[Nonviolenza] Telegrammi. 2105



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2105 del 13 settembre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Ripetiamolo ancora una volta

2. In memoria di Alain LeRoy Locke e di Italo Svevo

3. Verso la "Giornata internazionale della nonviolenza" del 2 ottobre

4. Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo: Un appello per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"

5. Verso la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne" del 25 novembre

6. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

7. Enrico Peyretti: Democrazia e difesa. Popoli prigionieri dei protettori

8. Enrico Peyretti: Non uccidere. Perche'?

9. Enrico Peyretti: Oltre l'equivocita' del termine "nonviolenza"

10. Enrico Peyretti: Chi vuole il disarmo dell'altro

11. Enrico Peyretti: Amaro, piu' amaro

12. Enrico Peyretti: Dolore e offesa

13. Segnalazioni librarie

14. La "Carta" del Movimento Nonviolento

15. Per saperne di piu'

 

1. IN BREVE. RIPETIAMOLO ANCORA UNA VOLTA

 

Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.

Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.

Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.

Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.

Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.

Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.

Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.

In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.

In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.

L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.

L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Salvare le vite e' il primo dovere.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

2. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI ALAIN LEROY LOCKE E DI ITALO SVEVO

 

Ricorre oggi, 13 settembre, l'anniversario della nascita di Alain LeRoy Locke (Philadelphia, 13 settembre 1885 - New York, 9 giugno 1954) e l'anniversario della scomparsa di Italo Svevo (Trieste, 19 dicembre 1861 - Motta di Livenza, 13 settembre 1928).

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Anche nel ricordo di Alain LeRoy Locke e di Italo Svevo proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

 

3. REPETITA IUVANT. VERSO LA "GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA" DEL 2 OTTOBRE

 

Occorre fare del 2 ottobre una manifestazione mondiale contro tutte le guerre e contro tutte le uccisioni.

La Giornata internazionale della nonviolenza, indetta dall'Onu nell'anniversario della nascita di Gandhi, e' infatti la migliore delle occasioni per far emergere nitida e forte la volonta' dell'umanita' cosciente che chiede pace, disarmo, smilitarizzazione, democrazia, giustizia, solidarieta', rispetto della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani, tutela dell'unico mondo vivente casa comune dell'umanita'.

La nonviolenza ci convoca ad assumerci le nostre responsabilita'.

In ogni citta', in ogni paese, in ogni consesso civile, in ogni scuola, il 2 ottobre si celebri la Giornata internazionale della nonviolenza.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

4. REPETITA IUVANT. MOVIMENTO NONVIOLENTO, PEACELINK E CENTRO DI RICERCA PER LA PACE E I DIRITTI UMANI DI VITERBO: UN APPELLO PER IL 4 NOVEMBRE: "OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE"

[Riproponiamo l'appello promosso gia' negli scorsi anni da Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"]

 

Intendiamo proporre per il 4 novembre l'iniziativa nonviolenta "Ogni vittima ha il volto di Abele".

Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.

Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.

Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.

Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.

Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.

Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.

A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.

Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.

Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

Movimento Nonviolento, per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Peacelink, per contatti: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it

Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo, per contatti: e-mail: nbawac at tin.it e centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

5. REPETITA IUVANT. VERSO LA "GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE" DEL 25 NOVEMBRE

 

Si svolge il 25 novembre la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne".

Ovunque si realizzino iniziative.

Ovunque si contrasti la violenza maschilista e patriarcale.

Ovunque si sostengano i centri antiviolenza delle donne.

Ovunque si educhi e si lotti per sconfiggere la violenza maschilista e patriarcale, prima radice di tutte le altre violenze.

 

6. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: DEMOCRAZIA E DIFESA. POPOLI PRIGIONIERI DEI PROTETTORI

[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo il seguente intervento di Enrico Peyretti del 29 aprile 2014.

Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

 

Sul tema "Cominciamo dal disarmo" si e' tenuto a Torino (Centro Studi Sereno Regis, 31 gennaio - 2 febbraio 2014) il XXIV Congresso nazionale del Movimento Nonviolento. E' utile continuare la riflessione sulla difesa, punto decisivo della politica e della civilta' di un popolo, nel concerto di tutti i popoli.

