Nonviolenza. Femminile plurale. 393



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 393 del 15 luglio 2011

 

In questo numero:

1. Linda Laura Sabbadini: La situazione delle donne nel nostro paese

2. Tiziana Bartolini: Il messaggio delle donne da Siena

3. Movimento Nonviolento: Mozione del popolo della pace: ripudiare la guerra, non la Costituzione

4. Alcuni testi del mese di marzo 2005 (parte seconda)

5. Una sentenza

6. Su di un tema del saggio di Anna Bravo

7. Questioni di metodo (ed un ringraziamento ad Anna Bravo)

8. In cammino

 

1. RIFLESSIONE. LINDA LAURA SABBADINI: LA SITUAZIONE DELLE DONNE NEL NOSTRO PAESE

[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo l'intervento tenuto a Siena il 9 luglio 2011 da Linda Laura Sabbadini all'incontro di "Se non ora quando".

Linda Laura Sabbadini e' direttrice centrale dell'Istat]

 

Lavoro all'Istat dal 1983, sono entrata con un concorso per licenza media, non ero ancora laureata. L'istituto era ancora in gran parte economicocentrico, non si poneva il problema di adottare un approccio di genere. Se centrali erano le politiche economiche, centrali diventavano le statistiche economiche e conseguentemente i cosiddetti soggetti produttivi, i maschi adulti; le donne erano invisibili, il lavoro non retribuito non veniva misurato. Ora siamo negli anni 2000 pero', e tutto e' cambiato. C'e' stata una vera e propria rivoluzione nelle statistiche ufficiali e non solo grazie a chi ha lavorato su questo all'Istat, ma a tutte le donne che ci hanno creduto, a quelle delle associazioni, dei partiti sia di centrosinistra che di centrodestra, alla Commissione Nazionale di Parita' e a tutti gli organismi di parita', alle Ministre delle Pari Opportunita' che si sono susseguite negli anni, appartenenti a tutti gli schieramenti, tutte fortemente motivate. Oggi sappiamo moltissimo sulla condizione delle donne: la misura del lavoro di cura o della violenza sulle donne e' statistica ufficiale, le dimissioni in bianco sono statistica ufficiale. Le statistiche di genere si sono notevolmente sviluppate, sono un patrimonio di tutto il Paese. Ora che le abbiamo, dobbiamo pero' anche utilizzarle e saperle utilizzare. Le statistiche di genere servono a capire la realta' e a trovare le strade per migliorarla, sono la base per esempio per i bilanci di genere, per valutare se le leggi agiscono in modo differente su uomini e donne e in che misura. Ma guai a usarle in modo parziale, distorto e a strumentalizzarle, perderebbero il loro valore. Bisogna utilizzarle per capire, non per ricercare supporto ad idee gia' fatte a priori. Dobbiamo essere pronte a riconoscere gli avanzamenti quando ci sono, cosi' come gli arretramenti, dobbiamo liberarci dalle visioni ideologiche quando le analizziamo.

Sono venuta qui come direttrice centrale dell'Istat per portare un contributo di conoscenza sulla vita delle donne, come faccio sempre in tutti i consessi delle donne e piu' in generale dei cittadini che lo richiedono. Ognuna di noi conosce un pezzo di realta' frutto della sua fondamentale esperienza diretta, io cerchero' di descrivere la realta' variegata e complessa della vita delle donne, cosi' come si desume dalle statistiche ufficiali. Ho poco tempo per farlo, mi scuso in anticipo se non riusciro' ad essere esaustiva.

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La situazione delle donne e' critica nel nostro paese.

Meno di meta' delle donne lavora, al Sud neanche un terzo. Siamo uno dei fanalini di coda dell'Europa per tasso di occupazione femminile. Lo sono le italiane e lo sono le immigrate che presentano un tasso piu' basso delle italiane quando hanno figli perche' non hanno una rete familiare che le supporta. La disoccupazione femminile e' piu' alta di quella maschile (9,7% contro 7,6%) e a questa si aggiunge lo scoraggiamento di chi non trova lavoro e smette di cercarlo, soprattutto al Sud. Le donne hanno piu' lavori a tempo determinato o collaborazioni e questa situazione si protrae nel loro caso per periodi piu' lunghi. A parita' di titolo di studio conseguito le donne guadagnano meno degli uomini. Tra le laureate che svolgono un lavoro alle dipendenze la differenza e' del 21% (1.532 vs 1.929 euro la retribuzione netta mensile). Il 40% delle laureate svolge un lavoro non adeguato al titolo di studio conseguito, contro il 31% dei laureati. Il part time e' cresciuto soprattutto tra le donne, ma non e' il part time liberamente scelto a crescere: in Italia abbiamo una presenza quasi doppia di part time involontario rispetto all'Europa (il 42,7% contro il 22,3%) il che fa ipotizzare che in Italia il part time sia meno utilizzato per la conciliazione dei tempi di vita e piu' dal lato delle imprese. La presenza delle donne nei luoghi decisionali e' bassa, soprattutto in quelli economici e politici e i mutamenti, quando ci sono, sono molto lenti e frutto di grandi fatiche delle donne. Con la crisi non solo e' diminuita l'occupazione femminile ma e' peggiorata la qualita' del lavoro. Nel 2010 a fronte della stabilita' dell'occupazione femminile e' scesa l'occupazione qualificata e tecnica (- 109.000), quella operaia (- 75.000), ed e' aumentata quella non qualificata (+ 108.000) soprattutto colf e assistenti a anziani. Con la crisi l'industria in senso stretto, il settore economico che e' piu' maschile dopo le costruzioni, ha visto una maggiore perdita di occupazione in proporzione tra le donne che tra agli uomini (- 12,7% contro - 6,3% nel biennio 2009-2010) e non solo nel tessile e nei settori con maggiore presenza femminile ma anche nel metallurgico.

