[Nonviolenza] Senza odio, senza violenza, senza paura. 16
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- Date: Wed, 21 Sep 2016 05:48:11 +0200 (CEST)
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SENZA ODIO, SENZA VIOLENZA, SENZA PAURA
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Al referendum votiamo No alla riforma costituzionale golpista
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 16 del 21 settembre 2016
In questo numero:
1. Papa Francesco: La vergogna della guerra (meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae)
2. Papa Francesco: Una meditazione ad Assisi
3. Papa Francesco: Un discorso ad Assisi
4. Papa Francesco: Un appello da Assisi
5. Un parlamento eletto dal popolo, uno stato di diritto, una democrazia costituzionale. Al referendum votiamo No al golpe
6. Lucio Emilio Piegapini: Missione di soccorso
1. DOCUMENTAZIONE. PAPA FRANCESCO: LA VERGOGNA DELLA GUERRA (MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE)
[Da "L'Osservatore Romano", anno CLVI, n. 216, del 21 settembre 2016 riprendiamo la meditazione mattutina di papa Francesco nella cappella della Domus Sanctae Marthae di martedi' 20 settembre 2016]
"Oggi, uomini e donne di tutte le religioni, ci recheremo ad Assisi non per fare uno spettacolo: semplicemente per pregare e pregare per la pace". Prima di partire per la citta' di san Francesco, il Papa ha voluto riaffermare il senso del pellegrinaggio, celebrando la messa martedi' mattina, 20 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta. "Ho scritto una lettera a tutti i vescovi del mondo - ha affermato - perche' nella loro diocesi si facciano oggi raduni di preghiera, invitando i cattolici, i cristiani, i credenti e tutti gli uomini e le donne di buona volonta', di qualsiasi religione, a pregare per la pace".
Cosi' "oggi il mondo avra' il suo centro ad Assisi, ma sara' tutto il mondo a pregare per la pace" ha detto il Pontefice, che non ha mancato di suggerire a tutti di dedicare "un po' di tempo, a casa vostra", prendendo "la Bibbia o il rosario", per pregare "per la pace, perche' il mondo e' in guerra, il mondo soffre". Questa guerra, ha spiegato Francesco, "noi non la vediamo: si avvicina a noi qualche atto di terrorismo, ci spaventiamo" ed "e' brutto, questo e' molto brutto". Ma "questo non ha niente a che fare con quello che succede in quei Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono, cadono, e uccidono bambini, anziani, uomini, donne: tutto!".
"Dio, Padre di tutti, di cristiani e di non cristiani - Padre di tutti - vuole la pace" ha affermato il Papa, aggiungendo: "Siamo noi, gli uomini, sotto la tentazione del maligno, che facciamo le guerre per guadagnare soldi, per prendere piu' territorio". Oggi, ha proseguito, "nel mondo si soffre tanto per la guerra e tante volte possiamo dire: 'Grazie a Dio, a noi non tocca!'". Ed e' bene che "ringraziamo - ha aggiunto - ma pensiamo anche agli altri", a tutti coloro che invece sono colpiti dalla guerra.
Facendo riferimento alla prima lettura proposta dalla liturgia - tratta dal libro dei Proverbi (21, 1-6.10-13) - Francesco ne ha rilanciato in particolare l'espressione conclusiva: "Chi chiude l'orecchio al grido del povero, invochera' a sua volta e non otterra' risposta". E cosi', ha spiegato, "se noi oggi chiudiamo l'orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, puo' darsi che quando tocchera' a noi non otterremo risposte".
In questa prospettiva il Papa ha rilanciato il suo appello: "Non possiamo chiudere l'orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono per la guerra". E ha messo anche in guardia dall'idea che si tratti di discorsi che non ci riguardano: "La guerra e' lontana? No, e' vicinissima!" ha affermato. "Perche' la guerra - ha spiegato - tocca tutti, anche la guerra incomincia nel cuore: per questo dobbiamo pregare oggi per la pace", chiedendo "che il Signore ci dia pace nel cuore, ci tolga ogni voglia di avidita', di cupidigia, di lotta".
"Pace, pace!" e' il grido che il Papa ha voluto ripetere. Con l'auspicio "che il nostro cuore sia un cuore di uomo o di donna di pace", pronto ad andare "oltre le divisioni delle religioni - tutti, tutti, tutti! - perche' tutti siamo figli di Dio". E "Dio e' Dio di pace, non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra e' il maligno, e' il diavolo, che vuole uccidere tutti".
Il Pontefice ha invitato espressamente a pensare "oggi non solo alle bombe, ai morti, ai feriti, ma anche alla gente - bambini e anziani - alla quale non puo' arrivare l'aiuto umanitario per mangiare; non possono arrivare le medicine". E "sono affamati, ammalati perche' le bombe impediscono" loro di avere il cibo e le cure necessarie. E "mentre noi oggi preghiamo, sarebbe bello che ognuno di noi senta vergogna che gli umani, i nostri fratelli, siano capaci di fare questo".
Oggi dunque, ha rilanciato Francesco, deve essere veramente una "giornata di preghiera, di penitenza, di pianto per la pace; una giornata per sentire il grido del povero". Questo grido "che ci apre il cuore alla misericordia, all'amore e ci salva dall'egoismo". In conclusione il Papa ha voluto ringraziare coloro che risponderanno al suo invito "per tutto quello che farete per questo giorno di preghiera e di penitenza per la pace".
