*
FANTASMI
NON RAMMARICATEVI
DAI VOSTRI CIMITERI DI MONTAGNA
SE GIU' AL PIANO
NELL'AULA OVE FU GIURATA LA COSTITUZIONE
MURATA COL VOSTRO SANGUE
SONO TORNATI
DA REMOTE CALIGINI
I FANTASMI DELLA VERGOGNA
TROPPO PRESTO LI AVEVAMO DIMENTICATI
E' BENE CHE SIANO ESPOSTI
IN VISTA SU QUESTO PALCO
PERCHE' TUTTO IL POPOLO
RICONOSCA I LORO VOLTI
E SI RICORDI
CHE TUTTO QUESTO FU VERO
CHIEDERANNO LA PAROLA
AVREMO TANTO DA IMPARARE
MANGANELLI PUGNALI PATIBOLI
VENT'ANNI DI RAPINE DUE ANNI DI CARNEFICINE
I BRIGANTI SUGLI SCANNI I GIUSTI ALLA TORTURA
TRIESTE VENDUTA AL TEDESCO
L'ITALIA RIDOTTA UN ROGO
QUESTO SI CHIAMA GOVERNARE
PER FAR GRANDE LA PATRIA
APPRENDEREMO DA FONTE DIRETTA
LA STORIA VISTA DALLA PARTE DEI CARNEFICI
PARLERANNO I DIPLOMATICI DELL'ASSE
I FIERI MINISTRI DI SALO'
APRIRANNO
I LORO ARCHIVI SEGRETI
DI OGNI IMPICCATO SAPREMO LA SEPOLTURA
DI OGNI INCENDIO SI RITROVERA' IL PROTOCOLLO
CIVITELLA SANT'ANNA BOVES MARZABOTTO
TUTTE IN REGOLA
SAPREMO FINALMENTE
QUANTO COSTO' L'ASSASSINIO
DI CARLO E NELLO ROSSELLI
MA FORSE A QUESTO PUNTO
PREFERIRANNO RINUNCIARE ALLA PAROLA
PECCATO
QUESTI GRANDI UOMINI DI STATO
AVREBBERO TANTO DA RACCONTARE
(Epigrafe pubblicata sul "Ponte" dopo le elezioni politiche del 7 giugno 1953)
3. TONINO BELLO, TESTIMONE E COSTRUTTORE DI PACE
Ricorre oggi l'anniversario della scomparsa, il 20 aprile 1993, di don Tonino Bello, che e' stato uno dei grandi testimoni e costruttori dell'impegno di pace, di solidarieta', di nonviolenza.
Ricordandolo in un incontro di alcuni anni fa dicevamo: "Porsi all'ascolto di Tonino Bello e' chiarire a se stessi le ragioni della dignita' umana, della pace, della salvaguardia della biosfera, della responsabilita' e della solidarieta' che tutte le persone e l'intero mondo vivente riconosce e raggiunge e sostiene. Porsi all'ascolto di Tonino Bello e' scegliere la nonviolenza, forza della verita' ed impegno di liberazione dell'umanita'. Porsi all'ascolto di Tonino Bello e' decidersi alla lotta contro tutte le violenze".
*
Una minima notizia su don Tonino Bello
Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993; costantemente impegnato dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli immigrati, per il disarmo, per i diritti dei popoli e la dignita' umana, ideatore ed animatore di grandi iniziative nonviolente, e' stato un grande costruttore di pace e profeta di nonviolenza.
Opere di Tonino Bello: segnaliamo particolarmente, tra le molte sue pubblicazioni, I sentieri di Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989; Il vangelo del coraggio, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996; e' in corso la pubblicazione di tutte le opere in Scritti di mons. Antonio Bello, Mezzina, Molfetta 1993 sgg., volumi vari.
Opere su Tonino Bello: cfr. per un avvio Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001; Claudio Ragaini, Don Tonino, fratello vescovo, Edizioni Paoline, Milano 1994; Alessandro D'Elia, E liberaci dalla rassegnazione. La teologia della pace in don Tonino Bello, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2000.
Nella rete telematica materiali utili di e su Tonino Bello sono nel sito di Pax Christi: www.paxchristi.it, in quello de La Meridiana: www.lameridiana.it e in molti altri ancora.
