Nonviolenza. Femminile plurale. 326
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 326
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- Date: Mon, 18 Apr 2011 14:45:20 +0200 (CEST)
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 326 del 18 aprile 2011
In questo numero:
1. Contro la guerra e il razzismo, per difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani e la biosfera casa comune
2. Nadia Angelucci intervista Eduardo Galeano
3. Elisabetta Colla intervista Marta Sanchez
4. Antonia Cosentino presenta "500 storie vere. Sulla tratta delle ragazze africane in Italia" di Isoke Aikpitanyi
5. "Wuz" intervista Isoke Aikpitanyi (2009)
6. Roberto De Ficis intervista Isoke Aikpitanyi (2009)
7. Giuliana Chiaretti: Mariella Loriga Gambino
1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA E IL RAZZISMO, PER DIFENDERE I DIRITTI UMANI DI TUTTI GLI ESSERI UMANI E LA BIOSFERA CASA COMUNE
La nonviolenza e' la via.
2. RIFLESSIONE. NADIA ANGELUCCI INTERVISTA EDUARDO GALEANO
[Dal sito di "Noi donne" www.noidonne.org col titolo "Visioni maschili. L'orgoglio del maschio fra paura e mistero. Intervista ad Eduardo Galeano". Accompagna l'intervista uno dei testi del libro Parole in cammino di Eduardo Galeano: "Finestra su una donna": "Quella donna e' una casa segreta. Nei suoi meandri conserva voci e nasconde fantasmi. Nelle notti d'inverno riscalda. Chi entra in lei, dicono, non ne esce mai piu'. Io attraverso il profondo fossato che la circonda. In quella casa verro' abitato. In lei mi aspetta il vino che mi berra'. Molto dolcemente busso alla porta e aspetto".
Nadia Angelucci e' redattrice di "Noi donne", giornalista, esperta in cooperazione internazionale, ha vissuto in vari paesi del Sud America collaborando con Ong, Universita', Istituti di cultura; collabora con varie testate e cura la trasmissione "Bucanero" su Radio Popolare Roma.
Su Eduardo Galeano riproponiamo la seguente breve notizia redatta alcuni anni fa: "Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Collabora al quotidiano italiano "Il manifesto". Opere di Eduardo Galeano: fondamentali sono Le vene aperte dell''America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano"]
Un narratore, un visionario; uno che ci ha raccontato che l'utopia serve non tanto a realizzare un sogno o un'idea ma a farci continuare a camminare.
Non uno storico, ne' un sociologo, non un antropologo, ne' uno psicanalista; per discutere delle relazioni uomo-donna e verificare se davvero esiste una "questione maschile" abbiamo scelto di parlare con Eduardo Galeano, scrittore capace di trascinarci nei meandri dei sogni piu' reali e delle realta' piu' magiche nel modo piu' potente ed eversivo, come i grandi narratori latinoamericani ci hanno insegnato.
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- Nadia Angelucci: Il tema della prostituzione, fenomeno antichissimo, e' scoppiato nuovamente in Italia con lo scandalo sessual-politico che ha coinvolto il Primo Ministro. Le donne e il loro comportamento sessuale e sociale sono sempre protagoniste quando si affronta questo fenomeno ma in realta' la prostituzione chiama in causa, o almeno dovrebbe farlo, ancora di piu' gli uomini, in quanto clienti. Da tutta questa situazione percepisco un'incapacita' dei maschi di gestire in maniera paritaria la propria sessualita' e le proprie relazioni con le donne. E' proprio in questo senso che le chiedo se esiste una "questione maschile"...
- Eduardo Galeano: Chissa' se il fatto di comprare una donna, anche sapendo che e' una menzogna, anche se solo per un momento, non permetta a certi uomini di credere di salvarsi dalla paura esistenziale che li assilla. Se lei e' un oggetto, una cosa che si puo' acquistare, o almeno affittare, smette di essere un pericoloso mistero. In questo mistero che sfugge alla comprensione risiede il nucleo di quella che tu chiami la "questione maschile".
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- Nadia Angelucci: Questa incapacita' di gestire il "mistero" scatena spesso la violenza...
- Eduardo Galeano: Ecco perche' la violenza si moltiplica in tutto il pianeta, includendo, ovviamente, anche quei paesi che si autodefiniscono civilizzati. E gli uomini che uccidono dicono, o pensano: "L'ho uccisa perche' era una cosa mia", utilizzando cosi' anche la piu' ripugnante espressione della proprieta' privata. Nemmeno l'uomo piu' virile ha l'onesta' di confessare: "L'ho uccisa per paura". Questa e' la verita', occulta, umiliante per l'orgoglio del maschio dominatore e per tutto il suo sistema di simboli di potere: falli, missili, lance. Questa e' la verita': la paura del maschio di fronte alla donna senza paura.
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- Nadia Angelucci: Questa paura di cui lei parla, ci dice che l'identita' maschile e' sempre piu' in crisi. Gli uomini sembrano bloccati nei loro ruoli tradizioni e in stereotipi che non corrispondono affatto ai loro reali bisogni e sentimenti. Ma da dove ha origine?
- Eduardo Galeano: Uno dei miti piu' antichi e universali, che ritroviamo in luoghi anche molto distanti tra di loro, e' il mito della "vagina dentata": e' presente in Scandinavia cosi' come nel bacino amazzonico. Gli uomini temono che la donna sia il luogo in cui si entra ma non si esce, o perlomeno non si esce interi, uguali a prima. Io non credo nel racconto dell'invidia del pene, il mito che Sigmund Freud ha inventato per consolare noi uomini. Credo pero' nel mito della "vagina dentata": leggenda che descrive e simboleggia il panico che noi maschi sentiamo di fronte al mistero che rappresenta la donna nell'atto sessuale. Nel momento in cui torniamo alle origini, in cui entriamo nel luogo da cui siamo venuti al mondo si affollano le domande: torneremo interi? Dove ci portera' questa selva impenetrabile che crediamo di poter penetrare? Saremo gli stessi dopo? Conserveremo la nostra integrita' o ci faremo cambiare per sempre dall'incontro? La femmina che il maschio vorrebbe mangiare e' la femmina che lo mangera'.
3. CINEMA. ELISABETTA COLLA INTERVISTA MARTA SANCHEZ
[Dal sito di "Noi donne" www.noidonne.org col titolo "A tutto schermo. Cineaste, un mondo di talenti" e il sommario "Il network internazionale Women Make Movies alla decima edizione del Riff. Proiettato 'Pink Saris'. Intervista a Marta Sanchez".