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Monopolio militare

Per una crescita civile e umana va anzitutto spezzato il monopolio militare della difesa. La difesa limitata ai mezzi e ai metodi armati riduce la possibilita' e capacita' di un popolo di difendersi da aggressioni e pericoli vari. E intanto dissangua, in senso fisico e in senso economico, il popolo che afferma di voler difendere. L'errore militare, troppo passivamente accettato dalle societa', anche le piu' evolute, e' radicale e concettuale: e' la supposizione dogmatizzata che contro un'offesa c'e' soltanto la controffesa: infatti, l'azione militare più tipica si chiama controffensiva. E il proverbio piu' militarista che ci sia dice: La miglior difesa e' l'attacco.

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Corruzione militare

"Il concetto militare e' una vera e propria corruzione del pensiero politico" (Ekkehart Krippendorff, "Azione Nonviolenta", marzo 1999). Il dominio della difesa armata sul pensiero e la prassi politica rivela un pessimismo antropologico distruttivo. Nessuno deve ignorare la capacita' umana di violenza, la "banalita' del male", che tutti noi, persone "normali", possiamo compiere contro gli altri, e di piu' le potenze organizzate. La prima sorveglianza contro le minacce e' la sorveglianza di noi stessi, l'autocontrollo, la formazione alla mitezza e alla collaborazione politica costruttiva invece della rivalita' competitiva, eliminatoria. Ma il pensiero politico militarizzato lacera l'umanita' in "qui dentro" e "la' fuori", noi e loro, "amici o nemici" (Carl Schmitt); fa di questa lacerazione l'essenza della politica, ed e' il maggiore impedimento ad addomesticare la belva che dorme in noi, pronta a scatenarsi appena un altro essere umano viene de-umanizzato, espulso dalla "mia-nostra" umanita', confinata in questa tutta "nostra" cerchia di mura mentali.

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Offesa militare

Gli eserciti sono offensivi, e dissipativi, e persino dannosi in rapporto alle vere minacce. Gli eserciti, che si vantano e si esibiscono come gloria nazionale (miles gloriosus; vedi la parata del 2 giugno, offesa alla Costituzione pacifica), sono essi stessi una avversita' ingloriosa. Come ricorda Pasquale Pugliese, l'Italia, ultima in Europa "per le spese per la cultura, penultima per le spese per l'istruzione, ultima per le politiche sociali, la disoccupazione giovanile e via degradando, ossia indifesa di fronte alle minacce dell'analfabetismo, della precarieta', della poverta', del dissesto idrogeologico, del rischio sismico e cosi' via, e' tornata ad essere tra le prime quattro potenze dell'Unione Europea e tra le prime dieci al mondo per spesa pubblica militare".

Ogni societa' ha davvero problemi e minacce da cui difendersi, e chi ha responsabilita' politica ne ha il dovere. L'esistenza ha anche aspetti tragici. Ma quali minacce (per limitarci all'oggi)? Quelle appena ora citate sono le vere minacce. Possiamo aggiungere il terrorismo internazionale, sul quale ogni serio osservatore (p. es. Luigi Bonanate) riconosce che solo la politica estera amichevole, la giustizia economica planetaria, la cultura del dialogo, la pace tra le religioni, hanno probabilita' di creare rapporti capaci di smontare le cause della disperazione terroristica che invade le menti, anziche' alimentare quelle cause, come fanno la politica militare, il dominio finanziario sui popoli, e la guerra.

Del resto, all'economia militare mondiale non interessa affatto la difesa della vita dei popoli. Interessa il proprio profitto gigantesco. A questo fine serve enfatizzare e creare i pericoli e la paura. Chi produce armi vuole che le guerre scoppino. Non vuole lavorare in perdita. Chi difendera' i popoli dai difensori? Chi li proteggera' dai protettori? Saranno i popoli stessi, se acquisteranno coscienza e conoscenza.

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Scomparsa militare

Kant, con insuperata e inascoltata saggezza, alla fine del Settecento scriveva: "Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo interamente scomparire". "Essi, infatti, dovendo sempre mostrarsi pronti a combattere, rappresentano per gli altri una continua minaccia di guerra; li invitano a superarsi reciprocamente nella quantita' di armamenti, al quale non c'e' limite. Dato poi che il costo di una simile pace viene ad essere piu' opprimente di quello di una breve guerra, tali eserciti permanenti sono essi stessi causa di guerre aggressive intraprese per liberarsi di un tal peso" (Per la pace perpetua. Progetto filosofico, 1795, Sezione Prima, Articoli preliminari, Articolo 3).

Tutto il pensiero serio, umanistico e morale, condanna gli eserciti, ma, nella logica del potere non davvero democratico-umanistico - anche nelle democrazie formali - l'esercito e' ancora il cuore falso e avvelenato della struttura politica. La democrazia, autogoverno dei popoli, ha i suoi propri e veri strumenti nei mezzi della vita e non della morte.

