Coi piedi per terra. 465



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 465 del 6 maggio 2011

 

In questo numero:

1. Alcuni estratti da "Prosperita' senza crescita" di Tim Jackson (parte seconda e conclusiva)

2. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo

 

1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "PROSPERITA' SENZA CRESCITA" DI TIM JACKSON (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Tim Jackson, Prosperita' senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizione Ambiente, Milano 2011 (ed. originale: Prosperity without Growth: Economics for a Finite Planet, Earthscan, London 2009). A cura di Gianfranco Bologna, con prefazioni di Carlo Petrini, Herman Daly, Bill McKibben.

Tim Jackson e' docente di Sviluppo sostenibile e direttore del "Research group on Lifestyles, Values and Environment (Resolve) all'Universita' del Surrey. Per un'adeguata notizia biobibliografica cfr. la pagina web www.ces-surrey.org.uk/people/staff/tjackson.shtml]

 

Da p. 213

Stabilire i limiti

L'abitudine allo spreco della societa' consumistica sta dilapidando le risorse materiali piu' importanti e sottoponendo gli ecosistemi del pianeta a uno stress insostenibile (capitolo 5). E' essenziale stabilire chiari limiti in materia di ambiente e sull'utilizzo delle risorse, integrandoli nei meccanismi economici (capitolo 8 e appendice 2) e sociali (capitolo 9). Le nostre prime tre proposte concrete riguardano questo obiettivo.

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1. Tetti massimi su utilizzo delle risorse ed emissioni, ed obiettivi di riduzione

E' necessario che l'attivita' economica sia molto piu' consapevole dei limiti ecologici del pianeta: se vogliamo un'economia sostenibile e' fondamentale fissare tetti massimi per l'utilizzo delle risorse e per le emissioni prodotte, stabilendo obiettivi di riduzione al di sotto di tali valori. Gli obiettivi di stabilizzazione e i "budget delle emissioni" di gas serra sono un tipico esempio di questo tipo di azione, sebbene la loro implementazione lasci a desiderare.

Per considerare insieme il principio di uguaglianza e i limiti ecologici, potrebbe risultare molto utile il modello noto come "contrazione e convergenza", in cui si definisce una quantita' ammessa, pari per tutti, in modo che ognuno tenda ad allinearsi a un livello sostenibile. E' un approccio adottato in parte per le emissioni, ma si potrebbero stabilire tetti simili anche per l'estrazione delle risorse non rinnovabili scarse, la produzione di rifiuti (in particolare rifiuti tossici o pericolosi), il consumo di acqua fossile e il tasso di sfruttamento delle risorse rinnovabili.

Si dovrebbero anche prevedere meccanismi efficaci per il raggiungimento degli obiettivi al di sotto di questi tetti. Inoltre, una volta stabiliti, i limiti dovrebbero essere integrati in un quadro economico realistico (vedi la raccomandazione 4).

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2. Riforma fiscale per la sostenibilita'

L'interiorizzazione delle esternalita' prodotte dalle attivita' economiche e' un principio ormai accettato da almeno 20 anni. Imporre una tassa sulle emissioni, per esempio, da' un segnale forte sul valore che diamo al clima e incoraggia le persone a passare a processi, tecnologie e attivita' a basso impatto. Una soluzione di questo tipo e' gia' stata prevista dai cosiddetti "meccanismi flessibili" del Protocollo di Kyoto e dallo schema europeo di commercio dei diritti di emissione (Eu-Ets), e permetterebbe lo scambio di permessi al di sotto del tetto stabilito (vedi la raccomandazione 1).

Un'estensione interessante di questa logica e' l'idea di una riforma fiscale ecologica, che sposti la pressione dagli elementi economici positivi (come il reddito) a quelli ecologici negativi (come l'inquinamento). Le tasse sulle emissioni, per esempio, potrebbero essere fiscalmente neutre in modo da non pesare su imprese e famiglie, e potrebbero essere compensate da sgravi per i datori di lavoro. Questa logica si e' sviluppata nel corso di almeno un decennio, con implementazioni di varia entita' in tutta Europa, ma purtroppo siamo ancora ben lontani dal veder realizzata una riforma fiscale ecologica significativa.

