Telegrammi. 577



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 577 del 5 giugno 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Servirebbe subito uno sciopero generale contro la guerra

2. Movimento Nonviolento: Settantunesimo giorno di digiuno nonviolento collettivo a staffetta per opporsi alla guerra e al nucleare

3. Acqua senza veleni

4. Raffaele Laporta: Prefazione a "Storia della scuola" di Saverio Santamaita (1998)

5. Per sostenere il Movimento Nonviolento

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: SERVIREBBE SUBITO UNO SCIOPERO GENERALE CONTRO LA GUERRA

 

Servirebbe subito uno sciopero generale contro la guerra.

Per far cessare la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, dove troppe persone sono gia' morte.

Per far cessare la partecipazione italiana alla guerra in Libia, dove troppe persone sono gia' morte.

Per far cessare la persecuzione razzista italiana ed europea contro i migranti, persecuzione a causa della quale troppe persone sono gia' morte e troppe persone sono state ridotte in schiavitu'.

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Servirebbe subito uno sciopero generale affinche' l'Italia torni al rispetto della legge posta a fondamento del nostro ordinamento giuridico, la Costituzione della Repubblica Italiana, che all'articolo 10 riconosce il diritto di asilo - e quindi il dovere di accoglienza e di assistenza - per chi e' in fuga da paesi in cui i suoi diritti umani non sono riconosciuti e protetti.

Servirebbe subito uno sciopero generale affinche' l'Italia torni al rispetto della legge posta a fondamento del nostro ordinamento giuridico, la Costituzione della Repubblica Italiana, che all'articolo 11 "ripudia la guerra" e quindi esplicitamente ed inequivocabilmente proibisce la partecipazione italiana alle guerre in corso in Afghanistan e in Libia.

Servirebbe subito uno sciopero generale affinche' l'Italia torni al rispetto della legge posta a fondamento del nostro ordinamento giuridico, la Costituzione della Repubblica Italiana, che agli articoli 2 e 3 riconosce i diritti umani di tutti gli esseri umani e proibisce il razzismo.

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Servirebbe subito uno sciopero generale affinche' l'Italia cessi di partecipare alle guerre terroriste, razziste e stragiste; affinche' l'Italia cessi di commettere e provocare omicidi; affinche' l'Italia torni a rispettare la vita umana.

Uno sciopero generale per la legalita' e la misericordia, per la civilta' e l'umanita', per salvare il nostro paese dalla barbarie, per salvare tante vite innocenti che una politica criminale e insensata sta assassinando.

Solo la pace salva le vite.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. INIZIATIVE. MOVIMENTO NONVIOLENTO: SETTANTUNESIMO GIORNO DI DIGIUNO NONVIOLENTO COLLETTIVO A STAFFETTA PER OPPORSI ALLA GUERRA E AL NUCLEARE

[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]

 

Sono piu' di 160 le amiche e gli amici della nonviolenza che hanno finora aderito al digiuno promosso dal Movimento Nonviolento "per opporsi alla guerra e al nucleare".

Questa iniziativa nonviolenta prosegue dal 27 marzo scorso. Si digiuna in ogni parte d'Italia, da Trieste a Palermo, da Torino a Venezia, da Verona a Bari.

La nonviolenza e' contagiosa; abbiamo iniziato con un digiuno di 48 ore, che sta proseguendo da 71 giorni.

Chi desidera aderire al digiuno lo puo' comunicare a: azionenonviolenta at sis.it (indicare nome, cognome, citta', giorno o giorni di digiuno).

 

3. RIFLESSIONE. ACQUA SENZA VELENI

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Il 12-13 giugno occorre votare si' ai referendum in difesa dell'acqua come bene comune e dell'accesso all'acqua come diritto umano.

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Senza assumere acqua gli esseri umani muoiono.

L'acqua non e' una merce, e l'accesso all'acqua e' un bisogno e quindi un diritto umano fondamentale.

Per questo essa deve essere considerata un bene comune, una risorsa preziosa di cui prendersi cura, un primario interesse collettivo, e quindi nella sua gestione occorre esercitare una responsabilita', un'attenzione, una sollecitudine, una condivisione le maggiori possibili.

Mercificare l'acqua significa deprivare l'umanita' di una parte essenziale del mondo e di se'.

Privatizzare l'accesso all'acqua significa espropriare l'umanita' di una parte essenziale del proprio bene e della propria vita.

L'acqua, come l'aria, e' un basilare elemento del mondo, e un bene di tutti, indispensabile alla vita di tutti.

