[Nonviolenza] Telegrammi. 2021
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- Date: Sun, 21 Jun 2015 00:17:55 +0200 (CEST)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2021 del 21 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Noi clandestini. Parole dette in piazza a Viterbo la mattina del 20 giugno 2015
2. In memoria di Enrico Castelli
3. Enrico Peyretti: "Il filo interiore che lega tutte le cose". Ricordando Pier Cesare Bori (2012)
4. Silvia Truzzi intervista Anna Bravo (2013)
5. Giuseppe Ceretti presenta "La conta dei salvati" di Anna Bravo
6. Guido Crainz presenta "La conta dei salvati" di Anna Bravo
7. Franca Manuele presenta "La conta dei salvati" di Anna Bravo
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. NOI CLANDESTINI. PAROLE DETTE IN PIAZZA A VITERBO LA MATTINA DEL 20 GIUGNO 2015
1. Tutti gli esseri umani
Tutti gli esseri umani sono esseri umani.
Solo i nazisti distinguono tra esseri umani "regolari" ed esseri umani "irregolari".
Chi stigmatizza degli esseri umani innocenti con la parola "clandestini" ha gia' costruito i Lager, ha gia' dato il consenso alle stragi, coopera gia' all'orrore.
Finche' una sola persona innocente e' dichiarata "clandestina" e per questo subisce minacce e violenze, l'intera umanita' subisce minacce e violenze.
E tutti noi esseri umani, in quanto non disumani, siamo "clandestini" per la barbarie nazista.
*
2. Noi clandestini, o dell'umanita'
Noi clandestini siamo nati nudi, ed anche senza documenti siamo nati esseri umani, e in quanto tali titolari di tutti i diritti umani.
Noi clandestini siamo nati su questo pianeta che chiamiamo Terra, ed anche senza documenti essa e' la nostra casa e la casa di tutti gli esseri viventi che in essa sono nati.
Noi clandestini sappiamo che tutti gli esseri umani sono un'unica famiglia, ed anche senza documenti sappiamo riconoscere tutte le nostre sorelle, tutti i nostri fratelli.
Noi clandestini sappiamo che tutti gli esseri umani sono esposti al dolore e alla morte, ed anche senza documenti sappiamo riconoscere che il primo nostro dovere e' recare soccorso, salvare le vite.
Noi clandestini ricordiamo tutte le vittime di tutte le guerre e di tutte le persecuzioni, di tutte le stragi e di tutte le devastazioni, ed anche senza documenti ci battiamo perche' non ci siano piu' vittime.
Noi clandestini presagiamo le generazioni future, ed anche senza documenti ci battiamo perche' possano vivere in armonia e condivisione in una societa' solidale, in un mondo abitabile.
Noi clandestini, noi viandanti, noi nativi: ogni persona diversa da ogni altra, ogni persona uguale ad ogni altra in diritti e dignita'.
*
3. Oggi, nella Giornata internazionale delle rifugiate e dei rifugiati
Oggi, nella Giornata internazionale delle rifugiate e dei rifugiati, ancora una volta affermiamo che vi e' una sola umanita'; che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'; che il primo dovere e' salvare le vite; che ogni vittima ha il volto di Abele.
Cessi il massacro nel Mediterraneo: e' sufficiente che l'Unione Europea, o almeno l'Italia, riconosca a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro in questo paese, in questo continente.
Cessino le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani: e per far cessare le guerre occorre abolire le armi e gli eserciti.
Cessi la distruzione della natura: distrutto il mondo vivente, l'umanita' si estingue.
Cessi l'antipolitica della rapina, della sopraffazione, della violenza: cominci la politica dell'umanita', la politica della nonviolenza.
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4. Al governo e al parlamento italiano chiediamo
Al governo e al parlamento italiano chiediamo quindi di riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro; chiediamo di legiferare affinche' ogni essere umano possa vivere nel nostro paese una vita degna; chiediamo di impegnarsi altresi' affinche' in modo altrettanto legale e sicuro dall'Italia tutti possano recarsi liberamente altrove.
Al governo e al parlamento italiano chiediamo quindi di soccorrere, accogliere ed assistere tutte le persone nel bisogno e in pericolo; e di allestire un servizio di trasporto pubblico e gratuito per salvare chi e' in fuga dalla fame e dalla guerra, dalle persecuzioni e dalle devastazioni.
Al governo e al parlamento italiano chiediamo quindi di cessare di partecipare alle guerre, di far cessare la produzione e il commercio di armi assassine, di abolire le scellerate e insensate spese militari in cui attualmente lo stato italiano sperpera 72 milioni di euro al giorno, denari che potrebbero essere utilizzati per salvare ed assistere innumerevoli persone.
Al governo e al parlamento italiano chiediamo quindi di abolire tutte le criminali e criminogene misure razziste che favoreggiano le mafie e la schiavitu', che denegano alla radice i fondamentali diritti umani.
Al governo e al parlamento italiano chiediamo quindi il riconoscimento del diritto di voto nel nostro paese per tutte le persone che risiedono nel nostro paese: "una persona, un voto".
Al governo e al parlamento italiano chiediamo quindi una politica internazionale di pace e di cooperazione, di giustizia e di solidarieta', di autentico aiuto umanitario nelle aree di crisi, una politica concretamente coerente con la Costituzione della Repubblica Italiana, con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, con la Dichiarazione universale dei diritti umani.
*
5. Oggi siamo in piazza
Oggi siamo in piazza contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni, per la difesa del mondo vivente, per il bene comune dell'umanita' intera.
Oggi siamo in piazza per la pace, la giustizia, la solidarieta', la condivisione.
Oggi siamo in piazza contro tutti i poteri assassini.
Non piu' spade, ma aratri. Non piu' arsenali, ma granai.
