Telegrammi. 613
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- Date: Mon, 11 Jul 2011 00:46:26 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 613 dell'11 luglio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Sotto le bombe ancora
2. Alcuni testi del mese di maggio 2005
3. Sissimo
4. Tre quesiti panormiti
5. Tre tesi su politica e nonviolenza
6. Il rimorso e la pieta'
7. Da Palermo all'umanita'
8. Clementina
9. Franca Ongaro Basaglia, maestra
10. Per Clementina
11. Un messaggio di saluto al convegno di Palermo del 21-22 maggio
12. In dialogo tra persone amiche (estratti)
13. Una strenna
14. Clementina, della solidarieta'
15. Capaci
16. Clementina, della misericordia
17. Ricoeur
18. Clementina, del volto
19. Segnalazioni librarie
20. La "Carta" del Movimento Nonviolento
21. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. SOTTO LE BOMBE ANCORA
Sotto le bombe della Nato vaghi
pensieri non si possono pensare
mentre il tuo corpo fanno gia' bruciare
i fiammeggianti soffi di quei draghi.
Sotto le bombe della Nato strani
frutti fiorivano bruni e vermigli
vedevano le madri i loro figli
ridotti a crudo pasto per i cani.
Sotto le bombe della Nato a brani
di carne vite umane eran ridotte
e dove erano case solo grotte
restavano, ed orrori disumani.
Sotto le bombe della Nato mani
protese invano chiedono soccorso
piove dei denti della morte il morso
e il loro tempo non avra' domani.
Sotto le bombe della Nato vani
son gli scongiuri, i pianti e le orazioni
or sanno i miseri che ricchi doni
largiscono dall'alto gli aeroplani.
Sotto le bombe della Nato laghi
di sangue che il deserto presto beve
che' annientano ogni vita gia' si' breve
le bombe della Nato che tu paghi.
2. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI MAGGIO 2005
Riproponiamo alcuni testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di maggio 2005.
3. HERI DICEBAMUS. SISSIMO
Diciamoci le cose che tutti gia' sappiamo.
Che la guerra consiste dell'uccidere, e che il nostro paese e' ancora in guerra.
Che non vi e' orrore peggiore dell'orrore, e che la guerra non e' efficiente a impedire la guerra, che scannare innocenti non vale a impedire che innocenti scannati siano, per la contradizion che nol consente.
Se non si spezzano le armi non cesseranno le stragi, e il pianto ai funerali degli uccisi non varra' a salvare altre vite.
La legge fondamentale delle Nazioni Unite, come la legge fondamentale della Repubblica Italiana, rispettivamente qualificano la guerra come "flagello" e ad essa esprimono netto ed inequivocabile un ripudio. Sarebbe ora di prendere sul serio le buone leggi che salvano le vite, che fondano l'umana, civile convivenza.
Sissimo, e' il contrario di omissis.
4. HERI DICEBAMUS. TRE QUESITI PANORMITI
Il convegno che si svolgera' a Palermo il 21-22 maggio sul contributo della nonviolenza alla lotta contro la mafia costituisce una rilevante occasione di riflessione, di confronto e di impegno. E proprio per l'apprezzamento sincero che per questa iniziativa nutriamo, riteniamo possa essere non disutile esprimere qui anche tre opinioni in forma di quesiti su alcuni temi di essa su cui vorremmo ulteriormente si soffermasse la riflessione dei partecipanti all'incontro palermitano.
*
Il primo quesito
Pare a chi scrive queste righe che la nonviolenza sia per cosi' dire "in re ipsa" la lotta antimafia nella sua forma piu' nitida e adeguata, poiche' essa al sistema di potere mafioso, e finanche alla weltanschauung mafiosa, si oppone nel modo piu' radicale.
Nella tradizione dei movimenti di opposizione al sistema di potere mafioso la nonviolenza e' sovente stata per cosi' dire cuore pulsante e - ci si passi la metafora e la duplice dialettizzazione socratica e kierkegaardiana che essa implica - punta di lancia.
Che ne avessero piena contezza o meno, misero in campo scelte assiologiche ed epistemologiche nonviolente, tecniche d'azione nonviolenta, e prospettive politiche ed economiche nonviolente, sia pressoche' tutti i movimenti popolari di massa che la mafia hanno sfidato, sia pressoche' tutte le testimonianze di coscienza tradottesi in resistenza individuale e/o in azione pubblica condivisa.
Nonviolenta e' stata ed e' la lotta delle donne contro la mafia (e il pensiero e la lotta - e la memoria, e l'agire e il sentire la cura per altri e la relazione - delle donne e' il cuore e il vettore della lotta antimafia cosi' come della nonviolenza in cammino).
E fondamentalmente nonviolenta e' stata la lotta del movimento contadino; fondamentalmente nonviolenta e' stata la lotta dei movimenti della nuova sinistra; nonviolenta e' stata la lotta della stagione dei movimenti della societa' civile; nonviolenta e' l'azione sindacale quando essa e' veramente tale; nonviolenta e' l'azione ecclesiale quando essa tale e' veramente; e nonviolenta l'azione d'inchiesta e denuncia del giornalismo militante, della coscientizzazione, dell'"autoanalisi popolare".
E fondamentalmente nonviolente sono state finanche talune decisive modalita' di azione di rilevanti esperienze condotte dalle istituzioni, fin dalle istituzioni del controllo sociale, della repressione del crimine, dell'amministrazione della giustizia.
E nonviolenta, last but not least, e' stata l'esperienza di riferimento che troppi tendono a dimenticare mentre invece costituisce una preziosa lezione per l'oggi e per il domani: la lotta di Danilo Dolci, che coniugo' azione nonviolenta, lotta antimafia, coscientizzazione ed autoeducazione popolare, critica del modello di sviluppo e costruzione - per dirla con un fortunato sebbene confuso motto dell'oggi - di "un altro mondo possibile", in un orizzonte radicato localmente ma pensato globalmente, un orizzonte di alternativa che ancora ci appella ed anzi vieppiu' esige la nostra attenzione e la nostra azione dinanzi alla cosiddetta "globalizzazione neoliberista" in cui il potere mafioso (ed in particolare la mafia finanziaria cosi' come indagata da Umberto Santino in un suo fondamentale saggio) ha un ruolo paradigmatico, centrale e trainante per l'economia dominante (e quindi per l'ideologia dominante, e finanche per la gestione militare imperiale dominante).
E quindi se non si muove dall'eredita' di Danilo Dolci, dalla sua pratica, dalla sua metodologia, dalla sua concreta vicenda e maieutica proposta, si rischia di evocare nomi ed esperienze della nonviolenza rilevanti certo, ma estrinsechi e che rischiano talvolta di essere fin fuorvianti.
Cosi' come si corre il rischio di scotomizzare una realta' effettuale avallando la presunzione, fallace invero quant'altre mai, che la riflessione e la prassi nonviolenta non si siano gia' misurate decisivamente nella lotta contro la mafia, o peggio siano addirittura cosa nuova ed estranea da mettere in valore solo ora in aggiunta ad altro, laddove invece "l'aggiunta nonviolenta" (per usare la formula capitiniana) e' sempre stata presente e operante ed anzi informante le piu' rilevanti e aggettanti esperienze di lotta contro il potere mafioso.
