[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 735
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- Date: Fri, 4 Dec 2015 10:26:54 +0100 (CET)
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)
Numero 735 del 4 dicembre 2015
In questo numero:
1. Tutto si tiene
2. Contro tutti i terrorismi, contro tutte le guerre
3. Hic et nunc, quid agendum
4. Sergio Paronetto: Far scendere l'asino dal minareto. Un decalogo nonviolento
5. Enrico Peyretti: L'illusione delle armi
6. Olivier Turquet: Non ci sono bombardamenti buoni
7. Mao Valpiana: Pacifismo, facile bersaglio
8. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
9. Segnalazioni librarie
1. SCORCIATOIE. TUTTO SI TIENE
Tutto si tiene, naturalmente.
Quanto sarebbe necessaria, ed urgente, una campagna nonviolenta per la cessazione immediata della partecipazione italiana alle guerre e per tornare al rispetto integrale della Costituzione della Repubblica che "ripudia la guerra", per cominciare.
Quanto sarebbe necessaria, ed urgente, una campagna nonviolenta per il disarmo che riprendesse l'intuizione feconda del referendum brasiliano di alcuni anni fa, e ponesse l'obiettivo sia dell'abolizione della produzione e del commercio delle armi, sia della distruzione delle armi esistenti, per cominciare.
Quanto sarebbe necessaria, ed urgente, una campagna nonviolenta per trasferire le immani risorse oggi destinate alle spese militari ad interventi di pace con mezzi di pace - i corpi civili di pace, la difesa popolare nonviolenta, per cominciare.
Quanto sarebbe necessaria, ed urgente, una campagna nonviolenta per sciogliere tutte le scellerate alleanze militari (intese in quanto tali alle guerre che sempre e solo consistono nella commissione di stragi), sostituendole con sempre piu' vaste e inclusive coalizioni di pace con mezzi di pace, per cominciare.
Quanto sarebbe necessaria, ed urgente, una campagna nonviolenta per abrogare tutte le misure razziste ancora in vigore in Italia e in Europa, e per far finalmente prevalere il diritto umano alla vita, e quindi al soccorso, all'accoglienza, all'assistenza, alla condivisione, per cominciare.
Quanto sarebbe necessaria, ed urgente, una campagna nonviolenta per rompere ogni complicita' con i regimi dittatoriali, i poteri criminali, le economie mafiose e schiaviste ed ecocide, e per affermare ovunque la legalita' che salva le vite, la democrazia che tutte le persone riconosce e rispetta, la giustizia sociale che invera dignita' e diritti, la protezione e la condivisione dei beni comuni, la tutela della biosfera, per cominciare.
*
Quanto sarebbe necessario ed urgente opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni, al razzismo e a tutte le persecuzioni, al maschilismo e a tutte le oppressioni.
Quanto sarebbe necessario ed urgente difendere i diritti di tutte le persone, la civilta' umana, la biosfera.
Sono i compiti dell'ora, il dovere di ogni persona decente.
E' la nonviolenza in cammino.
La nonviolenza e' l'unica vera opposizione al fascismo, al terrorismo, alla guerra, alle stragi.
La nonviolenza e' l'unica vera opposizione alla barbarie.
La nonviolenza e' la teoria e la pratica del movimento storico di liberazione dell'umanita'.
Utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare eretti.
Realismo coerente, razionalita' empatica, responsabilita' per altrui.
L'umanita' come dovrebbe essere, la civilta' in cammino.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
La scelta della nonviolenza e' la politica necessaria.
Tutto si tiene, naturalmente.
2. REPETITA IUVANT. CONTRO TUTTI I TERRORISMI, CONTRO TUTTE LE GUERRE
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Ogni uccisione e' un crimine.
Non si puo' contrastare una strage commettendo un'altra strage.
Non si puo' contrastare il terrorismo con atti di terrorismo.
A tutti i terrorismi occorre opporsi.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
La guerra e' il terrorismo portato all'estremo.
Ogni guerra consiste di innumerevoli uccisioni.
La guerra e' un crimine contro l'umanita'.
Con la guerra gli stati divengono organizzazioni terroriste.
Con la guerra gli stati fanno nascere e crescere le organizzazioni terroriste.
A tutte le guerre occorre opporsi.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Un'organizzazione criminale va contrastata con un'azione di polizia da parte di ordinamenti giuridici legittimi.
