[Nonviolenza] Senza odio, senza violenza, senza paura. 10



 

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SENZA ODIO, SENZA VIOLENZA, SENZA PAURA

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Al referendum votiamo No alla riforma costituzionale golpista

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Numero 10 del 7 settembre 2016

 

In questo numero:

1. Un parlamento eletto dal popolo, uno stato di diritto, una democrazia costituzionale. Al referendum votiamo No al golpe

2. Gustavo Zagrebelsky: Quindici motivi per votare No alla riforma costituzionale del governo

 

1. REPETITA IUVANT. UN PARLAMENTO ELETTO DAL POPOLO, UNO STATO DI DIRITTO, UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE. AL REFERENDUM VOTIAMO NO AL GOLPE

 

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

*

Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale.

Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il "combinato disposto" della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto.

Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto.

*

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.

Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

 

2. REPETITA IUVANT. GUSTAVO ZAGREBELSKY: QUINDICI MOTIVI PER VOTARE NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL GOVERNO

[Riproponiamo il seguente testo del marzo 2016 dal titolo "Referendum Costituzionale, Zagrebelsky: i 15 motivi per dire No alla 'riforma' Renzi" e il sommario "In vista della consultazione popolare fissata a ottobre sulle modifiche alla Carta, il presidente emerito della Consulta elenca le ragioni per votare contro la deforma Renzi-Boschi e risponde alle obiezioni confezionate in questi mesi da chi e' a favore". Il testo, originariamente apparso su "Il fatto quotidiano", e ' un estratto da un piu' ampio intervento di Gustavo Zagrebelsky.

Gustavo Zagrebelsky e' presidente emerito della Corte costituzionale]

 

Nella campagna per il referendum costituzionale i fautori del Si' useranno alcuni slogan. Noi, i fautori del No, risponderemo con argomenti. Loro diranno, ma noi diciamo.

1. Diranno che "gli italiani" aspettano queste riforme da vent'anni (o trenta, o anche settanta, secondo l'estro).

Noi diciamo che da quando e' stata approvata la Costituzione - democrazia e lavoro - c'e' chi non l'ha mai accettata e, non avendola accettata, ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla per imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria, ricorda i nomi Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, Giovanni Di Lorenzo, Junio Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella corrente antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua presenza nella politica italiana. A costoro devono affiancarsi, senza confonderli, coloro che negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il baricentro a favore del governo o del leader: commissioni bicamerali varie, "saggi" di Lorenzago, "saggi" del presidente, eccetera. E' vero: vi sono tanti che da tanti anni aspettano e pensano che questa sia finalmente "la volta buona". Ma questi non sono certo "gli italiani", i quali del resto, nella maggioranza che si e' espressa nel referendum di dieci anni fa, hanno respinto col referendum un analogo tentativo, il tentativo che, piu' di tutti gli altri sembrava vicino al raggiungimento dello scopo. A coloro che vogliono parlare "per gli italiani", diciamo: parlate per voi.

2. Diranno che "ce lo chiede l'Europa" (...)

Diteci che cosa rappresenta l'Europa di oggi se non principalmente il tentativo di garantire equilibri economico-finanziari del Continente per venire incontro alla "fiducia degli investitori" e a proteggerli dalle scosse che vengono dal mercato mondiale. A questo fine, l'Europa ha bisogno d'istituzioni statali che eseguano con disciplina i Diktat ch'essa emana, come quello indirizzato il 5 agosto 2011 al "caro primo ministro", contenente un vero e proprio programma di governo ultra-liberista, in materia economico-sociale, associato all'invito di darsi istituzioni decidenti per eseguirlo in conformita'.

Dite: "Ce lo chiede l'Europa" e tacete della famosa lettera Draghi-Trichet, parallela ad analoghi documenti provenienti da "analisti" di banche d'affari internazionali, che chiede riforme istituzionali limitative degli spazi di partecipazione democratica, esecutivi forti e parlamenti deboli, in perfetta consonanza con cio' che significano le "riforme" in corso nel nostro Paese. (...) A chi dice: ce lo chiede l'Europa, poniamo a nostra volta la domanda: qual e' l'Europa alla quale volete dare risposte?