Il che ovviamente non significa che tutto quanto e' stato fatto di buono e di valido contro la mafia sia tout court azione nonviolenta (suvvia); o che non ci sia nulla di nuovo da proporre; anzi: le proposte di riflessione e i percorsi di iniziativa formulati dai documenti che le persone che hanno preso parte al laboratorio palermitano promotore del convegno del 21-22 maggio hanno redatto negli ultimi anni costituiscono contributi importanti (e, naturalmente, degni di ampia discussione e fin serrata critica su alcuni punti) al lavoro che e' da condurre, ma questo non deve implicare che l'attenzione su queste proposte faccia dimenticare cio' che e' stato gia' fatto, e soprattutto non deve dar adito all'errore, catastrofico errore, di ritenere che il contributo della nonviolenza si concentri solo in questo e non si sia invece altresi' gia' dispiegato in molte altre esperienze tutte da valorizzare, ereditare, proseguire.
*
Il secondo quesito
Ho nuovamente letto nel sito del Centro Impastato gli stralci del documento che convoca l'incontro, stralci riprodotti in questo stesso foglio. Alcune espressioni ivi adottate possono dar luogo ad equivoci gravi, equivoci che gia' in anni passati sono stati alimentati da alcuni studiosi generosi ma astratti e finanche da una rivista assai benintenzionata e comunque ammirevole, ma sovente confusionaria fino al rischio - cosi' a me talora e' capitato di pensare in relazione a detti ed atti di suoi autori che pur sono egregie persone - dell'irresponsabilita'.
Diciamolo allora chiaro una volta di piu': la nonviolenza e' lotta contro la violenza, l'ingiustizia, la menzogna. La nonviolenza e' scelta di collocarsi dalla parte delle vittime. La nonviolenza, diciamolo ancora, e' in quanto tale opposizione alla mafia, lotta contro la mafia, rottura di ogni acquiescienza, di ogni indifferenza, di ogni subalternita', di ogni rassegnazione, di ogni complicita'.
Se qualcuno pensasse di poter assumere atteggiamenti ambigui tra l'aggressore e la vittima (certo, anche il carnefice e' vittima della sua stessa violenza, ma e' lui che bisogna arrestare e disarmare perche' quella violenza cessi), ebbene, questo nulla ha a che vedere con la nonviolenza intesa nella pienezza del suo significato.
Credo che su questo i promotori ed i partecipanti al convegno palermitano la pensino all'incirca come me; ed a maggior ragione, credo, gli estensori e sottoscrittori del documento di convocazione: avrei dunque viva gioia se quei luoghi del testo diffuso che una lettura frettolosa potrebbe considerare equivoci venissero chiariti come e' non solo opportuno ma, direi, finanche necessario e urgente; proprio affinche' non possano darsi fraintendimenti di sorta, e a nessuno sia concesso di per cosi' dire incistarsi in - o trar losco profitto da, o malevolmente speculare su - ellissi che possono produrre ambiguita' certo non volute, ma che pure potrebbero offrire il destro per interpretazioni improvvide o peggio.
Nessuna collusione col sistema di potere mafioso o coi complici suoi; solidarieta' piena con le istituzioni che lottano per garantire la civile convivenza e i diritti di tutti; ripudio di ogni atteggiamento terzista o attendista; capacita' di ascolto di tutte le persone, ma - ovvero: quindi - lotta inflessibile contro ogni concrezione di violenza, di menzogna, di male. La nonviolenza e' ahimsa e satyagraha.
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Il terzo quesito
Nel merito del programma dei lavori: mi sembra che troppo spesso e da parte di troppe persone si continui stranamente a non cogliere la centralita' della lotta e della riflessione delle donne, sia nella lotta alla mafia, sia nel costituirsi pratico e teoretico della nonviolenza come proposta assiologica, gnoseologica, ermeneutica, metodologica ed operativa, come vicenda e forza storica, come proposta d'interpretazione antropologica e come progetto sociale.
Lo ripeto una volta di piu', e mi scuso per l'insistenza: la modesta mia opinione e' che non solo vi sia un nesso decisivo e fondante tra esperienze e riflessioni dei movimenti delle donne e nonviolenza in cammino, cosi' come tra esperienze e riflessioni dei movimenti delle donne e movimento antimafia; ma anzi quelle esperienze e riflessioni siano quanto di piu' prezioso la lotta di tutte e tutti deve ascoltare, apprendere, ereditare e inverare; quelle esperienze e riflessioni siano il cuore e la chiave della lotta che e' da condurre: contro la mafia nello specifico, ma anche contro ogni ordine e sistema di dominazione violenta in generale. Per le ragioni che da Virginia Woolf ad Hannah Arendt a Vandana Shiva il pensiero e le prassi delle donne hanno ormai chiarito una volta per sempre a chiunque abbia avuto l'attenzione e la fortuna e la saggezza di ascoltarle.
Nella lotta contro la mafia le donne hanno condotto esperienze e riflessioni decisive, e vi sono ormai diversi lavori che ne danno adeguato conto: ad esempio due utilissimi libri di Renate Siebert (Le donne, la mafia; La mafia, la morte e il ricordo) e quello di Anna Puglisi da poco ristampato di cui si da' notizia in questo stesso foglio.
Anche questo meritorio convegno puo' correre il rischio di continuare a riflettere un atteggiamento maschilista: basti guardare l'assoluta dominanza di maschi tra i relatori previsti; o il dettaglio che personalmente trovo assai sintomatico della presenza di un gruppo di lavoro sul "Ruolo delle donne" che puo' dar l'impressione di voler relegare il contributo di meta' dell'umanita' alla lotta contro la mafia (e alla nonviolenza) a oggetto particolare e non essenziale, quando invece in un convegno sul contributo della nonviolenza alla lotta contro il sistema di potere mafioso l'azione e il pensiero delle donne costituiscono precisamente l'essenziale (ma l'eterno maschilismo che e' in noi continua a non avvedersene).
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E una proposta
Perche' allora un gruppo di lavoro sul "ruolo delle donne" e non anche uno su "uomini e mafia", visto che la cultura mafiosa e' strettamente legata al maschilismo, e sarebbe ora di cominciare a indagare seriamente il nesso che lega maschilismo, fascismo, guerra (le tre forme di oppressione dominanti e interrelate che Virginia Woolf disvelava nelle Tre ghinee) e potere mafioso?
Perche' non cominciare a riflettere su quanto il maschilismo che e' anche nei movimenti democratici e fin di trasformazione sociale implica un'affinita' culturale e quindi una complicita' morale con aspetti non irrilevanti del sentire e del potere mafioso?
E perche' non interrogarci ad esempio anche su quanto sia ormai urgente superare alcune scorie che anche Gandhi e Lanza del Vasto ricevettero da un passato di dominazione patriarcale, scorie che sono in palese contraddizione con le loro proposte nonviolente?
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Un augurio
Sono quesiti su cui il convegno avra' modo di interrogarsi e sapra' - se vorra' - sciogliere incertezze, superare ellissi, fare opera di chiarificazione. Ai promotori di esso rinnovo ancora la mia gratitudine, amicizia, prossimita'; e se alcune espressioni adottate in questo intervento, certo parziale e certo frettoloso, dovessero essere state inadeguate e ingenerose (oltre che, come e' ovvio che siano, discutibili ed unilaterali), ebbene, a tutte e tutti qui ne chiedo venia.
