Telegrammi. 529



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 529 del 18 aprile 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Si e' svolto il 17 aprile a Viterbo un incontro di formazione nonviolenta

2. Polly Toynbee intervista Aung San Suu Kyi

3. Laura Balbo: Natalia Ginzburg

4. Laura Balbo: Nadine Gordimer

5. Giuliana Chiaretti: Laura Balbo

6. Per sostenere il Movimento Nonviolento

7. Segnalazioni librarie

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 17 APRILE A VITERBO UN INCONTRO DI FORMAZIONE NONVIOLENTA

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Domenica 17 aprile 2011 presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo si e' svolto un nuovo incontro del percorso di formazione e informazione nonviolenta che prosegue settimanalmente dal 2009.

L'incontro si e' aperto con alcuni aggiornamenti su alcune iniziative in corso in difesa dell'ambiente e del diritto alla salute.

La parte piu' ampia dell'incontro e' stata dedicata al ricordo di Vittorio Arrigoni (di cui sono state anche lette alcune pagine dal libro "Gaza. Restiamo umani") ed all'impegno contro la guerra e contro il razzismo.

La parte conclusiva e' stata dedicata alla catastofe atomica di Fukushima e all'impegno di informazione e sensibilizzazione per i prossimi referendum; e' stato diffuso a tutti i presenti ed e' stato letto collettivamente l'opuscolo del Movimento internazionale della riconciliazione su "Energia nucleare, una scelta immorale e senza futuro".

Infine come di consueto si e' effettuata "con occhi e con voci di donne" una valutazione della giornata e una verifica sull'andamento delle varie iniziative di pace e di solidarieta' in corso e in programma in cui sono impegnate le persone partecipanti agli incontri domenicali di accostamento alla nonviolenza presso il centro sociale "Valle Faul".

*

Le persone partecipanti all'incontro

Viterbo, 17 aprile 2011

 

2. MAESTRE. POLLY TOYNBEE INTERVISTA AUNG SAN SUU KYI

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista ad Aung San Suu Kyi di Polly Toynbee, apparsa su "The Guardian" il 16 aprile 2011.

Polly Toynbee e' presidente del Festival di Brighton, della cui edizione 2011 Aung San Suu Kyi e' la direttrice ospite. Il Festival si terra' dal 7 al 29 maggio prossimi: www.brightonfestival.org

 

Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito una durissima persecuzione da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. E' stata liberata pochi mesi fa dopo una lunghissima detenzione. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 2005; Lettere dalla mia Birmania, Sperling & Kupfer, Milano 2007; La mia Birmania, Corbaccio, Milano 2008, Tea, Milano 2010. Cfr. anche i testi ne "La nonviolenza e' in cammino", nn. 968 e 1228; nelle "Notizie minime della nonviolenza in cammino" nn. 38, 115, 261, 400; in "Coi piedi per terra", n. 417; nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 515; in "Nonviolenza. Femminile plurale", nn. 17, 114 (monografico); in "Voci e volti della nonviolenza", n. 78 (monografico)]

 

La staccionata alta e' dietro, a separare la sua casa dal lago che le sta accanto, ma questa volta e' stata eretta dalla sua stessa gente per proteggerla, non per chiuderla dentro. Quanto libera e' Aung San Suu Kyi, cinque mesi dopo la fine di 15 anni di arresti domiciliari? Non molto, o come un uccellino: dipende da come le fate la domanda.

Fragile, eppure forte come ferro, con le rose gialle e bianche nei capelli che sembrano smentire la sua volonta' d'acciaio. Non stava bene, quando le abbiamo fatto visita questa settimana. Pure, entra nella stanza con un sorriso luminoso, con calore e grazia, ed il suo portamento eretto maschera la dolorosa spondilosi alla spina dorsale.

