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La domenica della nonviolenza. 264
- Subject: La domenica della nonviolenza. 264
- From: "Giacomo Alessandroni" <g.alessandroni at peacelink.it>
- Date: Sun, 11 Sep 2011 17:58:33 +0200 (CEST)
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 264 dell'11 settembre 2011 In questo numero: 1. Mao Valpiana: Dire di no alla guerra 2. Alexander Langer: La conversione ecologica potra' affermarsi soltanto se apparira' socialmente desiderabile. E' tempo di pensare ad una costituente ecologica 3. Alexander Langer: Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica 4. Alexander Langer: Da dove nascono i dieci punti per la convivenza 1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: DIRE DI NO ALLA GUERRA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"); attualmente e' presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra recente ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010] Saremo in tanti alla marcia per la pace. Ma quello che conta di piu' e' essere in tanti dal giorno dopo a dire di no alla preparazione della prossima guerra. 2. MAESTRI. ALEXANDER LANGER: LA CONVERSIONE ECOLOGICA POTRA' AFFERMARSI SOLTANTO SE APPARIRA' SOCIALMENTE DESIDERABILE. E' TEMPO DI PENSARE AD UNA COSTITUENTE ECOLOGICA [Dalla newsletter "Cencinforma" (bollettino informativo della Casa-laboratorio di Cenci - Amelia, Umbria) n. 47 del settembre 2011 (per contatti: tel. 3395736449 (Franco), 3384696119 (Roberta), 3383295467 (Lucio), e-mail: cencicasalab at gmail.com, sito: www.cencicasalab.it) riprendiamo il seguente intervento di Alexander Langer ai Colloqui di Dobbiaco, agosto 1994. Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di "Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995: "Macht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer. Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org] 1. Abbiamo creato falsa ricchezza per combattere false poverta' - Re Mida patrono del nostro tempo Da qualche secolo ed in rapido crescendo si produce falsa ricchezza per sfuggire a false poverta'. Di tale falsa ricchezza si puo' anche perire, come di sovrappeso, sovramedicazione, surriscaldamento ecc. Falso benessere come liberazione da supposta indigenza e' la nostra malattia del secolo, nella parte industrializzata e "sviluppata" del pianeta. Ci si e' liberati di tanto lavoro manuale, avversita' naturali, malattie, fatiche, debolezze - forse tra poco anche della morte naturale - in cambio abbiamo radiazioni nucleari, montagne di rifiuti, consunzione della fantasia e dei desideri. Tutto e' diventato fattibile ed acquistabile, ma e' venuto a mancare ogni equilibrio. Non solo l'apprendista stregone e' il personaggio-simbolo del nostro tempo. L'antico re Mida - che ottenne il compimento del suo desiderio che ogni cosa che toccava si trasformasse in oro - ci appare come il vero patrono dei culti del progresso e dello sviluppo, l'attualissimo predecessore dei benefici della nostra civilta'. * 2. Non si puo' piu' far finta di non sapere, l'allarme e' ormai suonato da almeno un quarto di secolo ed ha generato solo provvedimenti frammentari e settoriali Da qualche decennio e con sempre maggiori dettagli si conoscono praticamente tutti gli aspetti di questo impoverimento da cosiddetto benessere. Quasi non si sta piu' a sentire quando si recita, piu' o meno completa, la litania delle catastrofi ambientali. Un quarto di secolo e' stato impiegato a scoprire, analizzare, diagnosticare e prognosticare, a dare l'allarme, a lanciare appelli e proclami, a varare leggi e convenzioni, a creare istituzioni incaricate a rimediare. La tutela tecnica dell'ambiente e' notevolmente migliorata nel mondo industrializzato, si sono registrati singoli successi, alcune acque si stanno rivitalizzando, certe specie in pericolo di estinzione si sono salvate, cominciano a circolare detersivi, carburanti ed imballaggi "ecologici"... * 3. Perche' l'allarme non ha prodotto la svolta? E' gia' finito l'intervallo di lucidita' (Stoccolma 1972 - Rio 1992)? Allarmi catastrofisti, lamenti, manifestazioni, boicottaggi, raccolte di firme...: tutto cio' ha aiutato a riconoscere l'emergenza: le malattie sono state diagnosticate, le possibilita' di guarigione studiate e discusse - terapie complessive non sono state ancora attuate. E soprattutto: appare tutt'altro che assicurata la volonta' di guarigione, se ci fosse, produrrebbe azioni e segnali ben piu' determinati. Visto pero' che le cause dell'emergenza ecologica non risalgono ad una cricca dittatoriale di congiurati assetati di profitto e di distruzione, bensi' ricevono quotidianamente un massiccio e pressoche' plebiscitario consenso di popolo, la svolta appare assai piu' difficile. Malfattori e vittime