Elisabetta Colla, giornalista, scrive su "Noi donne", ha collaborato con varie testate tra cui "Lavoro Societa'", "Mondo Sociale", "Ragionamenti di storia", "La mediazione pedagogica", "Sotto Traccia", "Taxi Drivers" e con "Spazio Radio" e con il Roma Independent Film Festival. E' stata vicepresidente del Comitato Pari Opportunita' del Ministero della Giustizia, dove lavora]
In collaborazione con il network cinematografico Women Make Movies (Wmm), il Festival Riff (Rome Independent Film Festival), giunto quest'anno alla sua decima edizione, ha dato ampio spazio alla creativita' artistica femminile in campo documentaristico, finalizzando l'evento sui diritti umani alla denuncia di violazioni ed alla tutela dei diritti delle donne nel mondo. La Women Make Movies e' un'organizzazione di arti multimediali senza scopo di lucro, multiculturale e multirazziale, che facilita la produzione, promozione e distribuzione di film e video indipendenti realizzati da donne e/o sulle donne. L'organizzazione fornisce servizi sia agli utenti sia ai realizzatori dei programmi di film e video, con particolare attenzione al sostegno del lavoro delle donne di colore. Wmm facilita inoltre lo sviluppo di media femministi attraverso un servizio di distribuzione ed un programma di assistenza alla produzione riconosciuto a livello internazionale. Con oltre 500 film, Wmm rappresenta circa 400 autrici di 30 paesi di tutto il mondo e ha lavorato negli ultimi dieci anni con numerose organizzazioni locali di donne in Asia, America Latina e Medio Oriente per sostenere nuovi Film festival internazionali dedicati alle donne, sponsorizzando oltre 200 progetti attraverso un noto programma di assistenza di produzione. "Noidonne" ha intervistato Marta Sanchez - intervenuta al Riff -, spagnola, curatrice esperta di film indipendenti, coinvolta in Wmm per anni, fondatrice nel 2005 di Pragda, un'iniziativa culturale indipendente che promuove film originali in ambienti diversi, con l'aiuto della tecnologia e dei canali alternativi.
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- Elisabetta Colla: Che cos'e' Women Make Movies, perche' e' nata e cosa rappresenta per le donne cineaste di tutto il mondo?
- Marta Sanchez: Fondata nel 1972, Wmm e' nata per risolvere la sottorappresentazione e la mistificazione del mondo femminile nell'industria dei media all'epoca in cui e' nato il femminismo. A quei tempi non c'erano scuole di cinema a sufficienza e Wmm ha iniziato con un programma di workshop per insegnare alle donne a realizzare i propri film, poi con il tempo l'obiettivo principale si e' spostato verso un bisogno reale ancora esistente nei media: la distribuzione dei film fatti dalle donne, con l'occhio delle donne e sui loro problemi. Per le registe donne, Wmm rappresenta l'unica piattaforma che permette a questi lavori di essere visti: si puo' capire quanto cio' sia estremamente importante in un'industria/settore dominata/o dagli uomini. Sarebbe bello se non ci fosse bisogno di una Wmm! Ma purtroppo quel tempo e' ancora molto lontano. Spesso mi viene chiesto perche' "Women" e non "Men" Make Movies? Perche' questo gia' esiste, si chiama Hollywood!
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- Elisabetta Colla: Qual e' stata la tua esperienza professionale in Wmm?
- Marta Sanchez: Ero nel comitato delle acquisizioni e responsabile delle vendite internazionali, e quindi ho visto moltissimi film realizzati dalle donne: dato che pianificavo anche la strategia dei Festival, ho avuto la possibilita' di far viaggiare queste opere non solo in America ma nel mondo intero. E' stato un grosso lavoro: la mia esperienza e' stata professionalmente una delle piu' appaganti, anche perche' mescolava le due cose che amo di piu': il cinema e le donne! Infatti vengo da una famiglia dove le donne sono femministe convinte. Inoltre ho sempre avuto la sensazione che il mio lavoro fosse utile ed avesse un senso.
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- Elisabetta Colla: Credi che oggi le donne abbiano le stesse opportunita' degli uomini nell'industria cinematografica?
- Marta Sanchez: Uno dei maggiori problemi per le donne del settore e' che dai dirigenti che approvano i film ad Hollywood fino ai programmatori di Film festival, dai distributori ai critici, l'industria cinematografica e' dominata pesantemente dagli uomini nei ruoli decisionali. Le statistiche piu' recenti sui critici, nell'ultimo rapporto di Martha Lauzan del Centro per lo studio delle donne al cinema e in tv dell'Universita' di San Diego, evidenziano che nel 2010 le donne costituivano solo il 16% di tutti gli amministratori, produttori esecutivi, produttori, sceneggiatori, cineasti ed editori che hanno lavorato nei principali 250 film nazionali. Cio' rappresenta un calo di un punto percentuale a partire dal 1998 ed e' pari ai dati del 2009.
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- Elisabetta Colla: Pensi che il talento e le aspirazioni delle donne siano completamente espresse nei loro film/documentari?
- Marta Sanchez: Cio' accade maggiormente nei media indipendenti rispetto ai media mainstream. Si percepisce infatti come una donna che vuole lavorare nei media "principali" deve giocare con regole molto maschio-oriented e si trovano alcuni casi di autocensura. Nei media indipendenti invece viene quasi sempre rispettata la liberta' di espressione delle donne. Abbiamo ottimi registi donne come Kim Longilotto, Natalia Almada, ecc. i cui film sono un esempio di spirito libero e creativita'.
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- Elisabetta Colla: Parlaci del documentario Pink Saris, di cosa tratta?
- Marta Sanchez: Pink Saris e' il nuovo film di Kim Longinotto, una delle documentariste donne piu' colte e di talento che hanno avuto retrospettive al Moma e all'Idfa. Racconta di un'eroina complicata - Sampat Pal - che e' a capo della banda Gulabi, un gruppo di donne che, nell'India del Nord, stanno combattendo per salvare le ragazze costrette al matrimonio in eta' incredibilmente giovane o abusate dalle loro famiglie e mariti. E' divertente, triste e commovente - caratteristiche tipiche dei film della Longinotto - e mostra la situazione delle donne in un'altra parte del mondo.
4. LIBRI. ANTONIA COSENTINO PRESENTA "500 STORIE VERE. SULLA TRATTA DELLE RAGAZZE AFRICANE IN ITALIA" DI ISOKE AIKPITANYI
[Dal sito del "Paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) riprendiamo la seguente recensione.
