[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 555



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XV)

Numero 555 del 5 aprile 2014

 

In questo numero:

1. Arena di pace e disarmo il 25 aprile a Verona

2. L'appello che promuove l'iniziativa "Arena di pace e disarmo"

3. Salvatore Quasimodo: Ed e' subito sera

4. Salvatore Quasimodo: Rifugio d'uccelli notturni

5. Salvatore Quasimodo: Dove morti stanno ad occhi aperti

6. Salvatore Quasimodo: Isola di Ulisse

7. Salvatore Quasimodo: Alle fronde dei salici

8. Salvatore Quasimodo: Giorno dopo giorno

9. Salvatore Quasimodo: Milano, agosto 1943

10. Salvatore Quasimodo: Uomo del mio tempo

11. Salvatore Quasimodo: Anno Domini MCMXLVII

12. Salvatore Quasimodo: Il mio paese e' l'Italia

13. Salvatore Quasimodo: Ai quindici di Piazzale Loreto

14. Salvatore Quasimodo: Auschwitz

15. Salvatore Quasimodo: Ai fratelli Cervi, alla loro Italia

16. Salvatore Quasimodo: Il muro

17. Salvatore Quasimodo: In questa citta'

18. Salvatore Quasimodo: Ancora dell'inferno

19. Salvatore Quasimodo: Epigrafe per i caduti di Marzabotto

20. Salvatore Quasimodo: Epigrafe per i partigiani di Valenza

 

1. RIFERIMENTI. ARENA DI PACE E DISARMO IL 25 APRILE A VERONA

 

Si svolgera' a Verona il 25 aprile l'iniziativa "Arena di pace e disarmo".

Per informazioni, adesioni e contatti: e-mail: segreteria at arenapacedisarmo.org, sito: http://arenapacedisarmo.org

 

2. APPELLI. L'APPELLO CHE PROMUOVE L'INIZIATIVA "ARENA DI PACE E DISARMO"

 

La guerra e' il suicidio dell'umanita' (Papa Francesco)

Solo la nonviolenza ci salvera' (Mahatma Gandhi)

 

25 aprile 2014, all'Arena di Verona, una giornata di resistenza e liberazione

La resistenza oggi si chiama nonviolenza

La liberazione oggi si chiama disarmo

*

Premessa

L'Italia ripudia la guerra, ma noi continuiamo ad armarci.

Crescono le spese militari, si costruiscono nuovi strumenti bellici.

Il nostro Paese, in piena crisi economica e sociale, cade a picco in tutti gli indicatori europei e internazionali di benessere e di civilta', ma continua ad essere tra le prime dieci potenze militari del pianeta, nella corsa agli armamenti piu' dispendiosa della storia.

Ne sono un esempio i nuovi 90 cacciabombardieri F35, il cui costo di acquisto si attesta sui 14 miliardi di euro, mentre l'intero progetto Joint Strike Fighter superera' i 50 miliardi di euro; il nostro paese, inoltre, "ospita" 70 bombe atomiche statunitensi B-61 (20 nella base di Ghedi a Brescia e 50 nella base di Aviano a Pordenone) che si stanno ammodernando, al costo di 10 miliardi di dollari, in testate nucleari adatte al trasporto sugli F-35.

Gli armamenti sono distruttivi quando vengono utilizzati e anche quando sono prodotti, venduti, comprati e accumulati, perche' sottraggono enormi risorse al futuro dell'umanita', alla realizzazione dei diritti sociali e civili, garanzia di vera sicurezza per tutti.

Gli armamenti non sono una difesa da cio' che mette a rischio le basi della nostra sopravvivenza e non saranno mai una garanzia per i diritti essenziali della nostra vita - il diritto al lavoro, alla casa e all'istruzione, le protezioni sociali e sanitarie, l'ambiente, l'aria, l'acqua, la legalita' e la partecipazione, la convivenza civile e la pace; e inoltre generano fame, impoverimento, miseria, insicurezza perche' sempre alla ricerca di nuovi teatri e pretesti di guerra; impediscono la realizzazione di forme civili e nonviolente di prevenzione e gestione dei conflitti che salverebbero vite umane e risorse economiche.

Per immaginare e costruire gia' oggi un futuro migliore e' indispensabile, urgente, una politica di disarmo, partendo da uno stile di vita disarmante.

*

Proposta

Per questo proponiamo la convocazione di una iniziativa nonviolenta nazionale: un grande raduno, di tutte le persone, le associazioni, i movimenti della pace, della solidarieta', del volontariato, dell'impegno civile, che faccia appello non solo ai politici ma innanzitutto a noi stessi, chiedendo a chi vi partecipera' di assumersi la responsabilita' di essere parte del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

*

Obiettivo

Scrollarsi dalle spalle illusioni e paure, rimettersi in piedi con il coraggio della responsabilita' e della partecipazione per disarmarci e disarmare l'economia, la politica, l'esercito.