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3. Sostegno per la transizione ecologica nei paesi in via di sviluppo

Uno dei motivi principali per cui il concetto di prosperita' va ripensato nelle economie avanzate e' la necessita' di fare spazio alla crescita di cui hanno vitale bisogno le nazioni piu' povere. Tuttavia l'espansione di queste ultime comportera' anche l'esigenza di assicurare, da subito, che il loro sviluppo sia sostenibile e rimanga entro i limiti ecologici del pianeta. In particolare saranno necessari solidi meccanismi di finanziamento che mettano quantita' sufficienti di risorse a disposizione dei paesi in via di sviluppo.

La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Fccc) ha gia' individuato un meccanismo del genere: il cosiddetto Fondo Globale per l'Ambiente o Gef (acronimo dell'inglese Global Environment Facility). E' della massima importanza ampliare e moltiplicare le iniziative per il trasferimento di fondi come questa, ma continueranno a essere fondamentali anche gli investimenti in fonti rinnovabili, efficienza energetica, efficienza delle risorse, infrastrutture a basso impatto e salvaguardia della biodiversita' e dei cosiddetti carbon sink (o pozzi di assorbimento della CO2, come le foreste).

I paesi in via di sviluppo presentano anche un'altra questione problematica: quale effetto avrebbe sulle loro esportazioni una riduzione dei consumi nelle economie avanzate? In realta' oggi alcuni studi indicano che nel lungo periodo il problema potrebbe essere meno spinoso del previsto, perche' nei paesi di recente industrializzazione la crescita dipende soprattutto dai consumi nazionali e dal commercio con altre nazioni simili. Tuttavia per qualche tempo sara' necessario dare un sostegno strutturale alla transizione verso un'economia sostenibile dei paesi in via di sviluppo.

Il finanziamento sia degli investimenti sia di queste esigenze strutturali potrebbe derivare da varie fonti, tra cui una tassa sulla CO2 pagata dalle nazioni piu' ricche per le importazioni dai paesi in via di sviluppo, o una Tobin tax sulle transazioni in valuta estera (vedi la raccomandazione 6).

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Da p. 216

Correggere il modello economico

Un'economia fondata sull'infinita espansione dei consumi materialistici, basati a loro volta sull'indebitamento, e' insostenibile dal punto di vista ecologico, problematica da quello sociale e instabile da quello economico (capitoli 2, 5 e 6). Per cambiare le cose occorre sviluppare una nuova macroeconomia della sostenibilita' (capitoli 7, 8 e appendice 2): abbiamo bisogno di un motore economico la cui stabilita' non dipenda dalla continua crescita dei consumi e dall'espansione del throughput materiale. Dobbiamo costruire questo modello il prima possibile, e ci sono vari modi in cui la politica puo' aiutarci a farlo.

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4. Sviluppare una macroeconomia ecologica

Un passo cruciale e' sviluppare le competenze tecniche relative a quella che abbiamo chiamato "macroeconomia ecologica". In sostanza questo significa che dobbiamo riuscire a prevedere la reazione dell'economia all'imposizione di limiti piu' stretti su emissioni e utilizzo delle risorse, e quindi riuscire a ipotizzare scenari caratterizzati da diverse combinazioni di consumi, investimenti, occupazione e crescita della produttivita'.

Per questo e' fondamentale rivedere cio' che pensiamo di sapere sulla produttivita' del lavoro e del capitale. Inseguire continui miglioramenti di produttivita' del lavoro costringe l'economia a crescere per mantenere costante l'occupazione; ma questa logica potrebbe non essere applicabile nel caso di conversione dell'economia a servizi caratterizzati dall'impiego di un numero maggiore di persone per unita' di output (capitolo 8). Nell'Unione Europea l'impatto della produttivita' del lavoro decrescente e' gia' un problema: invece di cercare di contrastare questa tendenza, sarebbe meglio dare inizio a una transizione strutturale verso attivita' e settori a basso impatto e ad alta intensita' di lavoro.

Nella nostra analisi e' emerso come elemento chiave anche il cosiddetto "investimento ecologico" (vedi la raccomandazione 5).

Anche in questo caso ha un ruolo centrale la produttivita', ma questa volta si tratta di quella del capitale. Gli investimenti ecologici avranno tassi di rendimento e periodi di recupero diversi ed e' probabile che, valutati secondo le tecniche tradizionali, risulteranno "meno redditizi" di altri. Per questo sara' opportuno tenere conto anche delle condizioni e degli obiettivi di tali investimenti (appendice 2).