L'apparato militare - sia il personale, sia le enormi dissanguanti megamacchine per uccidere - crea un potere, un ceto e una potenza da cui la societa' e' posta in posizione di dipendenza, con riduzione grave della democrazia. Nei casi di assenza o compressione della politica, popoli disperati si mettono nelle mani dei militari (vedi oggi l'Egitto). Ma una societa' che affida ai militari e alle armi la propria sopravvivenza, liberta' e diritti, e' gravemente malata, debolissima, disorientata.

La finanza militare mondiale e' un governo occulto che governa sui governi, anche quelli liberamente eletti. La contraddizione tra il fatto militare e la democrazia sta nel risucchio di risorse vitali e nell'inquinamento delle procedure decisionali e finalità democratiche, ciò che sfibra l'essenza stessa della democrazia, conquista umana della storia moderna. La liberta' civile e democratica deve crescere nella autoliberazione consapevole dei popoli dalla sottomissione a quel supergoverno assoluto, loro nemico.

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Dimagrimento militare

Il pensiero e la prassi nonviolenta chiedono il disarmo, e cioe' lo sviluppo delle potenziali capacita' proprie, civili, nonviolente, presenti in ogni societa', di difendersi da aggressioni interne o esterne con la forza umana nonviolenta. Sappiamo bene che un tale passo e' ancora politicamente impossibile: non ha la maggioranza. Allora vogliamo almeno il "transarmo" (Galtung), cioe' la trasformazione degli armamenti attualmente offensivi - gravemente offensivi - in mezzi puramente e strettamente difensivi, quindi (come dicevano i pacifisti tedeschi nella lotta contro i missili negli anni '80) "strutturalmente incapaci di aggressione", come non sono le portaerei e gli aerei di attacco a lungo raggio. Da qui l'esigenza dei movimenti nonviolenti che il cittadino abbia diritto di opzione fiscale tra la difesa militare tradizionale e la difesa popolare con mezzi nonviolenti; che tutti i giovani abbiano diritto di svolgere il Servizio Civile Nazionale e che si costituiscano i Corpi Civili di Pace. "La difesa e' soprattutto quella dei diritti costituzionali, la cui graduale erosione e' la vera e grande minaccia di questa epoca. Insomma una vera riappropriazione civile della difesa e delle sue risorse" (Pugliese).

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Abbiamo bisogno dei militari

Il discorso contro gli eserciti non e' contro i militari. Gia' tanti anni fa scrivevamo "Abbiamo bisogno dei militari per la pace non armata" ("il foglio, n. 169, febbraio 1990). Per quanto molti, specialmente nei comandi piu' alti e incontrollati, siano impregnati di pensiero disperatamente mortale, rassegnato al distruttivismo - "L'esercito e' mortale, anche in tempo di pace" (Peter Bichsel, Il virus della ricchezza, Marcos y Marcos 1990, p. 83 e 41-43, 81-94) - nessuno piu' dei militari conosce l'orrore e la falsita' della guerra. Per lo piu', la guerra non e' colpa loro. Molte delle analisi piu' critiche della fallacia e del male della guerra sono opera meritoria di saggi e liberi militari, anche di alto grado (si veda ora: Fabio Mini, La guerra spiegata... , Einaudi 2013). La conoscenza realistica delle situazioni e delle dinamiche dei conflitti e' un patrimonio della cultura militare, della sua tradizione e organizzazione, che puo' diventare un valoroso contributo alla gestione non militare dei conflitti stessi, scopo della nonviolenza positiva e attiva.

 

8. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NON UCCIDERE. PERCHE'?

[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo il seguente intervento di Enrico Peyretti del 12 maggio 2014]

 

Dialogo

A. Io dico: Non uccidere.

B. Pero', tu credi che la vita continua in altro modo, in una vita migliore. Allora perche' non uccidere?.

A. Gia'. Si puo' sperare qualcosa oltre la morte, ma questa vita e' gia' un valore, e' gia' preziosa.

B. Vale forse, per te, piu' di quella vita successiva in cui credi? Dobbiamo preferire questa, rinviando quella migliore piu' lontana possibile? Non bisognerebbe accorrervi, se e' una vita superiore? Alcuni hanno preferito morire per questo motivo. San Paolo, prigioniero, preferirebbe morire ed essere col Cristo, ma accetta di vivere per il suo compito di apostolo (Filippesi 1, 21-24). C'e' chi si uccide, c'e' chi si fa uccidere, sperando di stare meglio.

