Nonviolenza. Femminile plurale. 394



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 394 del 16 luglio 2011

 

In questo numero:

1. Contro la guerra una proposta agli enti locali

2. Alcuni testi del mese di marzo 2005 (parte terza e conclusiva)

3. Ancora sulle parole e le cose

4. Il vagone letto

5. Quando il Criticone chiede scusa

6. Cose che non pensavi che avremmo visto ancora

 

1. INIZIATIVE. CONTRO LA GUERRA UNA PROPOSTA AGLI ENTI LOCALI

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Proponiamo a tutte le persone amiche della nonviolenza di inviare al sindaco del Comune, al presidente della Provincia ed al presidente della Regione in cui si risiede, una lettera aperta (da diffondere quindi anche a tutti i membri del consiglio comunale, provinciale, regionale, ed ai mezzi d'informazione) con cui chiedere che l'assemblea dell'ente locale approvi una deliberazione recante il testo seguente o uno analogo.

*

"Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... ripudia la guerra, nemica dell'umanita'.

Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... riconosce, rispetta e promuove la vita, la dignita' e i diritti di ogni essere umano.

Richiede al Governo e al Parlamento che cessi la partecipazione italiana alle guerre in corso.

Richiede al Governo e al Parlamento che si torni al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana.

Richiede al Governo e al Parlamento che l'Italia svolga una politica internazionale di pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per il riconoscimento e l'inveramento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

Solo la pace salva le vite".

 

2. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MARZO 2005 (PARTE TERZA E CONCLUSIVA)

 

Riproponiamo alcuni ulteriori testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di marzo 2005.

 

3. HERI DICEBAMUS. ANCORA SULLE PAROLE E LE COSE

 

Cosi' potenti sono le parole, che ai miei amici sempre dico: prudenza. Poiche' esse sono lo strumento privilegiato attraverso cui noi umani influiamo sul mondo, poiche' esse piu' che la spada uccidono, ed e' al comando espresso in parole che il carnefice solleva la mannaia.

*

Una storia vera

Venti, venticinque anni fa insegnavo a studenti di una classe di ragioneria, ed ebbi a dire loro dell'orrore del rapporto tra nord e sud del mondo, che la fame e' figlia della nostra rapina, che le guerre sono il frutto di strutturali ingiustizie, che di ognuno e' il dovere di opporsi alla guerra, alla fame, alla morte; che a cominciare da noi stessi occorre opporsi all'ingiustizia, alle uccisioni: a cominciare da noi stessi, dal nostro stesso modo di vita. Erano gli anni del Rapporto Brandt, del rapporto del Mit per il Club di Roma, e del lavoro grande dell'indimenticabile Lelio Basso. I non piu' giovani ricorderanno.

Avevo cola' un allievo brillantissimo, di una sensibilita' cosi' vibratile che percepiva ogni stormir di foglie, di una gentilezza cosi' acuta che sempre parlava in un sussurro, avido solo di sapere e di donare. Io non immaginavo che il mio dire cosi' in profondita' lui lo ascoltasse.

In breve, si persuase che cotanto orrore richiedesse una rottura, un netto sottrarsi all'obiettiva complicita' di noi comunque ricchi, comunque felici pochi. E senza chiacchiere, senza frastuoni, si mise a digiunare, nel silenzio.

Frattanto io li' non insegnavo piu', neppure seppi che su quel cammino si era silente collocato. Finche' non vennero un giorno, tempo dopo, a cercarmi suo padre e suo fratello, a dirmi che a nulla eran valse le loro preghiere, nel digiuno inflessibile quel giovane amico andava verso la morte, alle loro obiezioni obiettando che tanto male vi era nel mondo, tanti esseri umani infelici rapiva la morte. Mi chiesero di andarlo a trovare, di parlarci ancora. Fu un mesto andare, un accorato incontro. Solo dopo un lungo colloquiare accolse l'idea che quel suo soffrire ancor altro soffrire aggiungeva al dolore del mondo, e non salvava; solo dopo un lungo consentire, senza giudizi, senza cenno alcuno, si persuase che vivere doveva, per contribuire alla lotta che e' di tutti, per un'umanita' di libere e di liberi, degna di essere felice, degna della felicita' sola possibile: tra tutte e tutti condivisa, sobria. Scelse dunque di rompere il digiuno, ed ancor oggi vive ed e' persona buona, degna, gentile.

E' la prima volta che racconto questa vicenda. L'ho fatto qui per avvisare tutti che le nostre parole sempre hanno effetti, a volte enormi, a volte tragici. E quindi quando pronunciamo detti prudenza occorre, e ancora prudenza.

*

Invece

E invece ci sono persone che usano le parole come fossero pugnali.

Per ferire, per uccidere: per negare altrui dignita', verita', umanita', vita.