Andrew Comben, direttore del Festival di Brighton, ed io come presidente dello stesso, siamo venuti a filmare un'intervista, poiche' Aung San Suu Kyi e' la direttrice ospite dell'evento del maggio prossimo. Poiche' non osa viaggiare all'estero, sapendo che i generali al governo della Birmania sin dal 1962 non la lascerebbero mai tornare, abbiamo deciso per il filmato. I suoi visitatori sono controllati, percio' c'e' voluto qualche sotterfugio, nascondersi nei taxi e poi uscirne di soppiatto, prendere il traghetto sul fiume, e andarsene alla chetichella dall'ingresso posteriore dell'albergo, al fine di evitare la confisca del nostro film.

Eravamo entrati in contatto mesi or sono, quando Aung San Suu Kyi era ancora in stato d'arresto, e ci eravamo chiesti se avrebbe giudicato l'idea di dirigere come ospite un festival delle arti assurdamente frivola, o comunque irrilevante rispetto alla lotta del suo paese per la democrazia. Tutt'altro. Ha accettato deliziata: sebbene abbia trascorso 15 degli ultimi 21 anni in isolamento, ha un godimento estatico per moltissime cose. L'arte e' importante, dice: "Se attraverso l'arte si riesce a far capire alle persone perche' la liberta' e' cosi' importante, cio' e' di grande aiuto." Esplorare i suoi gusti artistici, cio' che le piace, e i suoi ricordi, e' stato rivelatore e commovente. E sorprendente: ma di questo diremo poi.

La richiesta di liberta' che attraversa come una tempesta il Medio Oriente spazzera' via le dittature ovunque, anche in Birmania? "Gli esseri umani vogliono essere liberi e per quanto a lungo abbiano acconsentito ad essere prigionieri, a rimanere oppressi, verra' il giorno in cui diranno: Allora e' cosi'. Di colpo si troveranno a fare cose che non avrebbero mai immaginato, semplicemente per l'istinto umano che spinge i loro volti a girarsi verso la liberta'".

E quel momento e' ora? "Sempre piu' persone, in special modo i giovani, stanno capendo che se vogliono un cambiamento devono perseguirlo da se stessi: non possono dipendere da una persona particolare, ad esempio da me, perche' tutto il lavoro sia compiuto. E' meno facile ingannare le persone oggi di quando lo sia stato in passato, oggi sanno cosa succede in tutto il mondo".

Il Medio Oriente non è mai menzionato nei giornali di stato birmani, organi che fanno sembrare la Pravda dell'era sovietica Wikileaks. "La Nuova Luce del Myanmar" reca avvertimenti sulla prima e l'ultima pagina: "L'anarchia genera anarchia. La rivolta genera rivolta, non democrazia. Spazzate via coloro che incitano alla sollevazione ed alla violenza", e attacchi alla Bbc e a Voice of America: "Non permettiamo a noi stessi di essere sviati da trasmissioni assassine ideate solo per causare problemi". Aung San Suu Kyi ne ride, e chiama il giornale "La Nuova Peste del Myanmar" (gioco di parole fra "light-luce" e "blight-peste", ndt).

Il regime e' scosso? "La gente sa quel che accade a causa della rivoluzione avvenuta nella comunicazione. Percio' le persone stanno diventando sempre piu' consapevoli del loro potenziale, e cio' va incoraggiato".

Ma quale potrebbe essere la scintilla? Una rivolta nel 1988 fu dissolta dal governo tramite l'azzeramento dei buoni del tesoro in una sola notte, di modo che ognuno perse i propri risparmi. Le proteste del 2007, a cui parteciparono i monaci, ebbero inizio con un elevato aumento dei prezzi del riso. "Nel momento in cui l'esercito comincia a sparare, la maggior parte delle sollevazioni si spengono in fretta. Ma per quanto tempo la gente restera' quieta dopo, quello e' un altro paio di maniche".

La gente guarda a lei, ed ora che e' libera, la Lega Nazionale per la Democrazia ha un nuovo impulso, sebbene organizzarsi sia difficile, dato che tutti i suoi leader sono fra i 2.200 prigionieri politici del paese: sentenze fino a 65 anni di carcere sono state comminate a studenti. "Paura, paura, la paura e' ovunque", dice Aung San Suu Kyi.