La gestione dell'accesso all'acqua deve essere quindi pubblica e garantita a tutti.

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Ma non basta: occorre che le istituzioni pubbliche garantiscano acqua potabile, non inquinata.

Poiche' se le istituzioni omettono gli interventi necessari per garantire acqua potabile, di fatto con cio' favoreggiano l'implicita privatizzazione e mercificazione dell'acqua, sostanzialmente costringendo la popolazione a comprare l'acqua da bere in bottiglia.

La vicenda della eccessiva presenza di arsenico nell'acqua in tanta parte del territorio viterbese e' emblematica: gli enti pubblici potrebbero e dovrebbero dearsenificarla con adeguati impianti di facile realizzabilita': ma, ormai dallo scorso decennio, omettono di realizzare gli interventi necessari per garantire all'intera popolazione acqua non avvelenata. Con tutto cio' che ne consegue inevitabilmente.

E' uno scandalo cosi' flagrante da sembrare incredibile a chi non vive questa realta'.

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Torniamo quindi a ribadire che per quanto concerne la questione dell'arsenico occorre l'impegno di tutte le istituzioni competenti per ottenere la completa dearsenificazione dell'acqua da bere, ed in particolare che in tutti i Comuni in cui l'acqua erogata nelle case supera la concentrazione di arsenico di 10 microgrammi per litro di acqua le amministrazioni comunali si impegnino immediatamente a:

1. emettere ordinanze di non potabilita', affinche' i cittadini non si avvelenino;

2. realizzare al piu' presto impianti di dearsenificazione che dearsenifichino alla fonte tutte le acque che giungono nelle case come potabili; e' possibile farlo con risultati adeguati, in tempi brevi e con costi contenuti;

3. durante la realizzazione dei dearsenificatori fornire acqua con autobotti all'intera popolazione, agli esercizi produttivi, ai servizi;

4. informare finalmente in modo onesto la popolazione: l'arsenico e' un veleno e l'obiettivo finale delle istituzioni deve essere fornire acqua del tutto priva di arsenico.

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Ed ugualmente torniamo a ribadire che il 12-13 giugno occorre votare si' ai referendum sull'acqua bene comune e diritto umano, contro la privatizzazione dei servizi idrici e contro la speculazione sulla gestione degli stessi.

Ed occorre votare si' anche negli altri referendum: contro la criminale follia atomica - e dopo Hiroshima, Cernobyl, Fukushima, nessuna persona ragionevole puo' avere dubbi sull'estrema pericolosita' e sull'assoluta inammissibilita' del nucleare; e per l'uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, ovvero affinche' nessuno si possa sottrarre ai controlli di legalita' sul suo operato, massime chi e' investito di rilevantissimi pubblici poteri come i membri del governo.

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Le persone partecipanti agli incontri di formazione alla nonviolenza presso il centro sociale "Valle Faul" di Viterbo

Viterbo, 4 giugno 2011

 

4. LIBRI. RAFFAELE LAPORTA: PREFAZIONE A "STORIA DELLA SCUOLA" DI SAVERIO SANTAMAITA (1998)

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo la prefazione di Raffaele Laporta al libro di Saverio Santamaita, Storia della scuola. Dalla scuola al sistema formativo, Bruno Mondadori, Milano 1999, 2010. Un profilo biografico di Raffaele Laporta scritto da Saverio Santamaita e' nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 576.

Raffaele Laporta (1916-2000) e' una delle grandi figure dell'impegno civile e pedagogico in Italia nel Novecento.

Saverio Santamaita insegna Storia della Pedagogia alla Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Chieti; ha svolto attivita' formative e progetti di ricerca per conto di numerosi enti pubblici e privati; si e' occupato di attivismo pedagogico, di educazione degli adulti ed educazione permanente, anche in prospettiva storica, di formazione iniziale e di formazione in servizio degli insegnanti, di Fad e di E-learning. Tra le opere di Saverio Santamaita: Educazione, comunita', sviluppo. L'impegno educativo di Adriano Olivetti, Fondazione Olivetti, Roma 1987; L'aggiornamento. Dalla parte degli insegnanti, Mursia, Milano 1989; con G. Bonetta, Scuola ed emancipazione civile nel Mezzogiorno, Franco Angeli, Milano 1992; Non di solo pane. Lo sviluppo, la societa', l'educazione nel pensiero di Giorgio Ceriani Sebregondi, Fondazione Olivetti, Milano 1998; Storia della scuola. Dalla scuola al sistema formativo, Bruno Mondadori, Milano 1999, 2010; Laurearsi in Scienze della formazione. Progetto, ricerca, scrittura, Carocci, Roma 2009; con Antonio Santoni Rugiu, Il professore nella scuola italiana dall'Ottocento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2011]

 

Una storia della scuola, come quella di ogni istituzione (della giustizia, del Parlamento, dell'universita' e via dicendo), ha caratteri propri, che risalgono alla funzione specifica dell'istituzione medesima. Nel nostro caso, la funzione della scuola nella societa'.