La guerra impedisce l'azione di polizia necessaria.
Occorre dunque avviare un immediato processo di pace nel Vicino e nel Medio Oriente che consenta la realizzazione di ordinamenti giuridici legittimi, costituzionali, democratici, rispettosi dei diritti umani.
Occorre dunque che l'Europa dismetta ogni politica di guerra, di imperialismo, di colonialismo, di rapina, di razzismo, di negazione della dignita' umana di innumerevoli persone e di interi popoli.
Occorre dunque una politica europea di soccorso umanitario, di pace con mezzi di pace: la politica della nonviolenza che sola riconosce e promuove e difende i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
La violenza assassina si contrasta salvando le vite.
La pace si costruisce abolendo la guerra.
La politica della nonviolenza richiede il disarmo e la smilitarizzazione.
La politica nonviolenta richiede la difesa civile non armata e nonviolenta, i corpi civili di pace, l'azione umanitaria, la cooperazione internazionale.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
Si coalizzino tutti gli stati democratici contro il terrorismo proprio ed altrui, contro il terrorismo delle organizzazioni criminali e degli stati.
Si coalizzino tutti gli stati democratici per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti.
Si coalizzino tutti gli stati democratici per l'indispensabile aiuto umanitario a tutte le persone ed i popoli che ne hanno urgente bisogno.
Si coalizzino tutti gli stati democratici per contrastare le organizzazioni criminali con azioni di polizia adeguate, mirate a salvare le vite e alla sicurezza comune.
Si coalizzino tutti gli stati democratici per la civile convivenza di tutti i popoli e di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
Cominci l'Italia.
Cominci l'Italia soccorrendo, accogliendo e assistendo tutte le persone in fuga dalla fame e dall'orrore, dalle dittature e dalla guerra.
Cominci l'Italia cessando di partecipare alle guerre.
Cominci l'Italia uscendo da alleanze militari terroriste e stragiste come la Nato.
Cominci l'Italia cessando di produrre armi e di rifornirne regimi e poteri dittatoriali e belligeranti.
Cominci l'Italia abrogando tutte le infami misure razziste ancora vigenti nel nostro paese.
Cominci l'Italia con un'azione diplomatica, politica ed economica, e con aiuti umanitari adeguati a promuovere la costruzione di ordinamenti giuridici legittimi, costituzionali e democratici dalla Libia alla Siria.
Cominci l'Italia destinando a interventi di pace con mezzi di pace, ad azioni umanitarie nonviolente, i 72 milioni di euro del bilancio dello stato che attualmente ogni giorno sciaguratamente, scelleratamente destina all'apparato militare, alle armi, alla guerra.
Cominci l'Italia a promuovere una politica della sicurezza comune e del bene comune centrata sulla difesa popolare nonviolenta, sui corpi civili di pace, sulla legalita' che salva le vite.
Salvare le vite e' il primo dovere.
*
Ogni vittima ha il voto di Abele.
Alla barbarie occorre opporre la civilta'.
Alla violenza occorre opporre il diritto.
Alla distruzione occorre opporre la convivenza.
Al male occorre opporre il bene.
Contro tutti i terrorismi, contro tutte le guerre.
Salvare le vite e' il primo dovere.
3. REPETITA IUVANT. HIC ET NUNC, QUID AGENDUM
Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.
Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.
Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.
Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.
Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.
Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.
Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.
Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.
In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.
In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.
In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.
L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.
L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
4. RIFLESSIONE. SERGIO PARONETTO: FAR SCENDERE L'ASINO DAL MINARETO. UN DECALOGO NONVIOLENTO
[Riceviamo e diffondiamo.
Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico "Luigi Einaudi" di Verona dove coordina alcune attivita' di educazione alla pace e ai diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di Cooperazione internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al servizio militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi di alfabetizzazione secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli anni '80 e' consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena suscitate dall'Appello dei Beati i costruttori di pace. In esse incontra o reincontra Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e tanti testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva gia' conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale e del cui Centro studi fa parte e di cui attualmente e' vicepresidente nazionale. E' membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e del Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto: La nonviolenza dei volti. Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004; Tonino Bello maestro di nonviolenza, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 2012; Pace nuovo umanesimo, Cittadella, Assisi 2015; Amare il mondo. Creare la pace, La Meridiana, Molfetta 2015. Una recente intervista a Sergio Paronetto e' nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 433]
Una politica di pace non e' una politica rassegnata o remissiva davanti all'aggressore ma e' azione continua, determinata e responsabile. E' lotta per il bene. E' non armare le guerre, e' non affrontare le guerre del terrorismo con il terrorismo delle guerre. Espongo una sorta di decalogo operativo "nonviolento".