4. RICORDANDO ERNESTO BUONAIUTI
Commosso ricordo in questo anniversario Ernesto Buonaiuti
i cui libri nutrienti ho letto
che disse no al fascismo e che sapeva
che occorre amare insieme l'umanita' e la verita'
perche' la verita' non e' altra cosa
che volere il bene comune
riconoscere che siamo una sola umana famiglia
prendersi cura del mondo vivente
adempiere il primo dovere che consiste nel salvare le vite
soccorrere accogliere assistere ogni persona bisognosa di aiuto
mai dimenticando che l'altro dell'altro sei tu
sapendo che solo insieme ci possiamo salvare
che essere umano tra esseri umani e' la cosa migliore
e che al male occorre opporsi facendo il bene
alla violenza opponendo la nonviolenza
all'indifferenza la misericordia
che ovunque ti trovi sei sempre sulla strada verso Gerico.
Qui lo ricordo e insieme a lui ricordo
Vittorio Emanuele Giuntella con cui un giorno a Capranica
di Buonaiuti ragionammo forse quarantacinqu'anni fa
e di nonviolenza mi fu indimenticabile maestro.
5. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: TANTALONE
Era fatto cosi', Tantalone: non gli stava mai bene niente. Ogni tre parole due bestemmie, ogni cinque minuti una baccagliata. Gli volevamo bene lo stesso, era fatto cosi', pero' era sempre una bella scocciatura.
Tu gli dicevi "Bongiorno, Tantalo'" e lui subito "Bongiorno un par de ciuffoli, nu' lo vedi che sta ppe' ppiove?".
Tu gli dicevi "Se lo famo 'n cognacchino?" e lui rispondeva "Ficchetelo in mezzo a le cornaccia tue".
Se qualcuno che non lo vedeva da parecchio tempo s'avvicinava a braccia aperte, lui quando il soggetto in movimento era giunto a distanza adeguata gli mollava una zampata dove si sentiva meglio.
Era fatto cosi'.
*
Lo chiamavano Tantalone dopo che ebbe ammazzato uno. Prima lo chiamavano Tontolone, perche' era proprio un pezzo di pane. Ma a forza di chiamarlo Tontolone oggi e Tontolone domani era finita che non ne poteva piu'. Perche' non e' che lo chiamassero Tontolone e basta, no, dopo ci facevano il raglio, il fischio, il pernacchio, lo gnaulio, l'ululato, e pure l'uomo piu' buono del mondo viene il momento che gli pigliano i cinque minuti.
Dopo gli era pure dispiaciuto di aver ammazzato il cugino, che erano pure stati a scuola insieme e io lo so perche' c'ero pur'io a scuola con loro che allora c'era solo la pluriclasse al paese; eravamo amici tutt'e tre, sempre insieme a fare baldoria e sempre insieme a fare le male azioni che ci chiamavamo i tre moschettieri, cosi' ci chiamavamo.
Mi fece proprio dispiacere quando Tantalone ammazzo' Rugagnetto, pero' io glielo avevo detto un miliardo di volte a Rugagnetto di farla finita, che gia' a scuola era lui che gli aveva messo quel soprannome e sempre lui faceva il maestro del coro e lo chiamava Tontolo' tutte le volte che c'era qualcuno che sentiva. Era maligno Rugagnetto era, lo dico con tutto che eravamo amici, perche' la verita' e' la verita' e uno ha da essere amico della magica verita' piu' che un plotone. Che e' un modo di dire antico di quando c'era sempre la guerra, non come adesso che la gente s'ammazza senza bisogno della scusa della guerra.
Dopo che ebbe ammazzato il cugino fini' al gabbio, e' naturale. E usci' dal gabbio che gli erano venuti tutti i capelli bianchi.
Il giorno prima che uscisse dal carcere, che al paese lo avevamo saputo da Nazareno che fa la guardia e allora sta in galera tutto il giorno pure lui solo che lo pagano e la sera torna a casa, al bar ci fu un consiglio come quello degli indiani che devono decidere tra il calumette della pace e l'ascia di guerra: eravamo io, Attila, Manolonga e Gino il baro, che siamo quelli che al bar ci stiamo sempre giorno e notte e siamo una specie di capoccia del paese, pure perche' se qualcuno ruga lo fa una volta sola e il giorno dopo lo trovano impalato dietro al monnezzaro e la casa bruciata. Ci vuole qualcuno che mantiene l'ordine e la disciplina.
Cosi' prendemmo la decisione che a Tontolone non si doveva piu' chiamarlo Tontolone ma Tantalone, che gli assomiglia ma non e' un'offesa che uno ti ci sbudella. E quando la mattina dopo scese dal pullman, che la fermata e' proprio davanti al bar, fui io a fare il comitato d'accoglienza e gli strillai: "Allora t'hanno rimannato a casa, eh, Tantalo'". E lui: "Com'hai detto?". E io: "Allora t'hanno rimannato a casa, eh, Tantalo'". E lui: "Nun ho capito bene l'ultima parola". E io: "L'ultima parola era Tantalo'". E lui: "E che vorrebbe da di'?". E io: "Gnente, e' un nome de uno antico". "Bono o cattivo?". "Cattivo come la fame". "Allora me sta bene". Poi entro' nel bar a ciuccasse. Ando' esattamente cosi', ho saltato solo le bestemmie, le sue e le mie. Le bestemmie si dicono li' per li' perche' si devono dire e ci stanno bene, ma quando poi racconti i fatti fanno brutta impressione perche' sembrano una cosa da cafoni e a nessuno gli piace di sembrare un cafone.