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Quando e perche' nasce la scuola

Una societa' e' "semplice" o, come si dice abitualmente, "primitiva", perche' le funzioni che servono a tenerla unita e operante sono poche e non sono tradotte in istituzioni, ma consistono in comportamenti e azioni regolati soltanto dal costume. Chiunque segua abitualmente il cinema, magari attraverso la televisione, sa che nei film ambientati in societa' primitive la funzione di governo e' svolta da un capo o da un consiglio di anziani, eletti dagli adulti maschi della tribu', e che questi ultimi talvolta sono anche convocati in assemblee per decidere di questioni molto gravi, come la pace o la guerra. Gli anziani ricoprono inoltre il ruolo di giudici nelle controversie di ogni specie fra i membri del gruppo tribale, anche se, in casi di grave offesa, il giudizio e' affidato al duello fra le parti in causa. E non esiste in queste societa' alcuna istituzione a tutela della salute (come, per esempio, infermerie o ospedali), ma la cura delle malattie e' affidata a maghi o stregoni; e infine in tali societa' non esistono scuole, perche' i bambini si educano automaticamente assimilando gli usi e i costumi degli adulti, semplicemente partecipando alla vita familiare e del gruppo tribale.

D'altra parte i film western ci hanno abituati ad ambienti un po' meno primitivi, come per esempio i villaggi dei pionieri fondati dall'uomo bianco in terre ancora selvagge, in cui si vedono gia' i riflessi della societa' "complessa", moderna, perche' oltre a un certo numero di oggetti e strumenti dovuti al progresso tecnico, vi compaiono gia', in forma elementare, le istituzioni su cui essa si fonda: lo sceriffo al posto della polizia, il medico, la diligenza, con la quale, talvolta, giunge nel villaggio l'eroina del film che per guadagnarsi da vivere non trova di meglio che aprire una scuola, dove insegna a leggere e a scrivere magari usando la Bibbia come libro di testo.

Le societa' divengono complesse via via che arricchiscono la propria cultura, moltiplicano le occupazioni produttive, passano dalla pastorizia all'agricoltura, dall'artigianato all'industria, dagli scambi fra i vicini ai commerci, e via dicendo, e hanno quindi bisogno di organizzare in modo piu' stabile ed efficiente le funzioni fondamentali su cui si regge la vita associata: un governo che operi secondo leggi studiate da specialisti, discusse e decise da assemblee elettive, applicate da funzionari; attivita' produttive variegate svolte con strumenti e macchine efficienti, sostenute da un sistema finanziario, attivate da tecnici e specialisti, mezzi e sistemi di comunicazione permanenti e adeguati, servizi organizzati per la tutela della salute e cosi' via. Tutto cio' richiede lo sviluppo di conoscenze scientifiche e tecniche sempre piu' numerose, difficili da padroneggiare, che, a loro volta, danno luogo a necessarie specializzazioni.

In societa' di questo tipo, che sono quelle in cui viviamo, e' indispensabile possedere un gran numero di conoscenze generali e una certa quantita' di altre conoscenze e abilita' particolari, necessarie per svolgere un'attivita' specifica. Nessun bambino riuscirebbe da solo a crescere e a farsi strada in una societa' complessa senza guide capaci di fornirgli la cultura necessaria. Le scuole diventano percio' sempre piu' numerose, durano sempre piu' a lungo, si differenziano sempre di piu' nei loro obiettivi finali, e richiedono insegnanti sempre piu' specializzati.

Ma chi frequenta queste scuole? Originariamente esse avevano carattere privato ed erano destinate alle classi dirigenti, cioe' ai pochi che volevano e potevano primeggiare nella societa' controllandone le istituzioni. Queste classi variavano secondo i tempi e le forme in cui il potere veniva esercitato, ma tale potere includeva sempre il possesso delle conoscenze disponibili. Il resto della popolazione si limitava ad apprendere quel tanto che bastava per vivere in famiglia e nel vicinato, per svolgere lavori da imparare con la pratica. Il successivo sviluppo delle scuole (all'incirca dal XVII secolo in poi) fu il risultato di due fenomeni concomitanti: da un lato l'aumento di nuove occupazioni che richiedevano lavoratori sempre piu' numerosi e preparati a svolgerle; dall'altro le lotte sociali che assicuravano alle classi popolari una cultura sempre piu' diffusa e piu' ricca a difesa dei loro diritti civili e politici. Cosi' la scuola e' diventata un po' alla volta obbligatoria per tutti, e per un tempo sempre piu' lungo: fino ai sedici anni e anche piu', a seconda dei paesi.

