Coi piedi per terra. 464



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 464 del 5 maggio 2011

 

In questo numero:

1. Alcuni estratti da "Prosperita' senza crescita" di Tim Jackson (parte prima)

2. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo

 

1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "PROSPERITA' SENZA CRESCITA" DI TIM JACKSON (PARTE PRIMA)

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Tim Jackson, Prosperita' senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizione Ambiente, Milano 2011 (ed. originale: Prosperity without Growth: Economics for a Finite Planet, Earthscan, London 2009). A cura di Gianfranco Bologna, con prefazioni di Carlo Petrini, Herman Daly, Bill McKibben.

Tim Jackson e' docente di Sviluppo sostenibile e direttore del "Research group on Lifestyles, Values and Environment (Resolve) all'Universita' del Surrey. Per un'adeguata notizia biobibliografica cfr. la pagina web www.ces-surrey.org.uk/people/staff/tjackson.shtml]

 

Da p. 11

Premessa, di Herman E. Daly

L'assioma fondamentale della crescita, come formulato rigorosamente da Kenneth Boulding, dice che "Quando qualcosa cresce, diventa piu' grande!". Anche l'economia diventa piu' grande quando cresce. Allora, caro economista, quando l'economia cresce (a) esattamente cos'e' che sta diventando piu' grande? (b) Quanto e' grande adesso? (c) Quanto grande potrebbe mai diventare? (d) Quanto dovrebbe essere grande? Visto che la crescita economica e' la massima priorita' di tutte le nazioni, ci si aspetterebbe che i testi di economia dessero maggiore attenzione a queste domande. In realta' (b), (c) e (d) non vengono sollevate affatto, e ad (a) viene data una risposta insoddisfacente. Prosperita' senza crescita contribuisce in modo significativo a colmare questa lacuna. Vista la lunga tradizione di tediosa irrilevanza che vantano gli economisti accademici, non dovrebbe stupirci che questo libro sia nato in seno al governo.

Cosa sta crescendo esattamente? C'e' il Pil, il flusso di beni e servizi che si immette nel mercato ogni anno. Ma c'e' anche il throughput, il flusso metabolico di energia e materia utile che proviene dalle fonti ambientali, passa per il sottosistema economico (produzione e consumo) e torna all'ambiente sotto forma di rifiuti attraverso i sink. Gli economisti si sono concentrati sul Pil e, fino a tempi recenti, hanno ignorato il throughput. Ma e' proprio quest'ultimo la grandezza rilevante per rispondere alla domanda sulla dimensione assunta dall'economia, ovvero: quanto e' grande il flusso metabolico dell'economia rispetto ai cicli naturali, che rigenerano le risorse consumate, assorbono le emissioni di scarto e forniscono una serie infinita di altri servizi naturali? La risposta e' che, oggi, il sottosistema economico e' molto grande rispetto all'ecosistema che lo sostiene. Quanto puo' diventare grande l'economia prima di sopraffare e distruggere l'ecosistema in tempi rapidi? Pare proprio che abbiamo deciso di sperimentare empiricamente quale sara' la risposta! Quanto dovrebbe essere grande l'economia, qual e' la sua dimensione ottimale in rapporto all'ecosistema? Se fossimo veri economisti fermeremmo la crescita del throughput prima che i costi ambientali e sociali aggiuntivi che comporta superino i vantaggi in termini di produzione. Ma il Pil non ci aiuta a individuare il punto in cui questo avviene, perche' si basa sulla combinazione di costi e benefici in un'"attivita' economica", invece di confrontarli in termini di margine. Vari studi dimostrano che alcuni paesi hanno gia' superato questo punto ottimale e sono entrati in un'era di crescita diseconomica che accumula piu' rapidamente illth che ricchezza. Quando la crescita diventa diseconomica in termini di margine inizia a renderci piu' poveri anziche' piu' ricchi: non e' piu' uno strumento utile per lottare contro la poverta'. Anzi, rende quella lotta piu' difficile!

Spesso si sostiene che la ricchezza puo' continuare a crescere senza ulteriore crescita del throughput, che porta all'illth attraverso l'esaurimento delle risorse e l'inquinamento. In questo libro viene affrontata molto bene questa mistificazione nei paragrafi dedicati al decoupling assoluto e relativo. Ma supponiamo che, al contrario di quel che ci dice l'esperienza, il decoupling assoluto del Pil dal throughput diventi possibile grazie alla tecnologia. Non sarebbe un motivo in piu' per limitare il throughput, visto che non sarebbe piu' necessario per generare ricchezza ma rimarrebbe comunque costoso in termini ambientali? Salvare l'economia della crescita appellandosi a un Pil immateriale o "angelicato" significherebbe arrendersi, implicitamente, alla posizione che Jackson prende in modo tanto convincente.

Ma meglio che mi fermi qui: la mia intenzione era solo stimolare l'appetito del lettore per questo importante studio, non farne un riassunto!