Le giovani presentano percorsi di vita piu' variegati ma difficolta' crescenti ad uscire dalla famiglia di origine. Vivono di piu' da sole, sperimentano di piu' la convivenza, ma ritardano l'uscita dalla famiglia in gran parte per difficolta' economiche Basta pensare che le donne con contratti a tempo determinato o di collaborazione sono il 48,2% fino a 24 anni (contro il 41,4% dei coetanei) e il 22,2% tra 25 e 34 anni (13,5% i maschi). La presenza maggiore di lavori a tempo determinato e collaborazioni tra le donne giovani non crea un terreno favorevole alla decisione di avere un figlio che viene rinviata ad eta' piu' avanzate anche se lo si desidera e a volte al rinvio segue la rinuncia ai propri desideri.

E questo del rapporto tra maternita' e lavoro continua a configurarsi come uno dei problemi piu' critici. I tassi di occupazione continuano a risentire dei carichi familiari e si riducono all'aumentare del numero di figli: nel passaggio da 0 figli a un figlio il tasso di occupazione cala di 5 punti, da 0 a 2 figli di 10 punti, da 0 a 3 o piu' figli di 23 punti per le donne di 25-54 anni; negli altri paesi europei, la criticita' emerge di piu' al terzo figlio. La divisione dei ruoli e' ancora rigida all'interno della coppia, le donne assorbono il 72% delle ore di lavoro familiare della coppia e lavorano 9 ore in media al giorno, un'ora in piu' degli uomini. Il contributo degli uomini al lavoro familiare continua ad essere molto contenuto, cio' crea un notevole sovraccarico sulle donne lavoratrici; la rete dei servizi sociali, soprattutto quelli per la prima infanzia, e' carente, nonostante la crescita di questi anni, e al di sotto delle necessita' delle donne che lavorano, e costosa; la rete informale, specie quella familiare, continua ad essere fondamentale per le donne che lavorano, basti pensare alle nonne, e al contributo che danno, ma e' sempre piu' sovraccarica; le donne dedicano piu' di 2 miliardi di ore di lavoro di cura per altre famiglie in un anno, hanno sempre meno tempo da dedicarvi e raggiungono meno persone da aiutare; il che sta a significare che le donne sono un vero pilastro del sistema di welfare ma che non ce la fanno piu' a svolgere questo ruolo. Continuano a verificarsi casi di interruzioni del lavoro o di licenziamenti/dimissioni di donne in gravidanza. Sono 800.000 (pari all'8,7% delle donne che lavorano o hanno lavorato in passato) le madri che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere dal datore di lavoro, nel corso della loro vita lavorativa, a causa di una gravidanza. Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro hanno poi ripreso l'attivita'. il fenomeno e' in crescita.

Ma i dati non dicono solo questo. I dati ci dicono che le donne hanno una grande forza. Hanno rivoluzionato il mondo della scuola e dell'universita', dallo svantaggio in pochi decenni si e' passati al sorpasso. Cio' e' avvenuto negli anni Ottanta per le scuole superiori e negli anni Novanta per l'universita'. Le donne sono entrate nei corsi tradizionalmente piu' maschili, la segregazione di genere nelle facolta' e' diminuita anche se non si e' arrivati ancora ad un completo equilibrio. Hanno risultati migliori, ci mettono meno tempo a finire gli studi, sono piu' costanti e perseguono l'obiettivo con piu' determinazione. Investono di piu' in cultura, vanno di piu' a teatro, al cinema, specie se giovani o lavoratrici, a concerti, leggono piu' libri. Anche nel lavoro, nonostante tutti i problemi che abbiamo visto, soprattutto nel Centro-Nord e' cresciuta l'occupazione femminile a partire dal 1995 e si e' arrestata solo con la crisi. Le donne sono entrate in tutti i tipi di lavoro, anche nelle posizioni piu' alte. Sono cresciute le dirigenti, le libere professioniste e le imprenditrici, sono diminuite le coadiuvanti familiari. E' cambiato il modello di partecipazione femminile al lavoro. Oggi le giovani entrano nel mercato del lavoro piu' tardi proprio nel momento in cui le precedenti generazioni ne uscivano per matrimonio o per nascita dei figli, ma con un livello di competenze ed una determinazione a rimanervi per il futuro molto piu' alto del passato. Nel nostro Paese le donne sono andate avanti in questi anni per strategie individuali, investendo su se stesse, in formazione, in cultura, prendendo coscienza del proprio valore, nonostante tutte le difficolta'. Hanno cercato di far fronte al sovraccarico di lavoro di cura tagliando sul numero di ore di lavoro familiare che dedicavano agli altri. Il contributo che hanno dato e danno al Paese e' enorme e molto visibile dai dati ufficiali. Sono andate avanti, nonostante tutto, ma con grande fatica. I risultati li hanno raggiunti, ma piu' lentamente e meno di quanto avrebbero dovuto.

Alla fine di questo mio intervento sento di dover dire che le donne devono essere coscienti che hanno una grande forza da non disperdere, devono saperla spendere, indirizzare. Ai governi e al Parlamento spetta un importante compito: operare con urgenza per uscire da questa situazione e rimuovere tutte le barriere che impediscono la valorizzazione delle risorse femminili. Questa deve diventare una priorita'. In tutti questi anni e' stato fatto troppo poco. E' un obiettivo questo, ormai non piu' rimandabile, che deve unire tutto il Paese perche' la rimozione degli ostacoli allo sviluppo delle potenzialita' femminili, la crescita dell'occupazione femminile, una uguale presenza di donne e di uomini nei luoghi decisionali, rappresentera' realmente un fattore di sviluppo del nostro Paese e dara' a questo una spinta senza precedenti.