E ancora un saluto cordiale, e sincero un augurio di buon lavoro.
5. HERI DICEBAMUS. TRE TESI SU POLITICA E NONVIOLENZA
I. La politica, lungi dall'essere la cosa dimezzata clausewitziana, e', ovvero dovrebbe essere, tecnica della convivenza e convivenza stessa - poiche' in questo caso la tecnica, il metodo, il saper fare, e' gia' il fare, la cosa in se'.
II. La guerra e' l'opposto assoluto della politica, poiche' il suo fare e' l'uccidere, cioe' la radicale denegazione del vivere insieme.
III. La nonviolenza, opposizione assoluta all'uccidere, e' dunque della politica l'inveramento, il suo - asintotico, certo - compimento e progetto, il suo vettore e il suo senso. Riconoscimento di umanita', relazione che salva, amore al mondo.
6. HERI DICEBAMUS. IL RIMORSO E LA PIETA'
Ho lasciato trascorrere qualche mese prima di decidermi a ostendere queste riflessioni. Ancor oggi non so se metta conto proporle ad una riflessione collettiva, e se questa forma sia adeguata alla bisogna.
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La sentenza della corte d'appello di Venezia del 24 febbraio 2005, che conferma quella emessa in primo grado dal tribunale di Verona nel 1997 e manda assolti i diciassette amici della nonviolenza che nel 1991 bloccarono per alcune ore il treno della morte che recava armi alla carneficina in corso nel Golfo Persico che tuttora perdura, merita una riflessione non banale, non rituale, non momentanea.
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Il primo sentimento che provo e' di dolore, di vergogna e di rimorso: il sentimento di chi gia' allora sapeva che era possibile opporsi alla guerra con la forza della nonviolenza, e che la nonviolenza e' piu' forte del piu' forte apparato bellico, e che se fossimo riusciti a persuadere di cio' tante e tanti, avremmo potuto allora e poi ancora e ancora e anche oggi, in verita', contrastare e fin fermare le guerre in corso.
Poiche' perche' guerre si diano occorrono molte, vaste complicita'. In primo luogo la complicita' di chi permette che operino fabbriche d'armi, trafficanti d'armi, utilizzatori di armi; in primo luogo la complicita' di chi permette che operino eserciti pubblici e privati che anche in tempo cosiddetto di pace continuano ad addestrare persone ad uccidere, trasformando esseri umani in futuri assassini o in futuri assassinati. In primo luogo la complicita' di chi permette che viga un ordine mondiale fondato sullo spreco e sulla miseria ad un tempo, che condanna la gran parte dell'umanita' alla morte per fame e di stenti, o a una vita di tale miseria che talvolta neppur piu' vita sembra, e travolge nella dissipazione di se' e del mondo una minoranza privilegiata resa da tanto privilegio non meno miserabile e infelice - sul piano morale e psicologico - delle sue vittime vampirizzate, se solo un barlume di coscienza le aprisse gli occhi. In primo luogo la complicita' nostra, che riusciamo ad essere ecube e talora fin cassandre, ma non ancora antigoni e lisistrate.
Io questo lo so, lo ho sempre saputo. E la corte d'appello di Venezia mi conferma nel convincimento che almeno la compartecipazione italiana a quella guerra - a questa guerra - poteva essere fermata, se vi fosse stato un movimento di massa che avesse fatto la scelta della nonviolenza.
Potevamo, non riuscimmo.
Potremmo, non facciamo.
Peggio: abbiamo permesso che la guerra si estendesse, si facesse quotidianita', globale, onnipervasiva; che nella sua forma di terrorismo di stato ed in quella speculare e derivata di terrorismo di gruppi e fin di individui penetrasse ovunque, tutto contaminasse. In questa ora e in questa distretta ci troviamo, su questo crinale apocalittico.
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Il secondo sentimento e' la coscienza della nostra forza, la forza della nonviolenza, che noi stessi sciagurati rinunciamo ad usare, per mancanza di fiducia in noi stessi, per mancanza di interiore saldezza, perche' sopraffatti dalle nostre stesse ambiguita', subalternita', abulie, infingardaggini.
Ed invece la nonviolenza e' piu' forte. Piu' forte della piu' forte concrezione di violenza, piu' forte del piu' coeso sistema totalitario: figuriamoci se non puo' sconfiggere un sistema violento che abbisogna di diffusa narcosi, di vastissima passivita', di un consenso fin capillare.
Poiche' la nonviolenza e' concreta: si continua a parlare di azioni meramente simboliche, ma non esistono azioni meramente simboliche, tutte le azioni in quanto azioni sono pratiche. E l'azione diretta nonviolenta - quando e' limpida, quando e' rigorosa - e' l'azione piu' pratica che vi sia, effettuale, cogente.
La nonviolenza e' la chiave di volta, la nonviolenza e' la scelta da fare. Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Tutto il resto, il pacifismo da terrazzo o da parata, la sinistra da salotto o da schiamazzo, non solo non servono a niente, ma sono nostri avversari non meno dei guerrafondai di cui sono i piu' utili complici.
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Provo pieta' per le vittime che potevo salvare e non riuscii, non seppi. E provo vergogna per questa mia pieta' che non e' riuscita a farsi azione, azione di pace, azione di vita, salvezza comune.
Provo vergogna per non esser riuscito a impedire la riapertura nel nostro paese dei campi di concentramento, e provo vergogna per le armi italiane vendute agli assassini di ogni fazione, e per i soldati italiani che anche quando in missione di pace sempre purtuttavia reiterano la primazia della guerra, dei suoi strumenti, delle sue logiche. La guerra, che sempre consiste nell'uccisione di esseri umani.
Laddove invece dovremmo costituire ed andare come corpi civili di pace, dovremmo recare aiuti umanitari, dovremmo a tutti offrire accoglienza e solidarieta', che a dirlo in buon toscano suonerebbe: dovremmo cominciare a restituire quanto da secoli e tuttora stiamo rapinando alle vittime della nostra rapina, che noi medesimi con cio' stesso condanniamo alla fame, alle guerre, alle dittature, alla morte. Dovremmo smantellare gli eserciti e sostituirli con la difesa popolare nonviolenta; dovremmo chiudere le fabbriche d'armi e riconvertirle a produzioni civili. Dovremmo, potremmo, e non lo facciamo.
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Non posso chiedere perdono alle vittime morte anche per la mia ignavia: poiche' esse perdonarmi non possono piu', sono morte. Sono morte, e la mia volonta' buona non avendo saputo tradursi in azione buona non e' valsa a riparo.
Ma quelli che sono ancora vivi, io ne sento le voci. E so che dipende da me salvarne le vite. Mi riguarda, e dunque mi sta a cuore.
"I care" era scritto su un muro della scuola di Barbiana, ed e' scritto nella sentenza della corte d'appello del tribunale di Venezia nell'anno 2005 dell'era volgare.
Quella sentenza che mandando assolti Mao Valpiana e quelle e quelli che con lui bloccarono per alcune ore il treno della morte ci dice che non solo la voce della coscienza ma anche la lettera della legge questo comanda: tu non uccidere, tu salva le vite umane. Tu opponiti con la forza della nonviolenza alla macchina della guerra.