2. DOCUMENTAZIONE. PAPA FRANCESCO: UNA MEDITAZIONE AD ASSISI
[Dal sito del Vaticano riprendiamo il testo della meditazione svolta da papa Francesco ad Assisi martedi' 20 settembre 2016]
Di fronte a Gesu' crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: "Ho sete" (Gv 19,28). La sete, ancor piu' della fame, e' il bisogno estremo dell'essere umano, ma ne rappresenta anche l'estrema miseria. Contempliamo cosi' il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli uomini.
Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l'acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di Dio per il nostro amore: "Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento" (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l'uomo, ingrato, ha abbandonato l'amore, quando - sembra dire anche oggi il Signore - "ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si e' scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l'acqua" (Ger 2,13). E' il dramma del "cuore inaridito", dell'amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesu' l'uomo risponde con l'aceto, che e' vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: "Quando avevo sete mi hanno dato aceto" (Sal 69,22).
"L'Amore non e' amato": secondo alcuni racconti era questa la realta' che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realta' ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunita', vicino al Crocifisso, fosse scritto "Ho sete". Estinguere la sete d'amore di Gesu' sulla croce mediante il servizio ai piu' poveri tra i poveri e' stata la sua risposta. Il Signore e' infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, e' consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamera' "benedetti" quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli piu' piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).
Le parole di Gesu' ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo "Ho sete" possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui e' preclusa la luce di questo mondo, l'accorata supplica dei poveri e dei piu' bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l'ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesu', l'aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell'indifferenza, l'egoismo di chi e' infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilita' con cui cambia un canale in televisione.
Di fronte a Cristo crocifisso, "potenza e sapienza di Dio" (1 Cor 1,24), noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell'Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male e' stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere "alberi di vita", che assorbono l'inquinamento dell'indifferenza e restituiscono al mondo l'ossigeno dell'amore. Dal fianco di Cristo in croce usci' acqua, simbolo dello Spirito che da' la vita (cfr Gv 19,34); cosi' da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi.
Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di piu' l'armonia e la comunione tra noi. "Egli infatti e' la nostra pace" (Ef 2,14), Egli che e' venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (cfr Ef 2,17). Ci custodisca tutti nell'amore e ci raccolga nell'unita', nella quale siamo in cammino, perche' diventiamo quello che Lui desidera: "una sola cosa" (Gv 17,21).
3. DOCUMENTAZIONE. PAPA FRANCESCO: UN DISCORSO AD ASSISI
[Dal sito del Vaticano riprendiamo il testo del discorso tenuto da papa Francesco ad Assisi martedi' 20 settembre 2016]
Vostre Santita',
illustri Rappresentanti delle Chiese, delle Comunita' cristiane e delle Religioni,
cari fratelli e sorelle!
Vi saluto con grande rispetto e affetto e vi ringrazio per la vostra presenza. Ringrazio la Comunita' di Sant'Egidio, la Diocesi di Assisi e le Famiglie Francescane che hanno preparato questa giornata di preghiera. Siamo venuti ad Assisi come pellegrini in cerca di pace. Portiamo in noi e mettiamo davanti a Dio le attese e le angosce di tanti popoli e persone. Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perche' la pace e' dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto.
"Beati gli operatori di pace" (Mt 5,9). Molti di voi hanno percorso un lungo cammino per raggiungere questo luogo benedetto. Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace: non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell'animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai fratelli. Dio ce lo chiede, esortandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l'indifferenza. E' un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosita', ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell'indifferenza.
Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un'ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e poverta'. A Lesbo, con il caro Patriarca ecumenico Bartolomeo, abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guerra, l'angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita e' stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell'oblio. Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c'e' nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita.
Noi non abbiamo armi. Crediamo pero' nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si e' fatta invocazione a Dio, perche' cessino guerre, terrorismo e violenze. La pace che da Assisi invochiamo non e' una semplice protesta contro la guerra, nemmeno "e' il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera" (Giovanni Paolo II, Discorso, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 1986: Insegnamenti IX,2 [1986], 1252). Cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l'acqua limpida della pace, di cui l'umanita' e' assetata: essa non puo' scaturire dai deserti dell'orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi.
Diverse sono le nostre tradizioni religiose. Ma la differenza non e' motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta e' purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: "Forse mai come ora nella storia dell'umanita' e' divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace" (Id., Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1268). Continuando il cammino iniziato trent'anni fa ad Assisi, dove e' viva la memoria di quell'uomo di Dio e di pace che fu San Francesco, "ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l'ispirazione piu' autentica e profonda" (Id., Discorso ai Rappresentanti delle Religioni, Assisi, 24 gennaio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 104), che ogni forma di violenza non rappresenta "la vera natura della religione. E' invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione" (Benedetto XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011: Insegnamenti VII, 2 [2011], 512). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio puo' giustificare la violenza. Solo la pace e' santa. Solo la pace e' santa, non la guerra!