coincidono in larga misura. C'e' da meravigliarsi se oggi persino la diagnosi risulta controversa? Silvio Berlusconi, a capo del governo della cosiddetta Seconda Repubblica, sin dal suo discorso inaugurale alla Camera ha ritenuto di dover ironizzare sull'allarme per l'effetto-serra: "forse il nostro pianeta comincera' ad intiepidirsi in un lasso di tempo pari a quello che ci divide addirittura dalla morte di Caio Giulio Cesare". C'e' da pensare che dunque ci resta ancora tanto tempo per cementificare, dissipare, disboscare! Vuol dire che l'intervallo di lucidita' che si potrebbe situare tra le due conferenze mondiali sull'ambiente (Stoccolma 1972 - Rio de Janeiro 1992) e' gia' terminato? Si e' fatto il pieno di lamenti ed allarmi e si pensa ora che la riunificazione del mondo tra Est e Ovest vada celebrata con nuovi fasti di crescita? * 4. "Sviluppo sostenibile" - pietra filosofale o nuova formula mistificatrice? Da qualche anno (rapporto Brundtland, 1987) la formula magica dello "sviluppo sostenibile" sembra essere la quadratura del cerchio cosi' lungamente cercata. Nella formula e' racchiusa una certa consapevolezza della necessita' di un limite alla crescita, di una qualche autolimitazione della parte altamente industrializzata ed armata dell'umanita', come pure l'idea che alla lunga sia meglio puntare sull'equilibrio piuttosto che sulla competizione selvaggia; ma il termine "sviluppo" (o crescita, come in realta' si dovrebbe dire senza tanti infingimenti) e' rimasto parte del nuovo e virtuoso binomio. Purtroppo basta guardare ai magri risultati della Conferenza di Rio per comprendere quanto lontani si sia ancora da una reale correzione di rotta. Sembra che il nuovo termine indichi piuttosto la propensione ad un nuovo ordine mondiale nel quale il Sud del mondo viene obbligato ad usare con piu' parsimonia e razionalita' le sue risorse, sotto una sorta di supervisione e tutela del Nord: non appare un obiettivo mobilitante per suscitare l'impeto globalmente necessario per la conversione ecologica. * 5. A mali estremi, estremi rimedi? ("Muoia Sansone con tutti i filistei"? Eco-dittatura?) Di fronte ai vicoli ciechi nei quali ci troviamo, puo' succedere che qualcuno tenti estreme vie d'uscita. Anche tra ecologisti, pur cosi' propensi ad una cultura della moderazione e dell'equilibrio, ci puo' esserci chi - seppure oggi in posizione isolata - pensa a rimedi estremi. Scegliamone i due piu' rilevanti: la prima potrebbe essere caratterizzata con "muoia Sansone e tutti i filistei": la convinzione che la catastrofe ambientale sia inevitabile e non piu' rimediabile, e che pertanto tocchi mettere in conto disastri epocali come ne sono avvenuti altri nel corso dell'evoluzione del pianeta. In mancanza di aggiustamenti tempestivi ed efficaci, la svolta ecologica verso un nuovo equilibrio sostenibile verrebbe imposta da tali disastri. L'altro "rimedio estremo" che si potrebbe agitare, sarebbe lo "Stato etico ecologico", l'eco-dirigismo o eco-autoritarismo possibilmente illuminato e possibilmente mondiale. Visto che l'umanita' ha abusato della sua liberta', mettendo a repentaglio la propria sopravvivenza e quella dell'ambiente, qualcuno potrebbe auspicare una sorta di tutela esperta ed eticamente salda ed invocare la dittatura ecologica contro l'anarchia dei comportamenti anti-ambientali. Si deve dire chiaramente che simili ipotetici "estremi rimedi" si situano al di fuori della politica - almeno di una politica democratica. Ogni volta che si e' sperimentato lo Stato etico in alternativa a situazioni o stati anti-etici (e quindi senz'altro deplorevoli), il bilancio etico della privazione di liberta' si e' rivelato disastroso. E l'attesa della catastrofe catartica non richiede certo alcuno sforzo di tipo politico: per politica si intende l'esatto contrario della semplice accettazione di una selezione basata su disastri e prove di forza. Quindi si dovra' cercare altrove la chiave per una politica ecologica, ed inevitabilmente ci si dovra' sottoporre alla fatica dell'intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici ed ambientali. Non esiste il colpo grosso, l'atto liberatorio tutto d'un pezzo che possa aprire la via verso la conversione ecologica, i passi dovranno essere molti, il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente. * 6. La domanda decisiva e': come puo' risultare desiderabile una civilta' ecologicamente sostenibile? "Lentius, profundius, suavius", al posto di "citius, altius, fortius" La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta. La paura della catastrofe, lo si e' visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si puo' dire delle leggi e controlli; e la stessa analisi scientifica non ha avuto capacita' persuasiva sufficiente. A