Inoltre la nuova macroeconomia dovrebbe tenere conto in qualche modo del valore del capitale naturale e dei servizi forniti dagli ecosistemi. Alla fine anche queste voci dovranno essere integrate nella valutazione dello stock di capitale, nelle funzioni di produzione e nel calcolo dei flussi di consumo.

Riuscire a far funzionare tutto questo e' una sfida enorme ma appassionante. Non abbiamo modelli precedenti a cui fare riferimento per sviluppare un nuovo e coerente quadro macroeconomico della sostenibilita', ma pensiamo che non debba avere nulla a che fare con la "scienza triste" di Thomas Malthus: e' l'occasione, anzi, di stimolare giovani e brillanti economisti a elaborare un'economia adatta al futuro.

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5. Investire in posti di lavoro, risorse economiche e infrastrutture

Investire in posti di lavoro, risorse economiche e infrastrutture sara' un elemento chiave della ripresa economica, ma anche uno dei fondamenti della nuova macroeconomia ecologica. L'investimento ecologico ha alcuni obiettivi chiari, tra cui:

- riqualificazione edilizia, attraverso l'implementazione di sistemi a basso impatto e basso consumo energetico;

- tecnologie basate su fonti rinnovabili;

- riprogettazione delle reti per la distribuzione dei servizi di pubblica utilita', tra cui in particolare l'elettricita';

- infrastrutture per il trasporto pubblico;

- aree pubbliche (zone pedonali, spazi verdi, biblioteche e cosi' via);

- salvaguardia e valorizzazione dell'ecosistema.

Investire in nuovi occupati e nelle loro competenze sara' anche importante per mantenere e migliorare gli edifici e le infrastrutture esistenti. La creazione di posti di lavoro dovrebbe infatti essere considerato un obiettivo di investimento legittimo ogni volta che le persone impiegate proteggono o migliorano le risorse economiche pubbliche.

Ma per l'investimento ecologico non e' sufficiente convogliare le risorse verso determinati obiettivi: e' necessaria una diversa "ecologia" degli investimenti. In particolare dobbiamo considerare le condizioni di investimento, i tassi di rendimento e i periodi di recupero, e la struttura dei mercati finanziari. Infine dovremo anche sollevare la difficile questione della proprieta' delle risorse economiche e del controllo sui surplus che esse generano, al centro della quale ci sono la natura e il ruolo degli stessi diritti di proprieta'.

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6. Aumentare la prudenza finanziaria e fiscale

Negli ultimi 20 anni la crescita economica si e' appoggiata ai consumi materialistici basati sull'indebitamento: per sostenerli siamo arrivati a destabilizzare la macroeconomia, contribuendo alla crisi globale. Sta crescendo il consenso generale rispetto alla necessita' di inaugurare una nuova epoca di prudenza finanziaria e fiscale, e molte proposte importanti sono gia' state discusse a livello internazionale.

Tra di esse citiamo: la riforma della regolamentazione dei mercati finanziari nazionali e internazionali; la messa al bando di pratiche di mercato incaute e destabilizzanti (come la vendita allo scoperto); la riduzione (o la commisurazione alla performance) dei premi elargiti ai dirigenti; le azioni volte a contrastare l'eccessivo indebitamento privato e a favorire il risparmio.

Ci sono altre idee che vale la pena considerare: tra quelle che per vari motivi hanno attirato di piu' l'attenzione, c'e' quella di una tassa sulle transazioni in valuta estera. La cosiddetta "Tobin tax" fu ideata dal premio Nobel per l'Economia James Tobin come meccanismo per ridurre l'effetto potenzialmente destabilizzante delle fluttuazioni valutarie, ma e' stata anche proposta per limitare la mobilita' del capitale in generale o per finanziare lo sviluppo dei paesi emergenti (ridistribuendo le entrate fiscali sotto forma di aiuti).

Per stabilizzare i mercati finanziari si e' ipotizzato anche di aumentare il controllo dello stato sull'offerta di denaro. Oggi, nelle economie avanzate, la maggior parte del denaro in circolazione in un dato momento e' prodotto dalle banche private grazie a prestiti alle imprese o alle famiglie. Questo e' possibile solo perche' alle banche e' permesso non mantenere riserve equivalenti a tutti i risparmi depositati: si segue il cosiddetto "sistema delle riserve frazionarie".