Oggi abbiamo implorato il santo dono della pace. Abbiamo pregato perche' le coscienze si mobilitino a difendere la sacralita' della vita umana, a promuovere la pace tra i popoli e a custodire il creato, nostra casa comune. La preghiera e la collaborazione concreta aiutano a non rimanere imprigionati nelle logiche del conflitto e a rifiutare gli atteggiamenti ribelli di chi sa soltanto protestare e arrabbiarsi. La preghiera e la volonta' di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficolta' e si volta dall'altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l'approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessita' dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno. La nostra strada e' quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l'aiuto di Dio e con la buona volonta', processi di pace.
Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso. Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilita' al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l'altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significa Educazione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell'incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignita' dell'uomo.
Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro e' vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell'odio. I credenti siano artigiani di pace nell'invocazione a Dio e nell'azione per l'uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace. Ci rivolgiamo anche a chi ha la responsabilita' piu' alta nel servizio dei Popoli, ai Leader delle Nazioni, perche' non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di la' degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l'appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri e le buone attese delle giovani generazioni. Qui, trent'anni fa San Giovanni Paolo II disse: "La pace e' un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace e' una responsabilita' universale" (Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1269). Sorelle e fratelli, assumiamo questa responsabilita', riaffermiamo oggi il nostro si' ad essere, insieme, costruttori della pace che Dio vuole e di cui l'umanita' e' assetata.
4. DOCUMENTAZIONE. PAPA FRANCESCO: UN APPELLO DA ASSISI
[Dal sito del Vaticano riprendiamo il testo dell'appello lanciato da papa Francesco da Assisi martedi' 20 settembre 2016]
Uomini e donne di religioni diverse, siamo convenuti, come pellegrini, nella citta' di San Francesco. Qui, nel 1986, trent'anni fa, su invito di Papa Giovanni Paolo II, si riunirono Rappresentanti religiosi da tutto il mondo, per la prima volta in modo tanto partecipato e solenne, per affermare l'inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso. Da quell'evento storico, si e' avviato un lungo pellegrinaggio che, toccando molte citta' del mondo, ha coinvolto tanti credenti nel dialogo e nella preghiera per la pace; ha unito senza confondere, dando vita a solide amicizie interreligiose e contribuendo a spegnere non pochi conflitti. Questo e' lo spirito che ci anima: realizzare l'incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo. Eppure, negli anni trascorsi, ancora tanti popoli sono stati dolorosamente feriti dalla guerra. Non si e' sempre compreso che la guerra peggiora il mondo, lasciando un'eredita' di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori.
Abbiamo rivolto la nostra preghiera a Dio, perche' doni la pace al mondo. Riconosciamo la necessita' di pregare costantemente per la pace, perche' la preghiera protegge il mondo e lo illumina. La pace e' il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso.
Ci siamo posti in ascolto della voce dei poveri, dei bambini, delle giovani generazioni, delle donne e di tanti fratelli e sorelle che soffrono per la guerra; con loro diciamo con forza: No alla guerra! Non resti inascoltato il grido di dolore di tanti innocenti. Imploriamo i Responsabili delle Nazioni perche' siano disinnescati i moventi delle guerre: l'avidita' di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l'impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di poverta', ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana.
Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Si attui la responsabilita' di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l'incontro e il dialogo. Nulla e' perso, praticando effettivamente il dialogo. Niente e' impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l'aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volonta'.
5. REPETITA IUVANT. UN PARLAMENTO ELETTO DAL POPOLO, UNO STATO DI DIRITTO, UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE. AL REFERENDUM VOTIAMO NO AL GOLPE
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
*
Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale.
Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il "combinato disposto" della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto.
Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto.
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Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
6. RACCONTI AUTUNNALI. LUCIO EMILIO PIEGAPINI: MISSIONE DI SOCCORSO
Parte prima: l'antefatto
Ci aveva telefonato a tutti e due, a me e a Leo, un comune amico per dirci che Franz si trovava nei guai, guai grossi; non so che aveva combinato ma adesso era pieno di debiti, e si trattava di debiti con gente brutta che e' meglio non incontrarla mai.
Era d'estate, Max stava a Gerusalemme e ci aveva chiamato da li' per farci sapere la situazione che l'aveva saputo da Felicetta che gliel'aveva detto Milena che gliel'aveva detto Dora; senza Max di amici veri di Franz qui a Praga c'eravamo solo io e Leopoldo: qualche cosa dovevamo fare.
Leo all'epoca lavorava in banca (lo cacciarono poi, per quella storia che non e' vero che ando' come l'hanno raccontata in televisione, ma semmai ve la racconto un'altra volta), e io mi occupavo di calcolo delle probabilita', ovvero di scommesse - diciamo che aiutavo i risultati delle corse (e anche di questo magari ne parliamo un'altra volta, ma e' una cosa semplice: tu non lo sai mai chi vince, ma il cavallo che perde lo sai di sicuro perche' ci pensi tu a dare una mano a far andare le cose per il verso giusto, ci vuole poco).
Diceva Max che Franz era scappato a Trieste perche' Pippetto - che gestisce la finanza diciamo cosi' "creativa" qui da noi - gli aveva detto che tempo tre giorni e addio al mignolo della mano sinistra, altri tre giorni e partiva il testicolo destro, e cosi' via.
