[Nonviolenza] Telegrammi. 3728



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3728 del 3 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. In questo 2 maggio ricordiamo Augusto Boal e Paulo Freire
2. Del futuro, se vi sara'
3. Proposta di una lettera da inviare al governo
4. Proposta di una lettera da inviare ai Comuni
5. Prima che sia troppo tardi. Un appello
6. Giuseppe Vacca: Antonio Gramsci (2002) (parte seconda)
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. IN QUESTO 2 MAGGIO RICORDIAMO AUGUSTO BOAL E PAULO FREIRE

Cade il 2 maggio l'anniversario della scomparsa di Agusto Boal e di Paulo Freire, due illustri figure della nonviolenza, indimenticabili militanti per la liberazione dell'umanita'.
Augusto Boal e' stato il drammaturgo creatore del "teatro dell'oppresso"; e' deceduto il 2 maggio del 2009 a Rio de Janeiro, dove era nato nel 1931.
Paulo Freire e' stato uno dei piu' grandi educatori del XX secolo, promotore del movimento di cultura popolare e della pedagogia della liberazione; era nato a Recife nel 1921 ed e' deceduto il 2 maggio del 1997 a Sao Paulo.
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Una breve notizia su Augusto Boal
Augusto Boal (Rio de Janeiro, 1931-2009), intellettuale ed attivista per i diritti umani di tutti gli esseri umani, con la sua vasta e preziosa opera teatrale, artistica, educativa, ed in particolare con la geniale pratica del "teatro dell'oppresso", ha elaborato e sperimentato strumenti formativi ed operativi di enorme utilita' per tutti coloro che lottano contro la menzogna e la violenza.
Tra le opere di Augusto Boal: Il teatro degli oppressi. Teoria e tecnica del teatro, La Meridiana, Molfetta 2011; Il poliziotto e la maschera, La Meridiana, Molfetta 1993; L'arcobaleno del desiderio, La Meridiana, Molfetta, 1994; Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza, La Meridiana, Molfetta 2002.
Tra le opere su Augusto Boal: Guglielmo Schinina', Storia critica del Teatro dell'Oppresso, La Meridiana, Molfetta 1998; Alessandra Gigli, Alessandro Tolomelli, Alessandro Zanchettin, Il teatro dell'oppresso in educazione, Carocci, Roma 2008.
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Una breve notizia su Paulo Freire
Paulo Freire e' nato a Recife (Brasile) nel 1921; nel 1961 ha fondato il Movimento di cultura popolare, cominciando ad elaborare ed applicare il metodo di alfabetizzazione legato al suo nome; nel 1964 dopo il colpo di stato militare e' imprigionato; successivamente e' costretto all'esilio; tra i massimi esperti di problematiche educative (con particolar riferimento al Sud del mondo), ha continuato la ricerca e l'attivita' di alfabetizzazione in varie parti del pianeta; e' deceduto nel 1997.
Tra le opere di Paulo Freire: La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1980; L'educazione come pratica della liberta', Mondadori, Milano 1977; Pedagogia in cammino, Mondadori, Milano 1979. Cfr. anche il libro-intervista a cura di Edson Passetti, Conversazioni con Paulo Freire, Eleuthera, Milano 1996.
Tra le opere su Paulo Freire: Moacir Gadotti, Leggendo Paulo Freire, Sei, Torino 1995; Leandro Rossi, Paulo Freire profeta di liberazione, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi 1998. Per un rapido avvio alla conoscenza cfr. anche Stefano Del Grande (a cura di), Memorabilia: Paulo Freire, fascicolo monografico del "Notiziario Cdp" n. 161, gennaio-febbraio 1999, Centro di documentazione di Pistoia.
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Nel ricordo e alla scuola di Augusto Boal e di Paulo Freire continuiamo nell'impegno contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni; in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani e in difesa di quest'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta comune per la comune salvezza dell'umanita' intera.

2. REPETITA IUVANT. DEL FUTURO, SE VI SARA'

Altre ed altri verranno, migliori di noi,
dei nostri sordidi segreti rideranno.
Non ruberanno il pane all'affamato
non calcheranno il piede sopra i volti.
Sapranno dire le parole vere
sapranno dire le parole buone.
Ci guarderanno come statue di sale
forse di noi avranno compassione.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
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Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

5. REPETITA IUVANT. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. UN APPELLO

Prima che sia troppo tardi il governo faccia uscire dalle carceri sovraffollate le persone li' ristrette e le trasferisca o nelle rispettive abitazioni o in altri alloggi adeguati in cui per quanto possibile siano anch'esse al riparo dal rischio di contagio che in tutti i luoghi sovraffollati e' enorme.
Gia' troppe persone sono morte.