*
Di lavoro lavorava di giorno all'officina di Sbatacchione ma soprattutto lavorava di notte, pero' mai nel paese, e dopo ogni lavoro non si scordava mai di portare il regaletto agli amici del bar, che saremmo io, Attila, Manolonga e Gino il baro. All'inizio voleva fare per conto suo senza spartire con nessuno, perche' era uno scorbutico da quando era uscito di galera, e scorbutico scorbutico; pero' un giorno gli insegnammo l'educazione e non fu facile neppure in quattro contro uno e tocco' strappargli via tre unghie prima che la facesse finita e capisse le buone maniere, e poi non sgarro' piu'.
Fino a tre giorni fa.
*
Perche' la mattina di lunedi' trovarono seduto per terra appoggiato al cartello stradale con scritto il nome del paese, che pero' sta un par di chilometri fuori del paese, uno senza capoccia; un cadavere, si', un cadavere, perche', voi l'avete visto mai un cristiano senza capoccia che continua a campa'? Io no. E infatti era morto e puzzava, perche' non e' che era senza testa e basta. E siccome era tutto bruciato perche' dopo avergli fatto il lavoretto l'avevano incipriato tutto ben benino dal collo ai piedi di calce viva, la gente si chiedeva chi era il distrattone che aveva perso la testa. Ma non e' che ci volle molto a capirlo, perche' quel giorno Gino il baro al bar non si fece vedere, e chi vuole capire capisce.
Con Attila e Manolonga facemmo un consiglio di guerra. E' chiaro che il primo pensiero era che l'aveva fatto uno di noi tre. Pero' ne parlammo come se tutti e tre pensassimo che fosse stato qualcun altro. Ma chi? Perche' Gino il baro non era uno che si faceva ammazzare facile, era uno che facile ammazzava. Pero' e' vero pure che al paese lo odiavano tutti e si sa che l'odio e' meglio del viagra, ti fa fare quello che neanche te lo immaginavi di saperlo fare. Cosi' il consiglio di guerra si risolse in un nulla di fatto. Tanto per sfogarci la sera demmo fuoco alla farmacia, ma cosi', solo per fare qualche cosa. Che poi era pure una cosa stupida, che il farmacista non solo pagava l'imposta regolare regolare liscio liscio come l'olio ma era pure uno che quando gli chiedevamo qualche cosetta sfiziosa di quelle che avete capito era servizievole sempre. Io dico che si fanno un sacco di cose che se ci pensi non le faresti, perche' lo vedi che sono stupide pero' le fai lo stesso. La gente e' fatta cosi', una cosa giusta non la fa neanche se l'impicchi, invece le scemenze gli riescono pure a occhi chiusi. E' fatta cosi' la gente. Apposta e' facile disprezzarla, no?
Pero' la mattina di martedi' pure Attiletto aveva detto addio al mondo crudele. E stavolta non c'era dubbio alcuno che fosse lui, visto il corpo c'era tutto, o quasi, inchiodato al portone di casa sua, che era in fondo al paese un po' fuori mano. In bocca ci aveva uno straccio che quando lo tirarono fuori era tutto sporco di grasso e puzzava di benzina. E questo circoscriveva le ricerche a chi ci aveva a che fare col distributore di benza o coll'officina del meccanico. Ma al distributore ci lavorava solo Ninetta la pelosa, che era alta un tappo e un barattolo e come faceva a inchiodare Attilone che era alto quasi due metri pace all'anima sua? E allora, eh. E chi ci lavorava all'officina? Sbatacchione, Rivoltelletto e Tantalone. Che erano tre che magnavano i sassi e al posto delle mani ci avevano sei pale.
Mentre che con Manolonga facevamo un nuovo consiglio di guerra ce ne accorgevamo che la gente ci guardava storto, e non solo ci guardava storto - ci guardavano sempre storto tutti quanti - ma sogghignava. Sogghignava, si', avevano preso pelo. Che fu il motivo per cui feci la cianchetta a Lazzarone che ebbe l'infelice idea di passarci vicino e poi gli cercammo le costole una per una a zampate.