Pippetto lo conoscevamo bene sia io che Leo, perche' con lui, con Franz e con Max eravamo cresciuti insieme, avevamo fatte le scuole elementari tutti dalla sora Amalia, avevamo fatto saltare con le fionde tutte le lampadine dei fanali del quartiere, eravamo pure finiti al riformatorio insieme per quella storia della baby-gang che era veramente una scemenza, ma noi avevamo peggiorato le cose in tribunale quando il giudice dei minori voleva fare il suo sproloquio educativo e noi attaccammo a cantare "I love you baby" che facemmo schiattare dalle risate tutto il tribunale e ci buscammo il supplemento di pena, quei cornuti. Al riformatorio fu dura ma facemmo quadrato, e quando uscimmo eravamo piu' vispi e piu' tosti di prima. Fu al riformatorio che Franz decise di studiare da avvocato, e poi lo fece davvero, pero' poi invece di fare l'avvocato s'impiego' neppure mi ricordo dove, faceva l'assicuratore o si occupava di previdenza sociale, non si capiva mai bene, lo sapete com'e' quando racconta le cose, non sai mai se scherza o se dice sul serio. Pero' siamo restati amici anche se abbiamo fatto carriere diverse.
Insomma andammo a trovare Pippetto per chiedergli che cavolo era successo con Franz. Pippetto lo sapete com'e', e' un fumino della malora, pero' cosi' come prende fuoco subito, dopo cinque minuti la butta a ridere. Quando io e Leo entriamo nel suo ufficio (che poi sarebbe la sala da biliardo del bar di Ceccobbeppe) subito fa: "E te pareva? So' 'rrivati l'imbasciatori". E io: "Ma de che?". E lui: "E 'nnamo, pe' quer pipparolo de Franz, no?". E Leo: "E ppe' cchi senno'?". E allora io e Pippetto in coro: "Pe' ttutto 'r cucuzzaro". Siamo gente cosi', alla buona, ci piace divertirci con queste stupidaggini.
Insomma, era successo questo: che Franz aveva fatto un sacco di buffi in giro, perche' i negozianti gli facevano credito pensando che intanto era avvocato, poi era impiegato imperialregio e quindi aveva lo stipendio sicuro e ci si poteva rivalere sul quinto, e poi alle perse avrebbe pagato suo padre, che aveva una bella attivita' e i soldi non gli mancavano e nel quartiere se lo ricordavano tutti che cento volte aveva cacciato la liretta per sistemare i disastri fatti da quel figlio scapestrato. E qui si sbagliavano: perche' era andata a finire che dagli oggi e dagli domani il padre si era proprio rotto le scatole e un giorno aveva preso Franz e gli aveva detto: "Ah brutto scarafaggio, e mo' basta, eh? I prossimi danni che fai te li paghi da solo". Ma Franz, figuriamoci, continuava come prima, e anzi andava in giro a dire a tutti "E cche 'mme fa' 'l babbo? Me fa 'l processo? Me manna in America? Vojo propio veda, vojo".
Per farla breve: casini su casini e buffi su buffi. Quando ormai erano una valanga una delegazione dell'Associazione commercianti di Praga e provincia guidata dal presidente, che a quel tempo era uno forte che con le chiacchiere ci mandava avanti i treni, ando' a trovare Pippetto e gli disse cosi' e cosi', qui non se ne puo' piu', e non c'e' verso, e le abbiamo provate tutte, eccetera eccetera. Al punto che Pippetto, che gli piacciono le pose da grandone, disse: "Ho capito, ho capito, ve lo stacco io 'n assegno", E cosi' fece, e quelli "Grazie, grazie, Pippe'. Lo sapemme che ce penzavi tu, no quel morto de fame del su' ba' che con tutto che cia' l'autosalone e venne pure le Ferrari e le Jaguar ha detto che se se ripresentamme a casa sua ce tirava co' la doppietta, col quintone, col kalashnikov ce tirava. Quer buzzurro che Dio pero' l'ha castigato, eh, co' quer fijo zzozzone e screanzato".
Pero' a Pippetto gli piaceva si' fare il grandone, ma siccome i soldi non crescono sugli alberi, adesso li rivoleva da Franz, e lo sanno tutti che se hai un debito con Pippetto se non tiri fuori i soldi cominci a perdere qualche pezzo, prima un dito, poi un testicolo, poi un orecchio, Pippetto e' fatto cosi', e' giocherellone, ma quando si tratta di soldi diventa serio, ma serio serio.
Dopo che ci ebbe illustrato il quadro, io dissi: "'Nsomma, Pippe', che s'ha dda fa'?". E lui: "Se ci volete provare a metterci una pezza voi, diciamo che vi do' tre giorni, via, pure quattro. Ma fra quattro o il capitale e' tornato a casa o mando il chirurgo da quel pagliaccio, che e' tanto scemo da essersi andato a nascondere lo sapete dove? al castello, come se non lo sapesse che li' ci lavora mio cugino, quello che fa l'agrimensore che fossi mai riuscito a capi' che lavoro e'; cosi' lo pesco quanno me pare e mme pijo 'n pezzetto de ciccia sua al giorno cosi' la fo magna' ar gatto mio, je fo la ripresa cor telefonino e la metto su Iutubbe". Pippetto non aveva un gatto, teneva nel cortile di casa sua una gabbia grossa quanto un campo da pallacanestro con tre tigri, e quelle diceva che erano i gatti suoi.
Finita la chiacchierata con Pippetto risultava che io e Leo dovevamo trovare entro quattro giorni mezzo milione di euro ("Ma visto che siamo tra noi, accetto pure il pagamento in rubli o in dollari, al cambio del giorno della consegna", aveva detto mentre ci accomiatavamo, gli piaceva dire 'ste spiritosaggini).