Di seguito una bozza di lettera che proponiamo di inviare al Ministero della Giustizia, ed alcuni indirizzi utilizzabili a tal fine.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
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La bozza di lettera
"Signor ministro della Giustizia,
come sa, con la fine del fascismo in Italia e' stata abolita la pena di morte, e la Costituzione repubblicana stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'".
Per contrastare l'epidemia di coronavirus e cercar di salvare vite umane sono state adottate - sia pure con grave ritardo - misure di distanziamento tra le persone, unico modo efficace di contenere il contagio.
Ma queste misure non possono essere adottate efficacemente in luoghi sovraffollati come le carceri italiane.
Cosicche' chi si trova nelle carceri italiane, come ristretto o come custode, e' esposto al piu' grave pericolo.
E' esposto al pericolo di essere contagiato e di rischiare la vita. E vive in una condizione di torturante paura senza potervi sfuggire.
E' palese che la permanenza in carcere, sic stantibus rebus, e' incompatibile con le indispensabili misure di profilassi per contenere il contagio; e' incompatibile con le norme sul cosiddetto "distanziamento sociale" (pessima formulazione con cui in queste settimane viene indicato il tenersi di ogni persona ad adeguata distanza dalle altre, volgarizzato col motto "restate a casa"); e' incompatibile con il fondamentale diritto di ogni essere umano alla tutela della propria vita.
Ne consegue che finche' l'epidemia non sia debellata occorre vuotare le carceri e - per dirla in breve - mandare tutti i detenuti nelle proprie case con l'ovvio vincolo di non uscirne.
Naturalmente vi saranno casi in cui cio' non sia possibile (i colpevoli di violenza domestica, ad esempio), ma anche questi casi particolari potranno essere agevolmente risolti con la collocazione in alberghi o altre idonee strutture in cui il necessario "distanziamento sociale" sia garantito.
Non si obietti che tale proposta e' iniqua: piu' iniquo, illecito e malvagio sarebbe continuare ad esporre insensatamente alla morte degli esseri umani.
E non si obietti che cosi' si rischia di non poter controllare l'effettiva costante permanenza in casa degli attuali detenuti: oggidi' non mancano affatto le risorse tecnologiche per garantire un efficace controllo a distanza che le persone attualmente ristrette destinatarie di tale provvedimento restino effettivamente nelle loro case (ovvero nelle abitazioni loro assegnate).
Ne' si obietti che cosi' si garantisce il diritto alla casa ai criminali mentre persone che non hanno commesso delitti ne sono prive: e' infatti primario dovere di chi governa il paese garantire un alloggio a tutte le persone che si trovano in Italia; nessuno deve essere abbandonato all'addiaccio o in una baracca, a tutte le persone deve essere garantita una casa: si cessi pertanto piuttosto di sperperare risorse pubbliche a vantaggio dei ricchi e si provveda a rispettare concretamente i diritti fondamentali di ogni persona, adempiendo ai doveri sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica italiana.
Signor ministro della Giustizia,
prima che sia troppo tardi si adottino i provvedimenti necessari per vuotare le carceri e mettere in sicurezza per quanto possibile la vita dei detenuti e del personale di custodia.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Voglia gradire distinti saluti,
Firma, luogo, data
Indirizzo del mittente"
*
Alcuni indirizzi utilizzabili
protocollo.gabinetto at giustizia.it,
fulvio.baldi at giustizia.it,
leonardo.pucci at giustizia.it,
gianluca.massaro at giustizia.it,
chiara.giacomantonio at giustizia.it,
roberto.natali at giustizia.it,
giuseppina.esposito at giustizia.it,
marcello.spirandelli at giustizia.it,
clelia.tanda at giustizia.it,
sabrina.noce at giustizia.it,
vittorio.ferraresi at giustizia.it,
andrea.giorgis at giustizia.it,
ufficio.stampa at giustizia.it,
andrea.cottone at giustizia.it,
gioele.brandi at giustizia.it,
mauro.vitiello at giustizia.it,
concetta.locurto at giustizia.it,
giampaolo.parodi at giustizia.it,
roberta.battisti at giustizia.it,
marina.altavilla at giustizia.it,
rita.andrenacci at giustizia.it,
dgmagistrati.dog at giustizia.it,
giuditta.rossi at giustizia.it,
antonia.bucci at giustizia.it,
paolo.attardo at giustizia.it,
tommaso.salvadori at giustizia.it,
daniele.longo at giustizia.it,
redazione at giustizia.it,
callcenter at giustizia.it,
*
Preghiamo chi ci legge di diffondere questa proposta anche ai mezzi d'informazione e ad altre persone di volonta' buona, associazioni ed istituzioni.