 

2. RIFLESSIONE. TIZIANA BARTOLINI: IL MESSAGGIO DELLE DONNE DA SIENA

[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Da Siena un patto tra donne. Il messaggio delle donne da Siena"

Tiziana Bartolini, giornalista e saggista, e' direttrice di "Noi donne" ed animatrice e partecipe di molte iniziative di pace, solidarieta', giustizia, liberazione, per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Dal sito di "Noi donne" riprendiamo la seguente scheda: "Direttora di 'noidonne' dal 2000. Nata a Roma ha due figli. Laureata in storia e filosofia, giornalista, esperta di comunicazione sociale, ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali e con la Rai per il terzo settore. E' stata coordinatrice editoriale di 'Mondo Sociale', ha maturato competenze nel campo della pubblica amministrazione"]

 

"Non vogliamo fare un partito, ma lanciare un patto tra donne diverse che si realizzi attraverso una rete permanente e aperta su obiettivi condivisi". Ecco, con l'obbligo della sintesi, il messaggio che da Siena le donne chiamate ad un confronto dopo il 13 febbraio scorso all'insegna dello slogan "Se non ora quando" hanno lanciato all'Italia con il grande incontro di Siena il 9 e 10 luglio 2011. E' un progetto orgogliosamente definito politico da Titti di Salvo e che intende relazionarsi con i partiti e con le istituzioni, non percepiti come nemici bensi' ritenuti interlocutori dai quale pretendere ascolto e accoglimento delle istanze.

La precarieta' delle condizioni di vita e di lavoro, la maternita' e la dignita' delle donne sono gli assi portanti intorno ai quali questo movimento ha messo radici un po' in tutta Italia con i 120 comitati locali che si sono spontaneamente costituiti dopo il 13 febbraio. Ma a Prato Sant'Agostino tanti interventi hanno puntato alla stringente attualita' definendo misogina la finanziaria che taglia risorse ai servizi sociali e agli enti locali e scarica i costi della crisi e tutto il peso del lavoro di cura sulle donne. Le circa 2.000 donne, con alcune presenze maschili, erano una rappresentazione (quasi) fedele per eta' e provenienza geografica e sociale dell'Italia di oggi e dei problemi economici e strutturali che la attraversano.

La relazione della direttrice dell'Istat Linda Laura Sabbadini ha efficacemente illustrato lo specifico femminile del nostro Paese se analizzato con una lettura di genere delle rilevazioni ufficiali: le discriminazioni permangono e i talenti delle donne non sono utilizzati. Se l'eta' media della piazza era piuttosto alta a causa di una predominante presenza di donne "grandi", si puo' dire che il gap generazionale non e' questione all'ordine del giorno, grazie all'attenzione nella miscela di presenze e interventi ma anche in ragione di una trasversalita' di interessi che le questioni sul tappeto investono: i tagli alla spesa pubblica tolgono alle giovani precarie la speranza di un lavoro ma gravano anche sulle donne mature che devono accudire genitori anziani e nipotini, la rappresentazione offensiva della donna offende giovani e anziane cosi' come la svalorizzazione dei talenti delle donne. Le varie generazioni concordano anche nel richiamo alla politica, affinché accolga la "domanda di cambiamento dell'etica pubblica".

Gli interventi conclusivi valorizzano i percorsi delle donne che "vengono da lontano" e che hanno permesso di arrivare a Siena passando per le piazze del 13 febbraio. E rilanciano. "Oggi ci sono domande nuove con cui fare i conti - ho sottolineato Serena Sapegno - e l'aspettativa messa in moto non puo' essere delusa. Occorre far pesare nella scena pubblica la forza delle donne e occorre fare dell'Italia un paese per donne". Per anni le donne si sono dette che dovevano fare "massa critica", ed ecco che oggi questa prospettiva appare a portata di mano. "E' una sfida che raccogliamo e che cerchiamo di rendere concreta superando le differenze e con la gioia di stare insieme".

La rete che a Siena ha avuto il battesimo ufficiale in realta' da mesi ha testato la sua efficacia e con gli oltre 45.000 fan su Facebook. "E' saltato il metodo classico di contatto e di comunicare e per noi e' un'esperienza incredibile, che si rinnova continuamente con migliaia di contatti - hanno sottolineato Giorgia Serughetti e Elisa Davoglio a nome del gruppo di giovani che hanno animato la rete e i social network - e che anche per Siena ha dimostrato tutta la sua efficacia persino facilitando il reperimento di alloggi e ospitalita'". "Puntavamo alle giovani in rete abbiamo trovato donne di tutte le eta' e lo spazio di Facebook e' diventato spazio politico, fondamentale per conoscerci e per cambiare questo Paese". E' dalle modalita' tipiche della rete che il movimento "Se non ora quando" prende esempio nel darsi un'organizzazione, volendo diventare paritario senza prevaricare.

Le modalita' con cui si sono svolte le due giornate ne sono state esempio: interventi tassativamente di tre minuti per tutte. Da Susanna Camusso che ha criticato la finanziaria a Rita Visani che ha portato la testimonianza delle donne dell'Omsa, da Giulia Rodano che ha sottolineato l'importanza di fare battaglie trasversali anche nelle assemblee elettive a Rosanna Scaricabarozzi che ha ricordato l'appuntamento a New York del Rapporto Ombra Cedaw, da Rosi Bindi che chiede alle donne di imparare a relazionarsi col potere a Giulia Bongiorno che propone una Class Action delle donne a tutela della maternita'. Circa 60 interventi tra associazioni e donne che hanno parlato a titolo personale e poi i messaggi affidati ad una videocamera in un angolo della piazza hanno dato possibilita' di lasciare testimonianze e riflessioni dando spazio alle diversita', alla ricchezza e anche alla trasversalita' che "Snoq" indica tra le caratteristiche vincenti di questa realta'. Le standing ovation con cui la piazza ha spontaneamente accolto e salutato Lidia Menapace, intervenuta in rappresentanza del coordinamento Donne dell'Anpi, hanno sottolineato che in questo, forse, non tutte le donne di "Snoq" concordano.