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Scuola e storia politica e sociale

Conoscere la storia della scuola nel nostro paese significa percio' ricostruire, di riflesso, la storia della societa' italiana, almeno dal momento in cui essa incomincia ad acquistare la coscienza di essere una nazione; vuol dire seguire lo sviluppo e la diffusione di tale coscienza dalle classi dirigenti a tutto il popolo; scoprire come le classi dirigenti si siano regolate per aprire le scuole alle classi popolari; e come queste ultime, attraverso la scuola (ma anche per altre vie, e soprattutto attraverso le lotte sociali), abbiano acquistato sia la coscienza dei propri diritti civili e politici, sia la cultura necessaria ad affermarsi economicamente e socialmente nell'ambito della societa' nazionale.

Nella storia della scuola italiana si riflettono quindi tanto le vicende politiche del Risorgimento (con le sue guerre e con la partecipazione progressiva agli avvenimenti di altre nazioni europee), quanto le lotte sociali che hanno trasformato progressivamente lo Stato originario (costituito in regno e profondamente diviso fra una elite agraria e industriale e una plebe di contadini, braccianti e operai esclusa dalla vita politica) in una repubblica in cui i diritti e i doveri sono divenuti uguali per tutti e il lavoro e' concepito (almeno in teoria) come il fondamento della convivenza comune.

La storia della scuola, naturalmente, non riflette soltanto la storia politica e sociale di un popolo, ma tiene conto anche del progresso scientifico e tecnologico, della vita morale, letteraria, artistica, religiosa, dei principi del diritto, del cambiare dei costumi, del persistere e del mutare dei valori che orientano i rapporti fra le persone e i popoli. Deve render conto di come valori quali la pace, la tolleranza, la liberta' e l'uguaglianza di tutte le persone senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche si sono venuti diffondendo nel mondo e ispirano (per quanto sovente ignorati o traditi) i rapporti internazionali e le istituzioni del nostro e di altri paesi.

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Scuola e storia della sua organizzazione

Finora si e' guardato a tutto quel che la scuola ha storicamente assunto a materia del suo insegnamento, come istituzione che ha il compito di preparare i suoi allievi a entrare nella societa' con le conoscenze, le capacita' e i criteri di azione necessari a viverci. Ma per assolvere questa funzione essa deve avere una struttura interna articolata in modo da rispondere alle esigenze sociali e culturali della popolazione infantile e giovanile cui si rivolge; inoltre deve avere una diffusione sufficiente a raggiungere ogni parte del paese, dalle grandi citta' ai villaggi isolati, e quindi un'organizzazione adeguata.

La storia del sistema scolastico italiano sotto questi due aspetti si collega a quelli gia' ricordati. Percio' la sua storia organizzativa e' abbastanza complicata. Il sistema scolastico originario fu quello che il Piemonte, unificando il paese, organizzo' per esso sul modello del Regno di Sardegna, ed era in gran parte diverso da quello attuale. Per esempio, non esisteva la scuola materna, lasciata all'iniziativa privata, mentre la scuola elementare era destinata soltanto alle classi popolari, e fu gradualmente prolungata a tre, a sei e finalmente a otto anni, ma non dava accesso ad altri studi; il ginnasio-liceo di otto anni, cioe' la scuola media e secondaria destinata alle classi dirigenti, incominciava a undici anni, con un esame di ammissione, e accoglieva ragazzi istruiti in famiglia e anche alunni della quinta classe della scuola elementare che attraverso l'esame avessero dimostrato di poter affrontare studi ulteriori. Il ginnasio-liceo dava accesso all'universita'. Per gli impieghi tecnici e per la preparazione degli insegnanti elementari esistevano scuole secondarie apposite, piu' brevi, da cui non si poteva accedere agli studi universitari.