Le banche devono mantenere una quota delle proprie risorse economiche sotto forma di riserva per prudenza: maggiore e' tale quota maggiore e' il grado di prudenza. Uno dei problemi emersi durante la crisi finanziaria del 2008 fu che le banche non erano in grado di mantenere riserve adeguate. Alcuni hanno chiesto di passare a un sistema di riserve al 100%, in cui i governi avrebbero il totale controllo dell'offerta di denaro. Ci sarebbe molta meno liquidita' ma sarebbe possibile controllare meglio l'investimento e il debito.

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7. Rivedere la contabilita' nazionale

Il Pil in realta' non e' altro che una misura di quanto l'economia "si da' da fare" (capitolo 8): somma quanto spendono e risparmiano i consumatori, oppure il valore aggiunto prodotto dalle attivita' economiche. Ma gli studi che dimostrano la sua inadeguatezza come misura utile anche solo per il benessere economico sono ormai numerosi. Tra le altre cose, il Pil non tiene conto della possibile variazione della base degli asset, ne' del minor benessere dovuto a una distribuzione disomogenea dei redditi, non valuta l'esaurimento delle risorse materiali e di altre forme di capitale naturale, non considera le esternalita' dovute all'inquinamento e ai danni ambientali di lungo periodo, e ignora il costo di criminalita', incidenti stradali, incidenti sul lavoro, frammentazione della famiglia e altri fenomeni sociali negativi. Infine non comprende alcun fattore di correzione per le spese difensive e posizionali, e non misura affatto i servizi che non rientrano nelle logiche di mercato, come il lavoro domestico e il volontariato. Le critiche al Pil hanno ormai conquistato una certa credibilita', attirando molta attenzione nel corso degli anni. Si e' tentato piu' volte di costruire un indicatore modificato che potesse dare risultati migliori; per esempio il risparmio netto rettificato della Banca Mondiale, la misura del benessere economico di Nordhaus e Tobin, e l'indice del benessere economico sostenibile di Daly e Cobb. L'iniziativa Beyond Gdp dell'Ocse ha provato a mettere insieme questi tentativi, come anche la Commissione internazionale sulla misura della Performance Economica e del Progresso Sociale (Cmpeps) voluta dal presidente Sarkozy. I tempi sono maturi per sviluppare una contabilita' nazionale in grado di dare una misura piu' adeguata della performance economica.

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Da p. 221

Cambiare la logica sociale

La logica sociale che intrappola le persone con l'idea che il consumismo materialistico sia l'unico modo di partecipare alla vita della societa' e' molto potente, ma anche deleteria dal punto di vista ecologico e psicologico (capitoli 4-6). Per realizzare una prosperita' duratura e' dunque essenziale liberare la gente da questa dinamica nociva e offrire al suo posto l'opportunita' di vivere una vita sostenibile e soddisfacente (capitolo 9). Le nostre ultime cinque raccomandazioni si concentrano su questo obiettivo.

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8. Politiche sull'orario di lavoro

Ci sono due motivi per cui la politica sull'orario di lavoro e' importante nel dare vita a un'economia sostenibile. Il primo e' che il numero di ore che le persone passano al lavoro e' connesso in modo diretto (attraverso la produttivita' del lavoro) all'output. Per essere piu' precisi, l'output e' dato dal numero di ore lavorate moltiplicate per la produttivita' del lavoro. Se ipotizziamo che la produttivita' aumenti ma l'output sia sottoposto a un tetto (per esempio per motivi ecologici), l'unico modo di mantenere la stabilita' macroeconomica e lasciare agli individui mezzi di sussistenza sufficienti e' dividere le ore di lavoro complessive tra piu' persone. Questa e' una soluzione che viene adottata spesso, su scala ridotta, durante i periodi di recessione. Il secondo motivo e' che la riduzione dell'orario si puo' considerare di per se' un vantaggio. Ironicamente, alcuni credono che farebbe aumentare la produttivita': fu questa la logica dietro l'esperimento francese delle "35 ore" a settimana, che doveva dimostrare che chi passa meno tempo al lavoro e' piu' produttivo nelle ore di presenza perche' e' piu' riposato, attento e in forma.

Soluzioni simili a quella francese sono state richieste anche da organizzazioni di lavoratori e attivisti, per aumentare il benessere delle persone. Per ridurre l'orario "d'ufficio" a favore di un miglior equilibrio vita-lavoro si potrebbero implementare politiche specifiche che prevedano: maggiore flessibilita' di orario; misure contro la discriminazione dei lavoratori part time in termini di selezione, carriera, formazione, sicurezza d'impiego e paga; miglior trattamento dei dipendenti (e maggiore flessibilita' da parte dei datori di lavoro) in caso di impegni personali, maternita' o paternita' e periodi sabbatici.