- arrestare i responsabili, assicurarli alla giustizia guardando a tutta la rete di complicita';
- potenziare le operazioni di "intelligence" in ambito nazionale e internazionale;
- avviare un processo politico diretto dall'Onu per la pace in Siria e in Iraq coinvolgendo tutti gli attori internazionali e locali disposti a superare la situazione attuale (Usa e Russia, Arabia Saudita e Iran, Turchia ed Egitto...);
- isolare gli aggressori e i loro mandanti, attuare quello che il cardinal Bagnasco chiama "embargo planetario, concreto e vigilato dall'Onu" ("Avvenire" 18 novembre 2015), in particolare non vendere armi;
- eliminare le complicita' con l'Isis, toccare il nodo dei finanziamenti, scardinarne l'architettura finanziaria calcolata in 2 miliardi di dollari, e quindi: fermare il contrabbando di petrolio (che frutta all'Isis un milione di dollari al giorno); fare pressione sui paesi del Golfo che elargiscono indirettamente somme di denaro (40 milioni di dollari tra 2013 e 2014) alle organizzazioni islamiste; irrigidire le restrizioni bancarie;
- affidare al Tribunale Penale Internazionale la valutazione giudicante dei crimini contro l'umanita' commessi in Medio Oriente;
- attuare una politica euro-mediterranea di vera cooperazione economica e culturale;
- oscurare i siti della violenza, ostacolare l'apparato mediatico che condiziona tanti giovani e, quindi, sviluppare nelle scuole, nei quartieri, nelle citta' momenti di educazione alla gestione dei conflitti, evidenziare le testimonianze di pace, fare memoria del bene;
- potenziare il dialogo interreligioso e interculturale senza ingessature o diplomazie generiche ma con buone pratiche sociali, azioni comuni e momenti di festa;
- pregare e vegliare assieme, alimentare una spiritualita' dell'incontro che faccia emergere la sostanza disarmata e disarmante della propria fede.
"Chi ha fatto salire l'asino sul minareto, e' capace anche di farlo scendere", dice un proverbio arabo. Ognuno puo' fare qualcosa. Dove abbonda il male puo' sovrabbondare il bene. Si puo' vincere il male con il bene.
5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: L'ILLUSIONE DELLE ARMI
[Riceviamo e diffondiamo.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]
Il terrorismo e' una criminale vendetta indiscriminata che si pretende giustizia e sottomette tutti alla paura. La guerra e' una criminale illusione di giustizia.
*
La falsa promessa delle armi
Ci sono immagini ingannevoli nelle quali non c'e' ne' la felicita' ne' qualche bene minore: un'apparenza, non un'apparizione. Questo avviene, in modo madornale, nel caso delle armi e della vana ridicola assurda disgraziata disastrosa promessa di sicurezza che le armi danno, ingannando miriadi di persone e di popoli. Questo vediamo se facciamo un bilancio non brevemente provvisorio, ma davvero definitivo, dell'uso delle armi.
L'arma, prima di difendere, offende, uccide. Per questo scopo diretto e' pensata, progettata, costruita, venduta e comprata. Per nessun altro scopo. Un coltello da cucina e' fatto per cucinare, nutrire e vivere: anche se puo' essere usato per uccidere, non posso accusarlo di essere un'arma, se non in senso tutto "improprio". Un'arma in senso proprio puo' soltanto uccidere.
L'arma offende e uccide. Se difende, difende offendendo un'altra arma che offende, cioe' offendendo chi offende. La difesa armata e' offesa e vendetta. L'arma offensiva, e difensiva mediante offesa, fa la sua funzione propria, costitutiva, compie la sua natura, che e' colpire, fino ad uccidere. Volere un'arma e' volere uccidere. Comprare un'arma e' comprare la possibilita' di uccidere. Fabbricare armi e' fabbricare morte in aggiunta peggiorativa alla nostra mortalita' naturale. Farsi autorizzare a possedere un'arma e' farsi autorizzare ad uccidere, certo in determinate situazioni ipotizzate, ma sempre e solo uccidere. E' volonta' di uccidere, magari ritenendo che sia giusto, o necessario, ma uccidere, cioe' espellere dalla vita, volere annullare. Solo questo sa fare l'arma. Come la ruota sa girare, e l'aquilone volare, l'arma sa creare morte, discreare la vita.