Soltanto nell'ultimo mezzo secolo il nostro sistema scolastico, attraverso una lunga serie di trasformazioni, e' diventato unitario, e addirittura unico dai sei ai dodici anni; e si e' articolato in modo da soddisfare tutte le esigenze moderne di istruzione, in tutti i suoi attuali ordini e gradi (gli "ordini" sono diversi tipi di scuola; i "gradi" sono quelli elementare, medio, secondario) consentendo a tutti di giungere all'universita'.

Anche il processo di distribuzione delle scuole nel paese fu lunghissimo e faticoso, soprattutto nel Meridione.

Inizialmente lo Stato aveva stabilito di assegnare almeno le scuole elementari alle amministrazioni comunali, in modo che ognuna potesse avere la propria; ma per una serie di ragioni politiche, economiche e culturali il progetto falli': molti comuni infatti non avevano i mezzi per sostenere le spese necessarie a una scuola, o addirittura non ne capivano l'utilita'. Lo Stato dovette progressivamente farsi carico di tutte, e via via che la popolazione cresceva provvide anche a istituire le scuole secondarie nei centri che raggiungevano una certa popolazione.

Tale sviluppo organizzativo dovette tener conto dell'aumento della popolazione scolastica che cresceva in virtu' dell'incremento demografico e per l'ampliarsi del territorio nazionale con l'annessione di nuove regioni dal 1870 al 1918. Ad esso corrispondeva la necessita' di sviluppare gli uffici che dovevano occuparsi dell'organizzazione materiale della scuola, del suo funzionamento, dell'assunzione e del pagamento degli insegnanti, dei dirigenti e dell'altro personale. Ma uffici significa burocrazia, e cioe' una gerarchia di funzionari che ha alla base le segreterie delle scuole, e poi uffici provinciali e regionali, dipendenti tutti da un ministero: il Ministero della pubblica istruzione. Una burocrazia efficiente rende la scuola efficiente, ma sovente, quando si parla di burocrazia, ci si riferisce ai tempi lunghi che impiega una decisione di un ufficio centrale, passando per altri uffici, per giungere alla singola scuola; e anche ai tempi che occorrono alla richiesta di una scuola per giungere al ministero, esser considerata e quindi accolta o respinta. L'azione del nostro sistema scolastico e' stata sempre rallentata dalla sua burocrazia; ma di questo aspetto e' difficile fare la storia, come e' difficile fare la storia dell'edilizia scolastica (anch'essa parte della realta' organizzativa della scuola) che e' sempre in ritardo sulle necessita' per ragioni finanziarie e per lungaggini burocratiche.

D'altra parte l'aspetto organizzativo consente di rendersi conto di come la scuola pubblica costituisca l'organizzazione piu' imponente del paese. Nessun'altra istituzione infatti deve provvedere ogni giorno ai bisogni di milioni di persone (gli alunni) mediante l'attivita' di centinaia di migliaia di insegnanti, oltre agli impiegati negli uffici. Percio' il sistema scolastico e' uno dei maggiori problemi di uno Stato, un problema politico.

Quando si e' accennato al Ministero della pubblica istruzione implicitamente si e' toccato l'aspetto politico della scuola. Tutto quel che si e' detto finora di essa non avrebbe senso se non ci fosse una volonta' politica a metterlo in atto. Occorre che lo Stato manifesti questa volonta' attraverso il suo potere legislativo, il Parlamento, che fa le leggi con cui la scuola viene istituita, organizzata, fornita del personale (insegnanti, funzionari degli uffici scolastici) e soprattutto finanziata, perche' ogni suo aspetto costa, e costa molto.

L'applicazione delle leggi spetta al governo, ossia al Consiglio dei ministri, e per quanto riguarda la scuola spetta in particolare al ministro della pubblica istruzione, che e' responsabile dell'attivita' dell'intero sistema scolastico.

E' il Ministero che assume gli insegnanti mediante procedure stabilite dalla legge, li distribuisce nelle scuole, li controlla, li paga; e' il Ministero che stabilisce i programmi scolastici, ossia le finalita' e i contenuti dell'insegnamento di tutte le scuole, la durata di ogni insegnamento, gli orari di ogni scuola, i modi di controllare l'efficacia del lavoro degli insegnanti. Ed e' sempre il Ministero che in base a questi controlli (gli esami) rilascia i titoli di studio, ossia i diplomi che garantiscono la preparazione degli studenti. Ma questa, in sostanza, e' la storia di come la classe politica ha considerato e trattato la scuola, con quali criteri e per quali fini l'ha sviluppata, a cui si e' gia' accennato parlando della funzione politica e sociale della scuola stessa e della sua organizzazione.