Tu puoi fermare la guerra. Tu ne hai diritto, tu ne hai il dovere. Ed il resto e' silenzio.
7. HERI DICEBAMUS. DA PALERMO ALL'UMANITA'
Vorremmo provare ad enunciare nel modo piu' stringato (ma forse solo frettoloso) alcuni dei motivi, sia contingenti che sostanziali, per cui ci sembra che il convegno sul tema "Superare il sistema mafioso. Il contributo della nonviolenza", che per iniziativa di varie persone amiche della nonviolenza si svolgera' a Palermo il 21-22 maggio (per iscrizioni e segreteria del convegno: e-mail: v.sanfi at virgilio.it, tel. 0916259789, fax: 091348997, altre e-mail di riferimento: acozzo at unipa.it, csdgi at tin.it), si trovi a poter assumere una rilevanza politica generale, e potrebbe avere finanche un impatto reale e immediato su decisive attuali dinamiche politiche, sociali e culturali.
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Un primo motivo contingente: la crisi di consenso del governo Berlusconi non e' crisi del berlusconismo (cioe' dell'articolazione italiana e particolarmente degradata dell'ideologia e delle prassi del blocco sociale dominante nella cosiddetta globalizzazione neoliberista, che peraltro e ad un tempo eredita da assetti sociali, culture politiche e tradizioni ideologiche peculiarmente italiane); berlusconismo la cui egemonia ha ormai fortemente inquinato e largamente colonizzato le rappresentanze politiche e sociali non solo del ceto politico tradizionale, ma anche dei cosiddetti nuovi movimenti della societa' civile.
Si pone pertanto qui e adesso l'immediata esigenza di indicare priorita' politiche e ancoraggi culturali - ovvero scelte logiche ed assiologiche feconde e cogenti - al movimento reale che si batte per l'affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani, per la difesa della biosfera, per una convivenza civile, cioe' fondata su leggi e su costumi che l'umana dignita' inverino.
La lotta contro la mafia e la lotta contro la guerra e contro il terrorismo (guerra e terrorismo che ormai sempre piu' esplicitamente coincidono) costituiscono non una delle priorita', bensi' la priorita' tout court dell'azione politica - morale, culturale - nel nostro paese e non solo; e la scelta della nonviolenza e' il passo indispensabile (lo ripetiamo: indispensabile) per poter condurre questa lotta.
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Un secondo motivo contingente: la crescente pretesa (e fin chiassosamente proclamata ed esibita) attenzione verso la nonviolenza da parte di varie forze politiche e sociali (un'attenzione strumentale, superficiale, travisante e fin imbrogliona in molti casi, lo sappiamo; ma pur sintomatica di un evidente imporsi all'agenda politica di tutti della necessita' della nonviolenza come teoria-prassi adeguata alla presente distretta altrimenti inaffrontabile) dimostra ad abundantiam come, ben lungi dal consentire per ignavia che della nonviolenza si faccia una "ideologia di ricambio" con cio' stesso facendone strame, occorra invece pienamente dispiegarne e valorizzarne la carica ermeneutica, progettuale ed operativa, capace anche di riattivare tradizioni di pensiero e organizzative, e pratiche sociali e politiche, che incrociandosi con la nonviolenza e lasciandosene per cosi' dire sia fecondare che passare al vaglio che trasformare possono tornare a svolgere una funzione critica e costruttiva, pedagogica e trasformativa, di solidarieta' e di liberazione.
Ma perche' questo avvenga occorre che la nonviolenza venga proposta nella sua peculiarita' e complessita' ad un tempo, confutando e rigettando le caricature di essa, chiarendone le molteplici dimensioni e i caratteri sostanziali, evidenziandone l'apertura ed insieme la non mistificabile specificita', la rigorosa esigenza di chiarificazione che pone, il nitido ed intransigente lottare contro la violenza e la menzogna, contro l'ingiustizia e l'indifferenza, contro le strutture che coartano e umiliano le donne e gli uomini, che aggrediscono e devastano il mondo, che negano dignita' e verita', che uccidono vite. La nonviolenza e' lotta, o non e' nulla. E insieme e' comprensione, o non e' nulla.
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Un terzo motivo contingente: la crisi del movimento per la pace e' di una tale evidenza che girarci intorno facendo finta di niente e' peggio che inutile: e' scellerato. Al di la' dei lugubri e insensati trionfalismi dei cialtroni in carriera e' del tutto evidente che il movimento pacifista, che pure ha avuto un'estensione cospicua e un radicamento reale, non solo non e' riuscito ne' a fermare ne' a contrastare la guerra, ma anzi in talune sue espressioni e rappresentanze dominanti ha sovente fornito - e non sempre suo malgrado - una sorta di complicita' ad essa nella forma volta a volta di una gestione della protesta appariscentemente roboante ed effettualmente silenziatrice perche' meramente propagandistica e subalterna ai riti dei mass-media, di un baccano distraente e vieppiu' ignobile in quanto meramente autopromozionale, di una passivizzazione deresponsabilizzante perche' elusiva di cruciali questioni; e infine e decisivamente con la riproduzione di modalita' di pensiero e di azione subalterne alla cultura e alle pratiche della violenza e della menzogna.
Perche' e' avvenuto questo? Perche' non si e' fatta la scelta della nonviolenza.
Non si e' fatta la scelta della nonviolenza, che sola puo' contrastare la guerra e costruire la pace; ed anzi si e' permesso che nel movimento per la pace si infiltrassero e persino divenissero egemoni tradizioni e gruppi e pratiche la cui riflessione e le cui proposte sono peggio che confuse e ambigue, sono inquinate dall'introiezione di teorie e prassi talora sciaguratamente giustificazioniste della violenza, della menzogna, del totalitarismo, talaltra - o contemporaneamente - intrise di carrierismo e fin affarismo, di razzismo (nella variante ad un tempo paternalista e irresponsabile) e di nichilismo.
Un esempio decisivo: il maschilismo; che reca con se' altresi' autoritarismo e militarismo, irresponsabilita' e adorazione della violenza. Il maschilismo che massimamente ha disgregato dall'interno, depotenziato e corrotto, e infine destituito di credibilita' il messaggio e l'azione dei movimenti per la pace che non hanno fatto consapevolmente e rigorosamente la scelta della nonviolenza; la scelta della nonviolenza: di cui la teoria e la prassi delle donne e dei movimenti delle donne costituiscono il cuore, la forza motrice, la traccia e la stella polare.