So bene che molti lo fanno senza rendersene affatto conto. Mi e' capitato ad esempio di leggere recentemente persone buonissime scrivere che un atto d'ipocrisia sia piu' grave che una uccisione: ne ho provato dolore e vergogna grandi, questi buoni amici certo non si rendevano conto dell'enormita' loro uscita dalla chiostra dei denti. Perche' l'astratto uccide e fa uccidere; e' disumanante la cecita' di fronte al volto dell'altra e dell'altro, l'irresponsabilita' che fa pronunciare asserzioni senza pensare a quali effetti esse hanno sulla vita altrui, senza accorgersi che una sola menzogna, un solo insulto, bastano gia' non solo a offendere per sempre l'anima di chi ne e' bersaglio, ma anche a corrompere l'anima di chi ignaro quel dire ascolta, e ad annientare la virtu' di chi quelle parole pronuncia; bastano a contaminare terra e cielo. Lo sapeva quel buon galileo che disse che se hai detto "raca", "stupido", a tuo fratello, ebbene, corri a chiedergli scusa prima di ogni altra cosa.

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Borges, naturalmente. E Schopenhauer

Ha scritto una volta Borges, nella sua Arte dell'ingiuriare, che quando in una disputa si passa all'offesa personale, il contraddittore a buon diritto puo' rilevare che quello non e' un argomento ma una digressione, e quindi attende ancora una replica vera.

Poiche' sovente si passa all'offesa per eludere una discussione seria, un argomentare stringente, una questione che ci angoscia. Per qualche motivo a disagio nel sostenere un tema, nel confutare una tesi, nel rispondere a un invito o un'urgenza, si passa alle mani. Mi perdonino gli amici del bar dello sport.

Talvolta pero' capita anche che gli insulti condiscano ragionamenti che senza essi insulti sarebbero ben degni di interesse. Perche' allora se ne fa uso a scapito del proprio decoro? Un'ipotesi azzardo: che essi coprano un'incertezza, equivalgano a un gesto che cerca surrogare un vuoto, un varco che pur si percepisce ma sul quale non si vuole figgere lo sguardo, fissare l'attenzione. E l'insulto allora e' il modo per parlar d'altro. Come l'argumentum ad personam descritto nell'Arte di aver ragione, quell'operina che Arthur Schopenhaur lascio' inedita.

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"Se pur sia consueto, trovatelo strano. Inspiegabile pur se normale"

Nel dibattito promosso dalla pubblicazione dello straordinario saggio di Anna Bravo, "Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci", apparso sulla rivista della Societa' italiana delle storiche "Genesis" e riprodotto anche su questo foglio, si sono verificate alcune interessantissime bizzarrie, che come tutte le bizzarrie rivelano molto delle correnti abitudini, ovvero dell'ideologia dominante.

La pubblicazione del saggio di Anna Bravo ha agito da cartina di tornasole, mettendo in luce molti aspetti della distretta presente che non si vedevano per il semplice fatto che, per una tacita convenzione tra i poteri dominanti e gruppi sociali che pur usufruiscono di qualche beneficio concesso dal sistema di potere vigente, si preferiva non vederli, ed attraverso i media si convinceva alla cecita' anche chi ne' del regime della corruzione ne' del ceto degli intellettuali in quanto tecnici addetti all'oppressione fa parte.

Poiche' io sono di quelli che credono che su almeno tre punti cruciali il saggio di Anna Bravo di cui qui si parla costituisca un contributo grande alla consapevolezza di tutte e tutti, un contributo grande alla lotta che e' da condurre, un contributo grande alla causa della verita', che e' la causa dell'umanita' contro quella disumanita' al potere che e' il potere maschilista, fascista, guerriero, che distrugge vite umane, relazioni umane, istituzioni umane, e natura (non solo "risorse" naturali, come vuole una concezione capitalistica della natura come scrigno o magazzino; no, la natura e' vita, mondo, storia; quindi diciamo natura nella sua pienezza ed apertura: biosfera, mondo vivente, universo, cosmo, mondo degno di esistere, di vivere, di persistere e riprodursi, mondo di cui l'umanita' e' parte, una parte, mondo con cui istituire una relazione di cura).

Ed i tre punti cruciali del saggio di Anna Bravo a me sembra che siano di tale rilevanza che spero di aver la possibilita' di scriverne adeguatamente in un prossimo intervento, qui limitandomi ad accennarvi soltanto per titoli:

I. il rapporto verificatore e veritativo tra memoria, elaborazione del lutto e solidarieta' con le vittime (e qui avverto una forte consonanza con la lezione di Primo Levi e il lavoro di Tzvetan Todorov);

II. l'affrontamento dell'aborto dal punto di vista del sentire delle donne e ad un tempo della nonviolenza (poiche' sentire delle donne - come esperienza storica ed esistenziale - e scelta della nonviolenza - anch'essa come esperienza storica ed esistenziale - sono due concetti in ampia misura fortemente convergenti ed in buona sostanza equivalenti), valorizzando tutta la straordinaria elaborazione teorica ed esistenziale non solo dei movimenti organizzati ma del pensiero e delle prassi delle donne in senso piu' lato, piu' pieno, piu' profondo, in una prospettiva ancora una volta di cura, di solidarieta', di liberazione, fondata sul "principio responsabilita'" e mettendo a frutto tutta la ricchezza preziosa e feconda della riflessione femminista, da Adrienne Rich a Diotima, da Simone de Beauvoir a Vandana Shiva, da Virginia Woolf a Etty Hillesum, a Edith Stein, a Rigoberta Menchu';