quanto risulta, sinora il desiderio di un'alternativa globale - sociale, ecologica, culturale - non e' stato sufficiente, o le visioni prospettate non sufficientemente convincenti. Non si puo' certo dire che ci sia oggi una maggioranza di persone disposta ad impegnarsi per una concezione di benessere cosi' sensibilmente diversa come sarebbe necessario. Ne' singoli provvedimenti, ne' un migliore "ministero dell'ambiente", ne' una valutazione di impatto ambientale piu' accurata, ne' norme piu' severe sugli imballaggi o sui limiti di velocita' - per quanto necessarie e sacrosante siano - potranno davvero causare la correzione di rotta, ma solo una decisa rifondazione culturale e sociale di cio' che in una societa' o in una comunita' si consideri desiderabile. Sinora si e' agito all'insegna del motto olimpico "citius, altius, fortius" (piu' veloce, piu' alto, piu' forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civilta', dove l'agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensi' la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in "lentius, profundius, suavius" (piu' lento, piu' profondo, piu' dolce"), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sara' al riparo dall'essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso. Ecco perche' una politica ecologica potra' aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate - come e' ovvio - in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioe', nella storia e nell'identita' dei popoli). Dalla politica ci si potra' aspettare che attui efficaci spunti per una correzione di rotta ed al tempo stesso sostenga e forse incentivi la volonta' di cambiamento: una politica ecologica punitiva che presupponga un diffuso ideale pauperistico non avra' grandi chances nella competizione democratica. * 7. Possibili priorita' nella ricerca di un benessere durevole I passi che qui si propongono - intrecciati ed interdipendenti tra loro - fanno parte di una visione favorevole al cambiamento e potrebbero a loro volta incoraggiare nuovi cambiamenti. Purche' ogni passo limitato e parziale si muova in una direzione chiara e comprensibile, ed i vantaggi non siano tutti rimandati ad un futuro impalpabile. a) bilancio ecologico Gli attuali bilanci pubblici e privati sono tutti basati su dati finanziari. Sintanto che non si avranno in tutti gli ambiti (Comune, Provincia, Regione, Stato, Comunita' Europea...) accurati bilanci della reale economia ambientale che facciano capire i reali "profitti" e le reali perdite, non sara' possibile sostituire gli attuali concetti di desiderabilita' sociale, e tantomeno un cambiamento dell'ordine economico. b) ridurre invece che aumentare i bilanci Ogni discorso sulla necessita' della svolta resta assurdo sino a quando la crescita economica restera' l'obiettivo economico di fondo e sino a quando i bilanci pubblici e privati punteranno ad aumentare di anno in anno. La parte industrializzata del pianeta dovra' finalmente decidersi alla crescita-zero e poi a qualche riduzione - naturalmente con la necessaria cautela e moderazione per non causare dei crolli sociali o economici. c) favorire economie regionali invece che l'integrazione nel mercato mondiale Sino a quando la concorrenza sul mercato mondiale restera' il parametro dell'economia, nessuna correzione di rotta in senso ecologico potra' attuarsi. La rigenerazione delle economie locali, invece, rendera' possibile - tra l'altro - una gestione piu' moderata e controllabile dei bilanci, compreso quello ambientale. d) sistemi tariffari e fiscali ecologici, verita' dei costi Di fronte ad un mercato che addirittura postula e premia comportamenti anti-ecologici, visto che non ne fa pagare i costi, si rende indispensabile un sistema fiscale e tariffario orientato in senso ambientale, che imponga almeno in parte una maggiore trasparenza e verita' dei costi: imprenditori e consumatori devono accorgersi dei costi reali del massiccio trasporto merci, degli imballaggi, del dispendio energetico, dell'inquinamento, del consumo di materie prime, ecc. e) allargare e generalizzare la valutazione di impatto ambientale Tutto quanto viene oggi costruito (opere, tecnologie, ecc.), produce impatti e conseguenze di dimensioni sinora sconosciute. La valutazione di impatto ambientale - nel senso piu' comprensivo di una reale valutazione delle conseguenze ecologiche, ma anche sociali e culturali a breve e lungo termine di ogni progetto - dovra' diventare il nocciolo di una nuova sapienza sociale, e va quindi adeguatamente ancorata negli ordinamenti. Cosi' come altre societa', passate o presenti, proteggevano con norme fondamentali e tabu' (sulla guerra, l'ospitalita', l'incesto...) le loro scelte di fondo, oggi abbiamo bisogno di norme fondamentali a difesa