La scelta della nonviolenza, l'opposizione integrale alla guerra, alle armi, all'uccidere, l'opposizione integrale alla violenza e alla menzogna; ecco cio' che occorre: ergo la lotta alla mafia - alle mafie - e' ineludibile banco di prova; lotta alla mafia - alle mafie - che significa anche lotta contro la schiavitu', lotta contro un'economia assassina, lotta contro una gestione corruttiva e distruttiva tanto delle relazioni interpersonali, dei mondi vitali quotidiani, quanto delle agenzie della socializzazione e delle istituzioni, e del territorio e della biosfera; e - decisivamente - lotta contro la cultura patriarcale di cui il sistema di potere mafioso e' una delle manifestazioni piu' eclatanti (certo non l'unica, molte altre altrettanto eclatanti ve ne sono, e diffusamente fin celebrate - come certe pur venerande e per altri versi talora finanche ammirevoli istituzioni e tradizioni che, in quanto praticano l'oppressione sessista e talora fin l'apartheid di genere, in questo si rivelano segregazioniste e duramente liberticide, totalitarie e disumananti, e in cio' al potere mafioso contigue oltre quanto ne abbiano coscienza ed in contraddizione con i principi di difesa della dignita' umana e di rispetto e promozione dell'umana persona che pure sinceramente, persuasamente - ma purtroppo sovente solo astrattamente - affermano).
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Un quarto motivo contingente: l'assoluta centralita' dell'impegno per la legalita' e per un ordine internazionale fondato sul diritto. Proprio perche' la cosiddetta globalizzazione neoliberista guidata dal capitale finanziario ha provocato la violazione e la devastazione di ogni norma morale e giuridica, il ritorno della guerra, la crescita del terrorismo a tutti i livelli, una "deregulation" che si esplica nella guerra di tutti contro tutti, proprio per tutto cio' i poteri criminali non solo si incistano in essa, ma ne sono ad un tempo i principali beneficiari, e gli attori - gli agenti - piu' coerenti: l'apparato concettuale ed operativo dei poteri criminali (ideologico, organizzativo, economico e militare) trova in questa cosiddetta globalizzazione il suo trionfo culturale ed empirico, l'ambito di estrinsecazione e di riconoscimento piu' adeguato al suo delittuoso operare.
La lotta al potere mafioso e' dunque ipso facto impegno per la legalita' sostanziale, per un ordine mondiale fondato sul riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani; e' l'impegno fondamentale della nonviolenza in cammino come affermazione dell'umanita' di tutte e tutti, dell'umana convivenza, della responsabilita' sia nei confronti dell'umanita' intera, comprese le generazioni future, sia per la biosfera.
Quando affermiamo la necessita' che la nonviolenza sia riconosciuta ed agita come giuriscostituente, non soltanto enunciamo la realta' fattuale che essa e' la scelta che invera diritto e politica intesi come forme atte a promuovere e garantire la civile convivenza, non soltanto cogliamo alcune rilevanti attuali tendenze finanche del diritto penale (ad esempio l'esperenza della Commissione per la verita' e la riconciliazione in Sud Africa), ma affermiamo ad un tempo la maturita' e l'urgenza del porre coscientemente ed esplicitamente la nonviolenza alla base sia dell'ordinamento giuridico a tutti i livelli, sia della riforma dei costumi e dei saperi (la "riforma morale e intellettuale" di gramsciana memoria) resa necessaria dal dispiegarsi tanto degli effetti distruttivi della tecnica quanto dell'inadeguatezza etica e cognitiva dei gruppi dirigenti e degli assetti dominanti attuali e dei processi formativi e decisionali di cui sono il portato.
L'impegno per la democrazia estesa a tutte e tutti (omnicrazia, amava dire Capitini); per il diritto pienamente inverato, che non opprime bensi' collega, difende e libera; per la legalita' come ripudio di ogni prepotenza e violenza, come riconoscimento e difesa di ogni esistenza: tutto cio' e' ad un tempo opposizione ad ogni potere criminale, e nonviolenza in cammino.
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Ma vi sono beninteso anche altri motivi, e sostanziali. E di alcuni di essi altra volta diremo.
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Per tutto questo - e per molto altro ancora, come si dice - abbiamo bisogno qui e adesso di una discussione ampia e approfondita, franca ed esplicita, senza infingimenti o ipocrisie, per due ordini di motivi: perche' anche per la nonviolenza la lotta alla mafia e' decisivo banco di prova; e perche' anche la nonviolenza e' tutt'altro che un campo concettuale univoco, bensi' complesso, pluridimensionale, contestuale e relazionale quant'altri mai.
Il convegno di Palermo - cio' che sapra' raccogliere, tematizzare, riconoscere, criticare, avviare - potra' pertanto costituire un contributo qualificato sia alla lotta alla mafia, sia all''autocomprensione della nonviolenza come movimento reale, sia al quid agendum della politica in senso pieno e forte; e potra' quindi forse anche costituire un punto di svolta.
Ma naturalmente potra' farlo se riuscira' a non ridursi ad una sola dimensione, o a una sola tradizione; se sapra' entrare nel concreto, nel vivo, con l'apertura, la capacita' dialogica e inclusiva, la pluralita' ed insieme la limpidezza di contenuti e di metodi, e l'accoglienza sollecita delle differenze, dell'inesausta creativita' e dell'incessante incontro, dell'infinito corale colloquio di cui la nonviolenza consiste.
E ad esempio: se sapra' riconoscere nel pensiero e nell'agire delle donne la corrente calda e l'esperienza decisiva della nonviolenza in cammino; se sapra' cogliere quanto della nonviolenza - ahimsa e satyagraha - permei tutte le grandi lotte antimafia; se sapra' in umilta' e in rigore svolgere anche una critica decisa e feconda a molte rappresentazioni correnti della nonviolenza stessa, e finanche ad aspetti rilevanti di molte tradizioni nonviolente autentiche e preziose ma fortemente condizionate dal contesto patriarcale e dalla gestione maschilista e autoritaria di esse; e soprattutto se sapra' contrastare approcci astratti e riduttivi che confliggono proprio con cio' che della nonviolenza e' il cuore: l'attenzione al concreto, la percezione del limite, l'apertura all'altro e all'altra, la scelta della lotta nitida e intransigente contro ogni violenza (e in primis quella che noi stessi alberghiamo).
Affermando la misericordia che libera e salva in quanto si fa ad un tempo conflitto, comunicazione, condivisione; affermando in concreto la solidarieta' con le vittime e traendone altresi' tutte le conseguenze fin epistemologiche; affermando il ripudio di ogni complicita' con l'uccidere, e con quelle premesse all'uccidere - alla denegazione di umanita' - che sono il mentire e l'opprimere, l'ingiustizia e l'incuria, lo sperpero e l'indifferenza, quella duplice sordita' alla parola altrui e alla parola propria.
Principio responsabilita' e' la nonviolenza: la nonviolenza generativa, femminile, plurale.
La nonviolenza ogni giorno da riscoprire, da reinventare, da inverare, che chiede il contributo originale ed insostituibile, critico e creativo, di ognuna ed ognuno; senza semplificazioni, senza pretese di "chiudere il discorso", schiudendosi invece all'ascolto che nutre, donandosi nella solidarieta' che al male ed al nulla resiste.
La nonviolenza e' lotta, incontro, appello. Che salva il mondo, se lo salvi tu.
8. HERI DICEBAMUS. CLEMENTINA
Mentre scriviamo giungono notizie ancora confuse sul rapimento di Clementina Cantoni, la cooperante italiana sequestrata a Kabul da una banda di uomini armati.
Ma alcune cose possono pur essere dette, e quindi dirle occorre.
La prima: che ogni cosa sia fatta, da chiunque ne abbia il potere, per salvarle la vita.