III. la critica della violenza come strumento di lotta politica: critica decisiva per l'oggi, talche' la ricostruzione veritiera - possiamo dirlo? la ricerca (quest) e la confessione (confessio) nel senso pieno e forte di gesto di responsabilita' e di atto comunitario -, e l'interpretazione adeguata, degli errori teorici e degli orrori concreti dei movimenti di ieri e' conditio sine qua non, passaggio necessario per la lotta che dobbiamo condurre oggi anche contro le ambiguita', gli equivoci, le complicita' che deturpano, indeboliscono e infine largamente vanificano l'impegno dei movimenti per la pace e i diritti.

In una parola: il saggio di Anna Bravo mi e' parso essere - nella sua consapevole parzialita' e provvisorieta' - uno dei piu' rilevanti contributi teorici e storiografici a quell'impegno che su questo foglio, utilizzando una suggestione del mio indimenticabile maestro Franco Fortini, chiamiamo nonviolenza in cammino.

Beninteso: di un saggio trattandosi, e cosi' palesemente ed esplicitamente esplorativo, di apertura, e' ovvio che su alcune sue asserzioni, proposte, quesiti, ben a ragione si possa e si debba discutere, esprimere punti di vista diversi, esercitare l'arte della critica, dibattere anche aspramente, aggiungere diverse prospettive, ipotesi diverse formulando.

Ma anche questa e' stata una troppo estesa digressione. Torniamo alle bizzarrie del dibattito sul saggio di Anna Bravo.

Provo ad allineare quelle che a me sono parse le piu' flagranti.

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"Cio' che non siamo, cio' che non sappiamo"

La prima bizzarria: nella polemica condotta sui giornali contro Anna Bravo (si badi: non contro le tesi del saggio scritto da Anna Bravo - tesi ovviamente discutibili ed i saggi si scrivono apposta per proporre dei temi alla discussione - ma contro la persona di Anna Bravo) molti interventi prescindevano del tutto dalla lettura del saggio che in teoria era l'oggetto della discussione. Con il talora fin comico risultato di attribuire talvolta ad Anna Bravo qualifiche e posizioni che sono l'esatto opposto della realta'.

Io credo che cio' sia sintomatico di come il sistema dei mass-media sovente corrompa e travolga ogni possibilita' di riflessione seria, di come esso sia (e qui mi piace riprendere alcune idee e formulazioni che con grande potenza ermeneutica proponeva Danilo Dolci) agente preposto a trasmettere il virus del dominio anziche' creare spazi ove si possa comunicare umanita'.

La frettolosita', l'ipersemplificazione, il sensazionalismo a tutti i costi, il ridurre tutto al mondo della chiacchiera, la mezza verita' che diviene compiuta menzogna, l'arbitraria polarizzazione e fin estremizzazione, l'invito alla rissa, il disprezzo per l'ascolto, il cannibalismo, e insomma tutto cio' che Brecht chiamava "gastronomico" riferito all'industria culturale, ovvero alla macchina dell'ideologia, vengono magnificati dal sistema dei media, con gli esiti di scotomizzazione, corrompimento, menzognizzazione e disvalutazione di tutto che tutti vediamo: non mi dilungo in esempi, tutti sappiamo trovarne a iosa da soli, mi limito qui a rinviare all'articolo a firma di Severino Vardacampi apparso sul n. 869 di questo foglio.

Certo ci sarebbe da chiedersi perche' persone anche di grande valore (e che nei loro interventi hanno scritto anche cose vere, acute ed importanti) si siano prestate ad intervenire su uno scritto che non avevano letto. Cosi' insondabile e' il mistero dell'animo umano, che ogni volta torno a rileggere quell'incipit della tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann per lenire un poco lo sgomento.

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Il poker ebraico, o l'enciclopedia britannica

La seconda bizzarria: un noto stratagemma retorico consiste nel chiedere a chi ricorda un evento o fa una proposta, perche' non ne abbia ricordato anche un altro, un'altra non ne abbia formulata. C'e' un articolo di Pasolini ("Come sono le persone serie?", nelle Lettere luterane) al riguardo paradigmatico. Quante volte mi e' capitato che durante un'iniziativa di solidarieta' con il popolo nicaraguense mi venisse obiettato che era grave non mi occupassi di quello afghano, a una raccolta di firme per la democrazia in Sudafrica mi si opponesse che avrebbero volentieri firmato ma per la Polonia, e cosi' via.

Cosi' molti interventi hanno obiettato al saggio di Anna Bravo di non essere la summa della storia dei movimenti in Italia dal '68 a oggi. Stravagante obiezione, poiche' quel saggio enunciava con chiarezza il suo oggetto ed i suoi limiti, e va da se'  che ne' voleva ne' poteva essere l'Enciclopedia britannica. Eppure l'obiezione e' stata ripetuta ad libitum, come se non fosse evidente la sua irragionevolezza.