6. MAESTRI. GIUSEPPE VACCA: ANTONIO GRAMSCI (2002) (PARTE SECONDA)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]

Egli diresse L'Ordine nuovo quotidiano fino al maggio 1922 quando fu inviato a Mosca per rappresentare il partito presso l'Internazionale. Ma anche a Mosca, dove trascorse lunghi mesi in sanatorio, fino alla meta' del 1923 non si distacco' da Bordiga. L'opposizione del G. alla nuova tattica del Komintern era condizionata dalla visione del processo rivoluzionario maturata nel biennio 1919-20; il documento piu' significativo in tal senso e' l'intervento all'esecutivo allargato del Komintern del giugno 1923, nel quale il G. si opponeva alla fusione con i "terzini" voluta dall'Internazionale comunista dopo la scissione dei riformisti.
Intanto, nell'agosto 1922, conclusi i lavori della II Conferenza dell'esecutivo allargato dell'Internazionale comunista, il G., nel sanatorio di Serebrjanyj Bor nelle vicinanze di Mosca, aveva incontrato Julija (Giulia, Jul'ka, Iulca) Schucht, sua futura moglie, da cui ebbe i due figli Delio e Giuliano.
Figlia di Apollon A. Schucht (un "nobile senza patrimonio", oppositore antizarista, funzionario bolscevico e amico personale di Lenin), Giulia era nata nel 1896 a Ginevra e aveva studiato a Roma dove, nel 1915, si era diplomata in violino presso l'Accademia di S. Cecilia. Iscritta dal settembre 1917 al partito bolscevico, aveva partecipato, insieme con la famiglia, alla Rivoluzione d'ottobre e dal 1920 si era trasferita a Ivanovo-Voznesenk dove, al momento dell'incontro con il G., lavorava come segretaria di sezione della direzione del Sindacato dei lavoratori delle arti.
La relazione con la Schucht e' uno dei capitoli piu' importanti della biografia gramsciana: tra il G. e la famiglia di lei si sviluppo' nel tempo un legame destinato a essere parte rilevante del complesso intreccio di rapporti e di conflitti con il PCd'I, con il partito russo e con il Komintern che segnarono la vita del dirigente italiano nel carcere di Turi.
La "scelta larghissima" dei testi gramsciani raccolti nella prima edizione delle Lettere dal carcere, preparata da Togliatti con F. Platone, lasciava appena intuire i contorni di un rapporto matrimoniale e familiare che, anche a causa delle omissioni decise da Togliatti, appariva scandito e dolorosamente segnato dalla malattia e dalla lontananza di Giulia, mitigata dalla presenza assidua e affettuosa della sorella di lei Tatiana (Tania). Le successive edizioni delle lettere (Milano 1964; Torino 1965) restituivano il versante affettivo del rapporto con Giulia ma suscitavano interrogativi senza risposta sulle cause dei lunghi silenzi di lei negli anni del carcere che, come scrisse il G. nel 1931, avevano "contribuito ad aggravare il mio isolamento, facendomelo sentire piu' amaramente". L'epistolario del G., i carteggi a esso correlati, le fonti testuali conservate negli archivi ex sovietici permettono oggi di documentare quell'intreccio indissolubile tra dimensione privata e dimensione politica che caratterizzo' l'intera vicenda sentimentale e coniugale del Gramsci. Le differenze di carattere, di sensibilita', di modelli educativi e comportamentali - che si acuirono drammaticamente negli anni del carcere - sono evidenti fin dai primi tempi del rapporto e sono testimoniate dalle lettere del periodo 1922-26. Il nodo attorno al quale si complico' fin dall'inizio il dialogo con Giulia era determinato dall'incapacita' del G. di tenere separate la sfera affettiva e quella intellettiva, e dalla scelta di individuare il punto di forza del rapporto affettivo con la moglie nella condivisione del lavoro intellettuale e politico. Da Giulia, invece, questo atteggiamento era sofferto come una intollerabile coercizione alla sua volonta', un impedimento allo sviluppo libero e autonomo della sua personalita'.