Non occorrono documenti per sapere quale e' il tuo dovere.
Non occorrono documenti per fare il bene.
Non occorrono documenti per riconoscersi esseri umani.
Chi aiuta una persona, aiuta l'umanita'.
Chi salva una vita, salva il mondo.
2. MAESTRI. IN MEMORIA DI ENRICO CASTELLI
Ricorreva ieri, 20 giugno, l'anniversario della nascita del filosofo Enrico Castelli Gattinara di Zubiena (Torino, 20 giugno 1900 - Roma, 10 marzo 1977).
Ricordiamo ancora una volta "la sua opera, il suo insegnamento, la sua azione di fondatore e direttore dell''Archivio di filosofia' e di promotore ed animatore dei memorabili Colloqui cui presero parte illustri pensatori di tutto il mondo. Enrico Castelli, anche attraverso l'edizione postuma del monumentale suo Diario, e la prosecuzione da parte dei suoi amici, collaboratori e discepoli - e discepoli dei discepoli - delle iniziative da lui intraprese, ancora svolge una profonda azione filosofica di chiarificazione intellettuale ed illimpidimento morale, di impulso alla ricerca ed alla riflessione, di invito all'ascolto, alla comprensione e al dialogo".
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Nel ricordo e alla scuola di Enrico Castelli proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
3. MAESTRI. ENRICO PEYRETTI: "IL FILO INTERIORE CHE LEGA TUTTE LE COSE". RICORDANDO PIER CESARE BORI (2012)
[Dal sito di Peacelink riprendiamo il seguente saggio di Enrico Peyretti del 23 novembre 2012 originariamente pubblicato in "Testimonianze" n. 486-487 (novembre 2012-febbraio 2013), volume monografico su "Immagini della Resurrezione per gli uomini e le donne degli anni duemila".
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68.
Pier Cesare Bori e' nato a Casale Monferrato il 3 febbraio 1937 ed e' deceduto a Bologna il 4 novembre 2012; docente universitario di filosofia morale, di storia delle dottrine teologiche, di diritti umani, ha insegnato nelle universita' di diversi continenti; ha lavorato nel campo dei diritti umani e collaborato con Amnesty International e varie esperienze ed iniziative pacifiste e nonviolente; figura di profonda spiritualita', uno dei maggiori maestri del pensiero nonviolento. Tra le molte opere di Pier Cesare Bori segnaliamo particolarmente: (con Gianni Sofri), Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, Il Mulino, Bologna 1985; Tolstoj oltre la letteratura, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991; Per un consenso etico tra culture, Marietti 1991; L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1995; (con Saverio Marchignoli), Per un percorso etico tra culture, Carocci, Roma 1996, 2003; Pluralita' delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignita' umana di Pico della Mirandola, Feltrinelli, Milano 2000; Universalismo come pluralita' delle vie, Marietti 1820, Genova-Milano 2004; CV 1937-2012, Il Mulino, Bologna 2012. Ha anche curato due importanti convegni di cui sono stati pubblicati gli atti: La pena di morte nel mondo, Marietti, Casale Monferrato 1983; e L'intolleranza: eguali e diversi nella storia, Il Mulino, Bologna 1985. Un'ampia bibliografia di Pier Cesare Bori (ovviamente da aggiornare) e' nel n. 112 del 5 febbraio 2001 de "La nonviolenza e' in cammino"]
Pier Cesare Bori, riformatore radicale, studioso universalista
Non so, per limite mio, se Pier Cesare Bori ha scritto specificamente sulla resurrezione. Ho letto molto di lui, ma certo non tutto. Egli e' stato un riformatore radicale, nel senso che e' andato alla radice comune della "pluralita' delle vie" religiose e sapienziali, che ha studiato profondamente, in modo non sincretistico, ma seriamente ecumenico, universalista. Oltrepassando le parole (pur necessarie) nel silenzio intenso dei quaccheri (ai quali aveva aderito senza rinnegare il cattolicesimo), ha superato religiosamente le religioni, rispettandone i differenti valori: come auspicava Bonhoeffer, e' entrato in un "cristianesimo non religioso". Per Pier Cesare il riferimento piu' grande era "la luce che illumina ogni uomo" e "l'adorare Dio in spirito e verita'" (vangelo di Giovanni 1,9; 4,24).
L'ho conosciuto in una amicizia durata oltre cinquant'anni, dal 1958, in un rapporto intenso dal quale credo di avere ricevuto molto e imparato qualcosa. Per sei anni, dal '94 al '99, ci siamo scambiati il diario. Sono uno dei molti amici ai quali egli ha comunicato la sua intensa esperienza della malattia, della preparazione consapevole e limpida alla morte, anche inviando in anticipo il libro CV (curriculum vitae), scritto negli ultimi mesi, che uscira' prossimamente da Il Mulino.