 

3. DOCUMENTI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: MOZIONE DEL POPOLO DELLA PACE: RIPUDIARE LA GUERRA, NON LA COSTITUZIONE

[Riproponiamo il seguente appello del Movimento Nonviolento (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org)]

 

Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli Perugia - Assisi, 25 settembre 2011

Mozione del popolo della pace: ripudiare la guerra, non la Costituzione

"Una marcia non e' fine a se stessa; continua negli animi, produce onde che vanno lontano, fa sorgere problemi, orientamenti, attivita'" Aldo Capitini (1962)

Quando Aldo Capitini scriveva queste parole a commento della "Marcia per la  pace e la fratellanza tra i popoli" del 1961 era consapevole di aver aperto un  varco nella storia del '900 attraverso il quale per la prima volta era entrato in scena ed aveva preso la parola, in prima persona, il "popolo della pace" che, convocato in una "Assemblea itinerante" partita da Perugia e giunta alla Rocca  di Assisi, approvava la Mozione del popolo della pace.

Da quel settembre di 50 anni fa il popolo della pace non e' piu' uscito di scena e non ha piu' rinunciato al diritto alla parola. Molte altre volte si e' riconvocato in assemblea ed ha marciato da Perugia ad Assisi, ponendo problemi, indicando orientamenti, promuovendo attivita'.

L'onda prodotta dalla prima Marcia e' ora giunta fino a noi. Noi ci assumiamo la responsabilita' di convocare ancora il popolo della pace, non solo perche' c'e' da celebrare il suo cinquantesimo anniversario, ma soprattutto perche' e' necessario che esso faccia sentire ancora la sua voce, approvi oggi una  nuova Mozione del popolo della pace. Faccia ancora sorgere problemi, orientamenti, attivita'.

Il problema fondamentale che vuole far sorgere il popolo della pace, nel 50mo anniversario della prima Marcia per la pace e nel 150mo anniversario dell'Unita' d'Italia, e' il rispetto integrale della Costituzione della Repubblica italiana.

La Costituzione e' da tempo sotto attacco sotto molteplici aspetti, ma sotto uno in particolare e' gia' profondamente e dolorosamente lacerata, anzi ripudiata. I padri costituenti hanno accuratamente selezionato le parole con le quali scrivere il Patto fondativo della nazione e solo nei confronti della guerra  hanno usato, all'articolo 11, il verbo "ripudiare" - che vuol dire rinnegare,  sconfessare, respingere - non solo "come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli", ma anche "come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Da tempo ormai, attraverso l'artificio retorico dell'"intervento umanitario", e' invece questo articolo della Costituzione ad essere stato ripudiato (rinnegato, sconfessato, respinto) e la guerra e' tornata ad essere strumento e mezzo accettato, preparato e utilizzato. Inoltre la preparazione di questo mezzo risucchia la parte piu' consistente della spesa pubblica che non puo' essere utilizzata ne' per garantire i diritti sociali affermati dalla stessa Costituzione, ne' per costruire e sperimentare altri mezzi di risoluzione delle controversie internazionali coerenti con la lettera e lo spirito della Costituzione.

Questo e' il problema fondamentale che pone il popolo della pace e riguarda le basi stesse del nostro ordinamento democratico, del nostro patto civile nazionale: occorre ripudiare la guerra, non la Costituzione.

Il popolo della pace non si limita a denunciare il problema, ma indica un orientamento per la sua soluzione: la nonviolenza. Che non e' principio astratto ma concreta ricerca di mezzi alternativi alla violenza e alla guerra.

Mentre i padri costituenti sanciscono il ripudio della guerra come "mezzo" di  risoluzione delle controversie, i padri e le madri della nonviolenza si concentrano proprio sulla ricerca dei "mezzi" per affrontare e trasformare positivamente i conflitti. "Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine della pace non puo' realizzarsi attraverso la vecchia legge 'Se vuoi la pace,  prepara la guerra', ma attraverso un'altra legge: 'Durante la pace prepara la  pace'", scrive Aldo Capitini. Perche', come spiega Gandhi, "tra mezzo e fine vi e' lo stesso inviolabile nesso che c'e' tra seme e albero".

L'orientamento che indica il popolo della pace e' di investire le risorse pubbliche non piu' per le ingenti, e sempre crescenti, spese militari e per armamenti, ma per ricercare, promuovere e sperimentare efficaci strumenti e mezzi di pace. Sia sul piano culturale di una diffusa educazione alla pace e alla nonviolenza, volta a rivitalizzare sentimenti di responsabilita' individuale, di partecipazione democratica, di apertura alla convivenza. Sia sul piano dell'organizzazione sociale, economica ed energetica fondata sulla  sostenibilita', la semplicita', i beni comuni. Sia sul piano dell'approntamento degli strumenti non armati per gli interventi veri e propri nelle situazioni di  oppressione e di conflitto, interni e internazionali.

Nel porre il problema del ripudio della guerra, e non della Costituzione, nell'indicare l'orientamento alla nonviolenza e ai mezzi non armati per la risoluzione dei conflitti, il popolo della pace promuove le attivita' e le campagne necessarie: il disarmo e la costituzione dei corpi civili di pace.

La guerra, comunque aggettivata - umanitaria, preventiva, giusta, chirurgica  ecc. - e' un costo insostenibile sia in termini di vite umane e sofferenze per le popolazioni, sia in termini di tenuta del patto democratico, sia in termini di  bilanci economici. Mentre tutti i settori della spesa pubblica subiscono pesanti e continue contrazioni, mentre i settori produttivi risentono delle crisi finanziarie internazionali, solo il settore delle spesa pubblica militare lievita incessantemente e solo il settore dell'industria degli armamenti diventa piu' florido. In questo preparare quotidianamente, ed economicamente, il mezzo della guerra, la Costituzione e' gia' ripudiata. L'invio dei bombardieri ne e' solo la tragica ma inevitabile conseguenza. Percio' la condizione preliminare e necessaria per il ripudio della guerra e' il disarmo. In tempo di crisi, l'invito del presidente Pertini e' sempre piu' attuale: "Svuotare gli arsenali e riempire i granai": questa e' la prima attivita'.