Ma furono gli incarichi di lei nelle strutture del partito russo, in particolare il lavoro svolto in quelle della polizia politica dal 1924, a determinare quei condizionamenti al rapporto sentimentale - per esempio l'impossibilita' di vivere insieme a Vienna - dei quali, fino al novembre 1926, il G. e Giulia ebbero piena consapevolezza, considerandoli limitazioni imposte dal lavoro politico alla vita privata che comunque venivano accettate. Solo nel 1930 - dopo che erano intervenuti il fallimento di alcuni tentativi di liberazione attraverso uno scambio di prigionieri fra il governo sovietico e quello italiano e la svolta imposta alla linea del partito italiano dal VI congresso e dal X plenum dell'Internazionale comunista - i primi sospetti del G. sul comportamento del partito italiano si saldarono all'intuizione dell'esistenza di difficolta' diverse dalla malattia nella corrispondenza della moglie. Nel maggio, egli affrontava apertamente l'argomento in una lettera a Tatiana. Le rassicurazioni contenute nelle lettere della cognata saranno una conferma indiretta dei sospetti del G.; da Tatiana soprattutto arrivo' la rivelazione dell'ostilita' violenta manifestata dalla maggiore delle sorelle Schucht, Eugenia, nei confronti del legame coniugale di Giulia. Il G. scopri' cosi' uno scenario insospettato dei rapporti familiari a Mosca, determinato - come suggeriscono le nuove fonti documentarie - non tanto dalla acritica condivisione delle accuse politiche contro di lui che circolavano negli ambienti del Komintern e del partito russo, quanto dal timore degli Schucht di vedere accresciute le difficolta' che si trovavano ad affrontare nella Russia staliniana a causa dei rapporti politici e di amicizia che li avevano legati a Lenin e alla sua famiglia. Pur a conoscenza delle difficolta' e dei pesanti condizionamenti ai quali erano sottoposti Giulia e i suoi familiari a Mosca, solo dal febbraio 1933 il G. collego' apertamente lo stato dei rapporti con Giulia alla coscienza di essere ormai ai margini del partito ed espresse i sospetti sul legame strettissimo tra questo stato di cose e l'agire della moglie. Nonostante la lontananza, i silenzi, i sospetti, il G. non manifesto' la volonta' di distaccarsi da Giulia: tra le carte che riguardano l'ultimo anno della sua vita e' presente la minuta, manoscritta da P. Sraffa, datata 18 aprile 1937, della domanda che, una volta libero, egli avrebbe indirizzato alle autorita' italiane, chiedendo di poter espatriare in Unione Sovietica per ricongiungersi con Giulia e con i figli.
Nel maggio 1923, da Mosca, il G. avviava un carteggio con Togliatti, Terracini e Scoccimarro con l'intento di formare, intorno al vecchio nucleo "ordinovista", un nuovo gruppo dirigente del partito. Cominciava cosi' il suo impegno di direzione politica, interrotto dall'arresto l'8 novembre 1926.
Ai partiti comunisti nazionali, nella nuova congiuntura di relativa stabilita', era assegnato il compito di inquadrare nazionalmente la classe operaia e di raccogliere le forze in attesa di una nuova ondata rivoluzionaria. Era maturata la consapevolezza che, quand'anche questa avesse assunto l'irruenza e la simultaneita' del dopoguerra, avrebbe presentato problemi nuovi e diversi in ciascun paese, e cio' domandava ai partiti comunisti la capacita' di divenire un fattore attivo della politica nazionale e di conoscere a fondo le particolarita' dello sviluppo capitalistico e della struttura del potere nei rispettivi paesi. Nell'Internazionale il rifiuto della "tattica di fronte unico" aveva condotto il PCd'I in un vicolo cieco: esso era schierato con la minoranza di sinistra del Komintern e Bordiga mirava a farne il centro propulsore di essa. L'Internazionale comunista non poteva fare altro che cercare di "spezzargli le reni" (Gramsci). D'altro canto, l'assoluta mancanza d'iniziativa della direzione bordighiana aveva ridotto il partito al ruolo di "frazione esterna" del PSI, senza alcuna prospettiva. Nella situazione creata dal fascismo tale condizione era insostenibile. Per contro, in una fase di "stabilizzazione relativa" del capitalismo il G. ora riconosceva nel "fronte unico" la sola tattica che consentisse al partito di perseguire una linea di massa e di sviluppare un'iniziativa politica. La revisione, quindi, andava portata a fondo, fino a mettere in discussione le modalita' della scissione di Livorno. Ripensata dal punto di vista internazionale, essa era consistita nel "distacco della maggioranza del proletariato italiano dall'Internazionale comunista" e aveva favorito "il piu' grande trionfo della reazione" (Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., p. 102). Dal punto di vista nazionale "fummo, senza volerlo, un aspetto della dissoluzione generale della societa' italiana" (ibid., p. 357).