della valutazione di impatto ambientale - non importa se si tratti di autostrade, missili, biotecnologie, forme di produzione di energia o introduzione di nuove sostanze chimiche di sintesi. Tale valutazione non potra' avvenire senza l'intervento dei piu' diretti interessati e postulera' una Corte ambientale a suo presidio. f) redistribuzione del lavoro, garanzie sociali Solo una vasta redistribuzione sociale del lavoro (e quindi dei "posti di lavoro" socialmente riconosciuti) permettera' la necessaria correzione di rotta. L'ammortamento sociale degli effetti prodotti da scelte di conversione ecologica (che si chiuda una fabbrica d'armi o un impianto chimico...) e' un investimento importante ed utile quanto e piu' di tanti altri, e se si indennizzano i proprietari di terreni che devono cedere ad un'autostrada, non si vede perche' altrettanto non debba avvenire nei confronti di operai o impiegati che devono cedere alla ristrutturazione ecologica. g) riduzione dell'economia finanziaria, sviluppo della "fruizione in natura" Sino a quando ogni forma di economia sara' canalizzata essenzialmente attraverso il denaro, sara' assai difficile far valere dei criteri ecologici, e ci saranno pesanti ingiustizie socio-ecologiche: chi puo' pagare, potra' anche inquinare. Un processo di "rinaturalizzazione" - che allontani dalla mercificazione generalizzata (dove tutto si puo' vendere e comperare) e valorizzi invece l'apporto personale e non fungibile - potrebbe aiutare a scoprire un diverso e maggior godimento della natura, del lavoro, dello scambio sociale. Le "res communes omnium" (dalla fontana pubblica alla spiaggia, dalla montagna alla citta' d'arte) non si difendono col ticket in denaro, bensi' con l'esigere una prestazione personale, con un legame col volontariato, ecc. h) sviluppare una pratica di partnership La necessaria autolimitazione ecologica riesce piu' convincente se si fa esperienza diretta di interdipendenza e partnership: nella nostra attuale condizione, forse potrebbero essere alleanze o patti "triangolari" (Nord/Sud/Est) quelle che meglio riflettono il nesso tra i cambiamenti necessari in parti diverse, ma interconnesse, del mondo. L'"alleanza per il clima" ne puo' fornire una interessante, per quanto ancora parzialissima, esemplificazione. * 8. Una Costituente ecologica? Societa' anteriori alla nostra avevano il loro modo di sanzionare, solennizzare e tramandare le loro scelte ed i loro vincoli di fondo: basti pensare alla "magna charta libertatum", al leggendario giuramento dei confederati elvetici sul Ruetli, alla dichiarazione francese sui diritti dell'uomo, al patto di fondazione delle Nazioni unite... Oggi difettiamo di una analoga norma fondamentale di vincolo ecologico che - viste le caratteristiche del nostro tempo - avrebbe peso e valore solo se frutto di un processo democratico. Certamente esiste in questa o quella carta costituzionale un comma o articolo sull'ambiente, ma siamo ben lontani dal concepire la difesa o il ripristino dell'equilibrio ecologico come una sorta di valore di fondo e pregiudiziale delle nostre societa', e di trarne le conseguenze. Se si vuole riconoscere ed ancorare davvero la desiderabilita' sociale di modi di vivere, di produrre, di consumare compatibili con l'ambiente, bisognera' forse cominciare ad immaginare un processo costituente, che non potra' avere, ovviamente, in primo luogo carattere giuridico, quanto piuttosto culturale e sociale, ma che dovrebbe sfociare in qualcosa come una "Costituente ecologica". In fondo le Costituzioni moderne hanno il significato di vincolare il singolo ed ogni soggetto pubblico o privato ad alcune scelte di fondo che trascendono la generazione presente o, a maggior ragione, la congiuntura politica del momento. Se non si arrivera' a dare un solido fondamento alla necessaria decisione di conversione ecologica, nessun singolo provvedimento sara' abbastanza forte da opporsi all'apparente convenienza che l'economia della crescita e dei consumi di massa sembra offrire. 3. MAESTRI. ALEXANDER LANGER: TENTATIVO DI DECALOGO PER LA CONVIVENZA INTER-ETNICO [Dalla newsletter "Cencinforma" (bollettino informativo della Casa-laboratorio di Cenci - Amelia, Umbria) n. 47 del settembre 2011 (per contatti: tel. 3395736449 (Franco), 3384696119 (Roberta), 3383295467 (Lucio), e-mail: cencicasalab at gmail.com, sito: www.cencicasalab.it) riprendiamo il seguente testo di Alexander Langer apparso su "Arcobaleno", novembre 1994] 1. La compresenza pluri-etnica sara' la norma piu' che l'eccezione; l'alternativa e' tra esclusivismo etnico e convivenza Situazioni di compresenza di comunita' di diversa lingua, cultura, religione, etnia sullo stesso territorio saranno sempre piu' frequenti, soprattutto nelle