Herman E. Daly, professore della University of Maryland, School of Public Policy.

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Da p. 15

Premessa, di Bill McKibben

Come sa chiunque abbia mai letto una fiaba, spezzare un incantesimo e' difficile, soprattutto quando ne siamo stati stregati per molto tempo. Ed e' ancora piu' difficile se l'inizio della storia non e' stato affatto fiabesco.

Per un paio di secoli la crescita economica e' stata davvero ammaliante. Ha portato problemi, certo, ma erano piu' che controbilanciati dai costanti miglioramenti in molte aree, non solo in termini di longevita' ma anche di opportunita'. Quell'incantesimo ha rischiato di spezzarsi negli anni Sessanta e all'inizio degli anni Settanta: non appena Rachel Carson tolse un po' di lustro alla modernita', ambientalisti ed economisti iniziarono a produrre una serie di analisi profonde, tra cui spiccano I limiti dello sviluppo, di un team del Mit, e Piccolo e' bello di E. F. Schumacher. La loro influenza fu tale che, entro la fine degli anni Settanta, i sondaggi mostravano che gli americani si dividevano almeno equamente tra chi considerava desiderabile un'ulteriore crescita e chi no.

Ma l'incantesimo fu rinnovato da Ronald Reagan, Margaret Thatcher e dal boom che portarono - un boom segnato da disuguaglianze radicali ma, di fatto, un boom. La signora Thatcher amava ripetere "Non c'e' alternativa"; se fosse vero sarebbe una pessima notizia, perche' ora iniziamo a sospettare che l'espansione economica incessante sia la causa di problemi tanto gravi che, a confronto, Primavera silenziosa di Rachel Carson sembra una fiaba. Il riscaldamento globale sta letteralmente minacciando le fondamenta della nostra civilta' ed e' dovuto, in modo piuttosto diretto, alla crescita senza fine delle economie materiali.

In parte, e in qualche forma, quella crescita e' ancora necessaria: il mondo sottosviluppato ne ha bisogno. Ma il mondo sovrasviluppato ha chiaramente bisogno di meno crescita, e non solo per motivi ambientali. Studi su studi hanno dimostrato che negli ultimi anni si e' spezzato il legame tra l'avere piu' cose e l'essere piu' felici: e' piu' probabile che la crescita economica porti all'isolamento (in giganteschi castelli urbani) e all'alienazione.

Dunque non c'e' mai stato momento migliore per un libro serio e razionale come questo, che presenta l'insieme delle conoscenze sul tema con una tale chiarezza che, si potrebbe dire, potranno capire persino gli economisti. Ma non ci scommetterei: loro sono quelli che hanno piu' da perdere e saranno gli ultimi a svegliarsi dall'incantesimo. Proprio per questo, sara' meglio che facciamo attenzione noi altri!

Bill McKibben, autore di Terraa

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Da p. 17

Dall'economia della crescita all'economia della sostenibilita', di Gianfranco Bologna

Nel 1885 il fisico Rudolf Clausius (1822-1888), al quale risale il secondo principio della termodinamica e il concetto di entropia, scrisse in un opuscolo dal titolo "Sulle riserve di energia in natura e sulla loro valorizzazione per il bene dell'umanita'" le seguenti parole: "In economia vi e' una regola generale secondo la quale il consumo di un dato bene in un dato periodo non deve superare la sua produzione nello stesso periodo. Insomma, dovremmo consumare solo il combustibile che si riproduce attraverso lo sviluppo delle foreste, anche se in pratica ci comportiamo in maniera del tutto diversa. Sappiamo che sotto terra vi sono da tempi remoti depositi di carbone massicciamente accumulati grazie alla crescita della vegetazione allora esistente sulla Terra per periodi cosi' lunghi che, al loro confronto, i tempi storici appaiono infinitamente brevi. Oggi stiamo consumando questo patrimonio, comportandoci come eredi scialacquatori. Si estrae dal suolo quanto la forza umana e i mezzi tecnici consentono, e quel che viene estratto e' consumato come se fosse inesauribile. La quantita' di ferrovie, piroscafi e fabbriche attrezzati con macchine a vapore cresce in modo vertiginoso cosi' che, quando guardiamo al futuro, ci domandiamo inevitabilmente cosa accadra' una volta che le riserve di carbone saranno esaurite".

Tutti gli studiosi che hanno sottolineato le chiare discrepanze esistenti tra la continua crescita economica materiale e quantitativa dell'umanita' e le capacita' dei sistemi naturali di farvi fronte, non sono mai riusciti a trasformare tali rilievi, solidamente basati sulla logica e sulla conoscenza scientifica, in una cultura dominante sui limiti della nostra crescita, rimanendo cosi' sempre ai confini del paradigma economico centrale. Il matematico ed economista Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994) ha elaborato a tale scopo una teoria bioeconomica, che puo' forse essere definita il primo e piu' rigoroso tentativo di collegare l'economia alle scienze biofisiche, in particolare alla termodinamica e al concetto di entropia e anche alle scienze sociali.