D'altro canto, il centralismo del Komintern e l'inevitabile predominio in esso del gruppo dirigente russo facevano si' che la "tattica di fronte unico" avesse assunto caratteri astrattamente normativi, che non avevano aiutato i partiti comunisti a diventare fattori attivi della politica nazionale. Essi invece dovevano procedere a una "ricognizione nazionale" delle condizioni della rivoluzione proletaria e questo era un compito assolutamente autonomo di cui ciascun partito era responsabile. A tal fine il G. fissava innanzi tutto le differenze fra la Rivoluzione russa e la rivoluzione italiana, inserendole in una riflessione piu' ampia sulle differenze morfologiche fra Oriente e Occidente. Riprendendo il filo della sua riflessione sul nesso fra produzione e politica il 9 febbraio 1924, da Vienna - dove era giunto, proveniente da Mosca, nel dicembre 1923 -, scriveva a Togliatti e Terracini: "La determinazione, che in Russia era diretta e lanciava le masse nelle strade all'assalto rivoluzionario, nell'Europa centrale e occidentale si complica per tutte queste superstrutture politiche, create dal piu' grande sviluppo del capitalismo, rende piu' lenta e prudente l'azione della massa e domanda quindi al partito rivoluzionario tutta una strategia e una tattica ben piu' complessa e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo ed il novembre 1917" (ibid., p. 197). Era posto cosi' un tema che avrebbe avuto il piu' ampio sviluppo nei Quaderni, quello del passaggio dalla "guerra manovrata", che aveva avuto un'applicazione vittoriosa in Russia, alla "guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente".
Il mutamento di paradigma poneva al partito la necessita' di elaborare una propria visione della storia d'Italia e di studiare i modi in cui si era formata e operava l'egemonia della borghesia capitalistica. Naturalmente questo studio era indisgiungibile dallo sviluppo dell'azione politica. Il fascismo al potere non era ancora consolidato, ma procedeva velocemente nell'instaurazione - prima esperienza europea del dopoguerra - di un regime autoritario di nuovo tipo. Questo creava "un dilemma molto crudo e tagliente: quello della rivoluzione in permanenza e della impossibilita' non solo di cambiar forma allo Stato, ma semplicemente di mutar governo altro che con la forza armata" (ibid., pp. 152 s.). A tal fine il G. si proponeva di definire il campo di azione del partito attraverso lo studio della societa' italiana e individuava nel Mezzogiorno la parte del paese piu' duramente sacrificata dal fascismo, che pertanto sarebbe potuta diventare la sua "fossa" oppure "il maggior serbatoio e la piazza d'armi della reazione nazionale e internazionale" (ibid., p. 201).
Quindi il G. si domandava se la parola d'ordine del "governo operaio e contadino", che il Komintern aveva lanciato come traduzione operativa della "tattica di fronte unico", ma che finora non aveva avuto determinazioni concrete, non dovesse essere adattata alla situazione italiana e riformulata in quella di "Repubblica federativa degli operai e dei contadini", prevedendo la "possibilita' di fare alcune concessioni di carattere politico a queste popolazioni" (ibid., p. 225).
A ogni modo, la questione meridionale doveva diventare il centro del programma del partito e, sia per conoscere meglio l'Italia, sia per dare plastica evidenza alla "funzione nazionale" che esso intendeva far assolvere alla classe operaia, nel gennaio 1924 il G. fondo' un nuovo quotidiano scegliendo come testata l'Unita' (sottotitolo, "giornale degli operai e dei contadini").
Per combattere il fascismo era necessario seguirne attentamente le crisi interne, gli spostamenti e le lotte che si sviluppavano fra le sue componenti, e saper trovare punti di contatto con le altre forze antifasciste. A tal fine, nel marzo 1924, il G. proponeva al partito di far propria la parola d'ordine dell'Assemblea costituente, sostenuta dal movimento politico diretto da Giovanni Amendola, e poneva il problema della lotta per la democrazia (ibid., pp. 245 s.). Naturalmente, essa rimaneva iscritta in una prospettiva rivoluzionaria, volta, cioe', a creare le condizioni della "dittatura del proletariato".
Adeguando la precedente interpretazione antigiacobina di questa formula alla situazione attuale, il G. prevedeva che, anche alla ripresa di una fase rivoluzionaria (che nel febbraio 1924 egli riteneva possibile a breve), il PCd'I sarebbe stato "ancora minoranza, che la maggioranza della classe operaia" avrebbe seguito i riformisti "e che i borghesi democratici liberali" avrebbero avuto "ancora da dire molte parole". Quindi, diversamente dalla Russia del 1917, in Italia la "rivoluzione in permanenza" sarebbe stata un periodo denso di "fasi intermedie", nel quale avrebbe avuto "il sopravvento quel partito che meglio [avesse] capito questo processo necessario di transizione" (ibid., pp. 200, 246).
Nelle elezioni del 6 aprile 1924 il G. fu eletto deputato nel Veneto e in maggio rientro' da Vienna in Italia. In agosto fu eletto segretario dal comitato centrale del partito, nel pieno della crisi Matteotti. Il suo maggior impegno fu quello di avviare, sulla linea del V congresso del Komintern (giugno 1924), la "bolscevizzazione" del partito, cioe' la sua riorganizzazione sulla base di cellule di fabbrica, e di costituire un organismo per la sua penetrazione fra i contadini. Al tempo stesso egli conduceva il partito a distinguersi dal blocco delle opposizioni aventiniane con la proposta che esse si costituissero in "antiparlamento" e lottassero per ottenere il disarmo delle camicie nere e abbattere il governo con la proclamazione di uno sciopero generale. Inoltre, il PCd'I proponeva di armare il proletariato e lanciava la parola d'ordine di un "governo operaio e contadino". L'Aventino si risolse in un fallimento, il PCd'I resto' isolato sulle sue posizioni e nel gennaio 1925 la crisi Matteotti si chiuse con il rafforzamento del regime.