 

3. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: ED E' SUBITO SERA

[Riproponiamo ancora una volta i seguenti versi di Salvatore Quasimodo.

Salvatore Quasimodo, tra i maggiori poeti del Novecento, nacque nel 1901 e scomparve nel 1968. Tra le opere di Salvatore Quasimodo: Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori, Milano 1971, 2012; oltre l'opera in versi si legga almeno anche Il poeta e il politico e altri saggi, Mondadori, Milano 1967. Tra le opere su Salvatore Quasimodo, per una prima introduzione: Giuseppe Zagarrio, Salvatore Quasimodo, La Nuova Italia, Firenze 1969, 1974; Gilberto Finzi, Invito alla lettura di Salvatore Quasimodo, Mursia, Milano 1972, 1976; Mirko Bevilacqua (a cura di), La critica e Quasimodo, Cappelli, Bologna 1976]

 

Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed e' subito sera.

 

4. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: RIFUGIO D'UCCELLI NOTTURNI

 

In alto c'e' un pino distorto;

sta intento ed ascolta l'abisso

col fusto piegato a balestra.

 

Rifugio d'uccelli notturni,

nell'ora piu' alta risuona

d'un battere d'ali veloce.

 

Ha pure un suo nido il mio cuore

sospeso nel buio, una voce;

sta pure in ascolto, la notte.

 

5. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: DOVE MORTI STANNO AD OCCHI APERTI

 

Seguiremo case silenziose

dove morti stanno ad occhi aperti

e bambini gia' adulti

nel riso che li attrista,

e fronde battono a vetri taciti

a mezzo delle notti.

 

Avremo voci di morti anche noi,

se pure fummo vivi talvolta

o il cuore delle selve e la montagna,

che ci sospinse ai fiumi,

non ci volle altro che sogni.

 

6. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: ISOLA DI ULISSE

 

Ferma e' l'antica voce.

Odo risonanze effimere,

oblio di piena notte

nell'acqua stellata.

 

Dal fuoco celeste

nasce l'isola di Ulisse.

Fiumi lenti portano alberi e cieli

nel rombo di rive lunari.

 

Le api, amata, ci recano l'oro:

tempo delle mutazioni, segreto.

 

7. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: ALLE FRONDE DEI SALICI

 

E come potevano noi cantare

Con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

 

8. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: GIORNO DOPO GIORNO

 

Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue

e l'oro. Vi riconosco, miei simili, mostri

della terra. Al vostro morso e' caduta la pieta'

e la croce gentile ci ha lasciati.

E piu' non posso tornare nel mio eliso.

Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati,

ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.

Con noi la morte ha piu' volte giocato:

s'udiva nell'aria un battere monotono di foglie

come nella brughiera se al vento di scirocco

la folaga palustre sale sulla nube.

 

9. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: MILANO, AGOSTO 1943

 

Invano cerchi tra la polvere,

povera mano, la citta' e' morta.

E' morta: s'e' udito l'ultimo rombo

sul cuore del Naviglio. E l'usignolo

e' caduto dall'antenna, alta sul convento,

dove cantava prima del tramonto.

Non scavate pozzi nei cortili:

i vivi non hanno piu' sete.

Non toccate i morti, cosi' rossi, cosi' gonfi:

lasciateli nella terra delle loro case:

la citta' e' morta, e' morta.

 

10. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: UOMO DEL MIO TEMPO

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

- t'ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

quando il fratello disse all'altro fratello:

"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,

e' giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

11. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: ANNO DOMINI MCMXLVII

 

Avete finito di battere i tamburi

a cadenza di morte su tutti gli orizzonti

dietro le bare strette alle bandiere,

di rendere piaghe e lacrime a pieta'

nelle citta' distrutte, rovina su rovina.

E piu' nessuno grida: "Mio Dio

perche' m'hai lasciato?". E non scorre piu' latte

ne' sangue dal petto forato. E ora

che avete nascosto i cannoni fra le magnolie,

lasciateci un giorno senz'armi sopra l'erba

al rumore dell'acqua in movimento,

delle foglie di canna fresche tra i capelli

mentre abbracciamo la donna che ci ama.

Che non suoni di colpo avanti notte

l'ora del coprifuoco. Un giorno, un solo

giorno per noi, padroni della terra,

prima che rulli ancora l'aria e il ferro

e una scheggia ci bruci in piena fronte.

 

12. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: IL MIO PAESE E' L'ITALIA

 

Piu' i giorni s'allontanano dispersi

e piu' ritornano nel cuore dei poeti.