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Il grande senso dell'amicizia
Ha vissuto la malattia in spirito umile e alto, sereno. Il suo funerale, il 7 novembre 2012 nell'Archiginnasio di Bologna, che aveva voluto senza alcun segno religioso "per non escludere nessuno", e' stato altamente religioso (io intendo religione non sempre in opposizione a fede, ma come universale collegamento di tutte le realta': "religiosus esse nefas, religentes oportet", diceva Aulo Gellio). Tra i desideri di Pier Cesare per il suo commiato c'e' anche che i suoi amici cattolici, se vogliono, possono ricordarlo in un'eucaristia, in una preghiera. L'amicizia, al suo funerale, e' stata la preghiera che ha unito tutti, chi prega e chi non prega, chi prega in un modo e chi in un altro. In un altro recente funerale cattolico, visto che oggi sempre piu' sono presenti non cristiani e non credenti, mi chiedevo: Quale parola per loro? Forse il segno grande dell'amicizia. Siamo li' come amici di chi e' morto. L'amicizia - pur con tutti i nostri limiti - e' un essere gli uni per gli altri, e' un volere il bene altrui, superando il proprio interesse. E' qualcosa che ci porta oltre noi stessi, ci trascende. C'e' nella vita qualcosa che e' dono, creativita', che oltrepassa i limiti delle cose, delle posizioni, degli interessi e bisogni. Gia' in questa vita mortale viviamo cose superiori al limite chiuso, anche se in piccola misura. La morte e' nella vita, ma la vita abbraccia la morte, l'avvolge, e' invisibilmente piu' grande. Quando non ci e' data una fede chiara, davanti alla morte ci aiuta l'esperienza dell'amicizia. Essa si rinsalda nel dolore come nella gioia. Non e' solo un cercare per se', ma un desiderio di donare. Il morto ci ha dato del bene, noi lo diamo a lui, come ai suoi cari. C'e' un bene che resiste alla morte. La morte non vince tutto. Non si tratta solo di una memoria mentale, ma di una dimensione reale di vita. L'amicizia si affaccia sul mistero vivo. Pier Cesare Bori ha scritto agli amici il 24 ottobre, dieci giorni prima di morire, l'ultima lettera che terminava cosi': "Non mi mancano le risorse spirituali per affrontare queste difficolta': la semplice preghiera di invocazione, la meditazione che ti aiuta a sorridere delle cose che passano. Ma ci sono e ci saranno momenti di angoscia e o di paura o di dolore fisico in cui e' difficile attingere a quelle risorse, mentre vorrei vivere al meglio anche quei momenti. Forse qualcuno di voi ha dei suggerimenti da darmi... Comunque, forza a noi tutti! Un saluto caro a tutti, Pier Cesare".
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La forma piu' decente di cristianesimo
Tra i suoi studi, ha curato la pubblicazione in italiano dei testi fondativi della tradizione quacchera, che considerava la forma piu' decente di cristianesimo. Bisognerebbe cercare in quelle fonti il pensiero sulla morte e l'oltre-morte nel quale egli meglio si poteva riconoscere. Per ora riporto queste righe da un suo appunto del 1993: "Il tratto distintivo dell'esperienza degli Amici ("Quaccheri") consiste nell'incontro silenzioso, che puo' essere oggi inteso e vissuto nel senso piu' ampio: come ricerca della luce, come adorazione, come preghiera, come meditazione, come speranza di poter discernere la propria via, come momento generativo di parole nuove. La premessa di questo e' la consapevolezza della presenza della luce interiore in ogni persona, che induce sia all'attenzione e all'ascolto reciproco, sia all'impegno sociale". Immagino - salvo migliore verifica nei suoi scritti e testimonianze - che il suo atteggiamento interiore nell'interrogarsi sul dopo-morte e nello stare con fiducia nella luce universale, sia stato il silenzio. Il silenzio non e' mutismo, non e' astinenza dal pensare e comunicare. Il silenzio e' anzitutto rispetto del mistero, umilta' delle nostre parole sobrie e delle nostre convinzioni sempre vigilanti in attesa sulla soglia della verita' piu' grande. Ci sono ricerche e riflessioni importanti di Bori sul silenzio, nutrite di ascolti profondi. Egli distingue, in latino, "tacere" negativo e "silere" positivo. "Il silenzio di fronte alla Realta' ultima, sia esso all'interno o sia all'infuori della rivelazione, contiene sia un aspetto negativo, il tacere, sia uno positivo, l'aver parte a questa indicibile Realta'" (Tipi di silenzio, in Universalismo come pluralita' delle vie, Marietti 1820, Genova-Milano 2004, p. 105; ma si veda da p. 103 a p. 118). Nella Bibbia, "il 'tacere' come avvicinarsi alla realta' divina e' soprattutto il silenzio dell'ascolto, e' una invocazione affinche' Dio parli (...). Dunque il silenzio e' anzitutto un tacere. E tuttavia (...) nella comunione con il Messia, nel dimorare in lui si intravede una unione che va oltre ogni dire" (p. 106). E poi, Bori cita George Fox (1624-1691), il mistico iniziatore del cristianesimo quacchero: "Dimorando nella luce, non vi sara' occasione di inciampo, perche' tutte le cose con la luce sono svelate. (...) Qui la verita' sconosciuta al mondo e' manifestata, essa vi trae fuori dalla prigione e vi vivifica nel tempo, verso quel Dio che e' fuori del tempo" (p. 111). Questa luce silenziosa e' una "fiducia" (cfr Lampada a se stessi. Lettere tra universita' e carcere, Marietti 1820, Milano 2008, pp. 10-11). La fiducia e' piu' di una constatazione, e' piu' aperta di una affermazione dottrinale. La fiducia tace e ascolta piu' che pronunciarsi, e tanto meno definire. Al termine del suo libro Per un consenso etico tra culture (Marietti, Genova, edizione riveduta e aumentata, 1995), Bori raccoglie alcuni "convincimenti etici fondamentali che molta parte dell'umanita' ha posto e pone a fondamento del vivere sociale", convincimenti trasmessi "in una straordinaria varieta' di culture popolari soprattutto attraverso la sapienza della donna" (pp. 106-108). Tra questi, "il rispetto e la pieta' per ogni vivente; la vita che si acquista perdendola; la tranquillita' e la pace che vengono dalla certezza di una giustizia non affidata alla storia". Mi sembrano accenni a valori che la vita umana sa pure riconoscere, e che sono cosi' intimi e alti da poter affrontare e premere sui limiti mortali della nostra esistenza dentro il tempo storico.