La seconda attivita' e' darsi i mezzi e gli strumenti necessari per intervenire all'interno dei conflitti, come prevedono sia la Costituzione italiana che la Carta delle Nazioni Unite, ossia costituire i Corpi Civili di Pace nazionali e internazionali. Dotare il nostro Paese, e orientare in questo senso le Organizzazioni internazionali, di Forze disarmate costituite da personale formato ed equipaggiato, presente nei luoghi dei conflitti prima che questi degenerino in guerra. Corpi civili esperti nella complessa ma indispensabile arte della prevenzione, mediazione, interposizione e riconcliazione tra le parti.

Significa costruire un nuovo ordine internazionale fondato sulla nonviolenza. Se poi tutti gli interventi civili messi in campo, fino in fondo, all'interno di un conflitto non saranno stati efficaci e sara' necessario un intervento, limitato e circoscritto, di una forza armata, sara' compito della Polizia internazionale al servizio delle Nazioni Unite. La quale, come tutte le polizie, non fara' guerre e bombardamenti ma separera' i contendenti, neutralizzando i soggetti piu' violenti e arrestando chi si rende responsabile di crimini.

Per il popolo della pace questo e' il nuovo varco da aprire oggi nella storia.

Questa la sua mozione: ripudiare la guerra, non la Costituzione.

Per questo marcera' ancora una volta da Perugia ad Assisi

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Il Movimento Nonviolento

Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, sito: www.nonviolenti.org, e-mail: azionenonviolenta at sis.it

 

4. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MARZO 2005 (PARTE SECONDA)

 

Riproponiamo alcuni altri testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di marzo 2005.

 

5. HERI DICEBAMUS. UNA SENTENZA

 

L'eccellente rivista palermitana "Segno", diretta da padre Nino Fasullo e da trentun anni una delle voci piu' autorevoli della riflessione morale contemporanea, nel volume n. 262 del febbraio 2005 pubblica integralmente (alle pagine da 9 a 118) le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione relativa al processo sui rapporti tra il senatore Andreotti e la mafia.

E fa precedere il testo da un editoriale dal titolo Come ai tempi di Cesare Borgia, editoriale la cui lettura vivamente raccomandiamo, cosi' come - va da se' - la lettura integrale della sentenza della Suprema Corte.

La sentenza, che conclusivamente "PQM rigetta il ricorso del Procuratore Generale e dell'imputato e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese processuali", conferma quello che gia' tutti sapevamo: tutti quelli che abbiamo pianto le nostre sorelle ed i nostri fratelli assassinati dalla mafia, tutti quelli che non abbiamo volto lo sguardo da un'altra parte. Quei rapporti ci furono. Quei rapporti tra la personalita' politica piu' rappresentativa del potere governativo lungo l'arco dell'intera storia dell'Italia repubblicana, e il potere criminale piu' feroce della nostra storia, quei rapporti ci furono.

Mentre donne e uomini di incomparabile generosita' venivano assassinati e dei loro corpi si faceva scempio; mentre le persone migliori che al servizio dello stato come garante del civile convivere avevano messo a disposizione l'intera loro esistenza venivano massacrate in una mattanza tale che a ricordare nomi e date non basterebbe ne' questo articolo ne' questo foglio; mentre la mafia uccideva per arricchirsi e si arricchiva uccidendo, ed i nostri piu' grandi e piu' cari maestri e compagni di lotta e di vita venivano falcidiati l'uno dopo l'altro; ebbene, mentre tutto cio' accadeva, e tuttora continua, quei rapporti c'erano stati, il piu' importante uomo di governo di mezzo secolo di storia italiana aveva intrattenuto rapporti con la mafia, si era incontrato con la mafia, si era accordato con la mafia: in segreto, da complice, da complice degli assassini, da complice degli stragisti.

Quel signore siede ancora in Parlamento, quel signore e' tuttora senatore, addirittura senatore a vita: quel signore, quindi, ancora concorre a fare le leggi, ed ancora riceve il ripugnante omaggio di quanti nel consesso che detiene il potere legislativo si contendono la sua amicizia e i suoi favori vilmente adulandolo.

Noi non chiediamo che a un uomo ormai anziano sia inflitta dura una pena, cio' non riportera' in vita gli assassinati.

Noi riconosciamo la piena legittimita' della sentenza della Suprema Corte di Cassazione che conferma il pronunciamento della Corte d'Appello di Palermo la quale, ritenendo che "la cessazione della consumazione del reato nel 1980 ne ha determinato la prescrizione" (ed il reato di cui si parla e' la "partecipazione nel sodalizio criminoso"), ha lasciato libero il senatore Andreotti: poiche' questa puo' legittimamente esser ritenuta corretta valutazione e decisione, alla luce delle norme vigenti, nell'ambito giuridico e specificamente giudiziario in riferimento agli specifici capi d'imputazione ed agli specifici fatti oggetto di indagine e giudizio; ma altra valutazione ed altro giudizio vigono nell'ambito morale, ed in quello politico, ed in quello storiografico. Ed altri fatti ed elementi ancora, a nostro avviso, erano e restano degni di costituire oggetto di indagine e di disamina in sede processuale (fatti ed elementi che anche chi scrive queste righe ha piu' volte portato all'attenzione delle competenti magistrature).

Noi non chiediamo nulla, se non che una persona che ragionevolmente deve ritenersi essere stata - per una fase almeno della sua vita pubblica e ricoprendo primari incarichi istituzionali - in rapporti, in buoni rapporti, col potere mafioso, sia allontanata dal luogo in cui si fanno le leggi, le leggi che questa persona evidentemente non rispettava quando teneva quei rapporti, ed anche in seguito quando su essi taceva mentre aveva il dovere giuridico e morale di denunciarli, di farne ammenda, e di dimettersi da ogni pubblico ufficio...