A. Si', lo fa chi sta vivendo una vita troppo dolorosa, o vergognosa. Oppure chi preferisce morire per non danneggiare altri. Intanto, bisogna distinguere la vita propria e la vita altrui. Della propria si puo' decidere, in modo cosciente e responsabile. La vita altrui sento che e' da rispettare assolutamente: e' una liberta' inviolabile. Se c'e' una vita superiore, cio' non e' affatto un motivo per stroncare questa. Tutti amano conservarla. Dio la difende.

B. Anche una vita cattiva, per te, va rispettata e mantenuta, anche se e' pericolosa per altre vite? E che fare davanti a una vita tutta dolore, che vuole morire e non ci riesce?.

A. Lasciamo da parte il caso (ammesso anche da Gandhi) di chi sta per uccidere altri e non abbiamo davvero, nell'immediato, nessun altro mezzo per fermarlo, che ucciderlo. A parte cio', so che tu ammetti il far morire una vita tutta ridotta a tormento. Ma sei contrario alla pena di morte: non ammetti che si dia la morte a chi ha dato morte, neppure a chi ha abusato di altre vite, con la violenza politica, col dominio. Sono d'accordo con te, ma ci dobbiamo chiedere: perche'? Grandi saggi e santi hanno approvato e considerata buona la pena di morte. Tu, quale bene vedi in una vita cattiva? Quale valore rispettabile?.

B. Non so dirlo con chiarezza. So che non aggiungerei la morte come pena alla morte come delitto. Vedo una necessita' morale, non vedo il perche'.

A. Forse una prima ragione e' nel fatto che ogni morte fa soffrire alcuni, o molti, innocenti, che avevano caro quel vivente. Ma ci sono pure molti che hanno un bel sollievo per la morte di un tiranno, o di un brigante, o di un nemico.

B. Il dolore degli amici, o la soddisfazione dei nemici, non fa che spostare il problema. Anche chi e' indifferente a quella persona, si sente offeso dall'offesa ad una vita. Perche'? Io sento che guerra e violenza su altri sono un'offesa fatta a me. Anche chi non perde una presenza cara, e' offeso dalla morte data ad altri. Pur se abituati, la notizia quotidiana di omicidi ci opprime. Qui c'e' almeno una solidarieta' biologica. Si direbbe che la presenza in questa vita e' un bene non solo per ogni singolo, ma per molti, per la nostra specie. La "regola aurea" nella formulazione buddhista dice: "Tutti tremano al castigo, tutti temono la morte, tutti hanno cara la vita: mettendoti al posto degli altri, non uccidere, e non fare uccidere" (Buddha, Dhammapada, I versi della legge, 10, 129-130).

A. Eppure, siamo capaci di superare questa solidarieta' vitale. Abbiamo saputo trovare cento motivi per sopprimere altre vite umane (senza parlare degli animali). Forse bisogna guardare oltre il semplice interesse a vivere. Se consideriamo la vita un profondo insieme di possibilita', di potenzialita' praticamente infinite, cioe' ogni vita come mistero denso di sviluppi possibili e ignoti, in tante dimensioni, allora cominciamo a coglierne un carattere di inviolabilita': io devo astenermi dal mettere le mani sul "mistero", su cio' che - letteralmente - mi "ammutolisce", che sfugge alla mia dicibilita', alla definizione (cioe', al tracciarne i limiti), e al mio giudizio. Non so vedere e non so dire tutto, di una vita. La vita, ogni vita, e' una grandezza che non posso avvicinare con una forza offensiva, che devo "ri-spettare", nel senso di tenere una distanza tale da potere riconoscerla senza disporne, senza manometterla. Il valore della mia vita dipende anche dall'identificarsi, e nel contempo sottomettersi, a questa venerabile profondita' di ogni altra vita.

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Dopo avere messo giu' queste righe, mi accorgo di avere gia' raccolto, anni fa, alcune risposte alla domanda posta nel titolo, nel libro di vari Autori, Al di la' del "non uccidere" (Cens, Liscate, Milano 1989), alle pp. 99-117.

 

9. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: OLTRE L'EQUIVOCITA' DEL TERMINE "NONVIOLENZA"

[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo il seguente intervento di Enrico Peyretti del 28 maggio 2014]

 

Anche tra le persone piu' miti e piu' aliene dalla violenza, e piu' desiderose di una vita sociale giusta, libera dalle tante forme di violenza, corrono forti equivoci sulla cultura (teoria, prassi, storia) dell'azione nonviolenta.