Herman Daly, allievo di Georgescu-Roegen, e oggi il piu' riconosciuto degli economisti ecologici, ha scritto: "In verita', la crescita economica e' l'obiettivo piu' universalmente accettato nel mondo. Capitalisti, comunisti, fascisti e socialisti vogliono tutti la crescita economica e si sforzano di renderla massima. Il sistema che cresce al tasso piu' alto e' considerato il migliore (...). Mentre l'umanita' sta crescendo rapidamente, l'ambiente, di cui fa parte, e' rimasto immutabilmente stabile nelle sue dimensioni quantitative". Oggi finalmente la situazione sembra in via di trasformazione e Prosperita' senza crescita di Tim Jackson ne costituisce una delle migliori dimostrazioni.

Chi oggi riesce a leggere in maniera piu' approfondita la situazione economica e finanziaria globale, facendo le dovute connessioni di tipo sociale, economico e ambientale, acquisisce inevitabilmente la consapevolezza che, per reagire efficacemente agli evidenti danni prodotti da una visione economica imperniata sull'obiettivo di una crescita economica continua, bisogna coraggiosamente e urgentemente voltare pagina.

E' percio' piu' che mai necessario costruire una nuova economia, con forti capacita' innovative e senso del futuro. Non possiamo piu' pensare che sia sufficiente continuare a inserire dei "puntelli" per evitare che l'edificio, che abbiamo sin qui eretto e che presenta continuamente falle, crolli. Credo sia sempre piu' chiaro a tutti, anche a fronte della drammatica crisi economica e finanziaria che ci stiamo trascinando dal 2008, che e' impossibile immaginare un mondo futuro in cui le nostre societa' andranno semplicemente avanti come e' avvenuto sino ad ora. La strada che abbiamo sinora percorso e' infatti chiaramente insostenibile, sotto tutti i punti di vista. La straordinaria lentezza dei progressi delle iniziative della diplomazia internazionale per gestire al meglio i beni comuni dell'umanita' si scontra duramente con il fattore piu' critico che dobbiamo affrontare, costituito dal tempo. Il fattore "tempo", infatti, non gioca certo a nostro favore e i ritardi, i rimandi, l'inazione, le deroghe, tanto care al mondo della politica, non fanno altro che peggiorare la situazione. Domani sara' sempre piu' difficile risolvere i problemi che, con il passare del tempo e la mancanza di interventi concreti e decisivi, non potranno che aggravarsi, ogni giorno che passa.

Oggi una vera priorita' sta quindi diventando sempre di piu' quella di modificare l'impianto di base della nostra economia che mira a promuovere un meccanismo di crescita continua, materiale e quantitativa. E' francamente impossibile salvare la biodiversita' del pianeta, ristabilire i complessi equilibri dinamici del sistema climatico, affrontare tutte le notevoli problematiche di insostenibilita' della nostra pressione crescente sui sistemi naturali della Terra, sui suoli, sui cicli idrici, sui grandi cicli biogeochimici dell'azoto, del carbonio, del fosforo ecc., senza intervenire significativamente sui meccanismi fondanti dell'attuale sistema economico e finanziario. Ecco perche' sta diventando di grande importanza tutto il lavoro internazionale interdisciplinare di tantissimi esperti che lavorano alacremente per impostare una nuova economia ecologica, che consenta alle nostre societa' di imboccare strade piu' sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale.

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Una prosperita' senza crescita

Come si interroga il noto studioso Tim Jackson in questo ottimo libro, cosa possiamo dire di un mondo in cui 9 miliardi di persone (quante ne avremo sul nostro pianeta nel 2050, secondo le statistiche delle Nazioni Unite) possano raggiungere tutte il livello di ricchezza e abbondanza atteso per le nazioni dell'area Ocse? Jackson ricorda, come hanno fatto tanti altri illustri studiosi prima di lui, che ci sarebbe bisogno di un'economia pari a 15 volte quella attuale (75 volte quella del 1950) entro il 2050, e pari a 40 volte quella attuale (200 volte quella del 1950) entro la fine del secolo. A cosa puo' mai avvicinarsi un'economia del genere? Come potrebbe andare avanti? Offre davvero una visione realistica di una prosperita' condivisa e duratura?