Il maggior impegno del G. fu quindi quello di sconfiggere le posizioni bordighiane, che erano ancora molto radicate nel partito, di inserire i "terzini" che in agosto, Serrati per primo, vi erano confluiti e di preparare, in condizioni di quasi completa illegalita', il III congresso del PCd'I che si tenne a Lione nel gennaio 1926.
Le "tesi di Lione" costituiscono un documento singolare nella letteratura dei partiti. Nella prima parte esse contengono un vero e proprio saggio, sia pure sintetico, sulla storia politica italiana dall'Unita' in poi e un abbozzo di analisi della "struttura della societa' italiana". La loro originalita' era nell'assunzione della questione meridionale come tema centrale del programma del partito. La "funzione nazionale" della classe operaia veniva quindi individuata nella capacita' di risolvere il problema del dualismo italiano, dando al paese quella solida unita' che la borghesia capitalistica non era riuscita a creare e avviando a soluzione il problema della sua debole competitivita' internazionale. La chiave di volta era indicata nell'alleanza fra gli operai del Nord e i contadini del Sud. Infatti, il G. rivendicava a merito del PCd'I l'aver compreso, diversamente dal partito socialista, che "i contadini meridionali [erano], dopo il proletariato industriale e agricolo del Nord, l'elemento sociale piu' rivoluzionario della societa' italiana" (La costruzione del partito comunista, p. 10). A questa conclusione egli giungeva sulla base di un'analisi dello sviluppo capitalistico italiano secondo la quale "economicamente e politicamente tutta la zona meridionale e delle isole funziona come un'immensa campagna di fronte all'Italia del Nord, che funziona come un'immensa citta'". Nell'Italia meridionale questo determinava "il formarsi e lo svilupparsi di determinati aspetti di una questione nazionale". Vale a dire, il Mezzogiorno fungeva da "colonia" interna del capitalismo italiano e, come nelle rivoluzioni anticoloniali, la liberazione dei contadini meridionali poteva raggiungersi soltanto attraverso un'alleanza con il proletariato industriale del Nord volta a determinare un mutamento delle classi dominanti e della classe dirigente.
Queste linee d'analisi scaturivano dall'approfondimento dell'indagine sul fascismo, che per un verso veniva considerato il continuatore del blocco protezionista e nordista che aveva dominato l'Italia dall'Unita' in poi, e per l'altro presentava significative novita'. Esse erano individuate nella base di massa del Partito nazionale fascista (PNF), costituita dalla piccola borghesia inquadrata per la prima volta in una formazione politica unitaria, e nella necessita' di procedere a una trasformazione autoritaria dello Stato, basata sulla identificazione di Stato, governo e partito unico.
Il 1926 segno' una ripresa della crisi economica e in Europa fu un anno di grandi sommovimenti operai, a cominciare dal lungo sciopero generale inglese. Questo indusse il G. a ipotizzare che il periodo della "stabilizzazione relativa" stesse per terminare. Tuttavia, anticipando un tema che avrebbe approfondito nei Quaderni, egli rifiutava l'idea che le crisi economiche potessero generare una situazione rivoluzionaria paragonabile a quella del 1917.
Nei paesi periferici dello sviluppo capitalistico, fra i quali vi era l'Italia, la capacita' di resistenza dello Stato era indebolita dalla presenza di "un largo strato di classi intermedie" capaci di influenzare politicamente e ideologicamente larghi strati del proletariato e soprattutto le masse contadine, ma a loro volta influenzabili da questi qualora si fossero mostrati capaci di "iniziativa storica". Dinanzi al riemergere della crisi economica si poneva quindi il problema di saldare lotta al fascismo e lotta al capitalismo elaborando obiettivi politici "intermedi" e creando nuove forme di organizzazione. Nelle tesi di Lione essi erano sintetizzati nella parola d'ordine: "Assemblea repubblicana sulla base di Comitati operai e contadini; controllo operaio sull'industria; terra ai contadini" (La costruzione..., p. 520). Si delineava cosi' una politica di alleanze molto ampia, con la quale pero' stridevano sia l'idea che il partito comunista dovesse essere il partito di "una sola classe" (il proletariato industriale), sia la sua contrapposizione a tutti gli altri partiti, anche di sinistra e di centro, considerati a vario titolo tutti "reazionari" e compromessi col fascismo. La "fase intermedia" doveva essere condotta in modo da disgregare le forze politiche alleate mostrandone i limiti e le incongruenze nella opposizione al fascismo. Rispetto alla complessa articolazione analitica delle forze sociali e della forze politiche, la previsione di poter sottrarre loro il consenso "smascherandone" i capi era quanto mai improbabile.