Intanto si faceva sera e qualche preoccupazione ce l'avevamo tutti e due. Anche perche' tutti e due non eravamo proprio sicuri che l'autore delle due opere d'arte moderna fosse per cosi' dire esterno alla cerchia nostra. Cosi' nessuno dei due s'alzava dalla sedia del bar, che tanto per fortuna restava sempre aperto. Finche' Manolonga, che beveva sempre troppo l'imbecille, dovette andare a fare un goccio d'acqua. Ora, non so se lo sapete, ma il cesso del bar e' meglio non entrarci se non ti vuoi beccare come minimo la lebbra. Cosi' Manolonga usci' per andare ad espletare la funzione corporale conseguente all'eccesso di abbeveramento nel vicoletto a fianco al bar. Usci'. E c'e' bisogno di dirlo?
Ormai albeggiava e quell'imbecille non tornava. Io non ero cosi' fesso da andare nel vicoletto prima che ci fosse luce sufficiente a vedere dove puntare il pistolone che reco sempre meco qual fido compagno d'armi. A un certo punto entra nel bar Checchignola, che s'alza presto perche' fa il giro col camion della monnezza, e dice al sor Otello che sta dietro al bancone: "E sso' tre". E il sor Otello: "Nel vicoletto?". "Nel vicoletto. E se l'e' pure fatta sotto". Allora io: "Checchigno', parla forte che qui nun se sente". E Checchignola: "Sei restato solo, Ciampico'. E mo' che fai?". Non feci niente, restai li'seduto e aspettai. Quando arrivo' la corriera un attimo prima che ripartisse feci tre balzi da pantera e ci zompai sopra. Uno sveglio lo sa quando e' il momento di cambiare aria.
*
Sul pullman c'era pure Tantalone, che mi guardava fisso e non diceva niente. Ci aveva ancora la tuta sporca di sangue. Come aveva fatto a salire sul pullman pure lui? Doveva essere salito alla fermata prima, ma come faceva a saperlo che io avrei attuato quel geniale piano di ritirata strategica e riorganizzazione? La gente e' strana. Oppure era solo una coincidenza. Lui mi guardava e io lo guardavo. Pero' lui era in posizione di vantaggio rispetto a me, perche' stava seduto dall'altra parte tre file dietro cosi' io per guardarlo dovevo girarmi, e ogni volta che mi giravo vedevo che lui mi fissava, stava zitto e fermo e mi fissava, pareva una statua il beccamorto.
Mi tocco' cambiare posto. Scalai di cinque file sempre dal lato mio e adesso ero io che vedevo lui da dietro. Pero' poi si alzo' pure lui e si mise seduto in fondo all'autobus, la carogna. Cosi' non mi resto' che risalire il pullman e mettermi al primo posto vicino all'uscita. Ero pure stanco morto perche' non avevo dormito. Con la mano impugnavo la baiaffa nella saccoccia pronta per l'uso casomai si avvicinasse, e guardando nello specchio che stava in alto in mezzo tra l'autista e lo sportello lo tenevo d'occhio. Decisi di aspettare per vedere se scendeva. Ma arrivammo al capolinea e ci tocco' scendere a tutti e due.
*
C'era un sacco di gente intorno ma a mali estremi estremi rimedi. Tirai fuori il ferro e gli dissi: "Te serve qualche cosa, Tantalo'?". "A me no, e a te?". "Manco a me". "Allora perche' ciai il pezzo in mano?". "E allora perche' ciai la tuta intinta de sangue?". "Te da' fastidio il sangue?". "Te da' fastidio lo schioppo?". "A me no". "Manco a me". Restammo zitti, io sempre con la pistola puntata e il braccio che cominciava a dolermi. Allora lui: "Pesa, eh?". E io: "Potrei pure alleggeri' essa e appesantitte a te". "Davanti a tutta 'sta gente?". "Era meglio se era un pubblico pagante, ma ppe' 'na volta se' po' dda' spettacolo pure aggratisse". "Si lo diche tu". "Lo dico io, si'". E di nuovo silenzio. Poi tantalone disse: "Ciai fatto caso a quello col telefonino?". "E allora?". "Io dico che ha chiamato la pula". "E allora?". "Allora, col ferro in mano". "Allora, tutto zuppo de sangue". "Magari smammamo". "Magari si'". "E allora via". "Pero' va' avanti tu che a mme mme vene da ride".
Lui si giro' e non lo so perche' ma allora sparai, gli sparai tutto il caricatore nella schiena, neppure lo so perche'. Si fanno un sacco di cose strane che se ci ripensi dopo mica lo sai perche' lo hai fatto.
Eravamo pure amici, eravamo stati a scuola insieme.
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 381 del 5 maggio 2020
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