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9. Affrontare le ingiustizie

Le disparita' di reddito radicate nel sistema aumentano il livello di ansia, minano il capitale sociale ed espongono le famiglie piu' povere a maggiori rischi di malattia e insoddisfazione. Le prove che dimostrano come le disuguaglianze abbiano effetti negativi sia sulla salute sia sul benessere sociale di ogni tipo di popolazione sono sempre di piu'. Le iniquita' sistemiche, inoltre, stimolano i consumi posizionali e dunque contribuiscono a mettere in moto l'"ingranaggio" che spinge l'economia a consumare risorse.

Affrontare queste iniquita' permetterebbe di ridurre i costi sociali, migliorare la qualita' della vita e cambiare la dinamica dei consumi utili solo ad affermare il proprio status. Non si e' ancora fatto abbastanza per invertire il trend di lungo periodo che tende a far crescere le disparita' di reddito; questo si verifica soprattutto nelle economie di mercato liberiste, nonostante esse prevedano ormai da molto tempo politiche e meccanismi per ridurre le disuguaglianze e ridistribuire la ricchezza.

Tra le possibili azioni da adottare citiamo: revisione della struttura delle imposte sul reddito, definizione di livelli minimi e massimi di reddito, miglior accesso a istruzione di qualita', leggi antidiscriminazione, misure contro la criminalita' e valorizzazione dell'ambiente locale nelle aree degradate. Ormai questo tipo di politiche sono di fondamentale importanza.

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Da p. 234

Cenerentola al ballo?

Dimentichiamoci per un momento della crescita, e concentriamoci invece su quel che vorremmo ottenere dall'economia. In realta' si riduce tutto a pochi obiettivi piuttosto ovvi: capacita' di essere felici, mezzi di sussistenza (magari ottenuti attraverso un lavoro retribuito), partecipazione alla vita della societa', sicurezza, senso di appartenenza, possibilita' di condividere un obiettivo comune ma anche di sviluppare il nostro potenziale personale. Non sembra cosi' difficile! Eppure, e' evidente, raggiungere questi obiettivi e' una sfida enorme, che va ben oltre quello che puo' sperare di ottenere un qualsiasi libro. Per dirlo con le parole di Sandel, citate all'inizio del capitolo, ai cittadini della nuova economia serve un "dialogo pubblico piu' solido", e il nostro scopo e' stato proprio quello di aprire tale dialogo a piu' persone.

Ad ogni modo siamo arrivati a definire alcune delle dinamiche in gioco. Abbiamo analizzato a fondo alcune questioni e chiarito parte delle caratteristiche che dovra' avere la nuova economia. Per esempio sappiamo che e' importante sviluppare una certa resilienza, perche' un sistema destinato a crollare sotto pressione e' una minaccia per la felicita' umana. Sappiamo che e' importante anche arrivare a una distribuzione equa, perche' nelle societa' inique le persone sono spinte a competere per affermare il proprio status, con ripercussioni negative sul benessere e sul senso di cittadinanza condivisa.

Nella nuova economia sara' ancora importante il lavoro, per piu' di un motivo. Oltre a dare un ovvio contributo ai mezzi di sussistenza delle persone, il lavoro e' un elemento della loro partecipazione alla vita della societa' perche' permette di creare e ricreare il mondo sociale e di trovarvi un posto plausibile.

Sappiamo anche che la nuova economia dovra' rimanere entro certi limiti ecologici, dettati in parte dalle risorse naturali del pianeta e in parte dalla dimensione della popolazione globale. Insieme, questi due fattori determinano i giusti livelli di utilizzo delle risorse e di spazio ecologico disponibile pro capite e, qualsiasi sia il modello economico, tali livelli rappresentano i limiti di un'attivita' sostenibile.

Tali limiti devono essere integrati nell'organizzazione e nei principi di funzionamento dell'economia: per sviluppare un quadro di riferimento sostenibile sara' fondamentale identificare e valorizzare i servizi forniti dall'ecosistema, rendere "verde" la contabilita' nazionale e formulare una funzione di produzione che incorpori i limiti ecologici.