Adesso non so voi, ma io mezzo milione di euro, anche fosse in banconote da cinquecento, non so neppure quanto e' grosso. Nel portafoglio mio (che e' l'unica banca e l'unico forziere di cui mi servo) piu' di tremila euro non ce li ho depositati mai, e oggi, per dire, se ci sono piu' di trecento euro mi faccio prete. Leopoldo pero' lavora in banca e li' il conquibus c'e'.
Cosi' andammo all'osteria del Golem e cominciammo a ragionare su quello che si poteva fare per evitare lo sminuzzamento di quell'incosciente di Franz.
*
Cominciammo ad elaborare un piano.
Innanzitutto occorreva avvertirlo che Pippetto sapeva dove si era nascosto, ma gia' questo non era facile, perche' il castello era in campagna e bisognava fare un bel viaggio per arrivarci e con Franz succedeva sempre che se tu lo andavi a cercare lui proprio lo stesso giorno era uscito di casa per venire a cercarti a casa tua e insomma non c'era verso di trovarsi anche perche' non e' che faceva la strada piu' breve, ma passava per certi vicoletti che conosceva solo lui e finiva sempre che tu passavi il pomeriggio ad aspettarlo a casa sua, lui passava il pomeriggio ad aspettarti a casa tua, e la sera ognuno tornava a casa propria e non ci si incontrava neppure per strada. Figurarsi al castello, che pare un labirinto a Buenos Aires. E poi che volevi avvisare? Anche se scappava da un'altra parte, dopo dieci minuti Pippetto lo sapeva, perche' c'e' poco da fare, questo e' un paese di spie, e poi Franz quanti posti conosce? Saranno cinque a dir tanto. E con tutte le fregature che ha dato in giro chi volete che lo ospiti? O Milena, o Dora, o Felicetta. E basta.
Bene, non restava che trovare il mezzo milione di euro eventualmente anche in dollari o in rubli. Ma i dollari e i rubli li scartammo subito. Se c'era ancora la zarina Caterina II tanto tanto, ma te lo immagini quel cafone li', quel georgiano coi baffi da film western muto in bianco e nero? ma per favore. E i dollari, magari se si riusciva a piazzare a Hollywood qualche racconto di quelli che quel babbeo di Franz aveva scritto, ma lui non voleva mai pubblicare niente, non c'era verso di fargli finire una storia, e quando insistevamo che doveva scrivere le sceneggiature, che li' si facevano i soldi, lui riattaccava con quelle frescacce sul teatro jiddish. Era proprio un imbecille, diciamolo. E quindi: euro.
Che io li chiedessi al Pomata (che era il capoccia mio che ci lavoravo a truccare le corse) era fuori discussione, il Pomata era un tirchio che ti faceva tagliare la gola per cento lire. Una volta al bar si sbagliarono a dargli il resto del caffe' e lui fece sgozzare la cassiera, che era pure sua cognata. E' fatto cosi' il Pomata, e' che da giovane nessuno lo prendeva sul serio perche' stava nella cricca del Mandrache ed erano tutti morti di fame, ma adesso non divaghiamo, casomai ve lo racconto un'altra volta.
Restava il furto con destrezza o la rapina a mano armata nella banca dove lavorava Leopoldo, ma Leopoldo aveva troppa paura che quando lo diceva alla moglie lei lo piantava, e lo sapete com'e' fatto Leo, e' terrorizzato che la moglie possa lasciarlo, e quello che dice la moglie lui fa. Io cercavo di convincerlo a non dir niente alla moglie, ma lui ripeteva: "E se Ludmilla me lo chiede?". E io: "Se te lo chiede tu stai zitto". E lui: "Ma lei me lo chiede di sicuro, ed io come faccio a non dirle niente?". E io: "Dille un'altra cosa". E lui: "Ma lei se ne accorge se dico una bugia, se ne accorge di sicuro, e se pensa che io le mento mi lascia, me lo ha gia' detto, e poi come faccio?". E io: "Ma no che non ti lascia". E lui: "Ma se mi lascia io mi ammazzo, eh, io mi ammazzo, io vivo solo perche' c'e' lei, lo sai, io mi ammazzo". Era fatto cosi', le avrebe portato l'acqua con le orecchie, erano sposati da dieci, da vent'anni, e lui era ancora impeciato che lei ci faceva quello che le pareva e lo comandava a bacchetta. Ho fatto bene io a non sposarmi.
Visto che non c'era verso di fare 'sta rapina per colpa di Ludmillaccia sua bisognava pensare qualcos'altro, e non era facile.
Per dirvi in che casino ci eravamo messi sentite questa: a un certo punto Leo fa: "E se andiamo da Pippetto e gli chiediamo di prestarci mezzo milione cosi' glielo restituiamo subito a nome di Franz? Eh?". "Leo, svejete. Se Pippetto ce presta mezza botta poi li rivole da noi li rivole, e allora tanto vale che te taji subito 'na mano p'anticipatte". "Ah", disse lui. "Eh", dissi io. Succede di perdere lucidita' quando sei sotto pressione.