Scrive Jackson: "Nella maggior parte dei casi evitiamo di guardare in faccia la dura realta' di questi dati. Assumiamo di default che - a parte la crisi finanziaria - la crescita continuera' all'infinito non solo per i paesi piu' poveri, dove e' innegabile che ci sia bisogno di una qualita' della vita migliore, ma anche nelle nazioni piu' ricche dove la grande abbondanza di ricchezza materiale ormai non ha che un impatto minimo sulla felicita' e, anzi, inizia a minacciare le basi del nostro benessere. E' abbastanza facile capire il perche' di questa cecita' collettiva (...). La stabilita' dell'economia moderna dipende dal livello strutturale dalla crescita economica. Quando la crescita mostra segni di incertezza - come e' avvenuto in modo drastico nelle ultime fasi del 2008 - i politici si fanno prendere dal panico. Le imprese faticano a sopravvivere. La gente perde il lavoro e a volte la casa. La spirale della recessione incombe. Mettere in dubbio la crescita e' considerata una cosa da pazzi, idealisti e rivoluzionari. Ma dobbiamo metterla in dubbio. L'idea di un'economia che non cresce potra' essere un anatema per gli economisti. Ma l'idea di un'economia in costante crescita e' un anatema per gli ecologi. Nessun sottosistema di un sistema finito puo' crescere all'infinito: e' una legge fisica. Gli economisti dovrebbero riuscire a spiegare come puo' un sistema economico in continua crescita inserirsi all'interno di un sistema ecologico finito".

Molti economisti, e non solo, hanno proposto come unica soluzione possibile a questo problema di ipotizzare che la crescita in termini di denaro possa essere "sganciata" dalla crescita in termini di stock e flussi di risorse utilizzate, con gli impatti ambientali che ne derivano. Si tratta del ben noto processo del decoupling: disaccoppiare la crescita economica riducendo l'input di materie prime ed energia per produrre beni e servizi. Ma come ben sappiamo, sino ad ora il decoupling non ha dato i risultati necessari. Non si prevede che ci riuscira' nell'immediato futuro e, per rispettare i limiti ecologici sempre piu' chiari e palesi, sarebbe necessario un decoupling su scala cosi' vasta che e' persino difficile da immaginare. In poche parole, come scrive Jackson, non possiamo che mettere in dubbio la crescita. Il mito della crescita ci ha delusi. Ha deluso il miliardo di persone che cerca ancora di vivere ogni giorno con meta' del prezzo di un caffe'. Ha tradito i fragili sistemi ecologici dai quali dipende la nostra sopravvivenza. Ha fallito in modo eclatante, contraddicendo se stesso, nel dare alla gente stabilita' economica e certezza dei mezzi di sussistenza. Ed e' per questo che Tim Jackson dedica il suo volume alla comprensione del fatto che quando l'economia vacilla seriamente, come sta accadendo ora, la prosperita' senza crescita risulta essere un asso nella manica molto utile. Il volume di Jackson e' il frutto dell'interessantissimo lavoro avviato dalla Sustainable Development Commission del Regno Unito che ha svolto approfondite indagini sui rapporti fra crescita economica e sostenibilita', in particolare attraverso i suoi rapporti Redefining Prosperity del 2003 e Prosperity without Growth? degli inizi del 2009.

La scomoda realta' attuale e' che ci troviamo di fronte alla fine imminente dell'era del petrolio a buon prezzo, alla prospettiva di un costante aumento dei prezzi delle commodity, al continuo e progressivo deterioramento di aria, acqua e terra, ai conflitti per l'uso del suolo, delle risorse, dell'acqua, del patrimonio boschivo e forestale e dei diritti di pesca, e all'importante sfida di stabilizzare il clima globale e di frenare i cambiamenti che abbiamo innescato in tutti i sistemi naturali, ormai da decenni. E, ricorda Jackson, ci troviamo di fronte a tutto questo con un'economia fondamentalmente incrinata, che ha un disperato bisogno di rinnovamento.

Scrive Tim Jackson: "In tale contesto la possibilita' di tornare a fare affari come al solito e' preclusa. La prosperita' dei pochi, basata sulla distruzione ecologica e sulla continua ingiustizia sociale, non puo' stare alla base di una societa' civilizzata. La ripresa economica e' fondamentale. Proteggere l'occupazione e creare altri posti di lavoro e' di assoluta importanza. Ma abbiamo anche urgente bisogno di un rinnovato senso di prosperita' condivisa. Un impegno piu' serio per la giustizia in un mondo finito. Raggiungere questi obiettivi potra' sembrare un compito strano o persino incongruo per le politiche dei giorni nostri. Il ruolo del governo e' stato definito in termini troppo ristretti dagli obiettivi materiali e svuotato di significato da una visione fuorviante in cui la liberta' dei consumatori non ha limiti. Lo stesso concetto di governance ha bisogno di essere rinnovato al piu' presto.

La crisi economica ci offre un'opportunita' unica di investire nel cambiamento. Di spazzare via la logica di breve periodo che ha afflitto la societa' per decenni. Di sostituirla con una politica ponderata che sia in grado di affrontare l'enorme sfida di assicurare una prosperita' duratura.