Sappiamo molto, inoltre, sulla natura delle attivita' produttive nella nuova economia. Prima di tutto, esse dovranno sottostare a tre principi operativi molto chiari:

- contribuire positivamente alla felicita' umana;

- fornire alle persone mezzi di sussistenza adeguati;

- creare throughput limitati in termini sia di materiali sia di energia.

E' bene notare che non e' solo il risultato delle attivita' a dover contribuire alla felicita' umana, ma anche la forma e l'organizzazione del sistema stesso. L'economia deve essere organizzata in modo da essere coerente con il ruolo centrale della comunita' e del bene della societa' nel lungo periodo, invece di contrastarli.

Nel capitolo 8 abbiamo delineato un primo modello di attivita' che rientrano in questi canoni: si tratta delle imprese "ecologiche" nate a livello delle comunita', che forniscono servizi locali nei settori alimentare, della salute, del trasporto pubblico, dell'istruzione, della manutenzione e riparazione, del divertimento. Sono tutte attivita' che contribuiscono alla felicita' umana, sono integrate nella comunita' e creano posti di lavoro a basso impatto.

Attribuire un valore a questa Cenerentola dell'economia applicando i criteri tradizionali e' problematico, perche' essa prospetta una crescita potenziale della produttivita' molto scarsa. C'e' un motivo: in essa le interazioni umane sono centrali nella declinazione dei principi aziendali (o value proposition), e dunque ridurre l'apporto di lavoro non avrebbe alcun senso. Per un'economia tradizionale basata sulla crescita puo' essere un disastro, ma per un'economia orientata a dare alle persone la capacita' di essere felici (e quindi anche un lavoro dignitoso) e' un vantaggio. Questo tipo di attivita' dovra' essere sostenuta e ampliata ma non potra' mai rappresentare l'intera economia, quindi molti dei settori tradizionali manterranno un certo ruolo. Quello estrattivo si ridurra' via via che i materiali saranno impiegati di meno e riciclati di piu', ma rimarranno importanti i settori manifatturiero, edile e alimentare, l'agricoltura e le attivita' gia' oggi basate sui servizi come il commercio al dettaglio, la comunicazione e l'intermediazione finanziaria.

Tuttavia tali settori cambieranno volto: il manifatturiero premiera' prodotti durevoli, che si possano riparare; l'edile dara' la precedenza alla ristrutturazione di edifici esistenti e alla progettazione di infrastrutture sostenibili, anch'esse riparabili; l'agricoltura sara' piu' attenta a lasciare intatta l'integrita' del territorio e alla salute del bestiame; l'intermediazione finanziaria dipendera' meno dall'espansione monetaria e piu' da investimenti stabili e prudenti sul lungo periodo.

Gli investimenti saranno di vitale importanza per la nuova economia, ma avranno una natura diversa. Invece di stimolare la crescita della produttivita', saranno orientati alla trasformazione ecologica attraverso l'efficienza energetica, e nell'utilizzo delle risorse, le infrastrutture e le tecnologie basate su fonti rinnovabili e processi a basso impatto, gli asset pubblici, l'adattamento climatico e la valorizzazione ecologica.

L'investimento ecologico richiede una nuova "ecologia degli investimenti". E' probabile che crollera' la produttivita' del capitale, che i tassi di rendimento saranno piu' bassi e distribuiti su orizzonti temporali piu' lunghi. Alcuni investimenti, pur essendo necessari in termini ecologici, potrebbero non dare alcun ritorno monetario. La redditivita', secondo la definizione tradizionale, diminuira'. Per un'economia basata sulla crescita sarebbe un dramma, ma per un'economia che si preoccupa della felicita' umana e' un fatto che non ha alcuna importanza.

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Da p. 237

La fine del capitalismo?

Il successo della nostra Cenerentola decretera' la fine del capitalismo? Questa domanda e' emersa piu' volte durante la stesura di questo libro e, prima, in relazione al rapporto su cui e' basato.

Alcuni pensano che la crescita e il capitalismo vadano mano nella mano. Per loro la crescita e' funzionale al capitalismo, e' una condizione necessaria per l'economia di questo tipo e, per questo, liberarci della crescita significa anche rinunciare al capitalismo.