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Vivere morendo
Mi sembra, da quanto ho capito di lui e da qualche suo cenno, che Bori si sia sentito piuttosto estraneo al dibattito tra una esegesi piu' realista e una piu' simbolica dei passi neotestamentari sulla resurrezione (cfr, per esempio, Giuseppe Barbaglio e Aldo Bodrato, Quale storia a partire da Gesu'? II parte. Della risurrezione. Il dibattito, Ed. Esodo-Servitium, 2008; Giorgio Bouchard, Il Signore e' veramente risorto. Testimonianze tra rivelazione e storia, Effata' editrice, Cantalupa, 2011). Forse poteva sembrargli un troppo abbondante parlare, sia pure con differenti letture, e un troppo scarso tacere-ascoltare, quel silenzio attivo che pare da lui preferito nei brani sopra citati. Resurrezione, glorificazione, esaltazione, ascensione, giustificazione, signoria, pienezza di vita: ogni termine neotestamentario su questa verita' relativizza e completa gli altri termini. Tutte queste parole, anche se la tradizione ha privilegiato "resurrezione", sembrano insufficienti a dire il mistero, tutte sono un dire e un tacere ascoltante. Del resto, la resurrezione di Gesu' non e' un'esplosione trionfale di vita imposta ai suoi uccisori, ma una delicata e forte presenza viva affidata alla fede.
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Morire vivendo
Dopo aver letto il suo CV, da lui inviato in pdf a pochi amici in ottobre, scrivevo a Pier Cesare: "Qual e' il tuo filo interiore tra tutte le cose? La sensibilita' alle luci varie, plurali, convergenti o irradianti dalla luce interiore (Gv 1,9), seguita con affidamento, senza sicumera, in pace attraverso i travagli. Mi pare che il tema della luce interiore sia la tua idea-guida. Questa tua praeparatio ora ci ammaestra. Non ti faccio un elogio, non tutto capisco, ma ricevo e ti ringrazio. L'espressione 'universalismo sapienziale' rende bene la tua ottica (...) Parli di 'desperatio fiducialis', riguardo agli anni 2000 difficili. Proponi 'ricomporre le spaccature', anche dolorose, in una superiore armonia. E ancora dici: 'dall'invocazione alla contemplazione'. (...). Vedo nel tuo CV un colmare la vita (Gv 19,30: consummatum est), oppure affidarla (in manus tuas... Lc 22,46), e cio' nell'abbandono (Eloi', Eloi'... Mt e Mc). Appunto: 'desperatio fiducialis'. Vorrei imparare io a vivere morendo e morire vivendo".
4. RIFLESSIONE. SILVIA TRUZZI INTERVISTA ANNA BRAVO (2013)
[Da "il Fatto Quotidiano" del 17 luglio 2013.
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014]
Pace, un altro modo di guardare il mondo.
La guerra vince. Su cosa? Sulla "non guerra" o, meglio, sulla pace. Vince nel nostro vocabolario affollato di parole come "schieramento", "militante", "battaglia". Vince nella memoria collettiva che dimentica i gesti di tregua e trattiene solo quelli di sopraffazione. Vince perche', nel pieno di una terribile crisi economica, stiamo per comprare 90 cacciabombardieri alla modica cifra di quasi 12 miliardi di euro. "Guerra e violenza restano egemoni su vari piani, a cominciare dai termini con cui si classificano le fasi. Definire 'di piombo' gli anni Settanta in Italia da' conto del sangue versato, del dolore, della paura, ma cancella, insieme alle altre, e belle, facce dei movimenti, le trasformazioni che stavano compiendosi in tanti ambiti della societa'. Gli anni Venti e Trenta del Novecento sono etichettati come eta' fra le due guerre, ma quante cose si susseguono in quei due decenni, dalla crisi del 1929 alla nascita dei totalitarismi, agli albori del welfare". Lo scrive Anna Bravo, storica torinese, ne La conta dei salvati, un libro che andrebbe distribuito ai nostri governanti.
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- Sivia Truzzi: Professoressa, perche' questo libro oggi?
- Anna Bravo: La ricerca e' stata lunga. Il motore e' stato il tentativo di spiegare che "si puo' fare". Si puo' aprire un conflitto, si puo' lottare e vincerlo, senza passare attraverso la violenza. Ho deciso di studiare e raccontare le storie di chi ha cercato di resistere alla violenza senza la violenza. O di chi ha cercato di ottenere liberta' senza la violenza. Le primavere arabe per esempio sono partite come manifestazioni pacifiche. Poi la violenza si e' infiltrata. E io sono d'accordo con chi dice: non c'e' primavera dove c'e' violenza.
- Sivia Truzzi: Ci sono, nel libro, dati molto interessanti. Per esempio lei spiega come la nonviolenza, in alcuni casi, garantisca maggiore successo delle pratiche offensive.
- Anna Bravo: E' statisticamente vero. Le ricerche sulle resistenze civili e armate - penso a Why Civil Resistance Works, di Erica Chenoweth e Maria J. Stephan - mostrano che fra il 1900 e il 2006 sono state le prime a ottenere piu' successi: il 59 contro il 27 per cento nelle lotte interne antiregime; il 41 contro il 10 per cento di risultati parzialmente positivi in quelle contro l'occupazione di un paese o per l'autodeterminazione. La scelta nonviolenta e' sempre vincente nelle lotte per i diritti civili.
- Sivia Truzzi: Non solo Gandhi...
- Anna Bravo: Nel libro ho dato molto spazio ad alcuni leader: per le guerre bastano capi mediocri, per la nonviolenza occorrono grandi guide. Non ci sarebbe stata una transizione pacifica in Sudafrica senza Mandela e Tutu, un cosi' forte movimento per i diritti civili senza King, ne' una nonviolenza tibetana senza il Dalai Lama, kosovara senza Ibrahim Rugova - e nonviolenza tout court senza Gandhi.
- Sivia Truzzi: Ci sono esempi poco conosciuti di resistenza inerme.