3. Diranno che le riforme servono alla "governabilita'" (...)

"Governabile" e' chi si lascia docilmente governare e chiediamo: chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra "governo", non governabilita', e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza, la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote, altra faccia della rassegnazione, e dell'abulia: materia passiva, irresponsabile e facile alla manipolazione. Questa e' la governabilita'. A chi dice "governabilita'" noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico.

4. Diranno: ma la riforma e' pur stata approvata dal Parlamento, l'organo della democrazia.

Ma noi diciamo: quale Parlamento? Il Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata incostituzionale, per l'appunto, per essere antidemocratica (deputati e senatori nominati e non eletti; premio di maggioranza abnorme che ha scollato gli eletti dagli elettori). La Corte costituzionale ha bollato quell'elezione come una specie di golpe elettorale, per avere "rotto il rapporto di rappresentanza" (testuale). E' vero che la Corte aggiunse che, per l'esigenza di continuita' costituzionale, le Camere cosi' elette non sarebbero decadute immediatamente.

Ma e' chiaro a tutti coloro che hanno ancora un'idea seppur minima di democrazia che da quella sentenza si sarebbe dovuto procedere tempestivamente, per mezzo d'una nuova legge elettorale conforme alla Costituzione, a nuove elezioni, per ristabilire il rapporto di rappresentanza. (...) E' vero che, scandalosamente, anche da parte delle piu' alte autorita' della Repubblica, dell'informazione e da parte di non poca "dottrina" costituzionalistica, si fa finta che non esista una questione di legittimita' che getta un'ombra su tutta questa vicenda, tanto piu' in quanto, se non vi fosse stato l'incostituzionale premio di maggioranza, sarebbero mancati i numeri necessari per portarla a compimento. (...)

5. Parleranno di atto d'orgoglio politico dei parlamentari, finalmente capaci di "autoriformarsi" senza guardare al proprio interesse.

Noi parliamo, piuttosto, d'arroganza dell'esecutivo.

Queste riforme sono state avviate dall'esecutivo con l'impulso di quello che, per debolezza e compiacenza, e' potuto essere per diversi anni il vero capo dell'esecutivo, il presidente della Repubblica; sono state recepite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all'approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari, caducazione di emendamenti), di trasformismo parlamentare (passaggi dall'opposizione alla maggioranza in cambio di favori e posti) fino ai voti di fiducia, come se la Costituzione e le istituzioni fossero materia appartenente al governo, fino a raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta addirittura agli elettori, sull'approvazione referendaria della riforma (o me o la riforma, sempre che voglia prendere sul serio un simile proclama da parte di uno che non eccede in coerenza ed eccede invece in spregiudicatezza). Questo non e' il primato della politica, ma delle minacce e degli allettamenti. Se volete parlare di politica, noi diciamo: si', ma sapendo che e' mala politica.

6. S'inorgogliranno chiamandosi "governo costituente".

Noi diciamo che il "governo costituente", in democrazia, e' un'espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos e dei colonnelli sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno la propria costituzione: costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza ma come strumento, armatura del proprio potere. Il popolo e la sua rappresentanza, in democrazia, possono essere "costituenti". I governi, poiche' sono espressione non di tutta la politica, ma solo d'una parte, devono stare sotto la Costituzione, non sopra come credono invece di stare d'essere i nostri riformatori che si fanno forti dello slogan "abbiamo i numeri", come se avere i numeri, comunque racimolati, equivalga all'autorizzazione a fare quel che si vuole. (...)

7. Diranno che l'iniziativa del governo nelle faccende costituzionali non ha nulla d'anormale e, quelli che sanno, porteranno l'esempio della Francia, del generale De Gaulle e della sua riforma costituzionale del 1962.

Noi ci limitiamo a porre queste domande: credete davvero d'essere dei nuovi De Gaulle, il capo della Resistenza repubblicana che sbarca in Normandia al momento della liberazione? E di poter paragonare l'Italia di oggi alla Francia d'allora? La riforma francese aveva alla sua base le idee costituzionali enunciate "disinteressatamente" nel 1946 a Bayeux, guardando lontano e radicandosi nel passato della storia della Repubblica francese. Noi abbiamo invece testi raffazzonati all'ultima ora, la cui approvazione si e' resa possibile per equivoci compromessi concettuali e lessicali, proprio sul punto centrale della riforma del Senato. (...)