La seconda: che costruire la pace nei luoghi dell'oppressione e del conflitto e' impegno che deve essere condiviso da tutte e tutti.
La terza: che ancora una volta una donna, una donna costruttrice di pace, una donna che aiutava altre donne, e' vittima di un'aggressione, il rapimento, compiuto da uomini, e da uomini armati. In una sola immagine questa vicenda ci restituisce intera la drammatica verita' dell'attuale distretta dell'umanita'. Da un lato le donne, la solidarieta', la pace costruita nella relazione di ascolto e di aiuto: tutto cio' noi chiamiamo nonviolenza in cammino. Di contro: l'oppressione di genere, la guerra, il crimine, le armi: e maschi che a questa tradizione (a queste condizioni, a questi strumenti, a questi paradigmi, a questi regimi) si genuflettono, si affidano e la riproducono, asservendosi alla violenza che loro stessi aliena e reifica e indraca, e devastando ogni possibilita' di riconoscimento di umanita' e quindi di convivenza civile. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Clementina, nome meraviglioso.
9. HERI DICEBAMUS. FRANCA ONGARO BASAGLIA, MAESTRA
E' stata una delle piu' grandi pensatrici del ventesimo secolo. Poche e pochi se ne sono accorti.
Ma quando sara' vinta la lotta in cui si dono', insieme al marito Franco ed a tante e tanti con loro, la lotta decisiva che ha restituito dignita' umana e umana comprensibilita' e umano ascolto ad ogni essere umano, la lotta decisiva che ha rivelato come la liberta' sia terapeutica, e come tutte le gabbie e le catene con la loro mera presenza uccidano, allora, quando potremo ragionarne in un sorriso - allora, perche' oggi la lotta di Franca e di Franco e' ancora da continuare - verra' a giorno non solo che quella lotta e' stata anche il contributo piu' grande che la cultura italiana ha dato al pensiero umano e all'umana liberazione nel secolo che si e' chiuso, ma che in essa Franca Ongaro Basaglia e' stata la pensatrice piu' acuta e piu' profonda, piu' autentica e piu' creativa, piu' coraggiosa e piu' forte, forte di quella forza che chiamiamo forza della verita', afferramento alla verita', satyagraha.
E' stata una delle piu' grandi pensatrici del ventesimo secolo. Poche e pochi se ne sono accorti.
10. HERI DICEBAMUS. PER CLEMENTINA
Vi e' il rischio che convinti dai mass-media che la liberazione di Clementina Cantoni avverra' facilmente e in breve tempo, non si attivi una solidarieta' adeguata, non si levi anche in italia nitida e forte la voce di tante e di tanti a dire la nostra prossimita', la nostra ansia, il nostro desiderio che sia liberata subito ed incolume.
E invece dobbiamo dirlo, dobbiamo farci vedere e sentire, con tutta l'evidenza pubblica che a questa richiesta siamo in grado di dare, sapendo che la nostra sollecitudine per Clementina vale anche per tutte le altre rapite, per tutti gli altri rapiti; che vale a dire che unica e' l'umanita', vale a dire che ogni vita e' tutte le vite; che nessuno deve essere ucciso; che alle guerre, al terrorismo, al crimine, alla violenza occorre dire basta; che la pace va costruita con le nostre mani, con l'aiuto di tutte e tutti, a tutte e tutti gli esseri umani riconoscendo tutti i diritti umani, e primo di tutti il diritto di vivere, e di vivere una vita dignitosa e solidale.
Ovunque si possa si manifesti, in forme limpide, nonviolente, esse stesse costruttrici di pace, di convivenza; ovunque si abbia voce si levi un appello, semplice, chiaro, comprensibile, che richiami alla comune umanita', e a quel valore della misericordia, della clemenza, che il suo nome stesso evoca, e che e' il valore dei valori attestato da tutte le grandi tradizioni di pensiero dell'umanita'.
Lavorino le istituzioni ciascuna nel ruolo che le e' proprio; si mobilitino i soggetti collettivi ciascuno nelle forme sue proprie che siano consone al fine e opportune alla bisogna; e chi altro non puo' fare almeno questo faccia: dica che la vogliamo salva, che la vogliamo libera. E che questa voce giunga al cuore anche dei piu' lontani.
11. HERI DICEBAMUS. UN MESSAGGIO DI SALUTO AL CONVEGNO DI PALERMO DEL 21-22 MAGGIO
Carissime e carissimi,
pur non essendo fisicamente presente a questo nostro convegno vorrei inviarvi un affettuoso saluto e i migliori auguri di buon lavoro.
E consentitemi anche di rivolgere un trepidante pensiero, che so essere condiviso da tutte e tutti, a Clementina Cantoni, che vogliamo sia presto libera; e pensando a lei naturalmente pensiamo anche a tutte le altre persone vittime delle guerre, delle dittature, dei poteri criminali, del terrore, dell'oppressione, della violenza.
E poiche' avrei piacere di mandarvi anche un minimo mio contributo ai lavori, ma non ignoro che un messaggio scritto deve essere assai breve per poter essere agevolmente ascoltato, mi limito a proporre all'attenzione dei partecipanti, senza argomentarle affatto, le seguenti sette tesi.
*
1. La nonviolenza e' gia' il cuore della lotta contro la mafia, poiche' nella storia dei movimenti che contro la mafia si sono battuti e si battono la scelta della nonviolenza, le tecniche della nonviolenza, il progetto della nonviolenza, sono stati in vario modo e misura sempre e decisivamente presenti e operanti.
Ed e' naturale che sia cosi', poiche' sistema di potere mafioso e azione nonviolenta sono del tutto antitetici, e quindi ogni progresso della riflessione e dell'azione nonviolenta e' uno scacco per il sistema di potere mafioso.
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2. La riflessione e le pratiche dei movimenti delle donne sono il cuore della nonviolenza e il cuore della lotta antimafia. Cosicche' chiunque si voglia impegnare nella lotta contro la mafia e chiunque si voglia accostare alla nonviolenza, e massime chi voglia operare contro la mafia con la scelta pienamente consapevole della nonviolenza, non puo' non far riferimento al pensiero e all'agire delle donne e dei movimenti delle donne.
Ed e' naturale che sia cosi', poiche' il sistema di potere mafioso e' una delle manifestazioni piu' evidenti anche di quella forma di oppressione che e' il patriarcato, e non si da' lotta contro la mafia, come non si da' lotta contro la guerra, e contro ogni discriminazione ed ogni totalitarismo, se non si riconosce il nesso che queste forme di oppressione lega alla dominazione patriarcale.
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3. La nonviolenza e' scelta di lotta contro ogni violenza. Certo, essa e' anche sempre comprensione, comunicazione, riconoscimento di umanita': ma lo e' proprio specificamente in quanto e' lotta contro ogni violenza. Ed essendo la mafia un sistema di potere fondato sulla violenza, la nonviolenza e' sempre e comunque opposizione al potere mafioso. Ne consegue che essa combatte altresi' contro ogni complicita', ogni collusione, ogni ambiguita', ogni resa, ogni collaborazionismo coi poteri assassini.
Ed e' naturale che sia cosi', poiche' la nonviolenza e' conflitto; non solo coscienza e denuncia ma opposizione pugnace ad ogni concrezione di violenza, di menzogna, di ingiustizia; e' insurrezione e rivolta contro il male e la morte.