Perche', dopo tutto, la prosperita' va oltre i piaceri materiali e trascende le questioni pratiche. Risiede nella qualita' delle nostre vite, nella salute e nella felicita' delle nostre famiglie. E' presente nella forza delle nostre relazioni e nella fiducia che abbiamo nella comunita'. E' messa in luce dalla nostra soddisfazione sul lavoro e dal nostro sentire di avere un significato e uno scopo comune. Dipende da quanto possiamo partecipare a pieno alla vita della societa'.

La prosperita' consiste nella nostra capacita' di crescere bene come esseri umani, entro i limiti ecologici di un pianeta finito. La sfida che la nostra societa' si trova davanti e' creare le condizioni perche' questo sia possibile. E' il compito piu' urgente dei nostri tempi".

Oggi e' assolutamente necessario evitare la formula tradizionale che, per raggiungere la prosperita', dobbiamo continuare a basarci sul perseguimento della crescita economica, sul presupposto che redditi maggiori portano a un maggiore benessere e quindi alla prosperita' di tutti.

Oggi e' assolutamente opportuno mettere in dubbio questa formula. Dobbiamo mettere in dubbio che la crescita economica sia ancora un obiettivo legittimo per i paesi ricchi, viste le enormi disparita' di reddito e benessere che continuano a esistere sul pianeta e visto che l'economia globale deve fare i conti con i limiti imposti da risorse naturali non infinite.

E' necessario valutare se i benefici della crescita perenne siano ancora superiori ai suoi costi, e analizzare nel dettaglio l'ipotesi che vede la crescita come presupposto essenziale per la prosperita'. In poche parole, come fa Tim Jackson nel suo libro, dobbiamo chiederci: e' possibile che esista una prosperita' senza crescita?

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Da p. 30

Si tratta di un importante passo avanti dell'ampio lavoro scientifico che, da decenni, si sta facendo per chiarire l'esistenza dei limiti posti alla nostra crescita dalla dimensione biofisica del pianeta, come aveva pioneristicamente individuato il rapporto al Club di Roma I limiti dello sviluppo del 1972. Il rapporto rappresento' la prima applicazione di un modello computerizzato per analizzare l'andamento di cinque variabili fondamentali per le societa' umane (risorse, alimenti, popolazione, prodotto industriale e inquinamento) nell'intero pianeta, fino al 2100. Il rapporto ebbe un successo enorme, ma fu anche molto criticato per la sua lucida analisi e la forte messa in discussione dell'economia e dell'etica della crescita.

Infatti al di la' del modello, i dati e le considerazioni di fondo del rapporto dimostravano l'impossibilita' di perseguire una continua crescita materiale e quantitativa dell'economia umana in un mondo dai chiari limiti biofisici. Dennis Meadows, Donella Meadows e Jorgen Randers hanno poi pubblicato altri due rapporti per aggiornare, nel tempo, quello del 1972 e le analisi e gli scenari di allora, allo stato attuale delle conoscenze, hanno trovato purtroppo drammatica conferma e, ovviamente, una situazione di peggioramento dovuta proprio all'inazione politica.

Nell'ultima "revisione", gli autori documentano come la pressione umana sui sistemi naturali si sia andata ancor piu' espandendo, nonostante gli indubbi progressi fatti dal punto di vista scientifico, tecnologico e istituzionale, dimostrando che l'umanita' si trova oggi nel campo dell'insostenibilita' del proprio sviluppo.

Purtroppo, e questo e' il problema centrale del nostro tempo, la consapevolezza collettiva di questa situazione e' ancora fortemente limitata. Gli autori del rapporto affermano: "Il risultato e' che oggi siamo piu' pessimisti sul futuro globale di quanto non fossimo nel 1972. E' amaro osservare che l'umanita' ha sperperato questi ultimi trent'anni in futili dibattiti e risposte volenterose ma fiacche alla sfida ecologica globale. Non possiamo bloccarci per altri trent'anni. Dobbiamo cambiare molte cose se non vogliamo che nel XXI secolo il superamento dei limiti oggi in atto sfoci nel collasso".

Essi ricordano alcuni punti fondamentali che hanno sinora impedito il progresso verso una strada di minore insostenibilita' del nostro modello di sviluppo socio-economico:

"1. La crescita dell'economia fisica e' considerata desiderabile; essa e' al centro dei nostri sistemi politici, psicologici e culturali. Quando la popolazione e l'economia crescono, tendono a farlo in modo esponenziale.

2. Vi sono limiti fisici alle sorgenti di materiali e di energia che danno sostegno alla popolazione e all'economia e vi sono limiti ai serbatoi che assorbono i prodotti di scarto delle attivita' umane.

3. La popolazione e l'economia in crescita ricevono, sui limiti fisici, segnali che sono distorti, disturbati, ritardati, confusi o non riconosciuti. Le risposte a tali segnali sono ritardate.