8. Diranno che, anche ad ammettere che la riforma abbia avuto una genesi non democratica e un iter parlamentare telecomandato nei tempi e nei contenuti, alla fine la democrazia trionfera' nel referendum confermativo.

Noi diciamo che la riforma forse sottoposta al giudizio degli elettori porta il segno della sua origine tecnocratica unilaterale e che il referendum richiesto dallo stesso governo che l'ha voluta lo trasformera' in un plebiscito. Non si trattera' di un giudizio su una Costituzione destinata a valere negli anni, ma di un voto su un governo temporaneamente in carica. (...) Avremo una campagna referendaria in cui il governo avra' una presenza battente, come se si trattasse d'una qualunque campagna elettorale a favore di una parte politica, e fara' valere il "plusvalore" che assiste sempre coloro che dispongono del potere, complice anche un'informazione ormai quasi completamente allineata.

9. Diranno che non c'e' da fare tante storie, perche', in fondo si tratta d'una riforma essenzialmente tecnica, rivolta a razionalizzare i percorsi decisionali e a renderli piu' spediti ed efficienti.

Noi diciamo: altro che tecnica! E' la razionalizzazione d'una trasformazione essenzialmente incostituzionale, che rovescia la piramide democratica. Le decisioni politiche, da tempo, si elaborano dall'alto, in sedi riservate e poco trasparenti, e vengono imposte per linee discendenti sui cittadini e sul Parlamento, considerato un intralcio e percio' umiliato in tutte le occasioni che contano. La democrazia partecipativa e' stata sostituita da un sistema opposto di oligarchia riservata. (...) Le "riforme" costituzionali sono in realta' adeguamenti della Costituzione a questa realta' oligarchica. Poiche' siamo per la democrazia, e non per l'oligarchia, siamo contrari a questo adeguamento spacciato come riforma.

10. Diranno che i partiti di sinistra, gia' al tempo della Costituente, avevano criticato il bicameralismo (cuore della riforma) e che perfino Pietro Ingrao, ancora negli anni '80, si espresse per l'abolizione del Senato.

Noi diciamo: andate a leggere i resoconti di quei dibatti e vi renderete conto che si trattava, allora, di semplificare le istituzioni parlamentari per dare piu' forza alla rappresentanza democratica e fare del Parlamento il centro della vita politica (si parlava di "centralita' del Parlamento"). La visione era quella della democrazia partecipativa o, nel linguaggio di Ingrao, della "democrazia di massa". Oggi e' tutto il contrario: si tratta di consolidare il primato dell'esecutivo emarginando la rappresentanza, in quanto portatrice di autonome istanze democratiche. (...)

11. Diranno che siamo come i ciechi conservatori che hanno paura del nuovo, anzi del "futuro-che-e'-oggi", e sono paralizzati dal timore dell'"uomo forte".

Noi diciamo che a noi non interessano "riforme" che riforme non sono, ma sono "consolidazioni" dell'esistente: un esistente che non ci piace affatto perche' portatore di disgregazione costituzionale e di latenti istinti autoritari. Questi istinti non si manifestano necessariamente attraverso l'uso esplicito della forza da parte di un "uomo forte". Questo accadeva in altri, piu' primitivi tempi. Oggi, si tratta piuttosto dell'occupazione dei posti strategici dell'economia, della politica e della cultura che forma l'ideologia egemonica del momento. Questo e' cio' che sta accadendo manifestamente e solo chi chiude gli occhi e vuole non vedere, puo' vivere tranquillo. Si tratta, per portare a compimento questo disegno, di eliminare o abbassare gli ostacoli (pluralismo istituzionale, organi di controllo e di garanzia) che frenano il libero dispiegarsi del potere che si coagula negli organi esecutivi. Non occorre eliminarli, ma normalizzarli, ugualizzarli, standardizzarli, il che significa l'opposto del far opera costituente.

12. Diranno che siamo per l'immobilismo, cioe' che difendiamo l'indifendibile: una condizione della politica che non ha mai toccato un punto cosi' basso in tutta la storia repubblicana, mentre loro vogliono rianimarla e rinnovarla.