 

6. HERI DICEBAMUS. SU DI UN TEMA DEL SAGGIO DI ANNA BRAVO

 

Su uno dei molti temi che il saggio di Anna Bravo "Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci" (pubblicato nella bella rivista della Societa' delle storiche "Genesis", nel fascicolo attualmente in libreria; e riprodotto anche su questo foglio nei numeri 862-864) offre alla comune riflessione vorrei qui proporre alcune brevi, limitate considerazioni, di carattere per cosi' dire meramente testimoniale e non piu' che esplorativo, e vorrei farlo mettendo in gioco la mia personale vicenda e memoria, le mie esperienze e riflessioni che credo non siano granche' diverse da quelle di non poche altre persone.

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Gli anni settanta e i movimenti tra violenza e nonviolenza

Il movimento di contestazione degli anni '70 (dal "sessantotto" fino al suo spegnimento come fenomeno di massa; ma chi veniva da quelle esperienze animo' poi il movimento antinucleare e il nuovo ambientalismo, il movimento per la pace che nacque contro il dispiegamento dei nuovi missili russi e americani, il movimento antimafia che fu la cosa migliore degli anni ottanta e novanta e fu anche il nocciolo duro - consapevole, colto, limpido, intransigente - del sostegno da parte della societa' civile alle inchieste giudiziarie contro il regime della corruzione) fu in larghissima parte nemico della violenza e vittima della violenza.

Ma la violenza vi fu anche nelle elaborazioni e nelle esperienze militanti di parte non piccola della nuova sinistra degli anni settanta, e non solo in alcuni ristretti gruppi che dagli slogan truculenti passarono alla scellerata messa in atto dei deliri piu' immondi e dei crimini piu' efferati, i gruppi che passarono all'orrore della commissione degli omicidi, delle stragi, i gruppi cioe' esplicitamente e consapevolmente terroristici. Vi fu un'area di consenso all'accettazione e all'uso della violenza come strumento di lotta politica che coinvolse molte, moltissime persone che certo dovettero fare una tremenda violenza alla propria stessa psiche per arrivare - loro che avevano cominciato a impegnarsi nello spazio pubblico per affermare la dignita' di tutti gli esseri umani e perseguiire la liberazione dell'umanita' - a divenire insensibili persino alla morte degli esseri umani.

Il fatto che ancor oggi si fatichi a parlarne e' assai significativo, e riguarda il nostro presente: fare i conti onestamente con quel che accadde allora, negli anni insieme dei movimenti e "di piombo", e' necessario anche e soprattutto per l'oggi.

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Tre atteggiamenti inammissibili

E fare i conti onestamente con quegli anni significa evitare tre atteggiamenti che cooperano sia alla rimozione della verita' sulla violenza di allora, sia alla riproduzione oggi (in varie forme, a vari livelli) della cultura e delle pratiche della violenza, della violenza che infine uccide.

Il primo atteggiamento e' l'omerta' che tuttora perdura: e credo che il mero enunciato sia sufficiente.

Il secondo atteggiamento e' il generico e infame "eravamo tutti colpevoli" con cui coloro che allora si macchiarono le mani di sangue o istigarono altri a divenire assassini (e, talora, assassinati) pretendono di coprire le loro personali responsabilita' e fare una chiamata di correo del tutto irricevibile: io che scrivo queste righe allora c'ero, e con tante e tanti altri - la grandissima parte del movimento di contestazione - mi sono battuto contro tutti coloro che picchiavano, sprangavano, sparavano, mettevano bombe: tutti, indipendentemente dal colore della camicia che indossavano, poiche' un pestaggio e' sempre un pestaggio, un omicidio e' sempre un omicidio, una strage e' sempre una strage, e nessun arabesco di parole, nessuna ideologica fantasmagoria, puo' mutare questa realta'; e chi vuole affermare un valore umano deve in primo luogo sapere che occorre difendere sempre le vite umane. Sempre.

Il terzo atteggiamento e' quello pretesamente apotropaico, bassamente escapista, di chi vuol ridurre l'accettazione e l'uso della violenza nella cultura e nelle prassi dei movimenti degli anni settanta a cosa che riguarda solo i gruppi terroristici. Non era affatto cosi'.

Giornali, riviste, libri di quel torno di anni restano a documentare che in tanti furono corrivi, e che ancora anni e anni dopo vi fu chi non ebbe vergogna a scrivere cose che a chiunque ripugnerebbe anche solo leggere. E non parlo dei giornali, delle riviste e dei libri scritti dai "tecnici addetti all'oppressione" (gli intellettuali del potere, secondo la formulazione che sottende la ricerca condotta in quel grande libro che e' Crimini di pace, Einaudi, Torino 1975) del sistema di potere, dei golpisti e dei neofascisti; parlo della pubblicistica prodotta dai movimenti, da alcuni dei quotidiani della nuova sinistra ai libri editi allora da Savelli e molti altri editori.

La mole di documentazione e' immensa. Basterebbe volerla leggere. Che tanti di quelli che allora furono variamente corresponsabili o di sanguinari crimini o di istigazione a quei crimini o di favoreggiamento di quei crimini o di apologia di quei crimini oggi siedano, oltre che sulle cattedre e nelle redazioni, finanche nelle pubbliche istituzioni, aderendo ora agli schieramenti politici e culturali piu' diversi, e' un dato di fatto. Che forse rivela qualcosa: forse spiega perche' questi tre atteggiamenti che cooperano alla rimozione della verita' e all'occultamento delle responsabilita' abbiano tuttora corso; e vi siano dei giovani che nulla sapendo di cio' che accadde allora ancora oggi ripetono slogan e condotte al cui termine c'e' l'orrore, ed ascoltano oggi come maestri di vita e carismatici leader persone che hanno contribuito a seminare dolore e morte e che mai hanno dismesso la medesima tracotanza e sicumera.

Dobbiamo parlare, tutti, dobbiamo dire ai giovani cio' che ignorano perche' nascosto sia dalla propaganda dei criminali al potere, sia dalla propaganda dei facitori di violenza infiltrati fin dentro i movimenti per la pace.