Antonia Cosentino, laureata presso la Facolta' di lingue e letterature straniere dell'Universita' di Catania con una tesi in Storia contemporanea, ha ricevuto nel 2010 il premio nazionale intestato alla giornalista "Anna Politovskaja" indetto dall'Universita' degli studi di Bari "Aldo Moro" a favore di giovani laureati "che abbiano svolto la migliore tesi di laurea su processi di comunicazione, identita' di genere e dinamiche interculturali". Attualmente frequenta il corso di Laurea Magistrale in Editoria e giornalismo della Facolta' di lettere e filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma"]
Isoke Aikpitanyi, 500 storie vere. Sulla tratta delle ragazze africane in Italia. Ediesse, 2011, euro 10.
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Dopo "Le ragazze di Benin City", e' in libreria il secondo libro di Isoke Aikpitanyi: un'indagine sistematica e piu' di 500 testimonianze di donne africane prigioniere in Italia di questa macchina infernale di sfruttamento.
Isoke Aikpitanyi e' una donna nigeriana arrivata in Italia nel 2000 con il mito di una vita in Europa ricca e felice, ingannata e resa schiava dalla mafie italiana e nigeriana. Riuscita a ribellarsi, nonostante abbia rischiato di morire per questo, aiuta da anni altre donne vittime della tratta a liberarsi, accogliendole nella sua casa, dando loro conforto e accompagnandole nel difficile percorso di ricerca di una vita d'uscita.
"La ragazza di Benin City" e' nato come progetto personale suo e del suo compagno, Claudio Magnabosco, per poi diventare sempre piu' articolato in diversi tipi di attivita' e volto soprattutto alla sollecitazione delle istituzioni e dell'opinione pubblica. Del suo percorso e' frutto il libro "Le ragazze di Benin City" di cui e' coautrice e per il quale ha ricevuto numerosi premi. Oggi il progetto e' diventato un'associazione.
"500 storie vere. Sulla tratta delle ragazze africane in Italia", in libreria dall'8 marzo, e' il suo secondo libro. Un'indagine sistematica e piu' di 500 testimonianze di donne africane prigioniere in Italia di questa macchina infernale di sfruttamento. Dalla sua ricerca, realizzata con il contributo del Ministero delle Pari Opportunita', si evince che il problema non puo' piu' essere affrontanto con la solidarieta' e la disponibilita' individuale o associativa, ma necessita "iniziative integrate, coerenti e precise, di livello nazionale e locale, coordinate con quelle di livello europeo che gia' alcune direttive comunitarie indicano", come scrive Susanna Camusso nella presentazione.
In Italia le donne vittime di schiavitu' sono ogni anno circa 70.000, di cui il 40% minorenni. A tutte viene imposto un debito enorme, fino a ottantamila euro, che devono saldare sotto la stretta sorveglianza delle maman e spaventate da minacce di ritorsione contro le loro famiglie. Un fenomeno dalle proporzioni enormi, di cui preoccupa la realta' sommersa, cioe' la difficolta' di avvicinare le vittime sempre piu' diffidenti e nascoste. Isoke ne ha fatto la sua vita.
"Io proprio non volevo scrivere libri, ma quel che mi e' capitato in Europa e' finito sui libri perche' qualcuno la verita' la deve pur raccontare ed e' toccato a me farlo perche' ho visto come un sogno si puo' trasformare in un incubo", scrive lei stessa nell'introduzione. Cosi' Isoke, che dice di non essere una studiosa, ne' una ricercatrice, una sociologa o una giornalista, non avendo altri strumenti per condurre l'indagine, ha scelto la collaborazione di altre ex vittime come lei, Vivian di Padova e Sharon di Firenze: "Abbiamo fatto un bel gruppo di lavoro e la nostra unica difficolta' e' stata mettere mettere per iscritto la nostra indagine, una difficolta' pratica, linguistica e culturale". Il risultato e' un libro importante e ricco, che pone le basi per nuove pratiche di contrasto alla tratta, sottolineando anche il ruolo e le responsabilita' dei clienti, di cui spesso quando si parla di prostituzione ci si dimentica.
Il lavoro di Isoke e' arricchito dai contributi di Roberto Saviano, di due musicisti Michael Nyman e David McAlmont, dell'artista americana Martha Rosler e di Claudio Magnabosco e Gianguido Palumbo, che con le loro riflessioni evidenziano le responsabilita' maschili.
Un libro che impone a tutti noi, come scrive suor Eugenia Bonetti nella prefazione, "il dovere di ascoltarla".
5. TESTIMONIANZE. "WUZ" INTERVISTA ISOKE AIKPITANYI (2009)
[Dal sito www.wuz.it riprendiamo la seguente intervista del febbraio 2009 dal titolo "Intervista a Isoke Aikpitanyi: la tragedia della tratta e la realt' dell'emigrazione dalla Nigeria" e il sommario "Essere donna e' spesso difficile anche in Italia, l'esperienza di Isoke lo dimostra ampiamente. In molti Paesi pero' lo e' ben di piu': la parita' e' un miraggio e, pur avendo sulle spalle la responsabilita' dei figli e dell'intera famiglia, la sua persona e' considerata quasi nulla. In questa intervista la coraggiosa e tenace Isoke ci apre uno spiraglio sulla condizione della donna in Africa" (intervista realizzata nell'ambito di un'inchiesta di "Wuz" sul tema: "Cosi' siamo, se vi pare: il mondo delle donne"]
- "Wuz": Quali sono i problemi principali e le difficolta' che spingono tante persone e in particolare le donne a migrare?