La cosa e' particolarmente, peculiarmente paradossale perche' il saggio di Anna Bravo proponeva proprio un ampliamento della riflessione, sollecitava altre ricerche, invitava ad altri contributi sia testimoniali che storiografici, esortava ad aggiungere altre voci, altre esperienze, altre percezioni, altre interpretazioni. Ed invece talora si e' arrivati al parossismo di far carico all'autrice del saggio di aver vissuto una sola vita, e di poter personalmente testimoniare solo di quella; si e' arrivati all'assurdo di fare il catalogo delle cose che nel saggio non c'erano (et pour cause), come se non fosse ovvio che tale catalogo e' di necessita' infinito, ben piu' di quello di Leporello. Si e' arrivati al tratto inconsapevolmente oulipien (o a' la Ionesco, infine, suvvia) di pretendere che un saggio che propone un campo di ricerche quel campo di ricerche esaurisse a priori.

Tutto cio' sarebbe solo buffo, e finanche soavemente candido, se non fosse anche offensivo: poiche' tale incredibile "imputazione" e' stata effettualmente reiteratamente rivolta alla storica in tutta serieta', anzi seriosita', e in toni e forme talora del tutto irricevibili, come se Anna Bravo avesse voluto occultare qualcosa proprio quando invece proponeva un'opera di verita', di disvelamento, di disoccultamento, di emersione del rimosso.

E per un altro verso mi ricorda sia quella strategia del "piu' uno", sia quei paradigmi relazionali (classicamente indagati dalla scuola di Palo Alto), in cui ad ogni passo si scaraventa l'interlocutore in una nuova aporia e nell'inferno del "doppio vincolo", strategia e paradigmi che sono l'oggetto profondo (la "lettera rubata" per cosi' dire) di quel racconto di Ephraim Kishon, "Il poker ebraico", che qui non racconto perche' e' troppo divertente e merita di essere letto per intero (e' nella raccolta dal titolo Si volti, signora Lot, edita da Mondadori).

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Un discorsetto tra vecchi bolscevichi

La terza bizzarria, e poi mi fermo.

Vi fu un tempo nella sinistra, anche italiana, in cui "revisionista" era l'insulto degli insulti che i marxisti piu' ortodossi (quindi meno marxiani) scagliavano come un giavellotto, anzi come una folgore, come un anatema, a trafiggere altri marxisti, non necessariamente piu' eretici, ma semplicemente meno solerti nel dogma (tra i quali a loro volta talora non mancavano quelli che passavano dalla critica del dogma alla critica della critica dei dogmi, ad altro dogma aderendo, con cio' altresi' passando infine armi e bagagli nel campo degli oppressori se vivevano nell'occidente; e fortunati loro, poiche' se invece vivevano nei paradisi del socialismo reale bastava la critica del dogma per passare nel gulag, senza ne' armi ne' bagagli. Il gorgo del gulag: dovremmo cercare di non dimenticarlo; poiche' la parola "comunista" - e la scelta ed il campo morale che essa designa - ha significato una cosa nei paesi capitalistici o feudali, ed il suo orribile contrario nella quasi totalita' dei paesi sedicenti socialisti ed effettualmente totalitari; cosicche' quando si dice "comunista" andrebbe chiarito se si parla della parte degli assassinati per aver voluto salvare delle vite, o della parte degli assassini che le vite estinguevano - senza dimenticare neppure che talora, ma solo talora, i primi erano, per impervie vie, altresi' complici dei secondi).

Ricordo quei tempi del secolo scorso, perche' c'ero, perche' di un piccolo e nobile partito marxista, il Pdup-Manifesto - schierato dalla parte delle vittime del gulag - sono stato segretario di federazione a Viterbo per un decennio; e anch'io lessi Bernstein e Kautsky e Lenin, e tutte le penose diatribe cominciate invero gia' fin dalla prima e proseguite nelle ulteriori internazionali. E quante volte quel "revisionista" l'ho sentito sibilare nelle fumose stanze in cui si celebravano le liturgie che attoscavano quanto di meglio era in noi (non nel Pdup e non a Viterbo, rivendico a merito la nostra diversita'). Ma questo e' un remoto passato (che tuttavia, anch'esso, non passa).

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Dove parlo col cuore

Poi venne un'altra accezione di quel termine "revisionista", con specifico eminente riferimento al campo non piu' politologico ma storiografico (o pseudostoriografico).

Perlomeno in Europa (altrove e' diverso, e ad esempio in Israele la nuova storiografia democratica ed antisciovinista si e' autodefinita revisionista senza che questo implicasse alcuna parentela con il "revisionismo" europeo, anzi: e qui penso ad esempio a quell'opera cospicua che e' Vittime, di Benny Morris - edita in italiano da Rizzoli -, che fu cosi' apprezzata anche, ad esempio, da uno studioso come l'indimenticabile Edward Said).