La' i campi di Polonia, la piana di Kutno

con le colline di cadaveri che bruciano

in nuvole di nafta, la' i reticolati

per la quarantena d'Israele,

il sangue tra i rifiuti, l'esantema torrido,

le catene di poveri gia' morti da gran tempo

e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,

la' Buchenwald, la mite selva di faggi,

i suoi forni maledetti; la' Stalingrado,

e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.

I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,

dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!

Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.

Il mio paese e' l'Italia, o nemico piu' straniero,

e io canto il suo popolo e anche il pianto

coperto dal rumore del suo mare,

il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.

 

13. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: AI QUINDICI DI PIAZZALE LORETO

 

Esposito, Fiorani, Fogagnolo,

Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?

Soncini, Principato, spente epigrafi,

voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,

Gasparini? Foglie d'un albero

di sangue, Galimberti, Ragni, voi,

Bravin, Mastrodomenico, Poletti?

O caro sangue nostro che non sporca

la terra, sangue che inizia la terra

nell'ora dei moschetti. Sulle spalle

le vostre piaghe di piombo ci umiliano:

troppo tempo passo'. Ricade morte

da bocche funebri, chiedono morte

le bandiere straniere sulle porte

ancora delle vostre case. Temono

da voi la morte, credendosi vivi.

La nostra non e' guardia di tristezza,

non e' veglia di lacrime alle tombe;

la morte non da' ombra quando e' vita.

 

14. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: AUSCHWITZ

 

Laggiu', ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,

amore, lungo la pianura nordica,

in un campo di morte: fredda, funebre,

la pioggia sulla ruggine dei pali

e i grovigli di ferro dei recinti:

e non albero o uccelli nell'aria grigia

o su dal nostro pensiero, ma inerzia

e dolore che la memoria lascia

al suo silenzio senza ironia o ira.

 

Tu non vuoi elegie, idilli: solo

ragioni della nostra sorte, qui,

tu, tenera ai contrasti della mente,

incerta a una presenza

chiara della vita. E la vita e' qui,

in ogni no che pare una certezza:

qui udremo piangere l'angelo il mostro

le nostre ore future

battere l'al di la', che e' qui, in eterno

e in movimento, non in un'immagine

di sogni, di possibile pieta'.

E qui le metamorfosi, qui i miti.

Senza nome di simboli o d'un dio,

sono cronaca, luoghi della terra,

sono Auschwitz, amore. Come subito

si muto' in fumo d'ombra

il caro corpo d'Alfeo e d'Aretusa!

 

Da quell'inferno aperto da una scritta

bianca: "Il lavoro vi rendera' liberi"

usci' continuo il fumo

di migliaia di donne spinte fuori

all'alba dai canili contro il muro

del tiro a segno o soffocate urlando

misericordia all'acqua con la bocca

di scheletro sotto le docce a gas.

Le troverai tu, soldato, nella tua

storia in forme di fiumi, d'animali,

o sei tu pure cenere d'Auschwitz,

medaglia di silenzio?

Restano lunghe trecce chiuse in urne

di vetro ancora strette da amuleti

e ombre infinite di piccole scarpe

e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie

d'un tempo di saggezza, di sapienza

dell'uomo che si fa misura d'armi,

sono i miti, le nostre metamorfosi.

 

Sulle distese dove amore e pianto

marcirono e pieta', sotto la pioggia,

laggiu', batteva un no dentro di noi,

un no alla morte, morta ad Auschwitz,

per non ripetere, da quella buca

di cenere, la morte.

 

15. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: AI FRATELLI CERVI, ALLA LORO ITALIA

 

In tutta la terra ridono uomini vili,

principi, poeti, che ripetono il mondo

in sogni, saggi di malizia e ladri

di sapienza. Anche nella mia patria ridono

sulla pieta', sul cuore paziente, la solitaria

malinconia dei poveri. E la mia terra e' bella

d'uomini e d'alberi, di martirio, di figure

di pietra e di colore, d'antiche meditazioni.

 

Gli stranieri vi battono con dita di mercanti

il petto dei santi, le reliquie d'amore,

bevono vino e incenso alla forte luna

delle rive, su chitarre di re accordano

canti di vulcani. Da anni e anni

vi entrano in armi, scivolano dalle valli

lungo le pianure con gli animali e i fiumi.

 

Nella notte dolcissima Polifemo piange

qui ancora il suo occhio spento dal navigante

dell'isola lontana. E il ramo d'ulivo e' sempre ardente.

 

Anche qui dividono in sogni la natura,

vestono la morte e ridono i nemici

familiari. Alcuni erano con me nel tempo

dei versi d'amore e solitudine, nei confusi

dolori di lente macine e di lacrime.