4. I limiti del sistema non sono solo finiti, ma anche suscettibili di erosione quando vengano sollecitati o sfruttati all'eccesso. Vi sono inoltre forti elementi di non linearita', soglie superate le quali i danni si aggravano rapidamente e possono anche diventare irreversibili.

L'elenco delle cause del superamento e del collasso e' anche un elenco dei modi che consentono di evitarli. Per indirizzare il sistema verso la sostenibilita' e la governabilita', bastera' rovesciare le medesime caratteristiche strutturali:

1. La crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficolta' future, e non da retroazione derivante da limiti esterni gia' superati.

2. I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l'efficienza del capitale. In altri termini, occorre ridurre l'impronta ecologica e cio' puo' avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno energia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equita' (ridistribuire i benefici dell'uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per l'ambiente fisico).

3. Sorgenti e serbatoi devono essere salvaguardati e, dove possibile, risanati.

4. I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la societa' deve guardare piu' lontano e agire sulla base di costi e benefici a lungo termine.

5. L'erosione deve essere prevenuta e, dove sia gia' in atto, occorre rallentarla e invertirne il corso". (Riportando questo brano dell'ultimo rapporto I nuovi limiti dello sviluppo mi sono preso la liberta' di sostituire la traduzione di "pozzi" in "serbatoi" dall'inglese sinks).

Diventa veramente difficile immaginare che una continua crescita economica, scontrandosi sempre piu' con i limiti ambientali, possa proseguire indisturbata ed e' francamente preoccupante che questa "visione" sia ancora dominante nella politica e nell'economia mondiali.

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Da p. 63

L'eta' dell'incoscienza

"Questa e' stata un 'epoca di prosperita' globale, ma anche di turbolenza globale. E dove c'e' stata irresponsabilita' ora dobbiamo dire con chiarezza che l'eta' dell'incoscienza deve finire" (Gordon Brown, settembre 2008).

La formula tradizionale per raggiungere la prosperita' si basa sul perseguimento della crescita economica, sul presupposto che redditi maggiori portano a un maggiore benessere e quindi alla prosperita' di tutti.

In questo libro mettiamo in dubbio quella formula. Mettiamo in dubbio che la crescita economica sia ancora un obiettivo legittimo per i paesi ricchi, viste le enormi disparita' di reddito e benessere che continuano a esistere sul pianeta e visto che l'economia globale deve fare i conti con i limiti imposti da risorse naturali non infinite. Vogliamo valutare se i benefici della crescita perenne sono ancora superiori ai suoi costi, e analizzare nel dettaglio l'ipotesi che vede la crescita come presupposto essenziale per la prosperita'. In poche parole, in questo libro ci chiediamo: e' possibile che esista una prosperita' senza crescita?

Questa domanda e' diventata di enorme interesse proprio durante la stesura di questo lavoro: la crisi bancaria del 2008 ha spinto il mondo sull'orlo del tracollo finanziario, scuotendo le fondamenta del modello economico dominante. La crisi ha ridefinito i confini tra stato e mercato, costringendoci ad ammettere la nostra incapacita' di gestire la sostenibilita' finanziaria, per non dire di quella sociale e ambientale, dell'economia globale. La fiducia dei consumatori e' crollata. Gli investimenti si sono bloccati del tutto e la disoccupazione ha registrato una forte impennata. Le economie avanzate (e alcune di quelle in via di sviluppo) si sono trovate di fronte alla prospettiva di una lunga e profonda recessione. La fiducia nei mercati finanziari forse ne risentira' per molto tempo, e le finanze pubbliche saranno sottoposte a stress per almeno un decennio.

Sollevare dubbi profondi e strutturali sulla natura della prosperita' proprio in questo clima puo' sembrare inopportuno, se non addirittura insensibile. "Non e' quello che la gente vuole sentirsi dire in tempi di caos finanziario", ammette il miliardario George Soros commentando il proprio tentativo di andare a fondo della crisi creditizia globale.

Ma e' evidente che e' giunto il momento di fare una seria riflessione. Non fare un passo indietro per studiare quel che e' successo sarebbe un fallimento nel fallimento: quello delle responsabilita', oltre a quello della visione. Se non altro la crisi economica offre un'opportunita' eccezionale per affrontare insieme le questioni della sostenibilita' finanziaria e di quella ecologica. Che, come vedremo in questo capitolo, sono strettamente correlate.

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A caccia dei cattivi

Non c'e' consenso su quali siano state le cause della crisi, ma molti la riconducono ai prestiti subprime nel mercato immobiliare americano. Alcuni hanno sottolineato come i credit default swap, usati per impacchettare i "titoli tossici" e nasconderli cosi' dai bilanci, fossero impossibili da gestire. Altri hanno puntato il dito contro gli avidi speculatori e gli investitori senza scrupoli che hanno cercato facili guadagni ai danni di istituzioni vulnerabili.