Ma in Europa "revisionista" e' il termine con cui ci si riferisce ormai da qualche decennio a quell'insieme di pubblicazioni e a quell'operazione ideologica che ha come esito la relativizzazione della Shoah e, in fome piu' o meno incerte, ambigue o decisamente esplicite, l'infame riabilitazione del fascismo e del nazismo.

Intendiamoci: anche qui occorre distinguere; io ho letto con profitto le opere maggiori di De Felice (ho letto anche la sua pubblicistica minore, e questa con profonda amarezza); di Nolte ho letto opere ammirevoli, e scritti che mi feriscono; e quindi non dico che tutte le opere di tutti gli autori che sotto la generica etichetta di "revisionismo" vengono rubricate siano la stessa cosa: ma certo tutte vengono utilizzate ai fini di un'operazione che e' insieme ideologica e politica e il cui scopo e' cancellare la distinzione tra il bene e il male, tra uccidere e salvare le vite, tra gli autori dei campi di sterminio e coloro che allo sterminio si opposero: e questo e' un orrore contro cui occorre lottare, per le ragioni che da Vladimir Jankelevitch ad Hannah Arendt, da Primo Levi a Vittorio Emanuele Giuntella, a Pierre Vidal-Naquet, i nostri maggiori maestri ci hanno chiarito una volta per sempre. E chi si arrendesse alla menzogna si farebbe complice dell'orrore.

So distinguere tra le persone e le opere, e so distinguere tra autori che valgono anche se non se ne condividono le tesi, e gli infami propagandisti dell'ordine ariano, i complici postumi della Shoah che nuove Shoah preparano: c'e' un bel libro di Valentina Pisanty che molto e' giovevole a tal fine. Poi, certo, preferirei che De Felice e Nolte ed altri storici di vaglia non si fossero trovati a poter essere strumentalizzati, e non avessero avuto ammiccamenti e cedimenti e talora fin connivenze indegni di loro; ma so anche che tra queste figure e i miseri figuri che incuranti di ogni dignita' si spingono talora fino all'obbrobrio del cosiddetto "negazionismo" una distinzione c'e', e non la dimentico.

Va dato merito a non molti storici (e qualche filosofo e saggista) di essersi battuti contro questo "revisionismo": e la loro lotta contro questo revisionismo dagli esiti e  dalla funzione filonazisti e' stata importante, e' importante: gli storici e le storiche che con coraggio e tenacia hanno tenuta viva la memoria, hanno cercato, studiato, tramandato la verita' della Shoah e della resistenza contro la Shoah, io li e le considero dei maestri e delle guide. Poiche' la lotta contro la menzogna sul passato (una menzogna che e' complice degli assassini, che reduplica l'oltraggio alle vittime, che nuovamente pretende annientare persone innocenti la cui vita fu spezzata dall'orco) e' elemento decisivo per difendere l'umanita' presente e futura.

Anna Bravo e' una delle figure piu' nitide di questa necessaria lotta. Sono parole impegnative, le uso con piena coscienza. Poiche' attribuisco alla lotta per la memoria della Shoah e della Resistenza, alla lotta contro il fascismo che risorge (poiche' "il ventre da cui nacque e' ancora fecondo" ricordava il buon Bertoldo che cambio' piu' paesi che scarpe), alla lotta per la verita' storica e per il rispetto delle vittime, una decisiva rilevanza; e perche' so, di quel sapere di cui sapeva il Pasolini del "romanzo delle stragi", quanto duro deve essere stato e deve essere tuttora e ogni giorno di piu', fare storiografia per la verita', per l'umanita', fare la storiografia che fa Anna Bravo.

Sono cose che so perche' sono una persona che cerca di ragionare, perche' sono un militante politico che giunto al paragone ha saputo testimoniare, perche' non ho dimenticato quel che mi scrisse una volta Tomaso Serra, quel che mi disse per telefono Primo Levi, quel bacio che ci scambiammo con Vittorio Emanuele Giuntella: e so che ora che loro sono morti da anni e' dovere anche mio tramandarne la memoria; perche' non dimentico quell'anno che passai a coordinare per l'Italia la campagna di solidarieta' con Nelson Mandela; o "la notte che passai con tanta pieta" a Mercogliano, in Irpinia, tra i bambini restati orfani a ridosso del terremoto dell'81 dopo la minaccia rivolta a me, e con me ai miei compagni e alle mie compagne - le compagne, voglio ricordarlo, dell'Udi -, di far intervenire "gli amici degli amici". Io non dimentico, io non sto nel partito degli assassini, io sto nel partito dei fucilati, dalla parte di Gandhi e di Chico Mendes, di Martin Luther King e di Marianella Garcia, di Pippo Fava e di Pino Puglisi, di Etty Hillesum e di Rachel Corrie, di Oscar Romero e di Milena Jesenska', di Ninni Cassara' e di Nicola Calipari. E so che Anna Bravo e' da questa parte della barricata.