La verita' delle armi e' apparsa a Hiroshima, il 6 agosto 1945. Fino ad allora potevi illuderti che difendessero dall'offesa. Quando, per difendere il diritto, l'arma e' cresciuta fino alla distruttivita' totale, ha perso la possibilita' di difendere. L'arma e' diventata suicidio. Proprio come il kamikaze che, in un conflitto a suo giudizio giusto, si uccide: sui-omicida. Cosi' e' ormai l'arma.
La difesa, per essere giusta, deve essere (come dicevano alcuni pacifisti nonviolenti tedeschi negli anni '80, nella "crisi dei missili") "strutturalmente incapace di offesa". O difesa, o offesa. Cioe', la difesa deve essere compiuta con le tecniche nonviolente classiche, storiche, ma ostinatamente ignorate dalle strategie statali, dalle politiche, e non viste dagli storici daltonici, abbacinati solo dalla violenza.
*
Non esiste la deterrenza
Potenziale e determinato uccisore, nemico della vita, e' chi detiene e impugna un'arma per fare deterrenza. Non c'e' alcuna deterrenza se non c'e' la determinazione ad uccidere, la volonta' di uccidere, seppure condizionata. Tu mi minacci di morte, e io per difendermi faccio la stessa identica cosa, ti minaccio, e chiamo la minaccia deterrenza. Come nella vendetta: ora ci sono due mali invece di uno.
La minaccia e' gia' mortale, mortifera. E' volonta' di morte. La persona minacciata e' quasi uccisa, ridotta a cosa. Leggo in Simone Weil: la minaccia e' il potere di "mutare in cosa un uomo che resta vivo. E' vivo, ha un'anima; e', nondimeno, una cosa". "Si tratta di un'altra specie umana, un compromesso tra l'uomo e il cadavere", contraddizione che strazia l'anima. La condizione dei minacciati "e' una morte che si allunga, si stira per tutto il corso di una vita". In tempo di guerra, questa morte artificiale e organizzata e' solo la punta piu' visibile e orrenda della violenza, che si ramifica nel profondo in tutte le forme di dominio. "L'esercizio della forza [intende la violenza - e.p.] e' un'illusione. Nessuno la possiede: essa e' un meccanismo". "Vincitori e vinti sono fratelli nella stessa miseria". "Colpire e essere colpiti e' un'unica e medesima impurita'".
Se dunque l'aggressore che mi minaccia mi riduce a cosa, io devo saperne uscire senza imitarlo, cioe' ritornando uomo vivente.
Chi si difende con l'arma vuole uccidere. Per non essere ucciso, uccide. Non vuole soltanto dissuadere, deterrere. Tu non mi deterri se so che fingi. Io non ti deterro se sai che fingo, o se sai che non so sparare. La deterrenza non e' innocente, e' volonta' di uccidere, sospesa a determinate condizioni, ma volonta' di uccidere, proprio come chi assale.
Tu mi deterri davvero se io vedo e so che vuoi uccidermi qualora non obbedisca alla tua volonta'. Proprio come fa l'assalitore armato. Arriviamo cosi' a vedere scomparire o dissolversi la differenza tra aggredire con le armi e difendersi/difendere con le armi, tra guerra aggressiva e guerra difensiva. Non si vuole negare nella prassi che la differenza c'e', la nostra Costituzione la riconosce, ma contiene pure una sana spina morale-politica che spinge e stimola alla liberazione anche dall'uso difensivo delle armi. Del resto, la tensione morale vede piu' della legge che si muove nello stretto possibile. L'anima umana spazia ben oltre, e' creativa e liberante.