Nel mio cuore fini' la loro storia

quando caddero gli alberi e le mura

tra furie e lamenti fraterni nella citta' lombarda.

 

Ma io scrivo ancora parole d'amore,

e anche questa e' una lettera d'amore

alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi

non alle sette stelle dell'Orsa: ai sette emiliani

dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,

morirono tirando dadi d'amore nel silenzio.

Non sapevano soldati filosofi poeti

di questo umanesimo di razza contadina.

L'amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.

 

Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,

non per memoria, ma per i giorni che strisciano

tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.

 

16. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: IL MURO

 

Contro di te alzano un muro

in silenzio, pietra e calce pietra e odio,

ogni giorno da zone piu' elevate

calano il filo a piombo. I muratori

sono tutti uguali, piccoli, scuri

in faccia, maliziosi. Sopra il muro

segnano giudizi sui doveri

del mondo, e se la pioggia li cancella

li riscrivono, ancora con geometrie

piu' ampie. Ogni tanto qualcuno precipita

dall'impalcatura e subito un altro

corre al suo posto. Non vestono tute

azzurre e parlano un gergo allusivo.

Alto e' il muro di roccia,

nei buchi delle travi ora s'infilano

gechi e scorpioni, pendono erbe nere.

L'oscura difesa verticale evita

da un orizzonte solo i meridiani

della terra, e il cielo non lo copre.

Di la' da questo schermo

tu non chiedi grazia ne' confusione.

 

17. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: IN QUESTA CITTA'

 

In questa citta' c'e' pure la macchina

che stritola i sogni: con un gettone

vivo, un piccolo disco di dolore

sei subito di la', su questa terra,

ignoto in mezzo ad ombre deliranti

su alghe di fosforo funghi di fumo:

una giostra di mostri

che gira su conchiglie

che si spezzano putride sonando.

E' in un bar d'angolo laggiu' alla svolta

dei platani, qui nella metropoli

o altrove. Su, gia' scatta la manopola.

 

18. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: ANCORA DELL'INFERNO

 

Non ci direte una notte gridando

dai megafoni, una notte

di zagare, di nascite, d'amori

appena cominciati, che l'idrogeno

in nome del diritto brucia

la terra. Gli animali i boschi fondono

nell'Arca della distruzione, il fuoco

e' un vischio sui crani dei cavalli,

negli occhi umani. Poi a noi morti

voi morti direte nuove tavole

della legge. Nell'antico linguaggio

altri segni, profili di pugnali.

Balbettera' qualcuno sulle scorie,

inventera' tutto ancora

o nulla nella sorte uniforme,

il mormorio delle correnti, il crepitare

della luce. Non la speranza

direte voi morti alla nostra morte

negli imbuti di fanghiglia bollente,

qui nell'inferno.

 

19. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: EPIGRAFE PER I CADUTI DI MARZABOTTO

 

Questa e' memoria di sangue

di fuoco, di martirio,

del piu' vile sterminio di popolo

voluto dai nazisti di von Kesserling

e dai loro soldati di ventura

dell'ultima servitu' di Salo'

per ritorcere azioni di guerra partigiana.

 

I milleottocentotrenta dell'altipiano

fucilati e arsi

da oscura cronaca contadina e operaia

entrano nella storia del mondo

col nome di Marzabotto.

Terribile e giusta la loro gloria:

indica ai potenti le leggi del diritto

il civile consenso

per governare anche il cuore dell'uomo,

non chiede compianto o ira

onore invece di libere armi

davanti alle montagne e alle selve

dove il Lupo e la sua brigata

piegarono piu' volte

i nemici della liberta'.

 

La loro morte copre uno spazio immenso,

in esso uomini d'ogni terra

non dimenticano Marzabotto

il suo feroce evo

di barbarie contemporanea.

 

20. TESTI. SALVATORE QUASIMODO: EPIGRAFE PER I PARTIGIANI DI VALENZA

 

Questa pietra

ricorda i Partigiani di Valenza

e quelli che lottarono nella sua terra,

caduti in combattimento, fucilati, assassinati

da tedeschi e gregari di provvisorie milizie italiane.

Il loro numero e' grande.

Qui li contiamo uno per uno teneramente

chiamandoli con nomi giovani

per ogni tempo.

Non maledire, eterno straniero nella tua patria,

e tu saluta, amico della liberta'.

Il loro sangue e' ancora fresco, silenzioso

il suo frutto.

Gli eroi sono diventati uomini: fortuna

per la civilta'. Di questi uomini

non resti mai povera l'Italia.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XV)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 555 del 5 aprile 2014

 

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