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Scuola e storia della didattica e dell'educazione

Tutto quel che si e' detto fin qui riguarda la scuola intesa come istituzione: dagli edifici in cui e' alloggiata, alla sua organizzazione in sezioni e in classi, ai suoi orari, alle varie scadenze (apertura, chiusura, scrutini, esami), all'assunzione degli insegnanti, ai suoi uffici amministrativi, al suo finanziamento ecc. Ma la scuola consiste soprattutto nei suoi alunni, per i quali e' istituita, nei contenuti culturali che vengono loro trasmessi e negli insegnanti che devono mettere gli alunni in grado di impadronirsene. E questa e' tutta storia interna alla scuola.

Quanto agli alunni, si e' gia' detto che essi non sono stati accolti dalla scuola tutti insieme e tutti allo stesso modo. Quelli provenienti dalle famiglie delle classi dirigenti hanno subito avuto a disposizione la scuola di cui avevano bisogno per continuare a essere, a loro volta, classe dirigente. Gli alunni provenienti dalle classi popolari hanno avuto inizialmente soltanto la scuola elementare, e in seguito scuole meno lunghe e meno costose che aprivano la via soltanto al lavoro dei campi, ai mestieri artigianali, al lavoro nelle fabbriche; per la piccola borghesia si sono sviluppate le scuole tecniche. C'e' voluto molto tempo perche' diritti e possibilita' nella scuola fossero uguali per tutti, anche se oggi esistono le prove che tali diritti vengono riconosciuti solo formalmente: molti ragazzi infatti non vanno a scuola (e' il fenomeno dell'evasione scolastica), molti altri l'abbandonano prima della fine (e' il fenomeno della dispersione scolastica). Una scuola riesce a essere davvero tale solo quando e' capace di eliminare o almeno ridurre drasticamente questi fenomeni. E in cio' consiste il suo aspetto piu' importante, cioe' l'aspetto didattico.

La cultura fornita dalla scuola risponde a progetti educativi formulati dallo Stato attraverso i programmi scolastici, che propongono i fini dell'educazione e i contenuti culturali necessari a realizzarli e qualche volta forniscono anche indicazioni di metodo (oppure lasciano in materia liberta' totale all'insegnante). I programmi di solito servono di base e di orientamento agli editori di testi scolastici (manuali, opere di completamento ecc.) e ai produttori di altri materiali didattici. Sempre piu' frequenti sono anche le riviste specializzate che forniscono a loro volta orientamenti e materiali di vario tipo, ricavati sia dalle indicazioni dei programmi sia dalla letteratura pedagogica e didattica.

Con questa letteratura (collane di volumi di pedagogia, didattica, scienze dell'educazione) si entra nel campo della formazione degli insegnanti e del loro aggiornamento professionale. Questo e' uno degli aspetti fondamentali della storia della scuola, poiche' nell'ambito del sistema scolastico gli insegnanti svolgono una funzione essenziale sebbene la loro storia sia quella di una classe di professionisti generalmente maltrattata sia dal punto di vista della formazione culturale e professionale, sia da quello dei riconoscimenti morali e materiali: soprattutto dal punto di vista economico gli insegnanti sono sempre stati agli ultimi posti fra le professioni di interesse pubblico.

Questo dispregio di un lavoro cosi' importante e' la conseguenza di una falsa concezione dell'educazione, per la quale si crede che chiunque sia in grado di educare: tanto che, come si e' accennato, per molto tempo le famiglie benestanti si sono sostituite alla scuola nella prima educazione dei figli, con il consenso della legge che, nel nostro paese, autorizzava la cosiddetta "scuola paterna" in sostituzione di quella pubblica. E cio' e' avvenuto non senza buone ragioni, poiche' per secoli gli insegnanti sono diventati tali - soprattutto nella scuola elementare - solo dando prova di una certa cultura, ritenuta sufficiente a impartire i rudimenti delle conoscenze ("leggere, scrivere e far di conto"); e se nelle scuole secondarie si richiedeva loro di conoscere bene le materie che avrebbero dovuto insegnare, non ci si preoccupava pero' di come le avrebbero insegnate: ossia non si immaginava che l'insegnamento richiedesse una preparazione specialistica.