*
O le armi o la vita
L'arma e' l'anti-vita, l'anti-umanita'. Ci impone il dilemma: o le armi o la vita. La vita e' il valore a noi comune. Qualunque altro valore o scopo cercato dagli umani richiede prima che ci sia vita. Certo, il kamikaze (o anche Pietro Micca) pospone la vita personale ad uno scopo collettivo, che ritiene buono, per il quale si fa strumento morto e mortale. Il martire sa spendere la vita intera per un valore che la realizza oltre il suo limite. Chi vive un dolore tale da togliere vivibilita' alla vita, si priva volontariamente e liberamente della vita, decisione drammatica e rispettabile. Ma la vita, anche in questi casi, e' un valore che da' qualche significato a quegli atti. Abbiamo forse un altro valore comune, superiore alla semplice vita? La vita e' la condizione di tutti i valori. Allora e' necessario abolire le armi per difendere la vita: altro che potenziarle!
Condanniamo i terroristi sui-omicidi, che annullano la propria vita per annullarne altre, e terrorizzarle tutte, in un trionfo della morte, ma, se guardiamo bene, ogni arma e' trionfo della morte, e' scelta di morte piu' che di vita, e' affidare la vita alle mani della morte: ogni arma, anche quelle celebrate nelle retoriche della patria in armi, anche nella oscenita' delle parate militari come espressione maggiore della unita' di un popolo in festa.
*
Il dovere di difendere
Obiezione solita: ma il mio nemico minaccioso e' armato, e' potenziale assassino, e devo difendere me stesso o chi mi e' affidato. Bene. Pero', accade che, se prendi un'arma anche tu, e piu' forte dell'arma del nemico, la probabilita' di morire, per te e non solo per lui, cresce, non diminuisce. Sei meno sicuro.
Perche' l'arma possa difenderti devi precedere in velocita' e potenza il nemico. Non e' piu' questione di diritto e di torto, di giustizia e di ingiustizia, ma solo di velocita' e potenza. L'arma non sa chi ha ragione, chi ha diritto: essa riduce il diritto ad un fatto tutto e solo quantitativo, senza qualita'. Se sei il piu' veloce ad uccidere, ti fai omicida, uccisore del nemico, ed eviti a lui di farsi omicida, uccisore di te. Cosi' vinci la gara del male, l'assalto alla vita. Non e' la tua vittoria. Tu sei vivo e lui e' morto, ma e' vittoria della morte. Se dico Mors tua vita mea, dunque la mia vita e' una morte, e' la tua morte. Allora, la vita del vincitore con le armi e' morte, e' vittoria di uccisore, e' vittoria di una morte. Strano: cosi' chi vince si e' "sacrificato" per il suo nemico, si e' assunto la colpa di uccidere. Ma anche lui voleva ucciderti. Siete insieme all'inferno.
Pero', non sai mai se sarai tu il piu' veloce e il piu' potente. Il soldato va in guerra drogato dall'illusione di uccidere senza essere ucciso. Dal momento che e' una questione di velocita' e potenza, considera un momento se altri mezzi, mezzi umani, come la parola preventiva, il dialogo, l'ascolto dei motivi del nemico, uno stato d'animo tuo che possa attirare a benevolenza il nemico, il tuo fargli bene prima e in luogo del fargli male, tutto cio' insieme al coraggio di resistere fino a saper morire piu' del saper uccidere (il che significa affermare e far valere la vita feconda piu' della morte sterilizzante), considera se cio' non sia la tua maggiore e piu' efficace difesa, e piu' libera da effetti contrari negativi non voluti.
Cio' non toglie - perche' nulla al mondo e' assoluto - che ci sia un caso in cui, senza premeditazione e senza organizzazione finalizzata (esercito e apparati micidiali), uccidere uno che sta in quel momento (e non prima e non dopo) per uccidere altri, sia un male minore che evita un male maggiore. Lo ammette anche Gandhi. Ma pur sempre un male, di cui non potresti farti vanto, un dolore, come una sconfitta della vita in cui sei stato coinvolto, e non una vittoria. Secondo un racconto ebraico rivelatore di grandezza, quando il suo popolo ha passato indenne il Mar Rosso, Dio ha pianto per gli egiziani annegati. E una finissima poesia di Elena Bono (Lamento di David sul gigante ucciso) canta il dolore e la solitudine di David dopo aver ucciso Golia.