Nel 2007 e nei primi mesi del 2008 i prezzi delle commodity hanno conosciuto un drastico aumento e contribuito cosi' al rallentamento dell'economia, restringendo i margini delle aziende e riducendo la spesa per tutto cio' che non e' strettamente necessario. A un certo punto, a meta' del 2008, le economie avanzate si sono trovate di fronte allo spettro della stagflazione - ovvero il rallentamento della crescita contemporaneo a un aumento dell'inflazione - per la prima volta in 30 anni. Il prezzo del petrolio e' raddoppiato nei 12 mesi prima del luglio 2008, mentre il prezzo degli alimenti e' aumentato del 66%, innescando disordini in alcuni dei paesi piu' poveri.

Tutti questi fattori hanno contribuito alla crisi. Nessuno di essi da solo puo' spiegare come i mercati finanziari abbiano potuto destabilizzare intere economie o perche' siano stati offerti prestiti a persone che non potevano permettersi di ripagarli. Non possono giustificare il fatto che gli enti preposti al controllo non siano riusciti a scoraggiare pratiche finanziarie private in grado di far crollare istituzioni monolitiche. Devono esserci altri motivi che spieghino come il debito non garantito sia diventato elemento dominante dell'economia, o perche' i governi abbiano volutamente ignorato, se non addirittura incoraggiato, questa "eta' dell'incoscienza".

La reazione politica alla crisi offre qualche indizio. Prima della fine di ottobre 2008 i governi di tutto il mondo hanno dedicato ben 7.000 miliardi di dollari di denaro pubblico - piu' del Pil di qualsiasi nazione, salvo gli Stati Uniti - per garantire beni a rischio, mettere al sicuro risparmi e ricapitalizzare banche in fallimento.

Nessuno ha mai voluto far credere che non si trattasse di una soluzione di breve periodo, profondamente regressiva, che avrebbe premiato i responsabili della crisi ai danni dei contribuenti. E' stato ammesso perche' l'alternativa era semplicemente impensabile.

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Da p. 95

Il dilemma della crescita

"Uno dei 'paradossi della prosperita'' e' che molti abitanti dei paesi ricchi non si rendono conto di quanto sia buona la loro situazione" (William Baumol et al., 2007).

La prosperita' non ha a che fare solo con il reddito: questo l'abbiamo capito. Ma, se gli aumenti di prosperita' non coincidono con la crescita economica, non significa che una prosperita' senza crescita sia possibile: puo' darsi che la seconda sia funzionale alla prima. Puo' darsi che la crescita economica continua sia una condizione necessaria per una prosperita' duratura, e che in sua assenza si riducano sensibilmente le nostre possibilita' di essere felici.

Se esistono prove che supportano questa ipotesi, dobbiamo considerarle con la massima serieta'. Forse il modello basato sulla crescita e' il migliore che possa esistere per raggiungere la prosperita': forse, come suggeriscono William Baumol e i suoi colleghi nella citazione che apre questo capitolo, siamo colpevoli di non renderci conto di quanto le cose vadano bene nel regime capitalista di libero mercato. Questo capitolo e' dedicato all'analisi di questa possibilita'.

Esamineremo tre enunciati, interrelati tra loro, che difendono la crescita economica. Il primo sostiene che l'opulenza, pur non essendo la stessa cosa della prosperita', e' una condizione necessaria per poter essere felici. Il secondo sostiene che la crescita economica e' strettamente correlata a determinati diritti di base (per esempio il diritto alla salute o quello all'istruzione), che sono fondamentali per la prosperita'. Il terzo sostiene che la crescita e' funzionale al mantenimento della stabilita' economica e sociale.

Se si dimostrasse la fondatezza anche di uno solo di questi enunciati le speranze di raggiungere la prosperita' in assenza di crescita si offuscherebbero, e ci troveremmo di fronte a un dilemma molto spiacevole: da una parte la continua crescita sembra insostenibile dal punto di vista ecologico, e dall'altra si rivelerebbe essenziale per la prosperita' duratura. Superare questo "teorema dell'impossibilita'" avrebbe la massima importanza.

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Da p. 163

Macroeconomia ecologica

"Per com'e' impostata l'attuale macroeconomia, l'unica vera risposta alla disoccupazione e' la crescita. La societa' e' drogata di crescita" (Douglas Booth, 2004).

Il dilemma della crescita, in poche parole, ci ha incastrati tra il desiderio di mantenere la stabilita' economica e il bisogno di non superare i limiti ecologici del nostro pianeta. Questo dilemma nasce dal fatto che la stabilita' sembra aver bisogno della crescita, ma l'aumento dell'output economico comporta un'escalation parallela del nostro impatto ambientale. Piu' l'economia si espande maggiore e' la nostra impronta ecologica, se tutte le altre condizioni rimangono costanti.