- Anna Bravo: Nella Grande Guerra s'incontrano esempi di fraternita' tra nemici taciuti per decenni e messi in luce solo a partire dagli anni Sessanta: questa e' una responsabilita' degli storici. Nel 1914 la proposta di un cessate il fuoco generale per il Natale avanzata dal papa viene respinta da vari Paesi. Ma in alcuni settori del fronte occidentale quel giorno vede una calma assoluta; e' il frutto di una serie di tregue decise da soldati inglesi e tedeschi, iniziate con gli scambi di auguri da una trincea all'altra, culminate nell'incontro per scambiarsi sigarette e piccoli doni, e proseguite in qualche caso fino all'anno nuovo.
- Sivia Truzzi: C'e' anche un discorso su guerra maschile, pace femminile.
- Anna Bravo: Tra nonviolenza e femminismo c'e' un'affinita': tutte e due riscrivono la storia, implicano una rivoluzione interiore, valorizzano le mediazioni, si richiamano alla pazienza e alla cura delle cose piccole e gracili, che il prometeismo maschile militar-tecnonologico si e' diligentemente impegnato a distruggere. Pero' il femminismo, penso a certe componenti femminili dell'Autonomia per esempio, non sempre e' stato nonviolento. Mi pare importante sottolineare che le organizzazioni di donne in cerca di giustizia per i loro cari uccisi o fatti sparire da regimi golpisti e dittature (le madri e nonne cilene, le argentine di Plaza de Mayo, le madri degli studenti scomparsi a piazza Tienanmen, le russe, le cecene, le algerine, le damas de blanco cubane) non hanno dei leader guida. Forse queste lotte hanno meno bisogno di figure carismatiche perche' il carisma sta nella forza della maternita', fisica e simbolica, cui si richiamano.
- Sivia Truzzi: Stiamo per acquistare una fondamentale flotta di cacciabombardieri. Lei che ne pensa?
- Anna Bravo: Sono allibita, mi pare impossibile che stia accadendo. Sono allibita. Io spero che il Parlamento si faccia sentire, nonostante la decisione del Consiglio supremo di difesa. Il problema e' che tutti si nascondono dietro il fatto che e' stato gia' tutto deciso. Ma si puo', si deve, tornare indietro anche se siamo un Paese dove si fa la sfilata del 2 giugno con i carri armati: sprechi, inquini, dai fastidio a tanta gente. I sentimenti nonviolenti sono piu' diffusi di quanto si pensi.
5. LIBRI. GIUSEPPE CERETTI PRESENTA "LA CONTA DEI SALVATI" DI ANNA BRAVO
[Dal quotidiano "Il sole 24 ore" del 21 marzo 2014]
Anna Bravo, La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato, Laterza, Roma-Bari 2013.
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Non sono eroi e mai hanno pensato di essere definiti tali. Eppure il destino ha fatto loro attraversare i crocevia della grande storia. Eroi per caso, verrebbe da dire, anche se e' piu' esatto definirli come i salvatori d'ogni epoca, quelli che hanno teso una mano a chi rischiava la vita, spesso rischiando la propria. Sono i protagonisti dello splendido saggio "alla rovescia" che ci propone Anna Bravo.
Li troviamo tra le trincee della prima guerra mondiale o nei villaggi indiani; sono i vicini di casa di un ebreo o di un perseguitato durante il tempo della oppressione nazifascista, in Italia come in Danimarca; spuntano nei villaggi del Kosovo sconvolti dalla ferocia etnica; sono monaci, monache e cittadini del Tibet, ambita preda di bellezza del gigante cinese.
Se chiedi loro perche' lo hanno fatto, perche' hanno offerto rifugio a oppressi o soldati braccati, altro non rispondono: "Era normale", "era la situazione", "cos'altro potevo fare?". Anna Bravo ricorda quanto scritto da Hannah Arendt sui comportamenti morali in tempi bui che riconduce "non a imperativi categorici, ma all'attaccamento verso quel partner silenzioso che accompagna ciascuno di noi e che si esprime non tanto in un non devo quanto in un non posso perché se facessi male sarei condannato a vivere insieme a un malfattore per il resto dei miei giorni".
La conta dei salvati e' la storia del sangue risparmiato che occupa poche e talvolta nessuna pagina nei libri di storia, perche' tutto sbiadisce di fronte alla guerra e alla competizione violenta, due parole di genere femminile, ma fortemente incarnate nel mito del vero uomo.
Il racconto di Anna Bravo e' un viaggio nel secolo breve sino ai giorni nostri, in compagnia di qualche assoluta celebrita' e una marea di persone "ordinarie". Nelle trincee della prima guerra mondiale si soffre e si rischia insieme al nemico e l'empatia nasce dalla comprensione reciproca tanto che una bomba disinnescata viene lanciata con su scritto: "Stiamo per bombardarvi, dobbiamo, ma non vogliamo, fischieremo due volte per avvertirvi". Nella seconda guerra mondiale e' la mano tesa verso gli ebrei o, dopo l'8 settembre del 1943, e' l'aiuto offerto ai prigionieri alleati. Ancora: e' la resistenza di un paese intero, la Danimarca, al nazismo, sotto le apparenti spoglie d'una resa.
Accanto ai "militi ignoti" di questa controguerra, ci sono pochi grandi protagonisti. C'e' il maestro Gandhi con il suo concetto di nonviolenza che pure non esclude il conflitto ("si dice: i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io dico: i mezzi in fin dei conti sono tutto") in un itinerario luminoso tra vittorie e sconfitte, non disgiunto da qualche ambiguita'. C'e' il leader kosovaro Ibrahim Rugova che per anni ha saputo reggere alla pressione serba e che e' accusato di intelligenza con il nemico per avere scelto la salvaguardia di persone e cose nell'immediato, dando priorita' sull'avvenire. Persino una figura simbolo della resistenza del Tibet alla Cina, quale il Dalai Lama, non si e' sottratto, nel tempo, all'accusa di eccessi di pragmatismo.