- Isoke Aikpitanyi: Credo sia troppo facile rispondere semplicisticamente che le persone emigrano perche' vogliono sfuggire la fame, la guerra, le malattie, ecc. ecc. Chi vive in quelle situazioni molto spesso non ha neppure la forza di emigrare; si spostano, scappano, non sanno neppure loro dove vanno e quando qualcuno offre loro di andare lontani dalla sofferenza, colgono l'occasione. Il mio paese, la Nigeria, non e' povero, anzi e' un paese ricchissimo, uno dei piu' ricchi del mondo per via del petrolio... ma, come sempre dall'epoca della schiavitu' in poi, il colonialismo ci porta via la nostra ricchezza e cosi' nel mio paese i poveri sono sempre piu' poveri e i ricchi sempre piu' ricchi. Non si muore di fame, ma poiche' la popolazione nigeriana e' molto giovane, si muore dentro perche' non c'e' nessuna possibilita' di migliorare la propria vita e tanti sentono incmbere un destino ingiusto: tirare avanti una vita di sopravvivenza nella quale le cose fondamentali come il cibo, l'acqua, la scuola, sono tutte conquiste precarie, giorno dopo giorno. Il colonialismo ci ha lasciato una mentalita' che si e' sovrapposta a quella tribale e tradizionale... conoscere lo sviluppo e non esserne parte e' insopportabile; vedere che altri godono dei benefici di uno sviluppo reso possibile dalle risorse della tua terra e non goderne e' una ingiustizia. Ma invece di ribellarsi politicamente, nella popolazione si insinua un senso di inferiorita', quasi che la nostra cultura millennaria e i nostri valori non abbiano piu' senso perche' ci rendono poveri quali siamo e, invece, la cultura dei bianchi sia, quella si', quella che ti fa fare un salto di qualita': la macchina, il telefonino, tutte quelle cose che sono il simbolo del benessere, sostituiscono bruscamente la spiritualita' che ci animava tutti. Cosi', pero' non prendiamo il meglio dall'occidente, ma il peggio e cioe' la sua smania speculativa, le sue ingiustizie, le sue sopraffazioni. Facciamo cosi', ciascuno per se', ma tutti insieme, un progetto migratorio che diventa ricerca di migliorare le condizioni della propria vita, trasformando in questo modo il volto stesso del nostro paese... Cosi' crediamo, anche inconsapevolmente, e partiamo, affrontando una avventura che sappiamo essere difficile e pericolosa. Quando arriviamo in Europa e scopriamo che i soldi non crescono sugli alberi, viviamo comunque la poverta' occidentale che, se possibile, e' piu' ricca della poverta' africana. In Nigeria non avevo mai un euro in tasca, qui e' diverso. Il problema e' come procurarsi il denaro; il nostro progetto migratorio ci spacca in due: restiamo africani con i nostri valori che comunque stentano a sopravvivere, ma qui rischiamo di credere che anche fare il male non sia poi cosi' male. I businessmen bianchi non fanno soldi con la morale e i migrati credono di dover o di poter fare altrettanto. La prostituzione, ad esempio, e' un male ma non e' poi tanto male se la si pratica con i maschi bianchi che sono dei malati e dei pervertiti sessuali disposti a comperare tutto perche' convinti che tutto sia in vendita: le persone, il sesso, gli organi...
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- "Wuz": Quali possibilita' di lavoro esistono per una donna in Nigeria?
- Isoke Aikpitanyi: L'emancipazione della donna africana e' ancora tutta da conquistare, l'emancipazione della donna nigeriana (ma credo di tutte...) sta nel fatto che la famiglia va avanti per merito e per l'impegno della donna, principalmente per questo. In una situazione di sottosviluppo o di mancato sviluppo, poi, e' difficile pensare ci sia tempo e spazio per una rivendicazione che possa assomigliare vagamente al femminismo europeo: in Africa e in Nigeria ancora si lapidano le donne che tradiscono il marito o che sono sospettate di averlo tradito. Questo succede nelle zone musulmane; in Africa, ma anche nel mio paese, le bambine sono ancora sottoposte a mutilazioni genitali per evitare che provino piacere sessuale e - si crede - siano piu' propense a una qualche liberta' sessuale. Per vincolarle al ruolo storico che le vede portare avanti la famiglia e la societa', bisogna sottometterle e se per sottometterle non basta la violenza, le si sottomette con il senso di responsabilita' che caratterizza le donne.
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- "Wuz": Vedi dei cambiamenti?
- Isoke Aikpitanyi: Le cose cambiano, e come tutte le cose in Africa anche queste cambiano rapidamente, in un certo senso per fortuna. Ma se si pensa che le ragazze possono essere praticamente vendute come schiave e sono costrette a prostituirsi per mantenere la famiglia, si capisce qual e' il ruolo della donna: il sacrificio, sempre e comunque. Per assurdo in Africa i maschi sono arrivati a credere che per guarire dall'Aids bisogna far sesso con una bambina, cioe' con una femmina sicuramente vergine... il che la dice lunga sul ruolo della donna. Devo dire, pero', che proprio in Nigeria e' a una donna ministro che dobbiamo la lotta contro lo spaccio di farmaci falsi: la gente non ha soldi, ma spende tutto se ha bisogno di medicinali, li compera al mercato nero dove compera veleni o placebo. E c'e' chi vende i medicinali contro l'Hiv per comperare da mangiare, una cosa vergognosa. Se si chiede perche' lo fanno la risposta e' terribile: muoio prima di fame che di Aids. Questa donna ministro vive sotto scorta, le sue figlie sono andate all'estero perche' le mafie la vogliono morta...
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- "Wuz": Qual e' il livello di istruzione di una donna? le e' facile accedere alla scuola superiore?
- Isoke Aikpitanyi: Porto il mio esempio: ho studiato per anni, ma non ho fatto studi regolari. In Nigeria ti lasciano a casa se non hai la penna, o se non ti porti la sedia. Le scuole migliori sono private, cioe' bisogna pagare per poterle frequentare. Studiano, quindi, i figli delle famiglie benestanti. Questo incide anche sul fenomeno migratorio femminile: la maggior parte di quelle che emigrano non hanno vera istruzione e vere professionalita', anche per questo restano piu' facilmente in balia dei trafficanti.
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Isoke Aikpitanyi e' una delle fondatrici dell'Associazione vittime ed ex vittime della tratta del Progetto le ragazze di Benin City ed e' autrice con Laura Maragnani del libro Le ragazze di Benin City, opera che ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti.
Questa intervista e' stata realizzata il 27 febbraio 2009.
6. TESTIMONIANZE. ROBERTO DE FICIS INTERVISTA ISOKE AIKPITANYI (2009)
[Dal blog http://robertodeficis.wordpress.com/ riprendiamo al seguente intervista realizzata ad Aosta il primo settembre 2009
dal titolo "Anno 2009: la tratta delle schiave. Intervista a Isoke Aikpitanyi".