La prima causa di malacomprensione mi sembra che sia il nome stesso "nonviolenza". Esso suona negativo e illusorio. Sembra dire che questa auspicata forma di vita e di impegno sia pura da ogni violenza e possa costituire una proposta gia' pronta di vita sociale libera da ogni violenza: fisica, militare, armata, economica, strutturale, mediatica, culturale...

La parola, i simboli, l'entusiasmo dei "nonviolenti" persuasi finiscono per disilludere sempre piu' i "perplessi", che constatano amaramente la vasta e profonda presenza della violenza, in tante forme, nella vita umana. Essi, cosi', finiscono col giudicare ingenua, illusoria e ingannevole, a causa di superficiale integralismo, la proposta della cultura nonviolenta.

Il nome, anzitutto. L'originale termine gandhiano e' satyagraha, che gia' qualcuno (anch'io) ha proposto di rendere in italiano piu' fedelmente alla lettera e al senso, con le parole "forza vera" (eventualmente unite: "forzavera"). Il movimento gandhiano, senza pretesa di offrire un sistema metafisico, giudica che gli esseri umani possono effettivamente vivere in un modo piu' "vero", cioe' meno offensivo e doloroso, piu' mite, piu' giusto, piu' felice, e quindi piu' "veramente", piu' autenticamente umano. Tutti sentiamo che qualche aspetto prezioso della nostra qualita' umana viene falsificato o demolito nelle pratiche e nelle strutture violente. Tutti tendiamo, per quanto possibile, ad umanizzare la nostra umanita', ad incivilire la nostra societa' (che vuol dire capacita' di convivere nella stessa citta', civitas, polis, mondo sempre piu' comunicante).

L'idea di forza e' positiva, non e' affatto sinonima di violenza, anche se il linguaggio corrente le confonde spesso. La forza e' una qualita' della vita. La violenza e' offesa della vita. Anche nella societa' umana un aspetto di forza legittima, pubblica, non violenta, e' necessario alla convivenza. Come e' necessario nell'educazione dei bambini, e un genitore vede molto bene, nel trattare il suo bambino, la differenza essenziale tra forza e violenza.

Cosi', nella societa' grande, la funzione di polizia non e' assolutamente quella dell'esercito e della guerra.

La polizia legale e corretta riduce la violenza, l'offesa alla vita e alla liberta', usando la forza necessaria, a partire dal minimo utile e sufficiente: il delinquente non e' un nemico da sopraffare o distruggere, ma un membro della societa' da fermare e correggere perche' sta violando regole importanti di convivenza.

L'esercito e la guerra accrescono la violenza, perche', per vincere il confronto militare, occorre essere piu' violenti e distruttivi del nemico. La guerra, anche quando sembra necessaria e migliorativa (come fu la seconda guerra mondiale), finisce con l'accrescere la massa comune di violenza e la sofferenza dei piu' deboli. La realta' dimostra che non e' la guerra il modo valido per liberare i deboli dall'oppressione, senza conseguenze negative, a volte peggiori. Per fermare Hitler e' mancata la forza umana e morale, intelligente, politica, all'inizio della sua prepotenza. La crescita della efficienza armata per cause umane ritenute giuste, ha condotto alla presenza ormai ineliminabile di armi totalmente distruttive, inusabili ma pericolosissime. La logica della forza distruttiva, dal pugno di Caino ad oggi, ha distrutto la logica della convivenza umana, enormemente di piu' di quanto abbia difeso dei diritti umani. La storia della guerra ha distrutto la praticabilita' della guerra per causa giusta. In questo senso, le armi non difendono, ma accrescono il pericolo anche per chi le usasse con buone ragioni e col diritto-dovere di difendere se stesso o altri, ma sbagliando nel vedere la difesa nel mezzo armato. C'e' una forza umana, personale e collettiva, che puo' organizzarsi come potenza difensiva e non offensiva. La storia l'ha dimostrata spesso efficace, anche se finora non e' stata socialmente organizzata.

La cultura politica della "forza vera" (nonviolenza) ha dunque l'obbligo di proporre, realizzare, praticare, forme alternative ed efficaci di difesa dei diritti umani offesi, superando e archiviando il mezzo della guerra, della difesa armata.