Nessuno dei protagonisti di questo saggio e' esente da critiche e contraddizioni. Resta il fatto che i loro nomi, celebri o accomunati quali militi ignoti, sono incisi nel corso della storia. Hanno ritenuto che risparmiare sangue fosse piu' importante che vivere in un cimitero. L'autrice ricorda una battuta di Montale: "Vissi al cinque per cento, non aumentate la dose".
6. LIBRI. GUIDO CRAINZ PRESENTA "LA CONTA DEI SALVATI" DI ANNA BRAVO
[Dal quotidiano "la Repubblica" del 4 luglio 2013]
"Il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato": nell'introduzione de La conta dei salvati (Laterza, pp. 246, euro 16) Anna Bravo dichiara bene la ragion d'essere del libro, una ricognizione non delle guerre ma degli sforzi compiuti per evitarle o per contenerne gli effetti devastanti ("Dalla Grande guerra al Tibet, storie di sangue risparmiato", per citare il sottotitolo). Un rovesciamento dichiarato, in altri termini, di quella "mutilazione della storia" che fa delle guerre "qualcosa di simile ai buchi neri del cosmo che attirano, assorbono, inghiottono tutto quel che gli sta intorno": fanno scomparire, ad esempio, l'intenso lavorio volto a evitarle o a ritardarle. In questo modo, osserva la Bravo, la gerarchia dei temi di ricerca viene quasi a fornire una veste parascientifica alla visione del mondo che fa della guerra la dimensione normale della storia.
E' un viaggio affascinante e non privo di rischi, quello della Bravo, e si muove fra questioni differenti ed eterogenee. Non manca naturalmente l'esperienza di Gandhi ("il padre del sangue risparmiato, indiano e britannico"), con la lettura della nonviolenza come approdo. E altre pagine sono dedicate all'azione delle diplomazie internazionali nei decenni che precedono la prima guerra mondiale, con il progressivo perdere d'efficacia delle strategie di dissuasione e contenimento. Vanno poi letti insieme, pur nella loro grande diversita', i due capitoli che riguardano differenti forme dell'agire "senz'armi contro Hitler" nella seconda guerra mondiale.
In riferimento all'Italia sono ripresi temi che la Bravo stessa ha contribuito ad imporre, in polemica con il privilegiamento quasi esclusivo della Resistenza armata. In realta' proprio le molteplici forme di "resistenza civile" fanno comprendere una piu' ampia coralita' dell'opposizione al fascismo e al nazismo: dalla protezione agli sbandati dell'8 settembre ("il popolo italiano difendeva il suo esercito, visto che si era dimenticato di difendersi da se'", per dirla con Luigi Meneghello) sino all'aiuto, denso di rischi, a migliaia di ex prigionieri alleati o agli ebrei.
L'analisi si estende poi alle forme di resistenza non armata in Europa, sulla scia di un pionieristico lavoro di diversi anni fa di Jacques Semelin. E si misura in modo diretto con l'esperienza della Danimarca: analizza cioe' i modi con cui vengono utilizzati gli spazi che il nazismo lascia nominalmente alle istituzioni danesi fino al '43, dopo un'invasione che la Danimarca ha subito senza combattere. Viene analizzata dunque un'opposizione non militare che ha differenti forme e culmina con il salvataggio di massa degli ebrei: quasi una anticipazione di quel che oggi chiamiamo "interposizione nonviolenta" contro i massacri di civili, osserva la Bravo. Impossibile anch'essa, naturalmente, se la guerra contro il nazismo non fosse stata dichiarata e combattuta dagli Alleati, ma non per questo meno degna di riflessione e studio.
I nodi sottesi a queste pagine ritornano poi nell'analisi della resistenza nonviolenta nel Kossovo degli anni Novanta. Al centro vi e' qui la figura di Ibrahim Rugova, con la ricerca di una via che escludesse l'uso delle armi e vedesse all'opera anche uno Stato parallelo: sino al momento in cui, stritolata dagli eventi, essa apparve quasi subalterna a Milosevic, di fatto una rinuncia all'autodifesa. Gli stessi nodi ritornano infine quando lo sguardo si sposta al Tibet del Dalai Lama: realta' remota e anomala, certo, ma capace di riproporre in altre forme gli stessi "chiaroscuri della storia". Le stesse, intricate e talora irrisolte questioni su cui il libro propone riflessioni non scontate.
7. LIBRI. FRANCA MANUELE PRESENTA "LA CONTA DEI SALVATI" DI ANNA BRAVO
[Dalla rivista "Insegnare" del gennaio 2014]
"La conta dei salvati", il libro di Anna Bravo discusso con l'autrice in un recente incontro al Cidi di Torino, e' certamente un'occasione di confronto di grande interesse e suggerisce nuovi punti di vista su un nodo storiografico importante come la guerra, nonche' nuove prospettive educative.
Questo libro, che raccoglie "storie di sangue risparmiato", sfugge energicamente a vecchie e nuove classificazioni, la forma e' quella di un libero racconto, che combina esperienze dirette e indirette, riflessioni politiche, cronaca, miti, frammenti di storia e molto altro. Il filo rosso che lega tra loro le molte storie riguarda il modo di pensare la guerra.
"E' un'idea malsana che quando c'e' guerra c'e' storia, quando c'e' pace no", dice l'autrice.
Perche' non contano solo coloro che si sono spesi nella difesa della patria ma altrettanta considerazione devono avere quelli che hanno lavorato per la pace, per sottrarre vite a morte certa, quindi conta il sangue risparmiato, non solo quello versato.