Dal medesimo blog riportiamo per estratti il seguente profilo autobiografico di Roberto De Ficis: "Sono nato a Milano nel 1978, risiedo da sempre a Vasto (Chieti). Sono informatico, ma ho la passione per la scrittura. La scrittura mi affascina, sia nello stile che nei contenuti. Ho sempre pensato che la scrittura sia qualcosa che libera l'uomo, che lo rende piu' forte, che lo avvicina agli altri, che lo fa sentire parte di un "tutto", che la scrittura sia una voce, oltre che dei semplici fogli scritti. Spesso parto per missioni umanitarie durante le quali mi piace annotare ricordi e sensazioni sul mio diario, scattare foto e realizzare video. Ho visitato il Sud America e l'Africa. A volte queste annotazioni diventano articoli di questo blog... Curo le rubriche: "Cosi' stanno le cose" su "Qui Quotidiano" (questa rubrica affronta temi inerenti il mondo del sociale, del volontariato e delle missioni...); "Africa mon amour" sul settimanale "L'Amico del Popolo" (problematiche riferite al continente africano: nuovi progressi, storie di missioni); "Musica, musica, musica!" su "Il Taglio" (rubrica di musica a 360 gradi, recensioni su pietre miliari della musica, concerti e nuove uscite discografiche...). Collaboro con il portale "San Salvo in piazza" (web), rivista "Il Cingolo" (in distribuzione nel chietino). Scrivo occasionalmente anche per "La Cronaca d'Abruzzo" (in edicola), portale "Histonium.net" (web)"]
La prima cosa che mi ha fatto interessare ad Isoke e' stata la differenza di passato che io e lei abbiamo avuto pur avendo, piu' o meno, la stessa eta'. Una vita che ha avuto inizio nello stesso identico modo ma che poi, per diversi motivi, ha acquistato caratteristiche del tutto diverse, non imputabili a nessuno di noi se non all'ambiente, alla societa', alla struttura civile che ci ha visti nascere, crescere e che ci ha educati.
Isoke Aikpitanyi, nigeriana, ora ha trent'anni. Ha un passato del tutto diverso dal mio che e' stato semplice, comodo e confortevole, quello tipico di un ragazzo occidentale in terre consumistiche. Un passato il suo, invece, simile ad un incubo, ma tangibile come la realta' e che per sempre portera' i segni sulla pelle e nei ricordi.
La sua storia, o meglio, quella che in parte si raccontera' in questo articolo, inizia nove anni fa, quando di anni lei ne aveva solo ventuno. Costretta a migrare dal suo paese africano, e' giunta in Italia con una promessa di lavoro-come-si-deve rivelatasi ben presto una promessa falsa. Ed ecco che i suoi sogni s'infrangono e la dura realta' si rivela in tutto il suo buio. Il ritrovarsi sbattuta "sulla strada" e' stato, per Isoke, impensabile ed inevitabile.
Qui in Italia le donne di strada le chiamano superficialmente "prostitute", anche se spesso sono delle vere e proprie "schiave" involontarie, proprieta' indiscussa di trafficanti senza scrupoli.
Isoke Aikpitanyi e' nata a Benin City, in Nigeria, nel 1979. Dal 2000 vive in Italia. Dopo essere stata vittima della schiavitu' per tre anni nelle strade italiane e' riuscita a raggiungere la liberta' personale rischiando la propria vita. Dal 2003, grazie all'associazione "Le ragazze di Benin City", aiuta le tantissime ragazze vittime della tratta che, come lei, sono costrette a lasciare il proprio paese e che giungono in Italia. Il 2007 ha visto l'uscita del libro Le ragazze di Benin City, scritto insieme alla giornalista Laura Maragnani, edito da Melampo, che ben espone il problema e che ci fa vivere coi nostri occhi il suo passato.
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- Roberto De Ficis: Ciao Isoke, vorrei iniziare questa intervista senza giri di parole: perche' sei migrata?
- Isoke Aikpitanyi: Ciao Roberto. Le ragioni sono due: la prima e' il sogno; tutti sognano e, in particolare, i giovani sognano. Io desideravo conoscere altri mondi, vedere con i miei occhi come si vive in altri paesi. La seconda ragione e' la fuga: volevo lasciare la Nigeria, dove la mia famiglia viveva in estremo disagio e dove chi e' ricco e' sempre piu' ricco e chi e' povero e' sempre piu' povero.
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- Roberto De Ficis: In che modo, secondo te, il colonialismo tipico, ma anche quello recente che possiamo chiamare "colonialismo di mercato", sta spezzando le ali ai paesi africani che, se andiamo a ben vedere, avrebbero tutte le carte in regola per un completo e autosufficiente sviluppo?
- Isoke Aikpitanyi: Ti do una risposta oggi. Quando ero in Africa, un po' perche' ero troppo giovane, un po' perche' non riuscivo a vedere le cose in modo chiaro, pensavo che il mondo dei "bianchi" fosse migliore del nostro. Questo senso di inferiorita' ci e' stato messo dentro proprio dai colonialisti, cosi' l'Africa non riesce a fare da sola.
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- Roberto De Ficis: In che modo, secondo te, dovrebbe essere intesa l'istruzione in Nigeria per aiutare davvero il popolo ad emanciparsi?
- Isoke Aikpitanyi: Ci vorrebbero governi democratici e non corrotti; la Nigeria e altri paesi africani hanno molte risorse, se le destinassero per fare scuole... ed e' solo un esempio, tutto sarebbe diverso. Invece chi governa pensa solo alla ricchezza che si procura con il petrolio e con altro... quasi quasi, se non ci fosse la popolazione per loro sarebbe meglio, non dovrebbero pensare alla scuola, appunto, alla sanita', ecc. ecc.
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- Roberto De Ficis: Come sei arrivata in Italia? Con quali mezzi e attraverso quali paesi? Cosa ti ricordi del tuo viaggio?
- Isoke Aikpitanyi: Il mio viaggio e' stato "facile": mi hanno messa su un aereo e sono arrivata a Londra dove non ho avuto controlli doganali, insieme ad altre ragazze. Tutto molto semplice. Poi sono stata chiusa per quasi un mese in un appartamento, con altre ragazze... sentivamo che trattavano la nostra vendita e dicevano: "E' arrivata la merce...".
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- Roberto De Ficis: Cosa pensavi di trovare in Italia e cosa, invece, hai trovato davvero?
- Isoke Aikpitanyi: In realta' pensavo di lavorare a Londra, in un supermercato a vendere frutta e verdura, come facevo con mia mamma che aveva un banchetto. L'Italia e' venuta dopo, quando ha cominciato ad essere chiaro che il lavoro che mi era offerto non era quello.
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- Roberto De Ficis: Qual e' il ricordo piu' brutto che hai del tuo periodo da schiava qui in Italia?
- Isoke Aikpitanyi: E' stato quando ho capito... quando ho cominciato a dire di no, ho preso la prime botte ed ho visto la mia compagna di stanza uccisa perche' diceva di no. Ma c'e' stato anche un altro momento molto brutto: quando ho cercato una via di uscita e mi sono rivolta a diversi servizi italiani e sono stata respinta.
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- Roberto De Ficis: Chi ti ha aiuto ad uscire dalla tua condizione di schiavitu'?
- Isoke Aikpitanyi: Se rispondo "nessuno" non offendo chi mi e' stato vicino; ne sono uscita da me, ho rischiato io di essere uccisa, sono stata tre giorni in coma per aver detto "Basta". Non ero sola, questo si', e per fortuna chi mi ha offerto sostegno e' stato capace di accompagnarmi in un percorso mio, senza farmi promesse inutili.