Bisognava telefonare a Max, che almeno non era un morto di sonno e ogni tanto qualche idea ganza gli veniva. Ma li' all'osteria non c'era campo. Cosi' uscimmo sul retro che c'era un pergolato col campo di bocce e visto che c'eravamo ci facemmo una partita a bocce e ci scordammo di telefonare a Max. Quando ci ricordammo era sera e magari davamo fastidio a chiamare a quell'ora e decidemmo che lo avremmo chiamato domani.
Arrivato a casa chi mi telefona? Max. Che voleva sapere che succedeva. Gli racconto tutto e quando stavo per chiedergli che pensava che occorresse fare lui riattacca che deve fare un'altra telefonata. Provo a telefonare a Leo ma e' occupato. Dopo un po' mi telefona Leo che gli ha appena telefonato Max ed era andata come con me, che quando Leo voleva chiedergli un consiglio Max doveva fare un'altra telefonata. Poi mi chiama Pippetto per dirmi che Max e' un rompicoglioni che se ne sta a fare la bella vita a Gerusalemme e rompe i coglioni a lui che invece sta a lavorare qui a Praga per mandare avanti l'economia e costruire l'Europa. Poi mi telefona Leo per dirmi che gli ha telefonato Pippetto che gli ha telefonato Max e io gli dico che gia' lo so che ha detto Pippetto perche' mi ha telefonato pure a me. Non faccio in tempo a riattaccare che telefona Felicetta che l'ha chiamata Milena che l'ha chiamata Dora che l'ha chiamata Max che le ha detto di Pippetto e di me e di Leo e mi chiede se abbiamo un piano. Le dico che io e Leo ci stiamo lavorando. Non passano cinque minuti che mi chiama Leo che Felicetta ha chiamato pure lui. E dopo Leo mi chiama Milena che Felicetta che Leo che Pippetto che tutto il cucuzzaro. Riattacco senza neanche salutarla. E che pensi che succede? Che squilla il telefono e stavolta e' Dora. E poi sempre Leo, e poi un'altra volta Pippetto ("'Ndovina 'n po'? Quel rompicoglioni di Max m'ha fatto chiama' da Dora, da Milena, da Felicetta e 'n altro po' pure da Bricitte Bardo', ma je lo voi di' de piantalla de roppe li cojoni a mme che cio' da lavora'?"), e poi - lupus in fabula - ancora Max, e poi di nuovo Felicetta, e poi ancora Leo, e poi stacco il telefono e vado a dormire un paio d'ore che domattina presto devo essere all'ippodromo, che cio' da lavora' pur'io.
Essere amici di Franz - posso dirlo? - e' un manicomio.
*
Parte seconda: in azione
Era martedi'. All'ippodromo tutto bene. Alle cinque all'osteria del Golem ci vediamo con Leo. "Idee?", chiedo io prima che me lo chiede lui (e' un trucchetto che funziona sempre). "Manco una", dice. E io, magnanimo: "Vabbe', mo' ce penzamo 'nzieme". E intanto ci facciamo portare due mezzi litri e due gazzose. Pensa che ti ripensa ci viene questa pensata: "Pero', quei palandrani dell'Associazione commercianti gliel'hanno fatta sporca a Franz; che non ce lo sapevano che Pippetto poi lo faceva a pezzettini?". Cosi' decidiamo che almeno almeno devono contribuire alla colletta. "Tu quanto ciai?", dico a Leo. E lui: "Qui?". E io: "Ma che qui, in tutto". E lui: "In tutto?". Io. "In tutto, si'". Lui: "In tutto tutto?". Io: "Se dico tutto e' tutto tutto". E lui: "Lo devo chiedere a Ludmilla". E io: "Mannaggia a la malamorte, ma manco sai quanti soldi ciai?". E lui: "Io li do' a Ludmilla". Ecco qua, e questo era un uomo che da ragazzi fulminava le lucertole con una sassata da trenta metri, che dava fuoco ai gatti per strada, che pestavamo i forestieri grossi tre volte piu' di noi, e adesso guardate come s'e' ridotto in dieci, vent'anni di matrimonio. Meglio che non ci penso. Poi lui fa: "E tu quanto ciai?". Io: "Io?". Lui: "Tu, si', e chi senno'? ce sei solo tu qui". Io: "Ce sei pure tu". Lui: "Si', ma io so' quello che ha fatto la domanna". Io: "E che vole di'? Pur'io posso fa' 'na domanna". Lui: "Vabbe', me risponni o nno?". Io: "No". Lui: "'Nnamo bbene". Io: "Almeno io nu' li do' a Ludmilla". Lui: "E ce mancherebbe". Io: "E allora?". Lui: "E allora che?". Io: "Che de che?". Lui: "Ma de che che de che?". Poi la smettemmo perche' ci guardavano tutti e il sor Gustavo faceva segno de nun preoccupasse che eravamo strani ma tranquilli. "E allora?". "Allora intanto annamo da que' bojaccia de' commercianti e vedemo quanto sganceno". "'Nnamo".