Ma e' ovvio che le altre condizioni non rimangono tutte costanti: la maggior parte dei tentativi di aggirare il dilemma della crescita conta proprio su questo. Quando l'economia cresce, le cose cambiano. Prima di tutto cambia l'efficienza tecnologica: ormai quasi tutti riconoscono che essa e' allo stesso tempo uno dei risultati della crescita e uno dei fattori che la stimolano.

Alcuni si basano sull'importanza dell'efficienza nel capitalismo per sostenere che la crescita sia non solo compatibile con gli obiettivi ecologici, ma addirittura necessaria per raggiungerli. La crescita comporta maggiore efficienza tecnologica ma anche il passaggio a una scala piu' ampia: per continuare a rispettare i limiti del pianeta bastera' che l'efficienza tecnologica cresca (e continui sempre a crescere) piu' in fretta della scala.

Ma la casistica storica non ci convince affatto che questa sia la strategia vincente. Le emissioni globali e lo sfruttamento delle risorse sono in continua crescita: quando le economie avanzate annunciano riduzioni, un'analisi piu' attenta fa emergere come esse siano il risultato di errori di conteggio o di emission trading con l'estero. Nel frattempo buona parte della crescita di cui hanno bisogno i paesi emergenti e' di tipo materiale, e l'effetto rimbalzo generato dalle evoluzioni della tecnologia spinge i consumi sempre piu' in alto. In sintesi, l'efficienza non ha tenuto testa alla scala e sembra che non ci riuscira' mai.

Non significa che una transizione in questo senso sia impossibile, anzi: abbiamo gia' visto quanto poco sia stato fatto finora per realizzare questo obiettivo. Tuttavia e' chiaro che non riusciremo a fare progressi senza mettere in discussione la struttura economica e la logica sociale che ci hanno rinchiusi nella "gabbia d'acciaio" del consumismo.

Nel prossimo capitolo ci occuperemo della logica sociale, mentre in questo ci concentreremo sulla struttura economica. In particolare ci soffermeremo sul bisogno di impostare una macroeconomia diversa, dove la stabilita' non dipenda piu' dalla continua crescita dei consumi, dove l'attivita' economica possa non superare la scala concessa dall'ambiente, e dove la nostra capacita' di essere felici - nel rispetto dei limiti - diventi il principio guida di ogni nuovo progetto e il parametro di base per giudicarne il successo.

In un certo senso e' sorprendente che una macroeconomia di questo tipo non esista gia'. C'e' qualcosa di molto strano nel nostro caparbio rifiuto di immaginare un'economia che non sia basata sulla crescita: persino John Stuart Mill, uno dei padri fondatori dell'economia, aveva riconosciuto che prima o poi sarebbe stato necessario e utile passare a uno "stato stazionario del capitale e della ricchezza", il quale non implicherebbe affatto "uno stato stazionario del progresso umano".

John Maynard Keynes, pur concentrandosi soprattutto sulle condizioni necessarie per ottenere una crescita prudente, aveva previsto che sarebbe arrivato il momento in cui il "problema economico" sarebbe stato risolto e la gente avrebbe preferito "dedicare le restanti energie a scopi non economici".

Sono passati ormai piu' di 30 anni da quando Herman Daly ha auspicato l'instaurazione di una "economia in stato stazionario". La condizione ecologica che Daly ha definito per un'economia di questo tipo e' il mantenimento di uno stock costante di capitale fisico grazie a un basso tasso di throughput materiale, compatibile con la capacita' dell'ecosistema di rigenerarsi e assorbire gli impatti. Secondo lui superare anche di poco questa soglia significa che in futuro si finira' per erodere il fondamento stesso dell'attivita' economica.

Gli economisti, avendo studiato su testi che spesso nemmeno accennano alle risorse naturali e ai limiti ecologici, fanno fatica a esprimere questi concetti. Questo e' il punto: l'economia, e la macroeconomia in particolare, non sa nulla di ecologia.

L'innovativa opera di Daly offre una solida base di partenza per colmare queste lacune. Ma non abbiamo ancora la capacita' di raggiungere una stabilita' economica sotto le condizioni da lui indicate. Ci manca un modello teorico di come si comportino gli "aggregati" macroeconomici (produzione, consumi, investimenti, importazioni ed esportazioni, stock di capitale, spesa pubblica, lavoro, offerta di denaro e cosi' via) quando il capitale non si accumula. Ci manca un modello che tenga in considerazione in modo sistematico la nostra dipendenza economica da variabili ecologiche quali l'utilizzo delle risorse e i servizi forniti dall'ecosistema. Gli economisti non sono abituati a questo tipo di logiche, ma in questo capitolo vogliamo dimostrare quanto siano non solo importanti ma realistiche. L'appello per la fondazione di una macroeconomia solida e consapevole dei problemi dell'ecologia potrebbe essere il risultato piu' importante di questo libro.

(segue)

 

2. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO

 

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Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com

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Numero 464 del 5 maggio 2011

 

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