Come abbiamo gia' visto e' una logica sbagliata, che non si puo' applicare in generale. Come fanno notare William Baumol e i suoi colleghi, ci sono tipi di capitalismo diversi in termini di crescita: secondo loro quello che non cresce e' il capitalismo "cattivo", ma quello che conta e' che esistono economie capitaliste che non crescono, cosi' come ne esistono altre che crescono. La Russia, per fare un esempio, e' rientrata in entrambe le casistiche in momenti diversi della propria movimentata storia.

Dunque vale la pena chiederci come stiano le cose, ma e' bene separare la domanda sulla crescita da quella sul capitalismo: cosa possiamo dire della crescita nella nuova economia? E poi, la nuova economia sara' ancora capitalista?

Iniziamo dalla prima domanda: la nuova economia ha tre caratteristiche che tenderanno a rallentare la crescita. La prima e' l'imposizione di limiti ecologici: anche se dipendera' da quanto sara' rigida la loro implementazione, se questa condizione sara' presa seriamente potrebbe avere un impatto notevole sulla crescita.

Per capire perche', pensiamo all'ipotetico scenario in cui l'attivita' economica sia vincolata a un budget delle emissioni. Secondo i risultati scientifici piu' recenti (vedi il capitolo 1) le emissioni prodotte fino al 2050 non dovrebbero superare i 670 miliardi di tonnellate di CO2, ovvero circa 18 miliardi di tonnellate l'anno in media.

Supponiamo che questo budget sia distribuito in modo equo, come vorrebbe il principio della contrazione e convergenza. Questo significherebbe ridurre le emissioni di CO2 nei paesi sviluppati a circa 3 miliardi di tonnellate l'anno. Se ipotizziamo di mantenere fissa l'intensita' di carbonio, le nazioni piu' avanzate potrebbero registrare un Pil pari a poco piu' di un quarto di quello attuale.

Il Pil potrebbe raggiungere livelli piu' alti se invece ipotizziamo che l'intensita' di carbonio dell'attivita' economica diminuisca, ma siamo comunque di fronte a una condizione che limita in modo sostanziale le possibilita' di continuare a crescere senza prima fare enormi progressi per ridurre l'intensita' di carbonio. Alcuni sostengono che dovremmo portarla a meno di un quarto di quella registrata oggi prima di azzardarci a pensare alla crescita.

La seconda caratteristica della nuova economia che spingerebbe i tassi di crescita verso il basso e' la transizione strutturale verso certe tipologie di attivita' basate sui servizi. L'intensita' di lavoro tipica di tali attivita' fa ipotizzare che di fatto non sarebbe sostenibile mantenere la crescita della produttivita' in linea con i dati attuali, e questo avrebbe un impatto significativo sulla potenziale espansione dell'economia nel complesso.

Infine, anche destinare una porzione significativa delle nostre risorse agli investimenti ecologici potrebbe far rallentare la crescita, spostando parte dei redditi dai consumi ai risparmi e incanalando questi ultimi verso investimenti meno "redditizi" secondo la definizione tradizionale.

E' bene notare che queste ultime due caratteristiche - il passaggio a livelli piu' bassi di produttivita' e l'aumento dell'investimento ecologico - richiedono cambiamenti nella struttura dell'economia, mentre la prima e' frutto di un vincolo sull'attivita' produttiva imposto dall'esterno. Se i cambiamenti strutturali non riuscissero a portare l'attivita' economica al di sotto di un determinato budget in termini di emissioni, diventerebbe necessario attuare qualche altro meccanismo per rallentare la produzione economica e rimanere entro i limiti ecologici.

Si dovrebbe pensare di ridurre altri "fattori di input" dell'economia. Il piu' importante fra questi e' il lavoro: ridurre il numero complessivo di ore lavorate farebbe diminuire l'output, e potrebbe anche migliorare l'equilibrio vita-lavoro delle persone. Ma se non vogliamo che aumenti anche la disoccupazione, che e' contraria al principio fondamentale della giustizia, allora sara' necessario adottare adeguate politiche sull'orario di lavoro e sull'impiego per dividere tra piu' persone le ore di lavoro disponibili. In sintesi ci sono tre interventi macroeconomici fondamentali piuttosto specifici che sono necessari a raggiungere la stabilita' ecologica ed economica nella nuova economia:

- transizione strutturale verso attivita' basate sui servizi;

- investimento in asset ecologici;

- politica sull'orario di lavoro come meccanismo di stabilita'.