L'arma e' vergogna e degenerazione del nostro essere umani, perche' separa radicalmente le vite, che sono distinte per essere insieme, e solo con l'essere insieme, l'una per l'altra, possono essere distinte, libere, degne, valide. Certo, le vite non vanno poste in alternativa assoluta, ma l'alternativa assoluta, se qualcuno la pone, non va accettata, e a questo scopo ogni mezzo dell'intelligenza creativa va messo in atto, al di la' di quanto l'evoluzione e la storia umana hanno saputo fare fino ad oggi, tanto piu' che la storia e la possibile politica realistica delle difesa nonviolenta e' storicamente cominciata, per chi vuole cominciare a conoscerla.
6. RIFLESSIONE. OLIVIER TURQUET: NON CI SONO BOMBARDAMENTI BUONI
[Dal sito di "Pressenza" riprendiamo il seguente intervento.
Olivier Turquet e' nato nel 1954. Fiorentino d'adozione risiede attualmente nel Valdarno dove svolge il suo lavoro di maestro elementare. Per hobby si occupa di cambiare il mondo con svariate iniziative nel campo dell'editoria, del giornalismo, della ricerca. In questo senso e' direttore editoriale della casa editrice umanista Multimage (www.multimage.org), fondatore dell'agenzia stampa elettronica "Buone Nuove" (www.buonenuove.org), redattore di "Pressenza", agenzia stampa per la pace e la nonviolenza (www.pressenza.org), redattore di PeaceLink, telematica per la pace (www.peacelink.it) e coordinatore del Centro studi umanisti "Ti con Zero" (www.cmehumanistas.org, www.csuticonzero.org). Fa parte del Movimento Umanista (www.humanistmovement.net), medita e organizza eventi su spiritualita' ed educazione al Parco di studio e riflessione di Attigliano (www.parcoattigliano.eu). Cfr. anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 347]
Il terrorismo ha sicuramente raggiunto un obiettivo: quello di terrorizzare un buon numero di persone. Non ci stupisce, dato che l'obiettivo ovvio e unico del terrorismo e' quello di seminare terrore. Questo, per inciso, lo differenzia dalla guerriglia, nelle sue varie forme. La guerriglia pretende di essere una forza di liberazione che ritiene opportuno usare mezzi violenti per risolvere situazioni di oppressione e di ingiustizia. Non siamo d'accordo sui mezzi ma si' sui fini.
Col terrorismo non siamo d'accordo su nulla. E siamo d'accordo con Chomsky quando dice che il modo migliore di combattere il terrorismo e' smettere di praticarlo.
Perche' nelle forme di terrorismo dovremo inserire tutte le pratiche di violenza che i vari popoli hanno subito da una serie di istituzioni e governi che con qualche giustificazione ideologica (la civilta', la guerra umanitaria, la superiorita' della razza...) hanno: torturato, assassinato, fatto colpi di stato, armato terroristi, invaso paesi, rifilato embarghi, fatto bombardamenti ecc.
I bombardamenti, in particolare nelle guerre attuali, sono atti terroristici. Non esistono bombardamenti intelligenti, ne' bombe intelligenti, ma soprattutto non esiste l'invenzione del bombardamento chirurgico, di quello mirato sugli obiettivi militari. Sarebbe sufficiente anche solo ascoltare qualunque racconto dei bombardamenti in Italia dell'ultima guerra mondiale per capire, al di la' dei devastanti effetti immediati, quali sono gli ugualmente devastanti effetti sulla mente delle persone che li subiscono. Gli unici scopi dei bombardamenti sono terrorizzare le popolazioni e guadagnare soldi (le bombe vanno ricomprate). Credo che se si potesse mettere su un tavolo un grafico di comparazione tra il numero di guerre in corso e l'andamento del mercato delle armi si potrebbero notare coincidenze interessanti.
In secondo luogo (casomai non bastasse il primo argomento), trattandosi di terroristi sparpagliati sul territorio, non esiste nulla di piu' inadeguato dei bombardamenti per combatterli dato che e' difficile sapere dove si trovino e dove siano le loro basi. Pragmaticamente potremmo bombardare le installazioni di petrolio che controllano ma, curiosamente, quello non e' mai un obiettivo dato che ci sono altri interessi che si preoccupano che certe fonti di guadagno non vengano danneggiate.