Perche' Anna Bravo e' la storica che ha saputo raccogliere in libri indimenticabili la voce dei e delle superstiti della Shoah; che ha saputo restituire la voce e la grandezza della Resistenza civile fino alle sue ricerche pressoche' dimenticata se non soffocata; che ha saputo fare e promuovere la storia delle donne dentro e contro la guerra, in libri e saggi che davvero gia' col loro solo esistere aprono una nuova percezione storica e quindi anche contribuiscono a schiudere una nuova storia.

Ed ora che ho detto tutto questo, per dire il resto bastera' un sorriso.

*

E dunque

Il fatto che con una improntitudine persino grottesca in alcuni interventi si sia preteso di stigmatizzare Anna Bravo con l'epiteto sciagurato di "revisionista" lascia semplicemente sbigottiti. Poiche', come credo sia chiaro a chiunque, nel campo della ricerca storiografica attuale non vi e' dubbio che proprio Anna Bravo col suo lavoro, le sue ricerche, i suoi libri, il suo magistero, sia uno dei punti di riferimento fondamentali e per cosi' dire alto un bastione nell'impegno per contrastare quel "revisionismo" oggi in Italia al potere nelle istituzioni politiche, nei mass-media, nell'ideologia diffusa che incessantemente manipolazione e ignoranza alimentano.

Cosicche' rivolgere ad Anna Bravo quell'insulto e' semplicemente un assurdo. Se non fosse che chi legge i giornali potrebbe non saperlo, e quindi prenderlo per buono.

Non solo, ma quella scempiaggine reca con se' oltre alla nequizia sua propria anche un secondo motivo di offesa e di mistificazione, se possiamo aggiungere un dato ulteriore, di cui verosimilmente non erano al corrente le persone che con leggerezza estrema hanno proferito quella parola disonesta talora con riferimento neppure al saggio (non letto o letto assai frettolosamente) ma direttamente all'autrice; e l'implicazione e' questa. Coloro tra noi che per circostanze diverse non possono e non vogliono dimenticare la Shoah, e non vogliono e non possono dimenticare la Resistenza contro gli autori della Shoah, non molti anni fa accolsero come una liberazione morale e intellettuale l'avvio di ricerche storiche che diedero finalmente riconoscimento e rilevanza alla Resistenza condotta in forme non armate e nonviolente (su cui in questo foglio abbiamo piu' volte pubblicato l'eccellente ricerca bibliografica redatta da Enrico Peyretti, una delle piu' autorevoli figure della cultura della pace e della riflessione morale e civile). Di quelle ricerche Anna Bravo, come e' noto, e' stata una delle protagoniste e delle promotrici: ma quando pubblico' i primi suoi fondamentali lavori sulla Resistenza civile, fondamentali nel far emergere come la Resistenza non sia stata solo, ne' eminentemente, un fatto militare, ed anzi vi sia stata una Resistenza civile, e anche di massa, animata soprattutto da donne, in forme non solo non violente ma sovente consapevolmente nonviolente (nel senso preciso e forte del termine, che congiunge e traduce i due termini e concetti gandhiani di ahimsa e satyagraha), non mancarono i soliti pubblicisti poco acuti (ma forse dovrei meglio dire: di cultura totalitaria, militarista e patriarcale, e di atteggiamento ad un tempo inconsciamente pusillanime e protervo) che a proposito di questi lavori storiografici sulla Resistenza civile, particolarmente delle donne, si permisero di insultare l'autrice attribuendole una sprezzante qualifica, quell'aggettivo "revisionista" che tutti per l'appunto sappiamo bene essere in campo storiografico un'offesa che tiene finanche del criminale e del macabro e addirittura insinua una complicita' col neofascismo; e solo dopo che alcune delle piu' autorevoli e riconosciute personalita' della storiografia della Resistenza presero pubblicamente posizione a sostegno del valore dell'opera di Anna Bravo, quegli ignobili insulti cessarono, ed oggi l'intero arco della storiografia democratica, e della pubblicistica che in forme divulgative non inonestamente la riecheggia, e' grato all'autrice per quelle ricerche, quelle testimonianze, quei libri; e delle rozze insolenze di cui fu vittima allora nessuno si ricorda piu'. Ma certo quell'offesa non puo' non continuare a dolere, a dolere ad Anna Bravo che ne fu vittima, a dolere a quante e quanti se ne sentirono parimenti infangati, a dolere - voglio credere - anche a coloro che la pronunciarono.

Si poteva, si doveva risparmiare ad Anna Bravo questa reduplicazione della diffamazione, che per essere irriflessa, stolta e fin ridicola, non e' meno crudele, non fa meno male.

E detto questo vorrei sperare che su questo punto, almeno su questo foglio, non occorra tornarci piu' sopra; e se anche su questo foglio, quand'anche in forme che invero ritengo innocenti, e sicuramente con buone intenzioni, o a meri fini di citazione e di documentazione, di quell'offesa si e' data notizia o non meditata riproposizione, una volta per tutte io che questo foglio firmo come direttore responsabile ne chiedo scusa ad Anna Bravo, alla quale so di poter attestare la stima, l'affetto, l'amicizia non solo mia ma di tutta la redazione e di tutte le collaboratrici e tutti i collaboratori.