Naturalmente, se invece i soli interventi strutturali fossero sufficienti a ridurre le emissioni di CO2 al di sotto del limite richiesto, sarebbe possibile far crescere l'economia (per esempio aumentando le ore lavorate); l'attivita' totale dovrebbe comunque rispettare i vincoli imposti dal budget delle emissioni e, vista la situazione attuale, questa non sembra un'ipotesi realistica. Dunque la possibilita' di crescere e' quasi nulla, ma non del tutto.

Passiamo ora alla domanda sul capitalismo. Prima di tutto e' necessario definire cosa intendiamo con questo termine. Non e' mai un'impresa facile. Partiamo dall'idea di Baumol che le economie di stampo capitalista siano quelle in cui non e' lo stato ma i privati ad avere la proprieta' e il controllo dei mezzi di produzione.

In generale questo implica che la nuova economia potrebbe essere "meno capitalistica": per capire perche', riprendiamo l'ecologia degli investimenti di cui la transizione ecologica ha bisogno.

Come abbiamo visto nel capitolo 8, con ogni probabilita' questa nuova ecologia degli investimenti cambiera' l'equilibrio tra pubblico e privato. Alcuni investimenti essenziali per la sostenibilita' si svilupperanno nel lungo periodo e saranno meno produttivi: per questo non attireranno i privati e dovranno essere protetti dallo stato. Per riuscire a finanziarli senza aumentare il debito pubblico, pero', sara' necessario o aumentare le tasse oppure che lo stato entri nella proprieta' dei relativi asset produttivi.

Durante la crisi e' gia' stata collaudata la logica per cui e' giusto che il settore pubblico assuma maggiori quote di proprieta' perche', avendo aiutato il settore finanziario grazie al denaro dei contribuenti, questi ultimi devono poter partecipare sia ai rischi sia ai benefici di quelle attivita'.

La stessa logica si applica alla valutazione dell'investimento pubblico in asset ecologici. Non saranno tutti redditizi, nel senso tradizionale del termine, ma alcuni si': silvicoltura, tecnologie basate su fonti rinnovabili, intrattenimento a livello locale e risorse naturali sono tra i settori che potrebbero generare profitti. Piu' in generale, l'intera economia e' sostenuta dalla potenziale redditivita' dei servizi ecologici e, in teoria, il settore pubblico dovrebbe investire in queste risorse economiche per cercare di ottenere un ritorno.

A prima vista sembra proprio la fine del puro e semplice capitalismo, almeno secondo la definizione che abbiamo citato prima. Ma persino Baumol accetta che anche le economie capitalistiche spesso presentano qualche elemento di proprieta' o controllo sui mezzi di produzione da parte dello stato.

Se approfondiamo il discorso, ci rendiamo conto di averlo presentato in modo troppo polarizzato: in realta' la pura proprieta' pubblica e la pura proprieta' privata sono solo i due estremi di uno spettro di possibilita' molto ampio. Una delle varianti piu' interessanti e' quella dei modelli di proprieta' e controllo "distribuiti", che vantano una lunga storia e stanno tornando alla ribalta.

Negli ultimi anni, per esempio, l'azionariato dei dipendenti ha avuto un notevole successo nelle imprese di ogni dimensione, e soprattutto nelle situazioni in cui il capitalismo tradizionale si era dimostrato inadeguato. Allo stesso modo, esistono istanze in cui il controllo pubblico e' molto piu' distribuito. Si attenua cosi' la chiara distinzione tra capitalismo e socialismo, anche prendendo in considerazione definizioni piuttosto convenzionali per entrambi.

In questo libro non abbiamo esplorato nel dettaglio le diverse alternative possibili. Il compito che ci siamo proposti era molto piu' semplice: la nuova economia richiede che noi rivediamo e aggiorniamo i concetti di produttivita', redditivita', proprieta' e controllo sulla distribuzione del surplus.

Qualunque sia l'esito, e' chiaro che gli investimenti finanziari continueranno a essere fondamentali, ma anche che l'ecologia di questi investimenti sara' molto diversa da quella oggi in vigore. Visto il ruolo determinante che essi hanno avuto nella crisi, potrebbe non essere un male. Il nuovo modello rientrera' ancora nella definizione di "capitalismo"? E' davvero cosi' importante saperlo? Per coloro a cui importa, forse potremmo limitarci a parafrasare il dottor Spock di Star Trek e dire: "E' il capitalismo, Jim. Ma non come l'intendiamo noi".

 

2. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO

 

Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org

Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 465 del 6 maggio 2011

 

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