Il confronto conflittuale (in se' positivo, perche' dinamizza rapporti e sistemi) diventa violento se si innesca l'escalation "Maggiore-minore", cioe' se una parte cerca di avere dominio, prevalenza, impero, sull'altra, invece della sana, libera competizione-cooperazione. Il "minore" cerchera' allora, in quella logica, di farsi "Maggiore", e la corsa al peggio e' avviata.

Cosi', in questa situazione, il miglioratore del mondo umano e' colui che, con iniziativa unilaterale creativa, coraggiosa, positiva, innovativa, abbassa la propria capacita' di offesa e minaccia (la minaccia e' gia' un'offesa) e invita-sfida l'altra parte a fare lo stesso. Certo, c'e' rischio, ma forse l'umanita' e' assolutamente capace solo di sopraffare e non di convivere? Quanto piu' rischio c'e' nell'armamento che nel disarmo! Chi apre la strada della convivenza e' un realista creativo. Al punto massimo sta chi decide per se' che e' meglio essere ucciso che uccidere, ma su questa strada sono possibili molti gradi di azione costruttiva e realistico-inventiva.

Del resto, non si tratta di novita' sognate da poco: "La nonviolenza e' antica come le montagne", ed e' quanto di meglio e di piu' umano abbiano prodotto le sapienze vissute di tutti i popoli e civilta'. Invece, il pessimismo antropologico accentuato affida i rapporti umani alla logica della violenza, pur se sembra deprecarli.

La filosofia politica della "forza vera" (nonviolenza) appare agli osservatori critici e perplessi, ma non abbastanza attenti, come un entusiastico mito risolutivo, come se dicesse: "Col nostro spirito, con le nostre azioni, ecco vicina la vittoria del bene!". Certo, puo' anche presentarsi con questa ingenuita', la cultura politica forzaverista, ma nessuno puo' davvero ignorare che essa non consiste nell'entusiasmo bello e generoso - che pure e' una qualita' umana e un tesoro sociale - di qualche adolescente. Anzi, ogni osservatore serio deve sapere che quella cultura e' invece una storia profonda di pensiero filosofico, antropologico, psicologico, morale, spirituale, politico, economico; e' una teoria ed esperienza del conflitto umano a tutti i livelli (il conflitto umano vitale, promotore, e' l'antitesi della guerra mortale); e' una storia di pratiche sociali e politiche in buona parte efficaci, e sicuramente meno umanamente costose delle lotte armate.

Chi valuta la cultura forzaverista (nonviolenta) come una ideologia senza realismo non conosce davvero abbastanza il lavoro di pensiero e di verifica fattuale di questo sforzo di emancipazione umana, che si inserisce in tutta dignita' nel cammino di umanizzazione e civilizzazione della nostra ambivalente specie.

Cio' che appare dall'esterno ai perplessi e', troppo spesso (anche per colpa dei "nonviolenti" poco autocritici), una forma di sicurezza assoluta, di dogmatismo e assolutismo morale. Invece, il primo atteggiamento di pensiero insegnato da Gandhi (maestro celebrato, ma non sempre ben conosciuto), e' il suo insistente "fallibilismo", un cammino di continua autocorrezione (anche per le dure lezioni della realta', che egli non ha mai trascurato), di approssimazione ad un obiettivo di valore: la vita senza offesa. Cio' che dichiaratamente significa tendenza asintotica allo zero di violenza, mai di fatto raggiungibile nella storia: anche mangiare l'insalata e' una piccola violenza.

Nel difendere la forzavera (nonviolenza) da accuse nate da malintesi, sarebbe inutile rinviare ancora una volta a testimoni, bibliografie, autori, opere, storie, centri-studi, anche ai modesti libri che noi abbiamo scritto salendo sulle spalle dei giganti, se non ci fosse la disposizione positiva, il desiderio ardente di un mondo piu' giusto, l'ostinazione della speranza attiva, ma ci fosse solo una ragione fredda, impressionata dal male del mondo, che gela la volonta' sperante e attiva, la fiducia nella correggibilita' e docibilita' dell'essere umano: questo e' tutt'altro che ingenuo ottimismo, ma fede attiva, e azione storica. La storia non e' tutto, specialmente per una spiritualita' che contiene un'apertura escatologica, ma e' il luogo del nostro attuale vivere e rispondere alla vocazione della vita.

Intendere e praticare la nonviolenza come "forza vera" e' lavorare per congiungere, senza alcun integralismo, la vita con la verita' della vita.