Se qualcuno volesse combattere seriamente l'Isis comincerebbe semplicemente per non comprargli piu' il petrolio (merce che necessita di abbastanza infrastruttura per essere venduta e trasportata all'acquirente); potrebbe poi continuare bloccando le carovane di rifornimenti che tutti i giorni approvvigionano il sedicente "Stato Islamico" e le cui foto si possono reperire con una banale ricerca su Google (battere "rifornimenti all'Isis"). Non sarebbe male nemmeno, come proposto da varie parti, smettere di intrattenere relazioni con coloro che continuano a rifornire i terroristi.
Una campagna mondiale di boicottaggio di chiunque sia anche vagamente connivente col terrorismo metterebbe alla luce molte zone d'ombra nell'apparente unanimismo anti-Isis.
E se qualcuno anche solo si azzarda a sventolare la bandiera della "risposta necessaria" diremo con ancora piu' forza che la violenza non e' mai necessaria; che, al contrario, la violenza genera solo altra violenza e che c'e' un solo modo di spezzare la catena: il vuoto, la non-collaborazione della nonviolenza, della retta parola, dell'agire in coerenza ai propri sentimenti e alle proprie idee, del trattare gli altri come si vuol essere trattati.
Sono impressionati le testimonianze di questi giorni verso questo nuovo desiderio di fratellanza, di aiuto, di comprensione, di reciprocita', di semplice abbraccio di chi e' diverso da me ma uguale nella luce delle candele, nella comunanza della morte, nella essenza umana. Queste testimonianze chiamano quella nazione umana universale che dal futuro ci aspetta: un mondo che, tra le tante cose, dice "mai piu' guerra, mai piu' violenza".
7. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: PACIFISMO, FACILE BERSAGLIO
[Ringraziamo Mao Valpiana per averci messo a disposizione questo testo originariamente apparso nel sito dell'"Huffington Post".
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"); attualmente e' presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer Stiftung; fa parte del Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta istituito presso L'Ufficio nazionale del servizio civile; e' socio onorario del Premio nazionale "Cultura della pace e della nonviolenza" della Citta' di Sansepolcro; ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". E' stato fondamentale ideatore, animatore e portavoce dell'"Arena di pace e disarmo" del 25 aprile 2014 e coordina la campagna "Un'altra Difesa e' possibile". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]
Uno degli effetti collaterali dell'allarme terrorismo, e' certamente la bocciatura definitiva del pacifismo da parte di una fetta consistente dell'opinione pubblica. Se ne e' fatto portavoce l'editorialista Antonio Polito: con i terroristi non si puo' dialogare, ci vogliono le armi.
Non voglio fare il difensore d'ufficio, poiche' e' del tutto evidente che un certo pacifismo che si limita a sventolare bandiere arcobaleno e a convocare marce periodiche, rituali, sempre uguali a se stesse, e' del tutto superato. Lo abbiamo detto noi stessi gia' qualche decennio fa, a partire da un convegno dal titolo esplicativo "Crescere dal pacifismo alla nonviolenza".
Che differenza c'e' tra pacifismo e nonviolenza? La stessa che c'e' tra chi ha paura di morire, e chi ha paura di uccidere: volere la pace (nel senso di voler essere lasciati in pace), o cercare la pace (nel senso di costruirla insieme agli altri). Il dibattito non e' nuovo. Lo affrontarono gia' Gandhi, che distingueva tra nonviolenza del debole e nonviolenza del forte, e Aldo Capitini, che differenziava il "pacifismo relativo" dal "pacifismo integrale". La nonviolenza dunque e' una forza costruttiva per opporsi alla distruttivita' della guerra.
Il centro di questa discussione sta proprio nei due termini "guerra" e "forza". Essere contro la guerra non significa escludere la forza. Infatti, la nonviolenza si basa proprio sull'uso della forza per combattere la violenza: la verita' contro la menzogna, la legge dell'amore contro la legge della giungla. Se la nonviolenza assoluta non e' ancora possibile, diceva Gandhi, cerchiamo almeno di raggiungere il minor grado possibile di violenza; e faceva l'esempio, attualissimo, di un cecchino che spara sulla folla. Per fermarlo (se necessario, abbatterlo) bisogna usare una forza che servira' ad evitare una violenza maggiore.