citta'. Questa, d'altronde, non e' una novita'. Anche nelle citta' antiche e medievali si trovavano quartieri africani, greci, armeni, ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli... La convivenza pluri-etnica (1), pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale... appartiene dunque, e sempre piu' apparterra', alla normalita', non all'eccezione. Cio' non vuol dire, pero', che sia facile o scontata, anzi. La diversita', l'ignoto, l'estraneo complica la vita, puo' fare paura, puo' diventare oggetto di diffidenza e di odio, puo' suscitare competizione sino all'estremo del "mors tua, vita mea". La stessa esperienza di chi da una valle sposa in un'altra valle della stessa regione, e deve quindi adattarsi e richiede a sua volta rispetto e adattamento, lo dimostra. Le migrazioni sempre piu' massicce e la mobilita' che la vita moderna comporta rendono inevitabilmente piu' alto il tasso di intreccio inter-etnico ed inter-culturale, in tutte le parti del mondo. Per la prima volta nella storia si puo' - forse - scegliere consapevolmente di affrontare e risolvere in modo pacifico spostamenti cosi' numerosi di persone, comunita', popoli, anche se alla loro origine sta di solito la violenza (miseria, sfruttamento, degrado ambientale, guerra, persecuzioni...). Ma non bastano retorica e volontarismo dichiarato: se si vuole veramente costruire la compresenza tra diversi sullo stesso territorio, occorre sviluppare una complessa arte della convivenza. D'altra parte diventa sempre piu' chiaro che gli approcci basati sull'affermazione dei diritti etnici o affini - per esempio nazionali, confessionali, tribali, "razziali" - attraverso obiettivi come lo stato etnico, la secessione etnica, l'epurazione etnica, l'omogeneizzazione nazionale, ecc. portano a conflitti e guerre di imprevedibile portata. L'alternativa tra esclusivismo etnico (comunque motivato, anche per autodifesa) e convivenza pluri-etnica costituisce la vera questione-chiave nella problematica etnica oggi. Che si tratti di etnie oppresse o minoritarie, di recente o piu' antica immigrazione, di minoranze religiose, di risvegli etnici o di conflittualita' inter-etnica, inter-confessionale, inter-culturale. La convivenza pluri-etnica puo' essere percepita e vissuta come arricchimento ed opportunita' in piu' piuttosto che come condanna: non servono prediche contro razzismo, intolleranza e xenofobia, ma esperienze e progetti positivi ed una cultura della convivenza. * 2. Identita' e convivenza: mai l'una senza l'altra; ne' inclusione ne' esclusione forzata "Piu' chiaramente ci separeremo, meglio ci capiremo": c'e' oggi una forte tendenza ad affrontare i problemi della compresenza pluri-etnica attraverso piu' nette separazioni. Non suscitano largo consenso i "melting pots", i crogiuoli dichiaratamente perseguiti come obiettivo (ad esempio negli Usa), e non si contano le sollevazioni contro assimilazioni piu' o meno forzate. Al tempo stesso si incontrano movimenti per l'uguaglianza, contro l'emarginazione e la discriminazione etnica, per la pari dignita'. Non hanno dato buona prova di se' ne' le politiche di inclusione forzata (assimilazione, divieti di lingue e religioni, ecc.), ne' di esclusione forzata (emarginazione, ghettizzazione, espulsione, sterminio...). Bisogna consentire una piu' vasta gamma di scelte individuali e collettive, accettando ed offrendo momenti di "intimita'" etnica come di incontro e cooperazione inter-etnica. Garanzia di mantenimento dell'identita', da un lato, e di pari dignita' e partecipazione dall'altro, devono integrarsi a vicenda. Cio' richiede, naturalmente, che non solo le regole pubbliche e gli ordinamenti, ma soprattutto le comunita' interessate si orientino verso questa opzione di convivenza. * 3. Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: "piu' abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo" La convivenza offre e richiede molte possibilita' di conoscenza reciproca. Affinche' possa svolgersi con pari dignita' e senza emarginazione, occorre sviluppare il massimo possibile livello di conoscenza reciproca. "Piu' abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo", potrebbe essere la controproposta allo slogan separatista sopra ricordato. Imparare a conoscere la lingua, la storia, la cultura, le abitudini, i pregiudizi e stereotipi, le paure delle diverse comunita' conviventi e' un passo essenziale nel rapporto inter-etnico. Una grande funzione la possono svolgere fonti di informazioni comuni (giornali, trasmissioni, radio, ecc. inter-culturali, pluri-lingui, ecc.), occasioni di apprendimento o di divertimento comune, frequentazioni reciproche almeno occasionali, possibilita' di condividere - magari eccezionalmente - eventi "interni" ad una comunita' diversa dalla propria (feste, riti, ecc.), anche dei semplici inviti a pranzo o cena. Libri comuni di storia, celebrazioni comuni di eventi pubblici, forse anche momenti di preghiera o di meditazione comune possono aiutare molto ad evitare il rischio che visioni etnocentriche si consolidino sino a diventare ovvie e scontate. * 4. Etnico magari si', ma non a una sola dimensione: territorio, genere, posizione sociale, tempo libero e tanti altri denominatori comuni Ha la sua legittimita', e talvolta forse anche le sue buone ragioni, l'organizzazione etnica della comunita', delle differenti comunita': purche' sia scelta liberamente, e non diventi a sua volta integralista e totalitaria. Quindi dovremo accettare partiti etnici, associazioni etniche, club etnici, spesso anche scuole e chiese etniche. Ma e' evidente che se si vuole favorire la convivenza piu' che l'(auto-)isolamento etnico, si dovranno valorizzare tutte le altre dimensioni della vita personale e comunitaria che non sono in prima linea a carattere etnico. Prima di tutto il comune territorio e la sua cura, ma anche obiettivi ed interessi professionali, sociali, di eta'... ed in particolare di genere; le donne possono scoprire e vivere meglio obiettivi e sensibilita' comuni. Bisogna evitare che la persona trascorra tutta la sua vita e tutti i momenti della sua giornata all'interno di strutture e dimensioni etniche, ed offrire anche altre opportunita' che di norma saranno a base inter-etnica. E' essenziale che le persone si possano incontrare e parlare e farsi valere non solo attraverso la "rappresentanza diplomatica" della propria etnia, ma direttamente: quindi e' assai rilevante che ogni persona possa godere di robusti diritti umani individuali, accanto ai necessari diritti collettivi, di cui alcuni avranno anche un connotato etnico (uso della lingua, tutela delle tradizioni, ecc.); non tutti i diritti collettivi devono essere fruiti e canalizzati per linee etniche (per esempio diritti sociali - casa, occupazione, assistenza, salute... - o ambientali). * 5. Definire e delimitare nel modo meno rigido possibile l'appartenenza, non escludere appartenenze ed interferenze plurime Normalmente l'appartenenza etnica non esige una particolare definizione o delimitazione: e' frutto di storia, tradizione, educazione, abitudini, prima che di opzione, volonta', scelta precisa. Piu' rigida ed artificiosa diventa la definizione dell'appartenenza e la delimitazione contro altri, piu' pericolosamente vi e' insita la vocazione al conflitto. L'enfasi della disciplina o addirittura dell'imposizione etnica nell'uso della lingua, nella pratica religiosa, nel vestirsi (sino all'uniforme imposta), nei comportamenti quotidiani, e la definizione addirittura legale dell'appartenenza (registrazioni, annotazioni su documenti, ecc.) portano in se' una insana spinta a contarsi, alla prova di forza, al tiro alla fune, all'erezione di barricate e frontiere fisiche, alla richiesta di un territorio tutto e solo proprio. Consentire e favorire, invece, una nozione pratica piu' flessibile e meno esclusiva dell'appartenenza e permettere quindi una certa osmosi tra comunita' diverse e riferimento plurimo da parte di soggetti "di confine" favorisce l'esistenza di "zone grigie", a bassa definizione e disciplina etnica e quindi di piu' libero scambio, di inter-comunicazione, di inter-azione. Evitare ogni forma legale per "targare" le persone da un punto di vista etnico (o confessionale, ecc.) fa parte delle necessarie misure preventive del conflitto, della xenofobia, del razzismo. L'autodeterminazione dei soggetti e delle comunita' non deve partire dalla definizione delle proprie frontiere e dei divieti di accesso, bensi' piuttosto dalla definizione in positivo dei propri valori ed obiettivi, e non deve arrivare all'esclusivismo ed alla separatezza. Deve essere possibile una lealta' aperta a piu' comunita', non esclusiva, nella quale si riconosceranno soprattutto i figli di immigrati, i figli di "famiglie miste", le persone di formazione piu' pluralista e cosmopolita. * 6. Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica: i diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani, il diritto a sentirsi di casa La compresenza di etnie, lingue, culture, religioni e tradizioni diverse sullo stesso territorio, nella stessa citta', deve essere riconosciuta e resa visibile. Gli appartenenti alle diverse comunita' conviventi devono sentire che sono "di casa", che hanno cittadinanza, che sono accettati e radicati (o che possono mettere radici). Il bi- (o pluri-)linguismo, l'agibilita' per istituzioni religiose, culturali, linguistiche differenti, l'esistenza di strutture ed occasioni specifiche di richiamo e di valorizzazione di ogni etnia presente sono elementi importanti