Solo molto lentamente e faticosamente gli sviluppi della pedagogia, della didattica, della psicologia e sociologia dell'educazione e di altre ricerche scientifiche concernenti la progettazione e la valutazione del rendimento degli alunni hanno fatto capire la profonda differenza tra l'educazione familiare (la quale serve a porre le basi della personalita', ma richiede semplicemente l'assimilazione da parte dei bambini dei comportamenti dei familiari, e in primo luogo dei genitori) e l'educazione scolastica, nella quale in un tempo necessariamente limitato ogni insegnante deve trattare con un numero variabile, ma sempre alto di alunni, riuscendo a ottenere da ognuno di essi un rendimento culturale soddisfacente. La "crisi della scuola" di cui da sempre si parla e' in gran parte la conseguenza dello scarso interesse della societa' alla formazione di insegnanti davvero competenti, ossia padroni di una didattica efficace.

Ne segue che l'insegnamento costituisce a volte un'occupazione di ripiego (per chi ha fallito in altre professioni, secondo l'adagio assai diffuso: "Chi sa lavora, e chi non sa insegna"), o aggiunta ad altre. Per esempio, le donne tradizionalmente l'hanno spesso scelta perche' lascia il tempo libero necessario ad accudire la famiglia. La storia della scuola e' percio' anche quella di una progressiva rivalutazione della professione dell'insegnante (tanto sul terreno culturale e tecnico quanto su quello economico) in vista della quale gli insegnanti si sono organizzati in associazioni professionali e sindacali attraverso cui far valere i propri diritti: una professione sempre piu' difficile a svolgersi, via via che gli studi delle scienze dell'educazione vanno rivelando quanto sia arduo ottenere dagli alunni di ogni eta' e condizione sociale un effettivo apprendimento (e non quell'"imparaticcio" che fa parlare, come si e' visto, di "crisi della scuola").

La storia dell'educazione fa dunque da sfondo alla storia della scuola. Come si diceva all'inizio, la scuola e' un'istituzione che nasce nelle societa' piu' complesse, che non possono piu' contare sul fatto che i bambini e gli adolescenti assimilino casualmente, per il semplice fatto di viverci in mezzo, la cultura necessaria per essere elementi validi della societa' futura (basta guardarsi intorno, tra le persone con cui si viene a contatto, per poter giudicare della maggior o minore efficienza e utilita' di ognuna alla vita sociale). Percio' la storia dell'educazione e' assai piu' lunga e piu' ampia della storia della scuola. Noi non possiamo risalire ai suoi inizi, ma certo almeno ai primi tentativi documentati di tener conto dell'esistenza di una questione educativa. Poi la sua storia si confonde con quella della cultura, soprattutto di quella filosofica, fino a che la questione educativa non dara' luogo alle prime ricerche scientifiche.

Tuttavia la scuola dipende per la sua storia anche da quella del progresso culturale del paese, e quindi, soprattutto nei tempi moderni, dell'universita'. L'universita', in primo luogo, con i risultati che ottiene dalla propria attivita' di ricerca influenza i contenuti dei programmi scolastici; inoltre essa ha sempre avuto il compito di formare gli insegnanti della scuola secondaria, e da qualche anno anche quello di formare i maestri.

Si e' arrivati a questo risultato via via che nell'universita' si sono andate affermando le scienze dell'educazione che, insieme con la pedagogia, hanno avuto il merito di rendere evidente la necessita' della formazione professionale degli insegnanti, approfondendo lo studio dei modi e dei metodi di insegnare. Oggi l'universita', almeno in molti suoi settori, ha stabilito un saldo rapporto con il sistema scolastico: anche perche' soltanto migliorando l'efficienza e l'efficacia del sistema essa puo' sperare di veder giungere nelle sue aule giovani preparati a continuare gli studi.

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Perche' dunque la storia della scuola? Che senso ha studiare la storia della scuola?

Quanto si e' detto finora puo' servire a dare una risposta. Chi entra nella scuola oggi ne ha un'idea che risale a quella che se ne fece frequentandola da studente. Ma la prospettiva degli studenti investe soltanto alcuni dei suoi aspetti, e soprattutto non tiene conto delle origini dell'istituzione in cui si entra e si lavora ogni giorno. Dagli studenti e' frequente sentir dire che la scuola serve a poco o a nulla; ed e' comprensibile che cio' accada quando essa non si fa percepire come una realta' necessaria. La maggior parte degli adulti oggi conserva della scuola l'immagine che ne aveva da studente, buona o cattiva a seconda dell'esperienza vissuta, ma non immagina che molte delle difficolta' e delle delusioni incontrate siano dipese dalla poca professionalita' degli insegnanti: perche' l'idea che l'insegnante sia un professionista e un tecnico purtroppo non appartiene ancora alla nostra cultura.