Noi opponiamo una classica domanda alla quale i riformatori costantemente sfuggono: sono piu' importanti le istituzioni o coloro che operano nelle istituzioni? La risposta, che sta non solo in venerandi scritti sulla politica e sulla democrazia - che i nostri riformatori, con tranquilla e beata innocenza mostrano d'ignorare completamente - ma anche nelle lezioni della storia, e' la seguente: istituzioni imperfette possono funzionare soddisfacentemente se sono in mano a una classe politica degna e consapevole del compito di governo che e' loro affidato, mentre la piu' perfetta delle costituzioni e' destinata a funzionare malissimo in mano a una classe politica incapace, corrotta, inadeguata. Per questo noi diciamo: non accollate a una Costituzione le colpe che sono vostre. (...)

13. Diranno: non ve ne va bene una; la vostra e' una opposizione preconcetta. Non siete d'accordo nemmeno sull'abolizione del Cnel e la riduzione dei "costi della politica"?

Noi diciamo: qualcosa c'e' di ovvio, su cui voteremmo pure si', ma e' mescolato, come argomento-specchietto, per far passare il resto presso un'opinione pubblica orientata anti-politicamente. A parte il Cnel, che in effetti s'e' dimostrato in questi anni una scatola quasi vuota, la riduzione dei costi della politica avrebbe potuto essere perseguito in diversi altri modi: riduzione drastica del numero dei deputati, perfino abolizione pura e semplice del Senato in un contesto di garanzie ed equilibri costituzionali efficaci. Non e' stato cosi'.

Si e' voluto poter disporre d'un argomento demagogico che trova alimento nella lunga tradizione antiparlamentare che ha sempre alimentato il qualunquismo nostrano.

Avere unificato in un unico voto referendario tanti argomenti tanto diversi (forma di governo e autonomie regionali) e' un abile trucco costituzionalmente scorretto, che impedisce di votare si' su quelle parti della riforma che, prese per se' e in se', risultassero eventualmente condivisibili. Voi dite di voler combattere l'antipolitica, ma proprio voi ne esprimete l'essenza. (...)

14. Diranno: come e' possibile disconoscere il serio lavoro fatto da numerosi esperti, a incominciare dai "saggi" del presidente della Repubblica, passando per la Commissione governativa, per le tante audizioni parlamentari di distinti costituzionalisti, fino ad approdare al Parlamento e al ministro competente per le riforme costituzionali. Tutto cio' non e' per voi garanzia sufficiente d'un lavoro tecnicamente ben fatto? (...)

Le questioni costituzionali non sono mai solo tecniche. A ogni modifica della collocazione delle competenze e delle procedure corrisponde una diversa allocazione del potere. Nella specie, cio' che si sta realizzando, per l'effetto congiunto della legge elettorale e della riforma costituzionale, e' l'umiliazione del Parlamento elettivo davanti all'esecutivo; l'esecutivo, un organo che, non essendo "eletto", potra' derivare dall'iniziativa del presidente della Repubblica che, dall'alto, potra' manovrare - come e' avvenuto - per ottenere la fiducia della Camera.

Quanto poi alla bonta' del testo di riforma dal punto di vista tecnico, ci limitiamo a questo esempio, la definizione delle competenze legislative da esercitare insieme dalla Camera e dal Senato (si', il Senato rimane, il bicameralismo anche e, se la seconda Camera non si arenera' su un binario morto, i suoi rapporti con la prima Camera daranno luogo a numerosi conflitti): "La funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere per (sic!) le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'art. 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Citta' metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella (?) che determina i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' con l'ufficio di senatore e di cui all'art. 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116 terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma".

Se questo pasticcio e' il prodotto dei "tecnici", noi diciamo che hanno trattato la Costituzione come una legge finanziaria o, meglio, come un Decreto milleproroghe qualunque: sono infatti formulati cosi'. Quanto ai contenuti, come possono i "tecnici" non aver colto le contraddizioni dell'art. 5, noto perche' su di esso si e' prodotta una differenziazione nella maggioranza, poi rientrata. Riguarda la composizione del Senato e non si capisce se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali. Saranno eletti - si scrive - dai Consigli regionali "In conformita' alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri". Ma, se queste scelte saranno vincolanti, non ci sara' elezione ma, al piu', ratifica; se non saranno vincolanti, come si puo' parlare di "conformita'".