 

10. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CHI VUOLE IL DISARMO DELL'ALTRO

[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo il seguente intervento di Enrico Peyretti del 20 luglio 2014]

 

Nei tragici giorni del nuovo attacco di terra contro Gaza, dopo i terribili bombardamenti, da parte di Israele, un amico mi scrive: "trovo che sarebbe stata giustificata l'azione di terra da parte di Israele (invece dei bombardamenti feroci), se mirata alla distruzione degli arsenali di Hamas, che sono nei bunker e non sulle case".

Mi pare, e credo, che un atto alto, e davvero avanzato, e promotore di umanita', rivolto in avanti, al futuro, e non a vendicare infinitamente il passato, vendetta piu' vendetta (come avviene dalle due parti, in quello sciagurato conflitto), un grande atto sarebbe che chi vuole il disarmo dell'altro cominci col proprio disarmo, col disarmare se stesso; in questo caso col deporre un dominio tormentoso e torturante come quello di Israele sulla Palestina, col definitivo riconoscimento reciproco in condizioni di parita'.

Il disarmo creativo avviene abbastanza spesso nelle nostre contese interpersonali, familiari o sociali. Il piu' saggio dice: "Lasciamo perdere...". E invece e' un vincere: non dominando e legando (vincere vuol dire legare, vincolare, costringere) l'altro, ma stemperando il conflitto e aprendolo a vie sulle quali, poiche' nessuno perde tutto, e ciascuno molla qualcosa, entrambi guadagnano qualcosa, e almeno la tranquillita'. Tutto il contrario della guerra, e della lite dura.

Ma la politica statale ha una fede miserabile nella forza armata piu' che nella ragione umana (trattative, accordi, patti = pax). La politica che si identifica col potere di chi vince, piu' che col "potere di tutti"; che e' disposta a sacrificare la qualita' alla quantita' in base a cui si attribuisce il potere, non e' ancora la politica giusta, non e' la citta' (polis) umana evoluta. La democrazia dei numeri e' ancora necessaria (non sappiamo ancora fare di meglio), ma e' solo una tappa da oltrepassare col dialogo qualitativo umanizzante, con la costruzione di un consenso su valori umani universali. La cultura di un popolo conta piu' delle elezioni, ancora necessarie in questa fase. E una cultura davvero umana ripudia la logica delle armi, cioe' dell'uccidere. Almeno progressivamente.

Qualche sprazzo creativo c'e' stato: Gorbaciov il saggio, comincio' un parziale disarmo unilaterale, non rispose con la violenza alle rivoluzioni nonviolente, e cosi' (ben piu' che con la minaccia reciproca) evito' la guerra. Il prezzo fu la fine dell'impero sovietico, e poteva essere la pace, nel 1989-'91, se anche l'Occidente avesse adottato quella logica, lo Statuto dell'Onu, il diritto internazionale di pace.

Invece, mantenne la Nato, si sentì vincitore, potenza unica, e rilegittimo' la guerra, con un modello di difesa non del diritto ma del privilegio, nella logica dello "scontro delle civilta'". Il cammino e' lungo e difficile, ma guardare avanti, molto avanti, "alle future generazioni piu' che alle prossime elezioni" e' il primo passo.

 

11. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: AMARO, PIU' AMARO

[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo il seguente intervento di Enrico Peyretti del 21 luglio 2014]

 

Sono giorni amari, di guerre, di popoli che annegano nel dolore, e di poveri che annegano nel mare che speravano li portasse a vivere meglio.

Ora viene notizia ("Primapagina" del 20 luglio) di qualcosa di piu' amaro, dentro l'amarezza. I migranti soffocati nel vano motore del barcone, infilati in stive senz'aria, sono le vittime di altre vittime. I siriani in fuga dalla guerra nel loro paese, non vogliono contatti e vicinanza, sulle barche strapiene in ogni centimetro, con i neri dell'Africa profonda. Gli scafisti, a chi paga meno, non concedono posto in coperta, ma soltanto sotto, a inzeppare il barcone, in ogni spazio possibile, anche dove non si respira.

Anche l'umanita' piu' disperata sa essere egoista, ingiusta, razzista. C'e' da disperare. Ma disperare non si deve mai, non ci e' permesso. La disperazione e' rinuncia, e' defezione. Allora consideriamo, senza giudicare, che se due naufraghi hanno una sola tavola, chi l'afferra e la toglie all'altro, lasciandolo affondare, non sara' un santo, ma neppure possiamo condannarlo come criminale. Non possiamo, perche' non sappiamo (oppure sappiamo bene) cosa avremmo fatto noi.