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4. La nonviolenza sostiene anche senza esitazioni l'impegno delle istituzioni nella lotta contro la mafia: la nonviolenza invera la legalita' in quanto essa e' - e sempre dovrebbe essere - difesa dell'oppresso dalla violenza del potente; la nonviolenza sostiene lo stato di diritto contro la guerra di tutti contro tutti, l'ordinamento giuridico contro la barbarie, il sistema democratico contro ogni totalitarismo; la gestione pubblicamente condivisa di cio' che e' bene di tutti contro la rapina privata che per l'appunto altri priva di beni essenziali che devono essere comuni. La nonviolenza rafforza con la sua azione anche le istituzioni: sia fornendo alle istituzioni valori, strumenti, risorse, esempi; sia criticando e contrastando cio' che nel corpus legislativo e negli assetti istituzionali non fosse accettabile alla luce della dignita' umana; sia lottando per avere leggi ed istituzioni migliori, per cancellare ogni abuso e ogni arbitrio, per realizzare il potere di tutti, perche' a tutti gli esseri umani siano riconosciuti tutti i diritti umani.
Ed e' naturale che sia cosi', poiche' la nonviolenza e' anche giuriscostituente, si fonda sul principio responsabilita', invera e adempie i principi giuridici in cui si traducono le istanze di giustizia e liberta'; ne' e' giammai "terza parte" o estranea spettatrice nella lotta tra chi uccide e chi salva le vite, ma sempre si colloca dalla parte delle vittime, dalla parte del diritto, sempre si batte contro chi uccide.
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5. La nonviolenza contrasta il sistema di potere mafioso gia' anche nell'affermare valori e metodi intesi alla piu' vasta solidarieta', la coerenza tra mezzi e fini, la consapevolezza che una e la stessa e' la lotta contro il patriarcato, lo sfruttamento, l'inquinamento, la guerra, il corrompere, il terrorizzare e l'uccidere. La nonviolenza afferma il nesso che lega un modello di sviluppo equo e solidale, con tecnologie appropriate e rispettoso della biosfera, la democrazia estesa a tutti gli esseri umani, la costruzione della pace intesa come relazioni di giustizia e di solidarieta' fra tutte e tutti, l'umanizzazione dei conflitti, la scelta della convivenza e della sicurezza per tutte e tutti. E promuove azioni e tecniche e strumenti e progetti con quei valori e metodi coerenti: come ad esempio la difesa popolare nonviolenta.
Ed e' naturale che sia cosi', poiche' cosi' come, per dirlo con le esatte parole di Umberto Santino, "mafia e' un insieme di organizzazioni criminali, di cui la piu' importante ma non l'unica e' Cosa Nostra, che agiscono all'interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale", ebbene, la nonviolenza ad essa si oppone sistemicamente ad un pari ed anzi superiore livello di complessita', con forza maggiore e invincibile - la forza della verita': satyagraha -, contrastando la dominazione del potere violento, oppressivo e distruttivo, in tutte le sue forme, e in tutti i gangli e fin alle radici.
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6. La nonviolenza non e' affare di pochi, e non e' affare di pochi la lotta contro la mafia.
La nonviolenza, la lotta alla mafia, cosi' come la poesia, deve essere fatta da tutte e tutti.
Ed e' naturale che sia cosi', poiche' tutte e tutti la mafia opprime, poiche' tutte e tutti la nonviolenza chiama alla lotta per la liberazione comune.
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7. La nonviolenza e' una scelta ardua e impegnativa. E quante persone amiche della nonviolenza sono state assassinate dagli oppressori: Mohandas Gandhi come Martin Luther King, Marianella Garcia come Chico Mendes, e quante e quanti altri ancora. Ma insieme puo' essere una scelta facile e gioiosa, come bere un bicchier d'acqua.
La lotta contro il sistema di potere mafioso e' impegnativa e ardua. E quante persone impegnate contro la mafia sono state dalla mafia assassinate: il loro numero e' cosi' grande che a dire solo qualche nome non riesci. E tuttavia insieme e' scelta semplice e spontanea - come spiego' una volta per sempre Paolo Borsellino, come spiego' una volta per sempre Libero Grassi - se ascolti cio' che ti detta la voce che dal cuore ti chiede di spezzare le catene e conoscere il fiore vivo.
Ed e' naturale che sia cosi'.
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Un forte abbraccio dal vostro
12. HERI DICEBAMUS. IN DIALOGO TRA PERSONE AMICHE (ESTRATTI)
C'e' un racconto di Borges, "I teologi", che rivela come spesso le persone che discutono talora con toni anche aspri e con qualche evidente forzatura e fin fraintendimento, ad uno sguardo piu' attento appaiono essere molto piu' affini di quanto forse non sembri. Nel nostro caso ci sembra di poter dire che fortunatamente tutti gli interlocutori sono consapevoli di essere persone amiche, e compagne e compagni di lotta contro i poteri criminali, per la pace e la dignita' umana di tutti gli esseri umani...
... di questo foglio e' postino e cuciniere, come quel Long John Silver rivelatoci da Stevenson una seconda volta in quella sua favola o botola dal titolo "I personaggi del racconto" (in Robert Louis Stevenson, Romanzi racconti e saggi, Mondadori, Milano 1982, pp. 1773-1776) pensata come intermezzo tra il XXXII e il XXXIII capitolo dell'Isola del tesoro.
*
Alcuni frammenti da una lettera personale
Rinviando ad altro momento una piu' adeguata riflessione, trascrivo qui alcuni frammenti da una lettera a un amico assai caro (col quale mi scuso per l'ineleganza di "riciclare" qui alcune frasi nate come comunicazione epistolare ad personam).
... alcune tradizioni della nonviolenza a me sembra non si siano accorte che l'apartheid di genere, proprio ad esempio di talune tradizioni religiose, in qualche modo e misura le tocchi, e che non siano quindi neppure consapevoli di un fatto di cui io almeno sono persuaso: che le esperienze dei movimenti femministi e il pensiero e la prassi delle donne siano la corrente centrale e decisiva della nonviolenza come movimento storico (con una rilevanza a mio avviso maggiore di quella di esperienze e figure assai piu' riconosciute e sovente citate).
... chi come me ha letto il programma dei due giorni [del convegno] per cosi' dire dall'esterno, coglie non il dato della maggior partecipazione di donne (e' sempre cosi' nelle iniziative nonviolente, tra chi partecipa le donne sono sempre di piu': e significhera' pur qualcosa) ma del massimo rilievo (... del ruolo dominante) dato ai maschi; e se posso permettermi l'ineleganza di metterlo in chiaro: i moderatori delle plenarie sono solo maschi; i relatori in plenaria del sabato mattina sono quattro uomini e una donna; i quattro relatori della domenica sono tutti maschi; i coordinatori dei gruppi di lavoro sono tre donne e sette uomini.
... Se posso aggiungere una nota personale per farti sorridere: da molto tempo non partecipo piu' ad iniziative in cui non vi sia un uguale numero di relatori dei due sessi. Puo' sembrare una buffa idiosincrasia, ma io l'intendo invece come un piccolo contributo a combattere il maschilismo che e' anche in noi, militanti maschi che pure vorremmo opporci al fascista che ci portiamo dentro (parlo naturalmente solo per me).