Un pasticcio dell'ultima ora che dara' filo da torcere a chi dovra' darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del cerchio... Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo d'esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare che cosa avete voluto. (...) Questi tecnici non hanno dato il meglio di se', forse perché hanno dovuto nascondere nell'oscurita' l'assenza di chiarezza che ha regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di scrivere queste norme. Loro non lo diranno, ma lo diciamo noi. Nella confusione, una cosa e' chiara: l'accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell'esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare. Orbene, noi della Costituzione abbiamo un'idea diversa: patto solenne che unisce un popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in societa'. "Unisce"? Questa riforma non unisce ma divide. Non e' una costituzione, ma una s-costituzione. "Popolo sovrano"?

Dov'e' oggi svanita la sovranita', quella sovranita' che l'art. 1 della Costituzione pone nel popolo e che l'art. 11 autorizza bensi' a "limitare", ma precisando le condizioni (la pace e la giustizia tra le Nazioni) e vietando che sia dismessa e trasferita presso poteri opachi e irresponsabili? E' superfluo ripetere quello che da tutte le parti si riconosce: per molte ragioni, il popolo sovrano e' stato spodestato. Se manca la sovranita', cioe' la liberta' di decidere da noi della nostra liberta', quella che chiamiamo costituzione non e' piu' tale.

Sara', al piu', uno strumento di governo di cui chi e' al potere si serve finche' e' utile e che si mette da parte quando non serve piu'. La prassi e' li' a dimostrare che proprio questo e' stato l'atteggiamento sfacciatamente strumentale degli ultimi anni: la Costituzione non e' stata sopra, ma sotto la politica e percio' e' stata forzata e disattesa innumerevoli volte nel silenzio compiacente della politica, della stampa, della scienza costituzionale. Ora, la riforma non e' altro che la codificazione di questa perdita di sovranita'. Apparentemente, la vicenda che stiamo vivendo e' una nostra vicenda. In realta', chi la conduce lo fa in nome nostro ma, invero, per conto d'altri che gia' hanno fatto il bello e il cattivo tempo nei Paesi economicamente, politicamente e socialmente piu' deboli e s'apprestano a continuare. Per questo, chiedono governi che non abbiano da dipendere dai parlamenti e, ove sia il caso, dispongano di strumenti per mettere i parlamenti, rappresentativi dei cittadini, nelle condizioni di non nuocere.

Seguiamo questa concatenazione: la Costituzione e' espressione della sovranita'; se manca la sovranita', non c'e' costituzione. La Costituzione e il Diritto costituzionale, con la sedicente riforma costituzionale, s'avviano a mantenere il nome, ma a perdere la cosa. L'impegno per il No al referendum ha, nel profondo, questo significato: opporsi alla perdita della nostra sovranita', difendere la nostra liberta'.

Post scriptum: C'e' poi ancora un altro argomento che, per la sua stupidita', abbiamo esitato a inserire nella lista di quelli meritevoli d'essere presi in considerazione. E' gia' stato usato ed e' destinato a essere ripetuto in misura proporzionale alla sua insensatezza. Per questo, non lo ignoriamo semplicemente, come forse meriterebbe, ma lo collochiamo alla fine, a parte.

15. Diranno: sara' divertente vedere dalla stessa parte un Brunetta e uno Zagrebelsky.

Noi diciamo: non fate torto alla vostra intelligenza. Come non capire che si puo' essere in disaccordo, anche in disaccordo profondo, sulle politiche d'ogni giorno, ma concordare sulle regole costituzionali che devono garantire il corretto confronto tra le posizioni, cioe' sulla democrazia? In verita', chi pensa di vedere in questa concordanza un motivo di divertimento, e non una seria ragione per dubitare circa il valore dei cambiamenti costituzionali in atto, non fa che confessare candidamente un suo retro-pensiero. Questo: che tra una Costituzione e una legge qualunque non c'e' nessuna differenza essenziale; che, quindi, se sei in disaccordo politico con qualcuno, non puoi essere in accordo costituzionale con lui, perche' tutto e' politica e nulla e' costituzione. A noi, questo, non sembra un modo di pensare rassicurante.

 

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SENZA ODIO, SENZA VIOLENZA, SENZA PAURA

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Al referendum votiamo No alla riforma costituzionale golpista

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

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Numero 10 del 7 settembre 2016