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- Roberto De Ficis: Come, secondo te, si puo' risolvere il problema della tratta?
- Isoke Aikpitanyi: Sarebbe bello avere una ricetta, ma non ce l'ho. Credo di sapere pero' che cosa si potrebbe cominciare a fare. Ad esempio: un bilancio dei risultati di 15 anni di interventi e di documenti contro la tratta: basterebbe ammettere che tutto cio' che e' stato fatto ha sostenuto solo una vittima su dieci. Concludere, quindi, che bisognerebbe fare di piu'. La cosa principale e' non respingere... non solo non respingere in mare, come succede drammaticamente oggi, ma non respingere neppure quelle che chiedono aiuto ma che non sono pronte a presentare una denuncia, e per questo, come successe a me sono respinte. Bisognerebbe investire piu' nell'inserimento sociale che nei percorsi che portano al conseguimento dei documenti, a conclusione dei quali le ragazze hanno i documenti. C'e' poi l'aspetto non secondario del lavoro da svolgere in Africa, lavoro di informazione e prevenzione affinche' tutte sappiano che cosa le aspetta.
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- Roberto De Ficis: Sei una delle fondatrici dell'Associazione vittime ed ex vittime della tratta del progetto "Le ragazze di Benin City". Qual e' stata la piu' grande soddisfazione del tuo impegno a favore di queste donne?
- Isoke Aikpitanyi: Vedere tante ragazze che hanno superato la loro condizione di schiavitu' non solo burocratica, ma mentale. Ragazze libere, serene, felici, capaci di costruirsi un futuro e anche una famiglia. Vedere ragazze che si salvano dalla violenza anche se ne hanno subita tanta e vedere ragazze che cominciano, come me, ad occuparsi di altre ragazze che ancora sono nella tratta...
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- Roberto De Ficis: Che tipo di legame hai con queste donne? E che legame hai con le donne che sono rimaste in Nigeria? Non so, penso alle tue amiche, alla tua famiglia...
- Isoke Aikpitanyi: Delle ragazze che stanno qui divento e sono amica, sono una pari, una come loro e sono anche la dimostrazione che non tutti sono li' per fregare le altre, ma alcune riprendono la buona tradizione e usanza africana delle donne che aiutano le donne. Le donne che sono in Nigeria spesso pensano che io tolgo ad altre ragazze l'opportunita' di arrivare in Europa. Ancora non sanno o fingono di non sapere che cosa vuol dire essere clandestine in Italia e in Europa, costrette a prostituirsi, ecc. ecc.
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- Roberto De Ficis: Quali sono gli ostacoli maggiori che trovate lungo il vostro cammino del progetto "Le ragazze di Benin City"?
- Isoke Aikpitanyi: Il primo ostacolo, la prima difficolta', e' raccontare ed essere ascoltate: io, ad esempio, sono arrivata in aereo e il mio viaggio e' stato sotto questo aspetto agevole; altre arrivano attraversando parte del deserto a piedi, poi solcano il mare su gommoni... quante muoiono per arrivare? E quante, poi, muoiono qui in Europa e in Italia? Oltre 200 in pochi anni, solo in Italia. Gli stupri e ogni tipo di violenza... la gente non vuole sentire... Il problema e' parlarne ed essere ascoltate. Fare una associazione che e' voce diretta delle vittime ed ex vittime non piace agli europei e agli italiani perche' diciamo tutte le cose che non vogliono ascoltare: se fossimo solo delle prostitute, le cose sarebbe diverse, invece siamo schiave e questa e' una situazione della quale chi non ci libera e' complice. A nessuno piace sentirsi dire che e' complice... Cosi' tutti affrontano i nostri problemi solo in quanto problemi di ragazze che si prostituiscono: e' piu' facile giustificare tutto perche i guai ce li saremmo cercati... E' un poco come la barzelletta italiana: "Non sono io ad essere razzista, sei tu che sei nera". Un altro problema, pero', viene fuori quando non parliamo solo delle nigeriane o delle africane, ma anche delle donne dell'est europeo, dei paesi latino americani, della Cina... ogni realta' presenta problemi diversi. Bisognerebbe allora che le donne, per prime, le donne italiane e quelle europee, accettassero semplicemente, da donna a donna, di considerarci solo delle donne, ognuna delle quali ha i suoi problemi e alcune hanno anche quello della clandestinita'. Ogni violenza sulle donne, straniere e no, clandestine e no, deve essere stroncata.
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- Roberto De Ficis: Non posso e non voglio esimermi dal chiederti il tuo punto di vista sul recente Decreto Sicurezza che, in alcuni punti, regola l'arrivo dei migranti in territorio italiano. Cosa ne pensi?
- Isoke Aikpitanyi: Il problema della sicurezza non esiste... e' un falso problema... ci sono dei migranti delinquenti e devono essere perseguiti, ma se anche solo essere clandestini e' un reato e' chiaro che abbiamo centinaia di migliaia di delinquenti in giro... assurdo... e vergognoso, dico io. Alla sicurezza dei migranti chi ci pensa? Nessuno, non esistono, non hanno diritti... questo il problema... considerare i migranti come un problema diverso da quello degli italiani, dei francesi... dimenticando che tutti, prima o poi, sono stati migranti... le origini africane dell'intero genere umano evidenziano che se il mondo e' popolato, vorra' pur dire che questi africani hanno iniziato a migrare. Pari diritti per tutti, quindi...
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- Roberto De Ficis: Grazie Isoke per la tua disponibilita'. Spero di risentirti presto con buone novita'.
- Isoke Aikpitanyi: Ti ringrazio molto Roberto e spero di aver soddisfatto le tue attese. Grazie ancora e a presto.
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Aosta, primo settembre 2009
7. PROFILI. GIULIANA CHIARETTI: MARIELLA LORIGA GAMBINO
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it
Giuliana Chiaretti "vive fra Venezia e Milano.Nasce a Leonessa, il 30 dicembre 1939. La famiglia si trasferisce a Roma nel 1943. Si laurea nel 1962 presso la Facolta' di Scienze Politiche, Universita' La Sapienza, qui inizia la sua carriera accademica. Nel 1967 sceglie di proseguire gli studi a Milano. Nel 1979 la nascita della figlia Federica. Per lunghi anni e' stata membro del Cipa di Milano. E' professore ordinario di sociologia all'Universita' Ca' Foscari, dove insegna dal 1996. La sua ricerca e i suoi scritti si situano a confine tra sociologia e psicoanalisi"]
Mariella Loriga Gambino (Roma 1920 - Milano 2006).