Da questo deriva un altro modo di considerare la violenza, che mette in dubbio anche la logica delle modernissime guerre "umanitarie" e gli interventi "umanitari" che non riescono a pacificare il paese in cui avvengono e fanno successivamente deflagrare altri conflitti interni.
Oggi i confini della storia si sono dilatati integrando la storia sociale, della mentalita', delle donne, eppure il linguaggio militare tuttora prevale e sottende le grandi divisioni dei periodi storici.
"Definire 'di piombo' gli anni Settanta in Italia da' conto del sangue versato, del dolore, della paura ma cancella le altre, e belle, facce dei movimenti", dice ancora l'autrice.
Lo stesso si puo' dire degli anni Venti e Trenta etichettati come "eta' tra le due guerre" senza tener conto che in quegli anni c'e' stata la crisi del 1929, la nascita dei totalitarismi e gli albori del welfare. Di questo i manuali scolastici parlano, ovviamente, e anche in modo esteso, ma a periodizzare quella fase sono le guerre. Che cosa avverrebbe se si esaminassero gli interventi diplomatici, gli accordi tra gli stati e le alleanze che hanno allontanano conflitti dati per certi? L'autrice ci invita a riflettere su una storiografia che ha indagato poco sugli aspetti che stanno intorno alla guerra e ci porta a scoprire come si finisce per ritenere le guerre ineluttabili.
"L'interpretazione di una guerra - la piu' complicata delle operazioni storiografiche, la piu' influente sulla riscrittura del passato e sulla prefigurazione del futuro - e' di diretto interesse per il perpetuarsi della violenza".
Anche se alla fine degli anni Novanta alcuni storici hanno messo in dubbio il punto di vista sulla guerra (in particolare sulla prima guerra mondiale) e anche i manuali hanno ospitato una grande abbondanza di materiali (lettere dal fronte, testimonianze, documenti ufficiali), tuttavia non sono stati in grado di scalfire l'impostazione storiografica dominante e si e' continuato a insistere sulle origini del conflitto, piuttosto che sul modo in cui era stata mantenuta la pace fino allora, e su come si sarebbe potuto evitare la prima guerra mondiale. Una tesi poco condivisa quella della guerra evitabile, ma non campata in aria, anche se resta minoritaria, e questo e' un peccato in primo luogo per la scuola.
In questo modo si perpetua una visione del mondo secondo cui la guerra e il massacro sono normali, insiti nella logica naturale delle cose. Se oggi non si arriva piu' a dire che le guerre sono "rigeneratrici", sono comunque presentate come inevitabili.
Il libro di Anna Bravo capovolge il paradigma culturale nel quale siamo tutti piu' o meno immersi per cui gli armati fanno la storia e gli inermi non possono che subirla.
Restituisce agli individui la responsabilita' di agire per interrompere la catena di soggezione e subordinazione a coloro che hanno imposto e impongono le guerre.
"Eleggere la guerra a spartiacque e' un'operazione verosimile; [...] Ma mutila la storia".
Scegliere di lasciare in ombra e di non dare peso a quegli atti di pura umanita' di coloro che hanno salvato vite senza pensare se era conveniente, vuol dire non credere nel coraggio e nella forza interiore dei soggetti, che, messi di fronte alla scelta drammatica di dare aiuto ai perseguitati, hanno deciso di fare la cosa giusta.
Dice a questo proposito Hannah Arendt: "Non posso (non farlo) perche' se facessi il male, sarei condannato a vivere insieme a un malfattore per il resto dei miei giorni" (Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004).
Anche gli atti di insubordinazione e renitenza dei soldati della Grande Guerra sono tra questi e devono trovare il giusto riconoscimento che meritano.
I movimenti che hanno lavorato per una soluzione pacifica dei conflitti e per una possibile "riduzione del danno", costituiscono per la storia del XX secolo una chiara vittoria di una guerra combattuta con altre armi: non si puo' spiegare la nascita di nazioni come l'India senza Gandhi ne' comprendere la lotta per i diritti civili in America senza King, cosi' la vittoria contro l'apartheid in Sud Africa senza Mandela.
Rovesciare un paradigma cosi' radicato comporta un cambiamento notevole nel modo di fare storia e per la scuola potrebbe essere molto importante.
Questo libro puo' infatti aiutare gli insegnanti a scegliere un altro punto di vista, proporre materiali diversi, fare riferimento ad altre fonti, e porre anche un'attenzione particolare al linguaggio, perche' guerra e violenza solitamente restano egemoni anche nel parlare quotidiano.
Gli insegnanti verificano costantemente nel lavoro in classe che gli eventi bellici attirano l'attenzione dei ragazzi molto di piu' di qualsiasi altro argomento. Questo comportamento e' rinforzato dalle immagini che passano attraverso cinema, televisione e internet, dove il sangue e i morti sono disumanizzati. Il libro di Anna Bravo puo' far intravedere un modo piu' umano di considerare la vita e dare speranza, soprattutto nella scuola, ai ragazzi che sono il futuro.
Quando l'autrice afferma che scegliere un'interpretazione storiografica della guerra piuttosto che un'altra significa prefigurare un futuro che puo' essere diverso, credo che parli proprio di questo.
Scorriamo insieme alcune delle storie, tra le piu' illuminanti, a cominciare dalla Grande Guerra.
Si e' gia' detto che proprio su questo fondamentale nodo storiografico sono state avanzate ipotesi nuove, seppure inizialmente minoritarie. Oggi invece alcune pubblicazioni - di Mario Isnenghi, Enzo Forcella, Alberto Monticone - sono tra le piu' utilizzate a scuola, ma lettere dal fronte e documenti della ferocia dei comandi militari non si sono ancora rivelati determinanti per mettere in discussione il significato e il senso stesso della guerra.