*
Non so se ci siete mai stati all'Associazione commercianti. No? E' un palazzotto vecchio che puzza di pesce. Al pianterreno c'e' una bisca clandestina e si entra solo su invito. Al primo piano c'e' uno di quegli ostelli innominabili che non ve lo nomino perche' altrimenti non sarebbe piu' un ostello innominabile. Al secondo piano c'e' l'Associazione commercianti. Come che ci vede la segretaria dice subito "Ah rega', famo i bbravi senno' chiamo la pula, se semo capiti, si'?". Manco ciavessimo tatuato su la fronte che semo du' delinquenti. Allora Leo: "Guardi signora che lei s'inganna...". "Tu nonna", taglia corto la megera. Allora io: "E' che volessimo da vede 'l presidente". E quella: "Nun c'e'". E io: "E quanno c'e'?". E quella: "Nun c'e'". E io allora: "Ma si nun c'e' vor di' che vene doppo, no?". E madama Repetita Iuvant: "Nun c'e'". Allora Leo me fa: "Ce penzo io", e je dice: "Signo', e' cosa de sordi, ma de sordi tanti, tanti, tanti". E quella: "Mo' cc'e'". E Leo a me: "Ha' visto come se fa?".
Insomma ci fanno entrare nell'ufficio del presidente. C'era una scrivania lunga quanto un biliardo, e sopra un cartello con scritto: "Dott. Pres. Ass. Comm. Praga e Provincia. Dottor Angelo Maria Ripellino". Che uno si aspetta che dietro ci trovi Maciste e invece ci trovi quel secchetto li' coi baffetti da guappo.
Quello attacca: "Problemi con la finanza? Col pizzo? La tariffa giusta e' il 5%, eh". "No, no", fa Leo, "E' per via di un amico nostro". "E perche' non viene qui direttamente lui?". "Perche' in questo momento si nasconde". "Ah. Corruzione? Sofisticazione alimentare? Contrabbando? Tranquilli, tutto si risolve coi nostri avvocati". "No, no, anzi, e' avvocato pure lui". "Brutta razza gli avvocati, brutta razza. L'avete letto I promessi sposi?". "No, che e'?". "Un libro, no? voi che leggete, le carte delle caramelle?". Io m'ero gia' stufato, ma Leo mi fa segno di starmene buono. "No, no. Si tratta del figlio di un vostro associato". "I nostri associati sono prolifici, etica protestante e spirito del capitalismo, l'avete letto Weber?". "No, guardi, noi siamo gente che lavora, di libri ne leggiamo pochi". "Male, male. Il buon commerciante deve conoscere il cuore umano per soddisfare i suoi clienti, e come si impara a conoscere il cuore umano?". "Leggendo i libri?". "Bravi, l'avevo capito subito che eravate ragazzi in gamba, sedetevi, sedetevi".
Rotto il ghiaccio il resto fu una passeggiata, finche' arrivammo al punto dolente. "Ah no, questo poi no. E ci mancherebbe. E che gli dico agli associati, che ci facciamo fregare due volte? Sentite, voi siete due bravi giovini ed io voglio aiutarvi con tutto il cuore, ma se convoco il direttivo dell'associazione e gli faccio una proposta del genere, sapete che fine faccio? Che mi cacciano e mi tocca andare a fare lo slavista a Roma mi tocca. Lo fareste voi?". Lo slavista a Roma era un argomento conclusivo. Ce ne andammo con le pive nel sacco e gli chiedemmo pure scusa. E si era anche fatta sera.
Ancora non ero arrivato a casa che gia' cominciavano le telefonate. Ma io non rispondevo, stavo li' che sentivo squillare e camminavo facendo finta di niente, mentre la gente per strada mi guardava. Arrivato a casa avvolsi il telefono dentro una coperta e misi la coperta dentro un cassetto. Cosi' attutita la suoneria non era sgradevole. Ci avevo la suoneria con "Tutti al mare, tutti al mare...", dicono che e' da borgatari ma a me me piace.
*
Mercoledi'. La giornata comincia subito male. La mattina al galoppatoio Giacchettino mi dice che il Pomata mi cerca. Vado alla sala corse e lui comincia a vomitarmi addosso un sacco di brutte parole piene di emme e di esse e di zeta e a bestemmiare tutto il calendario; dopo che si e' sfogato mi fa: "Perche' non rispondevi al telefono ieri sera?". E io: "Mi si e' rotto il telefonino". E lui: "Ma io te roppo la capocciaccia tua, te roppo. Te dice bbene che adesso nun c'e' tempo che c'e' 'na munchia de lavoro da fa'" e mi passa le consegne. Ed e' stata un'ammazzata che non vi dico. E quindi non ve la dico.
Il pomeriggio aspetto, aspetto, aspetto all'osteria ma Leo non si vede. Insomma, bisogna che lo cerco. Per arrivare a casa sua a piedi ci vuole almeno un'ora, se prendi i mezzi pubblici ci metti almeno due ore, se prendi una carrozzella o un tassi' ti pelano vivo. Che dovevo fare? Sono restato all'osteria e ho aspettato, e per passare il tempo me ne sono fatti quattro di mezzi litri e una gazzosa (per un totale di due litri di rosso e quattro gazzose, e visto che c'ero pure due cognacchini). Verso le sette si presenta tutto trafelato e mi fa: "Ah Marracchio' (Marracchione sono io, ma all'anagrafe risulto Marco Aurelio Marracchi - per gli amici Marracchione), ma che succede?". "Come che succede, tu arrivi dopo li fochi e me lo chiedi a me che succede?". "Ma nun sai gnente?". "No". "Hanno ammazzato l'arciduca a Sarajevo". "Sarajevo, e 'ndo sta?". "Che ne so 'ndo sta, ma hanno ammazzato l'arciduca". "Magari se lo meritava pure". "Ma allora nun voi capi', qui ffinisce che sse fa la guerra". "Seee, la guerra, ma pper favore". Che roba, eh? Ti passa davanti la Storia - quella con la esse maiuscola - e tu non ti accorgi di niente.