Una vita strettamente intrecciata alla storia della psicanalisi junghiana in Italia, fin dai suoi inizi, tanto da restituircene i passaggi cruciali e i principali eventi. Una pioniera, cosi' la ricordano. La prima in Italia a svolgere la terapia analitica con i bambini; la prima a interrogarsi sul nesso fra femminilita' e psicologia analitica, a riproporre la questione della differenza nella teoria e nella prassi analitica, non dal di fuori ma attenta partecipe del movimento delle donne e del femminismo nella lunga stagione degli anni '70-'80.
Il percorso per giungere alla professione di analista era stato "lungo e tortuoso", denso di momenti difficili e passaggi decisivi. Raccontando gli anni della sua formazione, riconosce: "volevo caparbiamente affermare le mie scelte e i miei bisogni, poter seguire la strada che credevo giusta" (1996). Sono stati tratti distintivi della sua personalita', l'esigenza di essere in contatto con i problemi sociali, la prontezza nel cogliere i segni del nuovo e il valore attribuito a esperienze collettive, per lei base di nuove idee e di slanci operativi. Ne trasse la forza di sostenere critiche e contrasti, il coraggio di vivere il conflitto in difesa dei suoi principi e dei suoi progetti innovativi.
Il padre Roberto Gambino, noto avvocato civilista, unico libero professionista in una famiglia di funzionari dello stato. Nato a Palermo nel 1886, si era trasferito a Roma insieme alla moglie Evelina Tocco, gia' incinta di Mariella, nel 1919. Mariella aveva 6 anni quando nasce l'amato fratello, Antonio (1926-2009), che diventera' uno dei piu' noti e rigorosi esperti di politica estera della stampa italiana, anche lui appassionato di psicoanalisi.
Nell'autobiografia, purtroppo incompiuta e conservata dalle figlie Marzia e Sabina insieme ai suoi libri, scritti e pubblicazioni, lunghe e vivide pagine raccontano di un'adolescenza che trascorre in un ambiente borghese, benestante, colto e protetto. "Noi ragazzi vivevamo in modo assai inconsapevole. La nostra principale occupazione era studiare ed essere bravi a scuola. Del mondo esterno alla vita familiare conoscevamo ben poco e anche se talora ci giungeva voce di qualche arresto o invio al confino, nessuno, nella gran parte dei casi, ci diceva certe cose: i fratelli Rosselli uccisi, il napalm in Abissinia, le stragi in Spagna. Si poteva, dunque, far finta che nulla di grave accadesse".
Tutto cambia a partire dal 1938. Il 15 luglio inizia la campagna razzista e antisemita del fascismo italiano. Il 23 agosto, la perdita improvvisa della madre che muore di una crisi asmatica, nel Grand Hotel di Riccione, all'eta' di 45 anni. Mariella, allora diciottenne, assume il ruolo di "organizzatrice familiare" a fianco del padre. Poi i lunghi anni bui della guerra e dell'occupazione tedesca di Roma: nella sua casa a Piazza Borghese vivono nascosti una ragazza ebrea, Elena Camiz, e un ragazzo renitente alla leva; lei unisce al lavoro familiare l'esperienza di crocerossina al Policlinico e l'impegno nel portare avanti gli studi presso la Facolta' di Lettere, dove si laurea in Storia delle religioni nel 1945.
"La guerra incalzava, non solo come dato ideologico, ma anche come realta' angosciosa. Di fronte ai feriti, ai dispersi, alla mancanza sempre piu' pesante di ogni mezzo di sussistenza, c'era poco spazio per occuparsi di ogni cosa che non fosse immediata. Poi, la fine della guerra porto' con se' un momento di ubriacante euforia. Era scoppiata in tutti una fame divorante di qualsiasi informazione culturale" (1996).
E' in questo clima di ritrovata liberta', di totale rottura con la cultura pietrificata del fascismo, che inizia la diffusione della psicoanalisi freudiana e di quella junghiana e che avviene il suo primo incontro con Ernst Bernhard, figura fondatrice delle scuole di psicologia analitica in Italia.
Bernhard, un medico pediatra costretto a fuggire dalla Berlino di Hitler a causa delle persecuzioni antisemite, era giunto in Italia con la moglie Dora nel 1936. Appena finita la guerra, scelta Roma come sua dimora, attiva la prima scuola informale di psicologia analitica. Diviene il "maestro" di un gruppo di giovani, tra i quali Mariella, che con fervore neofita si raccolgono intorno a lui: sara' la prima generazione di analisti junghiani.
"Volevamo un mondo nuovo e tale era quello che la psicoanalisi ci proponeva: una diversa chiave di lettura dei fatti e dei sentimenti; una rottura con un certo modo di vivere convenzionale e con la cultura cattolica collettiva in cui tutti, bene o male, eravamo sommersi, e di cui ora scorgevamo i limiti, perfino con troppo rigore; una ricerca della propria individualita'. Tutto questo naturalmente con molta ingenuita' ed entusiasmo. Entrare in analisi fu per molti di noi un passo necessario sulla strada di una crescente autonomia, di un'uscita dal mondo dei genitori, pieno di rigide regole ancora ottocentesche, o quasi. L'analisi fu insomma in qualche modo - cosi' credevamo - il genitore perfetto" (Pagine autobiografiche).
Nell'estate del 1948, pochi mesi dopo il matrimonio con Vincenzo Loriga - uno dei primi giovani a formarsi allo Jung Institut di Zurigo - inizia l'analisi con Bernhard, subito complicata dall'essere Mariella "poco incline ad accettarne gli atteggiamenti mistici", in difficolta' nel sostenere il peso del carisma del maestro. Il training prosegue, su consiglio dello stesso Ernst, con Dora. Questo fu un incontro felice, "fondamentale" per la sua vita personale e di futura analista.
Nel 1952, insieme alla piccola Marzia nata un anno prima, raggiunge il marito a Zurigo, dove prosegue i suoi studi con Carl Alfred Meier, successore di Jung all'Istituto, e con Walter Zublin, psichiatra infantile. Nel 1955, poco dopo la nascita della seconda figlia, Sabina, la separazione da Vincenzo e la partenza con le figlie per Ivrea, dove Adriano Olivetti l'aveva chiamata a dirigere l'asilo-nido aziendale.