L'autrice ci racconta un'"altra storia", ci parla della fraternizzazione, delle molte tregue che i soldati concordavano fra loro, degli avvertimenti che si scambiavano da una trincea all'altra sull'ora e luogo dell'attacco, per ridurre i morti di entrambi i fronti. Conosciamo il numero dei morti della Grande Guerra ma possiamo anche scegliere di raccontare questi episodi di coraggio di gente comune, solitamente non acculturata, che poco sapevano dei "nobili ideali irredentisti" per cui combattevano ma sentivano un'istintiva avversione alla pratica della violenza e il loro coraggio e' stato di segno opposto a quello richiesto a un soldato della patria.
Episodi di fraternizzazione si riscontrano anche in casi di popolazioni di diverse religioni e cultura, di opposti fronti. Peccato che non compaiano in nessun libro di storia.
"Durante la prima guerra balcanica del 1912, mentre l'esercito bulgaro avanza, sessanta turchi chiedono protezione ai loro vicini cristiani. La ottengono, e al passaggio delle truppe restano indisturbati - quando tornano i turchi, avevano l'ordine di non toccare il villaggio: ai contadini hanno detto: 'Non abbiate paura, voi che avete salvato la nostra gente, abbiamo una lettera da Constantinoli dove e' scritto di lasciarvi in pace'. Forse la propaganda di odio etno-religioso non era arrivata a Derviche-Tepe, forse gli abitanti avevano deciso che i loro vicini erano essere umani come loro, con lo stesso diritto di vivere nei luoghi dove erano nati".
Nella seconda guerra mondiale gli episodi di coraggio individuali e collettivi aumentano ma si disperdono nel vastissimo fronte della guerra nazista.
Un'intera nazione, la Danimarca, ha resistito agli ordini di Hitler e ha salvato gli ebrei residenti non per particolare sentimento umanitario ma semplicemente perche' concittadini e quindi con i loro stessi diritti. Il governo di una monarchia costituzionale, con solide tradizioni democratiche, e' riuscito con intelligenza a guadagnare qualche credito presso il comando tedesco e, appena scattano i primi arresti da parte dei nazisti, si attiva per mettere gli ebrei in salvo, in modo rocambolesco eppure con grande efficienza, grazie alla partecipazione della popolazione, con un trasporto su barche, attraverso lo stretto di Oresund, verso la Svezia.
E questo capitava mentre in Italia l'armistizio dell'8 settembre gettava il Paese nel caos. Il disfacimento dell'esercito italiano, in quella stessa data espone il Paese a un'imminente occupazione degli ex alleati, determinati nell'annientare una nazione che si e' "macchiata di tradimento". In questo clima si muove una massa di sbandati, fatta di soldati innanzitutto, che cercano di sfuggire alla cattura e possono contare solo sulle proprie risorse e sugli aiuti dei civili.
Gli atti di coraggio della popolazione civile si moltiplicano via via: soldati in fuga, i circa 80.000 prigionieri alleati evasi dai settantadue italiani campi di concentramento, vengono vestiti, sfamati, nascosti e aiutati a mettersi in salvo; questi gesti coraggiosi incominciano a essere studiati, ma, fin da subito, non hanno avuto da parte degli storici l'attenzione che meritavano, perche' il peso giustamente riconosciuto alla lotta armata era ed e' ancora considerato determinante per la lotta di liberazione.
Queste storie riguardano una minoranza, ma una minoranza di massa: sono donne e uomini, contadini, operai e borghesi, religiosi e laici, che si espongono alla rappresaglia, all'internamento, per salvare delle vite.
Una storia scelta tra le tante. "In una lettera indirizzata al Foreign Office, ll soldato J.W. Leys di Aberdeen descrive l'irruzione dei militari tedeschi nella casa dei coniugi Santemarroni, contadini delle montagne abruzzesi, che lo avevano curato, sfamato e nascosto per mesi, e riporta le parole con cui la signora Anita aveva risposto all'interrogatorio: 'Sono anziana, loro giovani. La mia vita l'ho vissuta, la loro e' solo agli inizi. Non sono i primi che aiuto ne' saranno gli ultimi, se sara' necessario. Non li ho ospitati in casa in quanto inglesi ma perche' sono una donna cristiana e anche loro lo sono'". Anita verra' deportata a Mauthausen, dove morira'.
Veniamo alla storia recente, all'immane sofferenza della penisola balcanica del dopo Tito, o alle guerre civili che massacrano le popolazioni africane. Anche qui troviamo episodi di abnegazione.
In Kosovo il moderato Rugova lavora per la pace, durante l'occupazione serba organizza scuole clandestine, crea uno stato parallelo e propone patteggiamenti al nemico. Quando la violenza e' soverchiante viene emarginato dall'Uck, ma a guerra finita si candida alle elezioni e le vince. Non ha potuto risparmiare al suo popolo la violenza serba, ma ha rappresentato il riferimento di un altro modo di combattere.
In Ruanda, gli hutu che nascondevano i tutsi dovevano agire in segreto, come in tutte le guerre civili, dove i moderati e i dialoganti sono le prime vittime degli estremisti del loro gruppo di appartenenza. Eppure hanno agito.
Il racconto di vite straordinarie, che intrecciano il loro destino con la grande storia e a volte la cambiano, ci invita a non ignorare il filo rosso che corre fino a noi, rappresentato dai molti gesti di umanita' che anche oggi accadono sui vari fronti e che ci possono confortare, e spingerci a cercare di vivere meglio.
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Eugenia Roccella, Lucetta Scaraffia (a cura di), Italiane, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2004, 3 voll. rispettivamente di pp. XIV + 250 (vol. I: Dall'Unita' d'Italia alla prima guerra mondiale), XIV + 274 (vol. II: Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra), XIV + 370 (vol. III: Dagli anni Cinquanta ad oggi).
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
10. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2021 del 21 giugno 2015
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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