L'"egemonia del proletariato", categoria centrale nel dibattito interno al gruppo dirigente bolscevico fra 1923 e 1924, assunta dal G. per procedere alla bolscevizzazione del partito, esigeva ben altri approfondimenti. In particolare, andava approfondito il tema delle "superstrutture complesse" che facevano la principale differenza fra Oriente e Occidente, e fra gli stessi paesi capitalistici. Emergeva con forza "la quistione politica degli intellettuali" e non a caso, data la conformazione dello Stato italiano, il tema veniva affrontato per la prima volta nello scritto sulla questione meridionale. Elaborato nei mesi che precedettero immediatamente l'arresto del G. e rimasto incompiuto, esso fu pubblicato per la prima volta a Parigi, nel gennaio 1930, su Lo Stato operaio con il titolo redazionale Alcuni temi della quistione meridionale.
Il saggio ricapitolava l'elaborazione del decennio precedente e fissava alcune linee di un nuovo "programma di ricerca" che venne poi sviluppato nei Quaderni. Tutto lo scritto ruota attorno al ruolo degli intellettuali come figure di collegamento fra le masse, l'organizzazione dell'economia e dello Stato. Ma l'attenzione e' rivolta soprattutto al Mezzogiorno che nelle sue caratteristiche generali viene descritto come "una grande disgregazione sociale", dominata da un "blocco agrario" nel quale predominano i grandi proprietari terrieri. Lo strato intellettuale intermedio, che fornisce a tutta l'Italia il personale statale, proviene principalmente dalla piccole borghesia rurale e assolve il ruolo di subordinare le masse contadine al blocco agrario. Questo e' di natura stazionaria e, alleato alla borghesia industriale del Nord, le consente di dominare la vita economica e di governare il paese. Infatti, la piccola borghesia intellettuale assolve una funzione reazionaria nella faccia rivolta verso lo Stato, ma e' anche influenzata dalle pulsioni radicali che percorrono il mondo contadino e gli strati popolari poiche' e' legata a essi dalle sue funzioni professionali e politiche. I principali esponenti del "blocco intellettuale" sono G. Fortunato e B. Croce, i quali, percio', possono essere giudicati come "i reazionari piu' operosi della penisola". Poiche' la centralizzazione del blocco agrario avviene soprattutto "nel campo ideologico", essi rappresentano "le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due piu' grandi figure della reazione italiana"; essi guidano spiritualmente la massa degli intellettuali intermedi e in tale veste hanno "compiuto una altissima funzione "nazionale" distaccando "gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed europea" e facendoli cosi' "assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario". Per disgregare quest'ultimo il proletariato, che "come classe e' povero di elementi organizzativi", deve formare "un proprio strato di intellettuali [...]. Ma e' anche importante e utile che nella massa degli intellettuali si determini una frattura di carattere organico" e si formi "una tendenza di sinistra, nel significato moderno della parola, cioe' orientata verso il proletariato rivoluzionario". Sotto questo profilo il G. considera emblematica la figura di P. Gobetti. Fondamentale sarebbe dunque "disgregare il blocco intellettuale che e' l'armatura flessibile ma resistentissima del blocco agrario" (ibid., pp. 150, 156-158). Veniva impostato cosi' un tema centrale del programma dei Quaderni: quello dell'"anti-Croce".
Nella primavera 1926 la lotta per il potere nel gruppo dirigente bolscevico raggiunse l'acme. In luglio, in una drammatica riunione del comitato centrale del partito comunista russo, si consumo' lo scontro decisivo fra il blocco delle opposizioni, guidato da L. D. Trockij, e la maggioranza del partito raccolta intorno a I. V. Stalin e a N. I. Bucharin. Fin dal 1925 nell'Internazionale comunista si era convenuto che le lotte di fazione del partito russo non venissero trasferite negli altri partiti comunisti e questi non ne venissero coinvolti. Ma nell'estate 1926 la maggioranza di Stalin e Bucharin rompeva questo accordo e chiedeva agli altri partiti di prendere posizione sulle "questioni russe". Da Mosca, dove dal febbraio 1926 rappresentava il PCd'I nell'esecutivo dell'Internazionale, Togliatti sollecito' il comitato centrale del partito italiano a pronunciarsi. Ma questo si limito' ad approvare a fine luglio la destituzione di G. E. Zinov'ev da presidente dell'Internazionale comunista in quanto era motivata da ragioni disciplinari, mentre si rifiuto' di prendere posizione sui contenuti dello scontro fra maggioranza e minoranza. Sempre piu' allarmato per il profilarsi di una rottura definitiva del gruppo dirigente bolscevico, l'ufficio politico del PCd'I scelse una forma di pronunciamento irrituale: incarico' il G. di scrivere una lettera al comitato centrale del partito comunista dell'URSS per esprimere, si', un'adesione alla linea della maggioranza, ma anche per manifestare la sua preoccupazione per quanto stava accadendo e invitare tutte le fazioni a evitare la rottura.