per una cultura della convivenza. Piu' si organizzera' la compresenza di lingue, culture, religioni, segni caratteristici, meno si avra' a che fare con dispute sulla pertinenza dei luoghi e del territorio a questa o quella etnia: bisogna che ogni forma di esclusivismo o integralismo etnico venga diluita nella naturale compresenza di segni, suoni e istituzioni multiformi. (Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, citta' pluri-etnica a maggioranza serba in Croazia, oggi assai disputata tra serbi e croati, lo dice in modo semplice: "un prato con molti fiori diversi e' piu' bello di un prato dove cresce una sola varieta' di fiori"). Faticosamente l'Europa ha imparato ad accettare la presenza di piu' confessioni che possono coesistere sullo stesso territorio e non puntare a dominare su tutti e tutto o ad espellersi a vicenda: ora bisogna che lo stesso processo avvenga esplicitamente a proposito di realta' pluri-etnica; convivere tra etnie diverse sullo stesso spazio, con diritti individuali e collettivi appropriati per assicurare pari dignita' e liberta' a tutti, deve diventare la regola, non l'eccezione. * 7. Diritti e garanzie sono essenziali ma non bastano; norme etnocentriche favoriscono comportamenti etnocentrici Non si creda che identita' etnica e convivenza inter-etnica possano essere assicurate innanzitutto da leggi, istituzioni, strutture e tribunali, se non sono radicate tra la gente e non trovano fondamento in un diffuso consenso sociale; ma non si sottovaluti neanche l'importanza di una cornice normativa chiara e rassicurante, che garantisca a tutti il diritto alla propria identita' (attraverso diritti linguistici, culturali, scolastici, mezzi d'informazione, ecc.), alla pari dignita' (attraverso garanzie di piena partecipazione, contro ogni discriminazione), al necessario autogoverno, senza tentazioni annessionistiche in favore di qualcuna delle comunita' etniche conviventi. In particolare appare assai importante che situazioni di convivenza inter-etnica godano di un quadro di autonomia che spinga la comunita' locale (tutta, senza discriminazione etnica) a prendere il suo destino nelle proprie mani ed obblighi alla cooperazione inter-etnica, tanto da sviluppare una coscienza territoriale (e di "Heimat") comune: cio' potra' contribuire a scoraggiare tentativi di risolvere tensioni e conflitti con forzature sullo "status" territoriale (annessioni, cambiamenti di frontiera, ecc.). E non si dimentichi che leggi e strutture fortemente etnocentriche (fondate cioe' sulla continua enfasi dell'appartenenza etnica, sulla netta separazione etnica, ecc.) finiscono inevitabilmente ad inasprire conflitti e tensioni ed a generare o rafforzare atteggiamenti etnocentrici, mentre - al contrario - leggi e strutture favorevoli alla cooperazione inter-etnica possono incoraggiare ed irrobustire scelte di buona convivenza. * 8. Dell'importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono "traditori della compattezza etnica", ma non "transfughi" In ogni situazione di coesistenza inter-etnica si sconta, in principio, una mancanza di conoscenza reciproca, di rapporti, di familiarita'. Estrema importanza positiva possono avere persone, gruppi, istituzioni che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunita' conviventi e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione. La promozione di eventi comuni ed occasioni di incontro ed azione comune non nasce dal nulla, ma chiede una tenace e delicata opera di sensibilizzazione, di mediazione e di familiarizzazione, che va sviluppata con cura e credibilita'. Accanto all'identita' ed ai confini piu' o meno netti delle diverse aggregazioni etniche e' di fondamentale rilevanza che qualcuno, in simili societa', si dedichi all'esplorazione ed al superamento dei confini: attivita' che magari in situazioni di tensione e conflitto assomigliera' al contrabbando, ma e' decisiva per ammorbidire le rigidita', relativizzare le frontiere, favorire l'inter-azione. Esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso, ecc. sono tra i fattori piu' dirompenti della convivenza civile che si conoscano (piu' delle tensioni sociali, ecologiche o economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l'economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica o la religione. Occorre quindi una grande capacita' di affrontare e dissolvere la conflittualita' etnica. Cio' richiedera' che in ogni comunita' etnica si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunita': veri e propri "traditori della compattezza etnica", che pero' non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili. Proprio in caso di conflitto e' essenziale relativizzare e diminuire le spinte che portano le differenti comunita' etniche a cercare