Anche molti fra gli insegnanti piu' anziani partecipano di questa ignoranza, perche' la loro formazione non ha avuto nulla di professionistico. E' verissimo anche che ognuno di noi conosce insegnanti che sono meri mestieranti e svolgono da dilettanti e senza passione la propria professione: non per nulla spesso la scuola e', come si e' detto, un'occupazione di seconda scelta. Tuttavia, se si vuole entrare nella scuola con l'intento di lavorare seriamente, oggi non e' piu' possibile professare una simile idea; ed e' proprio il tipo del mestierante dilettante che una seria formazione professionale intende eliminare impegnando gli aspiranti insegnanti in una formazione che dovrebbe servire a selezionarli adeguatamente.

La storia della scuola dovrebbe chiarire anche, fra l'altro, proprio l'evoluzione della figura dell'insegnante. Ma non solo. In quanto problema politico non si puo' comprendere la scuola senza sapere da dove viene come istituzione e quali vicende politiche ha attraversato.

Pur prescindendo dal fatto che attraverso la storia della scuola anche il progresso sociale e civile delle nazioni appare piu' chiaro, essa puo' aiutarci a capire alcune "questioni" che hanno profondamente caratterizzato la vita politica e sociale del nostro paese. Per esempio, esiste anche oggi in Italia una "questione scolastica" nella quale si fronteggiano lo Stato e la Chiesa cattolica. Perche' accade questo? Qual e' l'interesse della Chiesa per la scuola? Quale e' stata nel tempo la sua azione in essa? Perche' quell'interesse si scontra con quello dello Stato? Perche' in Italia accanto alla scuola pubblica esistono scuole private in gran parte religiose?

Avere un'idea di come la scuola pubblica sia nata e sia andata crescendo, significa comprendere i problemi che essa ha dovuto - o cercato di - risolvere, problemi che ancora oggi, con modalita' piu' o meno differenti, si ripresentano. Per esempio: da qualche tempo si parla spesso di autonomia scolastica, e la si interpreta, tra l'altro, anche nel senso che la scuola puo' essere lasciata dallo Stato alle regioni, e da queste agli enti locali (comuni e provincie); e che le scuole in definitiva possono addirittura amministrarsi e programmare da sole il proprio lavoro. Se si conosce la storia della scuola italiana ci si potra' chiedere se sia davvero il caso che questo accada, visto che le scuole elementari quando erano comunali funzionavano, in molte parti del paese, poco o nulla; e ci si puo' anche chiedere: se e' vero che la scuola dovrebbe educare i futuri cittadini italiani a un minimo di valori ideali comuni, e la nostra scuola ha svolto piu' o meno bene proprio questo compito, sara' possibile alle regioni sostituirsi allo Stato nell'organizzare un tale insegnamento? E poi, quale pratica, quali tradizioni hanno le regioni in campo scolastico? L'organizzazione della scuola e' tutt'altro che un compito facile, e da essa dipende per certi aspetti importanti tutta la sua attivita'.

Stando cosi' le cose, e' ovvio che la storia della scuola non dovrebbe interessare soltanto gli insegnanti. Essi devono viverci dentro e devono quindi sapere quel che occorre a chiunque che, assumendo un lavoro, non puo' esser sicuro di farlo bene se non conosce la ragione di certi modi di concepirlo, di organizzarlo, di valutarlo. E devono anche sapere quanto e' cambiata la scuola da quella che un tempo li vide studenti. Ma la storia della scuola dovrebbe essere ben conosciuta anche da ogni cittadino che, in ultima analisi, e' chiamato a decidere direttamente, o attraverso i suoi rappresentanti, le sorti della scuola in un mondo in continua trasformazione. Le questioni che abbiamo appena accennate come esempi potranno essere risolte in un modo o nell'altro. Il modo peggiore di risolverle pero' sarebbe quello di deciderle senza conoscerne ne' la storia ne' la sostanza, come non di rado e' accaduto nella storia civile del nostro paese.

Pescara, luglio 1998

 

5. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riedizioni

- Fabio D'Amico (a cura di), Kandinsky, Skira'-Rcs, Milano 2004, 2011, pp. 192, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

- John H. Elliott, Imperi dell'Atlantico. America britannica e America Spagnola, 1492-1830, Einaudi, Torino 2010, Mondadori, Milano 2011, pp. XXII + 684, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).

- Salomon Resnik, Persona e psicosi. Il linguaggio del corpo, Einaudi, Torino 1976, 2001, Fabbri - Rcs Libri, Milano 2007, 2011, pp. XL + 278, euro 9,90.

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 577 del 5 giugno 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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