A Mosca Togliatti giudico' la lettera "inopportuna" e chiese al comitato direttivo del PCd'I di autorizzarlo a sospenderne l'inoltro in attesa dell'esecutivo allargato del Komintern che si sarebbe riunito in novembre per discutere le "questioni russe". Inoltre, annunciava l'invio di J. Humbert-Droz, delegato dell'esecutivo dell'Internazionale, alla riunione del comitato centrale del PCd'I, gia' convocata per i primi di novembre, perche' esso potesse ricevere tutte le informazioni necessarie per pronunciarsi.
Il comitato direttivo autorizzo' Togliatti a sospendere l'inoltro della lettera, ma il G. rimase fermo sulle sue posizioni. Il primo novembre, alla presenza di Humbert-Droz, il comitato centrale si riunì clandestinamente in una localita' della Valpolcevera, nei pressi di Genova, e aderi' alle richieste della maggioranza del partito bolscevico. Ma il G. non pote' partecipare alla riunione perche', riconosciuto dalla polizia mentre vi si recava, rientro' a Roma, dove l'8 novembre venne arrestato.
Ai vertici del partito sovietico la sua lettera aveva creato il sospetto che il PCd'I potesse passare sulle posizioni di Trockij e da allora quella lettera fu il pretesto di recriminazioni e di accuse di "oscillazioni" reiterate piu' volte dal Komintern contro il PCd'I fra 1929 e 1938. Il sospetto nasceva dalle motivazioni che il G. aveva addotto a sostegno dell'appello a non rompere l'unita' del partito: egli ravvisava il rischio che, dividendosi irreparabilmente il "vecchio nucleo bolscevico", venisse meno il centro dirigente dell'Internazionale e l'intero "partito mondiale dei lavoratori" si disgregasse. Quindi, sebbene dichiarasse di condividere le posizioni della maggioranza e rivolgesse le sue critiche all'opposizione, sul punto cruciale che riguardava le sorti della rivoluzione mondiale il G. poneva sullo stesso piano le responsabilita' della minoranza e della maggioranza.
In realta' il sostegno dato alle posizioni della maggioranza non poteva nascondere piu' di tanto l'avversione del G. per la linea del "socialismo in un solo paese", che anche le opposizioni russe contrastavano. L'opposizione del G., pero', aveva motivazioni sue proprie: come si e' detto, nel corso del 1926 egli era giunto a mettere in discussione il concetto di "stabilizzazione relativa" sul quale il gruppo staliniano basava le sue scelte. Il carteggio fra il centro del PCd'I e Togliatti, dal mese di marzo in poi, documenta come, nell'"analisi di fase" e nel modo di concepire la "stabilizzazione relativa", si fossero generate differenze significative anche fra lui e il G., fissate poi nel carteggio dell'ottobre.
Dopo un breve periodo di confino a Ustica, dove insieme con Bordiga diede vita a una scuola per i confinati politici, fu deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato e avviato alle carceri milanesi di S. Vittore (ove rimase dal 7 febbraio 1927 all'11 maggio 1928); il processo inizio' a Roma il 28 maggio e, il 4 giugno 1928, il G. venne condannato a oltre venti anni di carcere. In luglio fu assegnato al reclusorio di Turi, in provincia di Bari, ove rimase fino al 19 novembre 1933 per essere poi ricoverato, dal 7 dicembre, in stato di detenzione, nella clinica del dottor G. Cusumano a Formia. Vi rimase fino al 24 agosto 1935, dal 25 ottobre 1934 in liberta' condizionata. Quindi fu trasferito alla clinica Quisisana di Roma, dove, appena riacquistata la piena liberta', la sera del 25 aprile 1937 venne colto da emorragia cerebrale.
Il G. mori' a Roma il 27 aprile 1937.
Per sua volonta' il corpo venne cremato e vi provvide il fratello Carlo; le ceneri vennero inumate al cimitero acattolico di Roma, dove si trovano tuttora.
(Parte seconda - segue)

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Jorge Luis Borges, Tutte le opere, Mondadori, Milano 1984, 1985, 2 voll., pp. CXXII + 1302 (vol. I) + XXXII + 1472 (vol. II).

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3728 del 3 maggio 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
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