"Ma perche' sei venuto cosi' tardi?". "Perche' alla banca era un casino, una valanga, una marea di clienti, e tutti che strillavano: Il giovedi' nero, il giovedi' nero di Wall Street!, che invece oggi e' mercoledi', e oltretutto stiamo a Praga mentre Wall Street e' in America, no? Insomma abbiamo dovuto tenere aperto fino a adesso, e per calmare la gente e' dovuta intervenire la polizia con gli idranti caricati col bromuro".
A me le banche non mi sono mai piaciute, e neppure quei babbei che gli danno i soldacci loro. Io i soldi miei me li tengo nel portafogliaccio mio me li tengo. Pero' mi scocciava che Leo aveva fatto tardi, che ormai che potevamo fare? La giornata era bella che finita. Ed erano gia' due giorni. Lo dissi a Leo: "Ormai la giornata e' bella che finita. E sono passati gia' due giorni". "Due? Tre", risponde lui. E io: "Come tre? Ieri e oggi fa due, uno piu' uno due". "Secondo te che sei restato alla matematica classica, non ti aggiorni sul dibattito scientifico? Qualche volta prendi il treno e fa' un salto a Vienna". "E mo' che c'entra?". "C'entra, perche' ieri sera m'ha telefonato Pippetto pe' sape' a che punto ereme, e mm'ha detto de ricordamme che li giorni finisciono subbito, allora io j'ho detto che era passato un giorno solo e allora lui m'ha detto che 'nvece ereno passati due, perche' ce dovevo conta' pure 'l giorno che s'ereme visti co' llui". "E cche lo decide lui?". "E lo decide lui si'". "Me sa che se mette brutta pe' Franz". "Me sa pure a me". "Annamo a casa, va', ch'e' tardi". "'Nnam'a ccasa, si', ma stasera vedi de risponne ar telefonino". "Vabbe'". "Vabbe'".
Ma io la sera il telefonino l'ho usato solo per chiamare il Pomata, poi l'ho di nuovo avvolto nella coperta, la coperta l'ho messa nel cassetto, io me so' piazzato davanti a la televisione e bonanotte.
Ma non fu proprio una buona notte. Certi incubi, certi incubi, kafkiani, ecco. Per fortuna che poi la mattina uno se li scorda.
*
Giovedi'. la mattina solito tran tran, qua un'iniezioncina, la' una parolina al fantino, io agli animali gli voglio bene e non li sgarretto quasi mai. Con le persone e' diverso, perche' la regola e' rimuovere gli ostacoli e se uno fa l'ostacolo vuol dire che proprio se la cerca. All'ora di pranzo faccio un salto al baretto dietro la banca e chiedo a Leo se ci sono novita'. E lui mi dice che tra Max, Felicetta, Milena, Dora, pure Ottilia ci si e' messa adesso, sono due notti che non lo fanno campare. Figlio mio, l'hai voluto il telefonino... Restiamo d'accordo di vederci alle cinque e mezza all'osteria del Golem.
Cinque e mezza, all'osteria del Golem. "Qui serve un piano". "E pure urgente". "Si'". "Si'". Silenzio. "Insomma che si fa?". "E che ne so?". "E perche', lo so io?". "Non lo so se tu lo sai". "No, io non lo so, e tu lo sai?". "Manco io lo so". "E allora?". "E allora che?". E il sor Gustavo che faceva cenno agli avventori di stare tranquilli che non e' niente, facciamo sempre cosi' ma non facciamo male a nessuno.
Alla fine decidiamo che bisogna andare a parlare con Pippetto. Non si puo' dire che non ce l'abbiamo messa tutta, ma quel bamboccio di Franz se l'era proprio cercata, e alla fine puo' scrivere pure senza un dito o una palla, no?
*
Parte terza: epilogo
Saranno state le sei e mezza quando arriviamo al bar di Ceccobbeppe e gia' mentre entriamo c'e' qualcosa di strano. La gente fa finta di non vederci, ma intanto si danno di gomito e fanno certe smorfie d'intesa e ridono sotto i baffi.
Apriamo la porta che da' sulla sala da biliardo e che ti troviamo? Pippetto, Franz, Max, Dora, Milena, Felicetta, Ottilia, Angelo Maria Ripellino, il Pomata e pure il padre di Franz, e proprio il padre di Franz fa: "Eccoli qua i due fregnoni campioni del mondo dei fregnoni di tutto il mondo che c'e' e di infiniti altri". E tutti a ridere.
Era un cavolo di scherzo. Che poi ce lo sapevamo pure che a Franz gli piace organizzare gli scherzi.
Pippetto aveva fatto portare pasticcini e spumante, e mentre ci strafogavamo mi capito' di dare un'occhiata al giornale che era sul tavolino delle paste: c'era scritto che in una birreria a Monaco un tizio coi baffetti di Charlot non so che aveva combinato.
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SENZA ODIO, SENZA VIOLENZA, SENZA PAURA
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Al referendum votiamo No alla riforma costituzionale golpista
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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