... che il contributo delle donne sia relegato ad un gruppo di lavoro, mentre a me sembrerebbe ovvio che nell'analizzare il contributo della nonviolenza alla lotta contro la mafia il pensiero e le esperienze delle donne e dei movimenti delle donne e' centrale.
... [e] sarebbe utile avviare un percorso di ricerca sul nesso tra patriarcato e sistema di potere mafioso, muovendo dalla ricchissima analisi del potere patriarcale che da Virginia Woolf in qua il pensiero delle donne ha elaborato magnificamente.
E' questione decisiva, e lo e' ancor piu' alla luce della cecita' su questo ad esempio da parte di persone molto care e molto autorevoli...
Vorrei anche aggiungere... che personalmente credo anche che le donne abbiano un ruolo decisivo non solo nella nonviolenza (...) ma anche nella lotta da condurre contro il sistema di potere mafioso, e su piu' versanti di fondamentale importanza. Ahime', non ho tempo ed agio di argomentarlo qui, ma particolarmente nei libri di Anna [Puglisi] e curati da lei e da Umberto [Santino], ed in quelli di Renate Siebert (alcuni dei quali a mio avviso utilissimi), mi pare di poter indicare alcune delle fonti principali che suffragano questa tesi... Accenno soltanto che faccio riferimento anche ad ambiti (ad esempio quelli detti dei "mondi vitali quotidiani") che non sono ricompresi nella formula della "presenza pubblica" [intesa] in specifico riferimento alle forme di dominio politiche, sociali e istituzionali maschili, ma io penso appunto ad altri ambiti: la memoria, il lavoro di cura, la sfera della riproduzione, le trame relazionali che fondano la socializzazione e la convivenza anche se non trovano riconoscimento nell'universo simbolico patriarcale...
13. HERI DICEBAMUS. UNA STRENNA
Il nostro vecchio amico Ricciardo Aloisi ha pensato di farci dono di alcuni testi in versi estratti da una sua vecchia, anzi stravecchia raccolta.
Come e' noto non amiamo pubblicare versi sul nostro foglio: un notiziario quotidiano non e' la sede migliore per un adeguato apprezzamento di questo genere di scritture, e sovente ci pare che si scriva in versi quel che non si riesce a dir bene in prosa, cercando nel gesto, nell'intonazione, un sostegno a un discorso che si avverte in se' periclitante. A cio' si aggiunga che tra i nostri amici piu' cari abbiamo anziani poeti popolari a braccio, abilissimi improvvisatori di consumata perizia metrica, che storcono il naso ogni volta che trovano versi che non siano endecasillabi perfetti concatenati in regolari rime: hai voglia a dir loro delle delizie del Carducci barbaro, della purezza dell'alessandrino, della musica sorda del blank verse; ti guardano come fossi una mucca e ti danno manate sulle spalle per consolarti della tua insipienza.
Ma Ricciardo Aloisi e' un vecchio amico, e molte di queste cantilene e filastrocche furono scritte fra trenta e vent'anni fa per amici che avevano bambini allora molto piccoli e che adesso sono donnoni ed omoni fatti e finiti e cosi' potra' far loro piacere rileggere queste quisquilie, che infine ci sembra che rechino pur qualche ombra di rosa, e qualche spina nella carne ancora.
14. HERI DICEBAMUS. CLEMENTINA, DELLA SOLIDARIETA'
Si vorrebbe potersi dimenticare dell'Afghanistan. Ed invece l'Afghanistan ci riguarda tutti. L'indifferenza e' complicita' col male.
Clementina non era indifferente: e' andata la' ad aiutare le vittime di ogni violenza.
Clementina era solidale: e' andata la' a fare quello che avremmo dovuto far tutte e tutti.
Il suo sequestro ci pone di fronte alle nostre responsabilita'.
Per questo dobbiamo tutti fare quanto e' in nostro potere perche' sia liberata; e chi non puo' fare altro almeno lo chieda: lo chieda, con tutto il respiro che ha in corpo, con tutta la voce che ha in gola, con tutto il cuore. Liberatela.
15. HERI DICEBAMUS. CAPACI
Tredici anni, e sembra ieri.
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani.
Tredici anni, e sembra passata un'era geologica.
Ma i vivi ricordano ancora i caduti. Pote' straziare e spezzare quei corpi il tritolo, non ha potuto annichilire quelle persone: ne testimonia la commossa memoria che ancora perdura, la feconda eredita' che i buoni lasciano al mondo.
Tredici anni, e la lotta continua.
16. HERI DICEBAMUS. CLEMENTINA, DELLA MISERICORDIA
Per aiutare vedove ed orfani era in Afghanistan Clementina.
Per dare aiuto a tutte le vittime, tutte le vittime di tutte le guerre di cui quel paese tutti i segni reca, ed e' per questo che oggi (come molti altri di dolore luoghi, certo) e' il cuore del mondo.
Il suo rapimento - questo crimine che tutti ci offende - ci dice anche che e' l'ora, ed invero e' l'ora da un pezzo, di metterci alla sua sequela.
Di strapparla, sana e salva, dagli artigli dei rapitori; di recare anche noi tutti un aiuto alle oppresse e agli oppressi cola'.
Ciascuno puo' fare qualcosa: fosse anche solo sostenere di qui chi la' e' operatrice ed operatore di pace; fosse anche solo dirlo forte ogni giorno senza stancarsene che vogliamo che sia liberata al piu' presto, che in quel paese cessino uccisioni ed altri delitti e feroci discriminazioni: dirlo a chiunque ci puo' ascoltare, sperando che questa voce giunga ove occorre che giunga, richiami umanita' all'umanita', all'umanita' l'umanita' richiami.
17. HERI DICEBAMUS. RICOEUR
Quante cose abbiamo imparato leggendo Ricoeur.
E soprattutto questa: che occorre saper ascoltare, e saper interpretare occorre, difficile esercizio che reca doni preziosi, e da molti errori ed orrori preserva.
E soprattutto questa: che cedere alla menzogna, alla presunzione, al pregiudizio, alla prepotenza, alla violenza, che cedere al male non devi.
Quante cose abbiamo imparato leggendo Ricoeur.
18. HERI DICEBAMUS. CLEMENTINA, DEL VOLTO
Un volto di donna infagottata, tra due fucili che quel volto minacciano, tenuti da due armigeri senza volto, in una stanza nuda, dinanzi a una telecamera.
E quel volto e' l'ora presente dell'umanita', e' il volto che vide e ci disse Emmanuel Levinas.
E' il volto che ci convoca alla responsabilita'.
19. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riedizioni
- Herbert Marcuse, Eros e civilta', Einaudi, Torino 1964, 2001, Fabbri-Rcs, Milano 2007, 2011, pp. 282, euro 9,90.
- Amelie Nothomb, L'entrata di Cristo a Bruxelles. Senza nome, Voland, Roma 2008, Il sole 24 ore, Milano 2011, pp. 80, euro 2 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
- Elena Ragusa (a cura di), Velazquez, Skira'-Rcs, Milano 2003, 2011, pp. 192, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
20. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
21. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 613 dell'11 luglio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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