*

Questo foglio e tre tesi

Questo foglio, chi lo legge lo sa, propone della nonviolenza una nozione complessa e pluridimensionale, contestuale ed aperta, e di essa mette in rilievo anche l'essere un campo di ricerche in cui si confrontano approcci, posizioni e proposte diverse e fin divergenti, dialogiche, dialettiche e fin conflittuali, ed in questa conflittualita' reciprocamente fecondamente maieutiche.

E nel dibattito in corso dal saggio di Anna Bravo promosso questo foglio ha accolto e vorra' accogliere ancora una pluralita' di opinioni fin confliggenti; ma tre tesi, per parte sua, ha particolarmente sostenuto, che ancora una volta vogliamo enunciare:

1. I movimenti impegnati per la pace e per i diritti umani di tutti gli esseri umani non possono piu' restare nell'ambiguita' riguardo all'uso politico della violenza; occorre fare una scelta di verita' e di lotta per la verita'; occorre fare una scelta di lotta contro tutte le strutture e le epifanie della violenza che opprime, che devasta, che uccide. Occorre fare la scelta del satyagraha, dell'attaccamento alla verita', della verita' come forza che degnifica e libera. Occore fare la scelta della nonviolenza. Se non si fa la scelta della nonviolenza non si e' piu', ammesso che lo si sia potuto essere nel passato, movimenti per la pace e per i diritti, movimenti di solidarieta' e di liberazione.

2. Della nonviolenza, la nonviolenza concreta, la nonviolenza agita, la nonviolenza come relazione e come lotta, come ricerca e come comunicazione, come metodo e come sistema, nella pluralita' delle sue dimensioni epistemologiche, assiologiche, ermeneutiche, deliberative, operative, della nonviolenza in cammino insomma, il femminismo (i femminismi, le esperienze teoriche e pratiche delle donne e dei movimenti delle donne) e' la "corrente calda", l'esperienza storica e culturale di riferimento primario, la maggiore e migliore emersione fin qui nell'umana vicenda, il vettore del percorso da compiere, la voce e lo sguardo che piu' aggetta, apre, libera, connette, preserva e crea.

3. Lottare efficacemente contro il sistema di potere patriarcale, sfruttatore, oppressivo e guerriero, e' possibile solo se continuiamo a riflettere non solo sulle sue malefatte e sulle alternative possibili, ma anche sulle nostre complicita' e sulle nostre contraddizioni, sui limiti e le incertezze, senza eludere quei nodi e quei grovigli che ci implicano e fin impigliano, senza aver paura di porre a verifica la nostra storia e le nostre ragioni.

Ergo la proposta di riflessione avanzata dal saggio di Anna Bravo non solo non e' cosa da temere, ma e' anzi un aiuto reale e potente alla conferma in cio' che e' giusto, alla ricerca in cio' che e' incerto, alla presa di coscienza di cio' su cui non sufficiente chiarezza ancora vi e', all'impegno contro ogni concrezione di male e di morte, al prendere atto lucidamente e non rassegnatamente della realta', e all'aumento di coscienza e di impegno dinanzi ad essa, all'inevitabilmente parziale e dialettico intervenire per ridurre la sofferenza nel mondo e del mondo, per rendere piu' umana l'umanita': la nonviolenza non e' un astratto concionare, ma un agire nelle contraddizioni del reale.

Sapendo che solo ponendo le domande si possono cercare le risposte, e che - fortunatamente - non abbiamo una risposta per tutto.

Sapendo che affinche' si dia a tutte e tutti la possibilita' di parlare occorre in primo luogo tutte e tutti disporsi all'ascolto dell'altra e dell'altro, anche dell'assolutamente altro, dell'irriducibile alterita', ed ogni alterita' all'identita' e' irriducibile. Ma e' solo nel riconoscimento del volto altrui che si possono riconoscere le affinita', che si possono costruire le relazioni, che si invera la sostanziale e sempre precaria e parziale e cangiante eguaglianza tra le umane persone, che si da' umanita'.

*

Envoi

Dixi et salvavi animam meam? Non scherziamo. Detto tutto cio' la discussione e' appena aperta, e se posso permettermi vorrei a nome della redazione tutta ringraziare le tante persone che hanno gia' scritto interventi su questo argomento per il nostro foglio, o che ci hanno messo a disposizione loro testi gia' apparsi altrove, o i cui interventi abbiamo recuperato da siti e giornali diversi: tutte le ringraziamo ugualmente, tutte hanno dato un contributo prezioso, per tutte sentiamo amicizia ed ammirazione sincere.

La discussione e' appena aperta, e spero anch'io che essa si estenda, si approfondisca, fruttifichi vieppiu'. Altri interventi desidereremmo ricevere e pubblicare.

Naturalmente spero anche che per il futuro si prescinda dai fraintendimenti, e massime dagli insulti. Ed altrettanto naturalmente occorre che questa riflessione continui ad essere franca e leale, anche aspra nel merito, rigorosa e plurivoca.