Non si sta qui sostenendo che quelle persone non possano cambiare, ed essere cambiate; che debbano essere pietrificate in cio' che erano trent'anni fa. Al contrario: si sta chiedendo che si compia pienamente il travaglio dell'elaborazione del lutto, che si collochino anch'esse all'ascolto di luminose esperienze come quelle del movimento delle donne, come quelle emerse da situazioni assai piu' terribili di quella dell'Italia degli anni settanta, come la Commissione per la verita' e la riconciliazione sudafricana. Che si mettano alla scuola della nonviolenza, del principio responsabilita', di cio' che Mohandas Gandhi chiamava satyagraha, la forza della verita', l'attaccamento alla verita', la verita' che libera.

*

Fare i conti con la violenza, fare la scelta della nonviolenza

Le persone amiche della nonviolenza sanno bene due, anzi tre cose: che la violenza e' in noi, che essa va distinta dall'aggressivita', che il campo di lotta tra violenza e nonviolenza e' nella gestione dei conflitti e finanche nel suscitamento e nel disvelamento dei conflitti.

Poiche' la nonviolenza e' lotta, e' conflitto, e' coscienza e pratica di autocoscienza dialogica e maieutica.

Agli studenti con cui lavoro e che hanno la bonta' di voler ragionare con me di cosa sia educarsi alla pace e accostarsi alla nonviolenza propongo sempre in primo luogo di prendere sul serio la violenza e le teorizzazioni della sua liceita' datesi nel corso della storia del pensiero umano, e ragiono con loro su questo specifico argomento non a partire dagli orrori su cui tutti siamo d'accordo ad emettere la piu' sollecita, facile ed ovvia condanna, ma a partire da tradizioni e persone autorevoli che hanno teorizzato la liceita' della violenza, dell'uccidere, della guerra: ragiono con loro sulle maggiori tradizioni giuridiche in campo penale, ragiono con loro sulla teoria della "guerra giusta" nella teologia cristiana, ragiono con loro sulle teorie di Fanon e di Guevara. Prendere sul serio la violenza e' il primo passo per poterla contrastare con il rigore intellettuale e morale che occorre, per poterla contrastare nell'unico modo praticamente efficace e teoreticamente ed assiologicamente fondato: facendo la scelta della nonviolenza.

*

Alla scuola del femminismo

Una parola ancora prima di concludere: la cosa migliore dei movimenti di contestazione e di rinnovamento degli anni settanta fu il femminismo, che delle esperienze storiche dei movimenti di liberazione e' stata ed e' l'unica che sempre ha avuto chiaro un fatto decisivo: la necessita' dell'opposizione alla violenza, la lotta incessante contro la violenza, la scelta della nonviolenza - anche quando non usava questo termine, anche quando mescidava il suo sentire e pensare e dire ed agire con altri linguaggi e tradizioni non altrettanto nitidi, non altrettanto autocoscienti, non altrettanto coerenti nel nesso tra fini e mezzi, tra teoria e pratica.

E' difficile oggi spiegare quale autentica liberazione fu non solo per tutte, ma per tutti, l'emersione delle riflessioni e delle pratiche del femminismo nelle culture e nelle esperienze dei movimenti degli anni settanta.

Per i militanti maschi che seppero cominciare a mettersi all'ascolto non fu una lezione facile, ed anzi  e' insieme una ferita e un acquisto con cui ancora oggi giorno dopo giorno dobbiamo fare i conti, ci dobbiamo confrontare; poiche' il pensiero e la prassi delle donne, quel che sintetizzando in una formula molte e diverse vicende e proposte qui chiamiamo ancora in una parola femminismo, irrompendo nello spazio pubblico con la sua differenza, la sua autonomia, la sua alterita', ed insieme la sua ricchezza, la sua inclusivita', la sua peculiare capacita' di "mettere al mondo il mondo", smascherava, denunciava, criticava, combatteva e rendeva evidente a noi stessi la parte di noi che era restata segnata e impregnata e tuttora veicolava e riproduceva il ruolo dell'oppressore, il ruolo del portatore della cultura e della pratica autoritaria, gerarchica, belluina, il ruolo del maschio cosi' come costituitosi e riprodottosi per generazioni e generazioni in un immenso lasso di tempo in cui meta' del genere umano aveva pensato di negare la piena umanita' dell'altra meta' ed aveva praticato questa mutilazione dell'umanita' di tutte e quindi di tutti con una ferocia cosi' immane da essere divenuta invisibile allo sguardo del carnefice, ed occulta alla sua psiche, cosi' come accade a tutti i torturatori, che non riescono a vedere piu' l'umanita' dell'altra persona e solo a questa condizione riescono a sopravvivere all'orrore di cui sono ad un tempo facitori e schiavi e vittime infine anch'essi.

Fu il femminismo, io credo, che mi libero' dalla corazza che senza che io me ne rendessi conto mi imprigionava, mi piagava e mi soffocava: e' stato un dolore, una fatica, un travaglio non lieve, che tuttora perdura, ma questa coscienza di me e della parte oscura di me, coscienza che il femminismo mi schiuse e quindi mi restitui' imponendomi di guardare cio' che di me non volevo vedere, ebbene, e' stato il dono grande e decisivo che ha fatto si' che in quegli anni io non sia stato corrivo col male, non abbia permesso che i sofismi mi ingannassero e mi rendessero complice della violenza. Fu il femminismo che mi accosto' alla nonviolenza, un cammino che ancora continuo; che mi rivelo' la forza della nonviolenza, che ogni giorno scopro di nuovo, perche' la nonviolenza e' forte, come e' forte la donna che genera, e' piu' forte, infinitamente piu' forte dell'uomo che uccide, infinitamente piu' forte di tutti gli eserciti e tutte le guerre.