E poi consideriamo, come dice Alex Zanotelli, che Dio ama e predilige i poveri non perche' sono buoni, ma perche' sono poveri. Dice il vangelo, contro le religioni moralistiche e leguleie, che Dio manda il sole e la pioggia, i suoi benefici, tanto sui giusti come sugli ingiusti, sui buoni come sui cattivi. Siamo noi che diamo ad alcuni togliendo ad altri.

Dalla evidenza di questa guerra tra poveri (non e' la prima), condanneremo i poveri cattivi, dato che non siamo buoni come Dio? E li ricacceremo nell'inferno da cui vogliono uscire? Oppure, quando i fuggitivi si affogano tra loro - come i gladiatori nel circo si uccidevano come spettacolo per il popolo, come i soldati sui campi di battaglia uccidevano e morivano sotto comando (oggi vanno volontari) per le conquiste dei re e delle repubbliche, per le politiche di potenza - capiremo che le cause risalgono ad un mondo di ingiustizie, di prime classi e ultime classi, di umanita' spaccata in privilegiati ed esclusi? Ci chiederemo quale parte abbiamo nella tragedia, e che cosa facciamo davvero per una umanita' di uguali nel diritto di vivere?

 

12. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: DOLORE E OFFESA

[Dal sito www.azionenonviolenta.it riprendiamo il seguente intervento di Enrico Peyretti del 28 luglio 2014]

 

La tragedia di Gaza e' dolore e offesa per chiunque ha sentimento umano. La violenza che colpisce le vittime, offende gli spettatori. Noi siamo fuori dal fuoco, ma abbiamo il cuore scottato. Le accuse di parteggiare, in questa guerra, per l'uno o per l'altro sono inutili alla giustizia e alla pace.

La catena maledetta della violenza ha tre anelli che diventano infiniti, come mostrava Helder Camara: 1) la violenza oppressiva; 2) la violenza ribelle; 3) la violenza repressiva.

Ogni volta che una persona, un popolo, una categoria, e' oppressa, nei suoi diritti, nella sua terra, li' nasce la violenza. Il piu' forte, chi usa la forza (che e' una qualita' della vita) per schiacciare e offendere la vita altrui, e' il primo e maggiore violento. Chi si ribella ha ragione, ma se imita la prima violenza non esce dal cerchio maledetto. Il primo violento ha buon gioco a reprimere la violenza ribelle, e anche ad apparire piu' giusto.

La volonta' di giustizia e liberta' degli oppressi deve scoprire la liberazione nonviolenta. La possibilita' e' dimostrata da varie esperienze storiche ignorate nelle storie ufficiali (v. in Google "Difesa senza guerra"). Gli stati, nati per lo piu' dalla guerra, devono imparare che la politica e' pace attiva, percio' giusta, esclusione della guerra e del suo enorme apparato, altrimenti non e' politica. Identificare lo stato democratico con l'esercito (parata militare del 2 giugno!) e' corruzione concettuale.

La nonviolenza non e' virtu' privata di "anime belle", ma e' la qualita' dell'autentica politica umana, che gestisce i conflitti, naturali nella vita, non con la morte, ma con la ragione, la forza umana, l'unita' nella resistenza alla violenza, la visione del superiore interesse comune.

L'argomento che ora si sente - le vittime civili inevitabili per colpire i violenti - e' lo stesso che portava Reder, comandante della strage di Monte Sole-Marzabotto: "Era inevitabile che la popolazione civile fosse coinvolta nell'annientamento, per necessita' militari, della "Stella Rossa" (cfr. i libri e articoli di P. Pezzino, L. Baldissara, G. Nozzoli, citati da A. Mandreoli in "Il Margine", n. 6/2014; www.il-margine.it/rivista). Ed era lo stesso "danno collaterale" dei bombardamenti alleati sulle citta', di tutte le guerre, delle vantate "bombe chirurgiche".

Ci sono, in Israele come in Palestina, persone, gruppi, esperienze che cercano la giustizia senza fare violenza. Conoscerle e sostenerle e' il migliore nostro lavoro, in questo momento amarissimo, per la pace.

 

13. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Mario Lopez Martinez (dir.), Enciclopedia de Paz y Conflictos, Instituto de la Paz y los Conflictos, Universidad de Granada, Granada 2004, 2 voll. per complessive pp. LXVI + XVIII + 1228.

- Beatriz Molina Rueda, Francisco A. Munoz (eds.), Manual de Paz y Conflictos, Instituto de la Paz y los Conflictos, Universidad de Granada, Granada 2004, pp. 560.

 

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

15. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2105 del 13 settembre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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