Ma ancora una cosa mi resta da aggiungere, ed e' quella che mi sta piu' a cuore, il motore e il telos per cui a scrivere questa interminabile articolessa mi sono infine risoluto: ed e' il mio personale ringraziamento ad Anna Bravo, che e' anche il ringraziamento della redazione di questa intrapresa informativa che ogni giorno raggiunge ed ahime' talora intasa le caselle di posta elettronica di circa ventimila interlocutrici ed interlocutori sparsi per l'Italia e per il mondo, per proporre loro di approfondire le ragioni della nostra comune amicizia, il nostro comune - ed infinitamente variegato, originale per ogni persona - accostamento alla nonviolenza.

Il ringraziamento che rivolgo e rivolgiamo ad Anna non solo per aver scritto quel saggio, non solo per le altre opere sue (magnifico il testo sulla resistenza civile che ci ha donato e che abbiamo pubblicato nel numero di ieri di questo foglio), non solo per la sua attivita' di storica e di docente, di intellettuale femminista e di amica della nonviolenza. Non solo: anche per la pazienza infinita; anche per l'amicizia di cui ci ha onorato; anche per la fiducia di cui ci ha fatto dono. Dal profondo del cuore, grazie.

 

4. HERI DICEBAMUS. IL VAGONE LETTO

 

La marcia su Roma. Il re che nomina presidente del consiglio il capo delle squadracce assassine. Mussolini che arriva in vagone letto.

La Costituzione fatta a pezzi. Il parlamento ridotto a bivacco di manipoli. I larghi sorrisi in tivu'.

Ed il materassaio incappucciato assurto al rango di padre della patria. E il vento, la bufera.

E l'ora di difendere la Costituzione, e con essa la democrazia, la legalita' repubblicana, la dignita' nostra e di tutti, le antiche virtu' repubblicane di Dante e Leopardi e Mazzini e Gramsci, di Eleonora Fonseca Pimentel.

E tu che ascolti, tu che guardi, tu che sai, tu che devi. Tu che piangi, tu che asciughi le lacrime.

 

5. HERI DICEBAMUS. QUANDO IL CRITICONE CHIEDE SCUSA

 

Chiedo scusa, ma otto occidentali su dieci che partecipano ai vari raduni di Porto Alegre et similia sono borghesi e professionisti delle arti liberali, privilegiati per antonomasia e nei ranghi dei tecnici addetti all'oppressione, in vario modo e misura sovente munificamente stipendiati o finanziati da enti pubblici o privati decisamente non innocenti; e la circostanza che per aver fatto un po' di turismo, convegnistica, campeggio e voli transatlantici pretendano poi di impancarsi a portavoce e guida dei poveri, anche da loro rapinati, infine anche della parola, andiamo, non e' un bel vedere, caro affardellato signor Kipling.

*

Chiedo scusa, apprezzo molto molto di cio' che consapevolmente ha fatto Gorbaciov, e ne riconosco i meriti e i talenti, ma in quel paese i miei compagni di lotta stavano nelle galere e nei manicomi mentre il sunnominato era parte - e in brillante carriera - dell'apparato che in gabbia e all'elettroshock li mandava. Sono cose che non riesco a dimenticare, mi spiace.

*

Chiedo scusa, ringrazio anch'io lo stato italiano per aver salvato la vita di alcune persone italiane in Iraq; ma se si fosse opposto alla guerra invece di sostenerla avrebbe potuto salvare un'infinita' di altre persone, vittime della guerra e del terrorismo che ne e' estrinsecazione e frutto.

*

Chiedo scusa, con tutto il cuore apprezzo l'opposizione parlamentare che alla guerra dice di no, ma avrei desiderato tanto che alla guerra avessero detto di no anche quando erano al governo, in quel 1999 che e' ferita che non cicatrizza.

*

Chiedo scusa, e' un piacere sincero sentir segretari di partito (e son piu' d'uno, vivaddio) che si esprimono in pro della nonviolenza. Apprezzerei ancor piu' se costoro sapessero anche di cosa parlano quando quella parola usano palesemente svuotandola della sua storia piu' vera e del suo arduo e non banale contenuto.

*

Chiedo scusa, ma finche' nel movimento per la pace si dara' credito e spazio e autorita' a vecchi e giovani squadristi, autoritari, militaristi e totalitari, e infine anche - anzi, all'origine - machisti e patriarcali, dubito assai che saremo un movimento per la pace.

 

6. HERI DICEBAMUS. COSE CHE NON PENSAVI CHE AVREMMO VISTO ANCORA

 

I campi di concentramento riaperti in Italia (dalla legge Turco-Napolitano, poi Bossi-Fini).

La guerra per le colonie ("per aprire i mercati", e' detto meglio cosi'?).

La tortura come rito di passaggio.

Il carcere affidato ai privati. Il carcere. Ai privati. La pena - la pena - come business.

Il passo successivo: la reintroduzione della schiavitu' nell'ordinamento giuridico. Solo un attimo di pazienza, signori.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

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Numero 394 del 16 luglio 2011

 

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