Dal femminismo so di avere appreso non solo un modo diverso di guardare e sentire la lotta politica, non solo la dolorosa coscienza - la lacerante autocoscienza - del fascista che e' in me e con cui devo combattere ogni volta che lo sento latrare o ruggire dal lago nero del cuore, dal pozzo nero del fondo dell'animo; ma anche questo ho appreso: una piu' profonda consapevolezza e maturazione di me per molti altri aspetti ancora: io ero di quelli che sciocchi credevano, per una lunga tradizione monastica e cavalleresca, che il proprio corpo andasse tenuto in non cale, come impedimento e prigione; ero di quelli che sciocchi credevano che il buon militante dovesse essere tutto ragione; ero di quelli che sciocchi credevano all'etica del sacrificio di se' ed in primo luogo dei propri desideri e dei propri sentimenti e delle proprie emozioni e pulsioni. Fu il femminismo a rivelarmi che il personale e' politico; che la scissura cartesiana tra corpo e mente era un delirio; che la sfera della sessualita' era decisiva; che dobbiamo voler bene al nostro corpo; che si pensa col cuore; che si deve lottare per una felicita' sobria e condivisa: la feliciita' altrui, ma anche la propria, e che chi non ha cura anche di se stesso non puo' riescire ad aver cura degli altri. Certo, avevo gia' letto Freud e Foucault, i surrealisti e i francofortesi, l'Antigone di Sofocle e i Manoscritti economico-filosofici del 1844, Sein und Zeit e Qohelet, Sartre e Camus, Leopardi e Cervantes: ma fu il femminismo che mi insegno' a vedere con occhi nuovi e finalmente tutto: solo allora imparai a piangere in pubblico, che e' la cosa che ancor oggi sconvolge i miei studenti, di vedere questo canuto barbone non aver paura di dire e di dare a vedere che il suo cuore sanguina ed e' per questo che chiama alla lotta.

*

Un ringraziamento, infine

Su molti altri temi, lo so, nel saggio di Anna Bravo si riflette, e tutti meritano profonda una discussione, una discussione seria, appassionata, vibratile, energica, esplicita. Che questo foglio vi contribuisca e' per me una gioia grande. Che Anna Bravo a questa dialogica, maieutica, corale riflessione ci abbia invitato scrivendo quelle dense sue pagine, e' per me cosa della quale dal profondo del cuore le sono grato.

 

7. HERI DICEBAMUS. QUESTIONI DI METODO (ED UN RINGRAZIAMENTO AD ANNA BRAVO)

 

Ci appassiona il dibattito suscitato dal saggio di Anna Bravo ripubblicato anche su questo foglio. E vorremmo proseguisse, si estendesse, si approfondisse; ed anche si decantasse di alcuni equivoci e finanche scadimenti di stile ai quali qui vorremmo accennare.

1. Molti interventi apparsi sui quotidiani sono stati scritti senza prima aver letto il saggio di cui si parla. Stravagante e insieme sintomatica cosa, monsieur Dupin.

2. Taluni interventi hanno qua e la' sostituito l'insulto gratuito e grossolano (e ingiustificato e quindi vieppiu' inammissibile) alla discussione anche aspra ma leale. Sono cose di questo mondo, ma dispiacciono sempre.

3. Si avverte talvolta in alcuni interventi come un disagio, su cui cannibalesco il sistema dei mass-media (patriarcale, fascista e belligeno) non manchera' di tentar di speculare.

4. Molte e molti di noi forse temono ancora che una rinnovata e franca riflessione sui temi posti da Anna Bravo possa "fare il gioco" del potere che opprime, mentre si avvicinano elezioni importanti ed un decisivo referendum su una pessima e sadica legge (quella sulla fecondazione assistita), mentre la guerra e' in corso, mentre l'offensiva ideologica e pratica delle nuove ferocissime totalitarie e terroristiche destre si dispiega su scala planetaria.

Ma e' non saggio timore. Anzi. Piu' che mai oggi abbiamo bisogno di tutta la nostra lucidita' ed empatia, di tutta la partecipazione e la riflessione e la discussione di tutte e di tutti, di tutta la forza della verita'.

5. E quindi a maggior ragione ad Anna Bravo siamo grati per aver promosso questa corale, dialogica, conflittuale e maieutica riflessione.

E se nel riproporre in questi giorni su questo foglio anche alcuni interventi apparsi sulla stampa (che recano anche, ci pare, utili e degni e fecondi contributi alla riflessione comune) riproduciamo anche - per fedelta' testuale - alcune ingiuste e fin dereistiche espressioni offensive e fin scandalose a lei rivolte ivi contenute, la preghiamo di portare ancora pazienza, e di accogliere sincere le nostre scuse e il nostro affetto e la gratitudine nostra ancora, e i sensi della nostra piena solidarieta'.

 

8. HERI DICEBAMUS. IN CAMMINO

 

Sono previste oggi in vari paesi, anche in Italia, manifestazioni contro la guerra e contro l'occupazione militare straniera in Iraq. Giuste richieste.

Ma insufficienti. Occorre aggiungere ad esse anche l'impegno per il disarmo, antimilitarista, e contro ogni forma di guerra, contro ogni potere che uccide, criminale e terrorista sempre.

Ed occorre aggiungere ancora l'impegno per un'alternativa nonviolenta che si opponga con limpidezza ed efficacia alla guerra e all'oppressione, un'alternativa nonviolenta che inveri responsabilita', solidarieta' e democrazia.

E anche occorre aggiungere la lotta contro l'ingiustizia, che e' guerra cronica - e appena camuffata - dei forti contro i deboli, dei prepotenti contro i deprivati, dei ricchi contro i poveri, ovvero dei rapinatori contro i rapinati.

E infine e soprattutto occorre aggiungere la lotta contro il patriarcato, che e' all'origine del razzismo e del fascismo, della guerra e del terrore.

E occorre che questa lotta sia sempre e solo lotta nonviolenta, poiche' altrimenti essa non puo' costruire pace, ma solo prolungare, riprodurre, provocare ancora guerra, guerra senza fine. Solo la nonviolenza contrasta la guerra, solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

E solo allora si manifesta per la pace e si manifesta in pace, con metodi di pace con i fini di pace coerenti. Impegno quotidiano, la piu' urgente delle necessita'. Orsu', in cammino.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

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Numero 393 del 15 luglio 2011

 

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