La nonviolenza insiste su due punti chiave: la correlazione tra mezzi e fini e l'efficacia dell'azione. Nel caso dei bombardamenti in Siria non si realizza nessuna delle due condizioni. Le bombe non fermano Daesh (anzi enfatizzano il fanatismo dello Stato Islamico) e colpiscono anche la popolazione civile innocente. La prova e' nei fatti: dall'inizio della guerra con l'intervento in Iraq nel 2003, il terrorismo internazionale e' aumentato. Percio' il mezzo-guerra non ottiene il fine-pace, e dunque non e' efficace.
Le vicende in atto, quanto accaduto in Iraq, in Libia, e ora in Siria con l'avanzata di Isis, sono ben piu' complesse di un manicheo "o con le bombe o con i terroristi". Certo, la neutralita' o l'ignavia in questo caso sarebbero peccati di omissione, perche' lascerebbero popolazioni intere come gli yazidi o i curdi alla merce' dell'esercito di un criminale come il sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi, e dunque bisogna intervenire. Ma bisogna intervenire con strumenti che possano davvero fermare gli assassini, senza creare nuovi assassini.
La domanda di oggi e': bombardare Raqqa in Siria, serve a fermare i terroristi che tengono in scacco Parigi in Europa? La risposta e' no. Da nonviolento, invece, sono favorevole ai bombardamenti sui pozzi di petrolio nei territori conquistati da Daesh, per tranciare la fonte di finanziamento del terrorismo: un sabotaggio. Non sarebbe una guerra, ma un'operazione militare, da fare sotto egida Onu, mirata a danneggiare economicamente i fuori legge, senza mirare a stroncare vite umane innocenti. Eppure in questi anni si e' scelta una strategia diversa, con i bombardamenti sulle citta'. E nonostante tutta la potenza di fuoco a disposizione (America, Russia, Europa insieme) non si riesce a farla finita con qualche decina di migliaia di tagliagole. Come mai?
La convulsione storica che stiamo vivendo non e' scoppiata improvvisamente, come un terremoto, ma e' cresciuta per decenni, nei quali nulla si e' fatto per evitarne l'esplosione, ne' per preparare una valida alternativa. E' come trovarsi davanti ad un incendio devastatore senza aver mai fatto prevenzione e senza avere in mano neppure un secchio d'acqua per spegnerlo. Che si potrebbe fare? Nulla. Oggi le proposte della nonviolenza sembrano solo teoriche, perche' per anni, per decenni, non hanno ottenuto nessun credito. Tutte le energie, tutti i finanziamenti, tutta la politica e' stata indirizzata a preparare esclusivamente la macchina bellica, che infatti oggi e' pronta e aggressiva, con portaerei, bombe, truppe, elicotteri, carri armati; tutto ben organizzato, costruito e finanziato in anni e anni. Ma non funziona! E dopo aver speso migliaia di miliardi nell'apparato tecnico-scientifico-militare e non aver mai investito nemmeno un euro nella preparazione nonviolenta, come si puo' chiedere agli amici della nonviolenza una possibile soluzione della tragedia in corso?
Come nonviolenti sappiamo ben vedere la differenza che c'e' tra la guerra e un intervento armato, tra l'esercito e la polizia. Da anni siamo impegnati nella ricerca per la soluzione nonviolenta dei conflitti, sosteniamo il Tribunale Internazionale davanti al quale bisogna portare Bush, Blair e al-Baghdadi per crimini contro l'umanita', lavoriamo per l'istituzione di Corpi Civili di Pace, chiediamo di investire in intelligence, in diplomazia e favoriamo processi di pacificazione, riconciliazione, convivenza. Da sempre vogliamo la diminuzione dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione della Polizia Internazionale, che intervenga nei conflitti a tutela della parti lese, per disarmare l'aggressore. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, lavoriamo contro la preparazione della guerra, che e' una forma di terrorismo su larga scala, per bloccare il commercio di armi e smantellare gli arsenali. E' un lavoro, indispensabile e ineludibile, di prevenzione.
8. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it, facebook: associazioneerinna1998
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Virginia Vacca (a cura di), Racconti arabi antichi, Edizioni Paoline, Roma 1963, pp. 192.
- Abd al-Wahhab ash-Sha'rani, Vite di Sheikh musulmani, Edizioni Paoline, Bari 1963, pp. 136.
- Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani, Utet, Torino 1968, Tea, Milano 1988, pp. 416.
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 735 del 4 dicembre 2015
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