"Il momento in cui mi ritrovai sola con me stessa e con le mie figlie a decidere della nostra vita fu di estrema importanza", scrive nei suoi Ricordi di Ivrea (1982), raccontando lo sconcerto in cui aveva lasciato parenti e amici e quanto nel nuovo ambiente e nella stessa azienda risultasse inusuale "la vita di una donna che volesse seguire la sua strada personale", quanto complicato fosse quel quotidiano convivere con un mondo fatto di uomini e gestito tutto da uomini.
In quegli anni, faticosi e stimolanti, realizza il progetto di una vera casa a misura dei bambini - l'asilo di Villa Casana - mentre prosegue il percorso di perfezionamento in psicologia infantile, recandosi regolarmente a Berna dove Zublin lavorava. Nel 1961 il rapporto con l'Olivetti si interrompe bruscamente per un conflitto con la direzione aziendale. Il 28 settembre 1961, conclusa la sua formazione di analista, si trasferisce a Milano ed entra, come membro candidato, nell'Aipa (Associazione Italiana di Psicologia Analitica) fondata da Bernhard l'anno prima.
Milano, col suo fervore riformista, lo sguardo rivolto all'Europa, le iniziative sociali e politiche innovatrici e progressiste a confronto con il resto del paese, e' la citta' fatta per lei: risponde bene all'esigenza di mettere in pratica la sua passione civile e politica. L'impegno nella professione non le impedisce l'esperienza di organizzare dal 1962 al '64 i servizi sociali per l'infanzia della societa' Italsider a Genova, di assumere nei due anni successivi la responsabilita' del servizio di aggiornamento culturale del Programma Iard (Milano), diretto dal professor Aldo Visalberghi. E per un lungo periodo, dal 1976 al 1990, di impegnarsi come giudice onorario (giudice civilista e penalista) del Tribunale per i minorenni di Milano.
Dal 1966 e' membro ordinario dell'Aipa, dal '67 dell'International Association of Analytical Psychology (Iaap). Dal 1974 analista didatta, membro del Comitato di direzione della "Rivista di Psicologia Analitica", la prima in questo campo, e socia della Societa' Italiana di Psicologia Scientifica (Sips). Nel '75 contribuisce in modo determinante alla nascita del Cap (Comitato di training) e poi della sezione dell'Aipa di Milano. Dal 1977 fa parte del Comitato direttivo del "Giornale Storico di Psicologia Dinamica". Dal 1982 al 1989 e' responsabile della sezione milanese per la formazione di nuovi analisti.
Questa sua intensa attivita', quasi una dedizione, per l'istituzionalizzazione della psicologia analitica non e' stato affatto mossa da spirito ortodosso: l'intreccio e' sempre a maglie larghe, per dare spazio a rapporti e scambi con esponenti della scuola freudiana e di altre scuole. Nel 1970, insieme a Paolo Tranchina, Teresa Corsi e altri, fonda il Centro di psicologia clinica di Milano, dove fino al 1982 partecipa ai gruppi di supervisione analitica diretti da due figure importanti nella storia della psicoanalisi, Gaetano Benedetti e Johannes Cremerius. Rivolge il suo interesse anche nel lavoro psicologico di gruppo seguendo il metodo Balint: "Visto dalla parte dell'analista, mi sembra che il lavoro di gruppo presenti tematiche e spunti sempre nuovi e diversi, che metta a fuoco con particolare evidenza certe problematiche di rapporto; e consenta inoltre quell'apertura nel sociale che e' uno dei punti critici del nostro lavoro di analisti" (1977).
Infine il suo impegno nei movimenti delle donne e femminili: in particolare due esperienze per lei del tutto nuove. Un gruppo terapeutico di sole pazienti donne, giovani impegnate nel movimento, che intendevano comprendere punti nodali della loro vita emersi nella pratica dell'autocoscienza. Lei come analista era spinta dal desiderio/bisogno di trovare un modo di lavorare nel femminismo, perche' la sua adesione non restasse solo ideologica e culturale, senza una diretta incisione nel sociale (1977).
Un sentimento "misto di curiosita' e quasi di sfida" la porta a partecipare nella primavera del 1979 a una serie di trasmissioni a Radiotre sul tema "Donne e psicoanalisi", parte di un programma piu' vasto ideato e condotto da Licia Conte, "Noi, voi, loro, donna". La trasmissione spaziera' da problemi che riguardano le diverse tappe della vita delle donne, all'esame di patologie tipicamente femminili e anche ai motivi per i quali le donne vanno in analisi e perche' di preferenza da donne. L'intento era "toccare tanti punti diversi, sollevare dubbi, tentare di mettere in crisi qualche situazione statica, di scuotere qualche certezza". L'attirava la possibilita' di un lavoro collettivo, ascoltare voci di donne fuori dal setting, rivolgersi a tutti, per parlare dell'esistere problematico delle donne, dire la loro diversita' che lei riassumeva nell'essere la loro vita costellata di risa e pianti. "Non che gli uomini non avrebbero altrettanti motivi di ridere e piangere, ma sappiamo anche che hanno una maggiore difficolta' a mostrare i loro sentimenti" (1980).
Vivo, pieno di affetto e gratitudine, e' in me il ricordo di lei. E quello della sua casa, aperta, allegra, accogliente, dove si sono ritrovati per tanti anni, decenni, gli amici e gli amici degli amici, suoi e di Sabina e Marzia. Tra i piu' assidui, negli ultimi tempi: Johannes Cremerius, Cori e Fabio Ranchetti, Grazia Livi, Alessandro e Anna Pizzorno, Cini Boeri, Alfonso Beria D'Argentine, Giovanni Rapelli, Marco e Billa Zanuso, Marcello e Stefania Flores D'Arcais, Nicoletta Gentili, Paolo Inghilleri, Pepe e Rosalba Giolitti, Sisa Biadene, Armando Sandretti. Serate indimenticabili.
Bibliografia: M. Loriga Gambino, Esperienze di un gruppo terapeutico in Esistere come donna, Rivista di Psicologia Analitica, 16, 1977; M. Loriga Gambino, L'identita' e la differenza, Milano, Bompiani 1980; M. Loriga Gambino, Ricordi di Ivrea. Una carriera femminile alla Olivetti, Memoria. Rivista di storia delle donne, 6, 1982; M. Loriga Gambino, Trasformazioni della psicologia femminile nella societa' attuale, in AA.VV., Presenza ed eredita' culturale di C. G. Jung, Cortina, Milano 1987; M. Loriga Gambino, La psicoterapia infantile, in A. Carotenuto (a cura di), Trattato di psicologia analitica, Utet, Torino 1992, vol. II; M. Loriga Gambino (a cura di), Il mio primo incontro con Bernhard, Rivista di Psicologia Analitica, 54, 1996.
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Numero 326 del 18 aprile 2011
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