appoggi esterni (potenze tutelari, interventi esterni, ecc.) e valorizzare gli elementi di comune legame al territorio. * 9. Una condizione vitale: bandire ogni violenza Nella coesistenza inter-etnica e' difficile che non si abbiano tensioni, competizione, conflitti: purtroppo la conflittualita' di origine etnica, religiosa, nazionale, razziale, ecc. ha un enorme potere di coinvolgimento e di mobilitazione e mette in campo tanti e tali elementi di emotivita' collettiva da essere assai difficilmente governabile e riconducibile a soluzioni ragionevoli se scappa di mano. Una necessita' si erge pertanto imperiosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che - se tollerato - rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili. Ed anche in questo caso non bastano leggi o polizie, ma occorre una decisa repulsa sociale e morale, con radici forti: un convinto e convincente no alla violenza. * 10. Le piante pioniere della cultura della convivenza: gruppi misti inter-etnici Un valore inestimabile possono avere in situazioni di tensione, conflittualita' o anche semplice coesistenza inter-etnica gruppi misti (per piccoli che possano essere). Essi possono sperimentare sulla propria pelle e come in un coraggioso laboratorio pionieristico i problemi, le difficolta' e le opportunita' della convivenza inter-etnica. Gruppi inter-etnici possono avere il loro prezioso valore e svolgere la loro opera nei campi piu' diversi: dalla religione alla politica, dallo sport alla socialita' del tempo libero, dal sindacalismo all'impegno culturale. Saranno in ogni caso il terreno piu' avanzato di sperimentazione della convivenza, e meritano pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a cuore l'arte e la cultura della convivenza come unica alternativa realistica al riemergere di una generalizzata barbarie etnocentrica. (testo riveduto nel novembre 1994) Note 1) Il termine "etnico", "etnia", viene usato qui come il piu' comprensivo delle caratteristiche nazionali, linguistiche, religiose, culturali che definiscono un'identita' collettiva e possono esasperarla sino all'etnocentrismo: l'ego-mania collettiva piu' diffusa oggi. 4. MAESTRI. ALEXANDER LANGER: DA DOVE NASCONO I DIECI PUNTI PER LA CONVIVENZA [Dalla newsletter "Cencinforma" (bollettino informativo della Casa-laboratorio di Cenci - Amelia, Umbria) n. 47 del settembre 2011 (per contatti: tel. 3395736449 (Franco), 3384696119 (Roberta), 3383295467 (Lucio), e-mail: cencicasalab at gmail.com, sito: www.cencicasalab.it) riprendiamo il seguente testo di Alexander Langer apparso su "Il segno", 27 marzo 1995] Spesso mi si domanda, quali esperienze e suggerimenti io abbia ricavato dalla combinazione tra la mia esperienza di comunicazione, conflitto e convivenza inter-culturale nel Sudtirolo (un impegno che ha segnato ed in certo senso riempito tutto il corso della mia vita) e la piu' recente esperienza nel Parlamento europeo o, piu' in generale, nei movimenti europei per la pace e la solidarieta'. Cosi' mi e' venuta l'idea di tentare la redazione di una sorte di breve decalogo: in alcune occasioni ho presentato e discusso, e di conseguenza affinato e meglio elaborato le riflessioni che seguono. Gli interlocutori con cui ho sinora dibattuto il decalogo erano diversi: dall'ambiente di "Azione nonviolenta" e del Movimento Internazionale della Riconciliazione ai partecipanti ad una giornata sulla "caduta dei muri", organizzata a Merano (20 novembre 1994) da Pax Christi ed altre associazioni, ad incontri in sede europea (l'ultima di queste discussioni e' avvenuta nel marzo 1995 alla sede del Centre for European Policy Studies di Bruxelles). Mi rendo conto che condensare in un breve testo - per giunta astratto, cioe' non riferito ad una singola situazione - un insieme di considerazioni su situazioni di contatto e conflitto inter-etnico (o inter-culturale, inter-confessionale, inter-razziale, ecc.) puo' far correre il rischio di genericita'. Ma sono anche convinto che ormai il tempo sia piu' che maturo perche' ci si occupi non solo e non tanto della definizione dei "diritti etnici" (o nazionali, o confessionali, ecc.), ma della ricerca di criteri per costruire un ordinamento della convivenza pluri-culturale, che ovviamente non potra' essere in primo luogo concepito come un insieme di norme e di statuizioni legali, ma soprattutto di valori e di pratiche della mutua tolleranza, conoscenza e frequentazione. Spero che i miei modesti dieci punti, che qui vengono presentati nella loro redazione ultima, possano fornire stimoli ed elementi in quella direzione. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 264 dell'11 settembre 2011 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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