Eccetto che dentro di lei. Nel 2003 si tento' di assassinarla quando il suo convoglio venne assalito da criminali organizzati dal governo, e settanta dei suoi sostenitori furono uccisi in quell'assalto: picchiata e incarcerata allora, e' rimasta in stato di arresto sino a quest'anno.

La sua gente vorrebbe proteggerla strettamente, ma lei rifiuta. Fa spallucce, e dice che se il regime la vuole morta, c'e' poco che si possa fare.

Quanto libera e', ora? Se mette piede fuori di casa, la circondano migliaia di ammiratori ovunque vada. E' andata a far spese con il figlio, una volta, ma ha dovuto essere salvata dall'assembramento dei fan. "Per fortuna, andare a fare spese non mi piace!", e invero lo shopping deve essere poco attraente, in Birmania. Un tempo la seconda nazione piu' ricca del sudest asiatico, nonostante le sue molte risorse, e' ora la piu' povera, e la meno libera dopo la Corea del Nord.

Aung San Suu Kyi e' libera di viaggiare attraverso il suo paese? Non proprio, lei pensa. Non ha ancora messo piede fuori Rangoon: "Fino ad ora non ho tentato di andare in alcun posto dove non mi desiderassero, ma devo cominciare a saggiare le acque di nuovo". Il suo lavoro la tiene inchiodata fra l'ufficio del partito e la sua casa, la sua ex prigione. I suoi lunghi anni di detenzione sono cosi' eccezionali perche' in parte sono stati volontari. La maggior parte dei prigionieri non ha scelta, ma ogni giorno lei avrebbe potuto camminare libera, dirigersi verso l'aeroporto e volare via, con i suoi carcerieri lieti di essersi disfatti di lei per sempre.

Ogni giorno, per quindici anni, ha dovuto prendere la decisione di restare, sola ed isolata, senza i due figli, e persino quando il suo amato marito stava morendo di cancro in Gran Bretagna, crudelmente bandito dal farle visita. Ma se voi le parlate di eccezionale risolutezza, lei si riferira' sempre ad altri prigionieri politici birmani tenuti in ben piu' dure condizioni, affamati, dalla salute minata: "Non penso di essere stata l'unica volontaria. Un bel po' della nostra gente avrebbe potuto scegliere di non andare in prigione, se avesse smesso di lavorare per il movimento che chiede democrazia".

E' stato il rispetto dei generali per suo padre, eroe di guerra che mori' combattendo per l'indipendenza della Birmania quando lei aveva due anni, a permettere che fosse incarcerata nella sua propria casa. Questa donna, Premio Nobel per la Pace, e' stata anche protetta dall'opinione pubblica mondiale.

"Questa parola, 'liberi' - dice parlando di se stessa e degli altri prigionieri - noi tutti pensiamo di essere piu' liberi della gente che sta fuori, perche' non abbiamo dovuto scendere a compromessi con la nostra coscienza. Stiamo facendo cio' in cui crediamo. Non siamo incarcerati dietro le sbarre del senso di colpa. Percio', penso sia questo che ci ha fatto scegliere la prigionia al posto del restare, fra virgolette, 'liberi'. Per noi, questo e' il modo in cui viviamo le nostre vite".

Negli ultimi cinque mesi, lei ha ridato vita alla Lega Nazionale per la Democrazia, stabilendo nuovi servizi umanitari, scavando pozzi, aprendo cliniche e scuole con pochissimo denaro. Scrupolosamente, la Lega non accetta donazioni da sostenitori stranieri, ma solo da donatori birmani. Aung San Suu Kyi ride, mentre racconta che come loro cominciano a scavare un pozzo, il governo si affretta a cercare di scavarne uno migliore: "E' una cosa che fa un sacco di bene!".

Ma e' difficile programmare incontri con gli organizzatori regionali senza fondi, e' difficile sapere come vanno le cose da altre parti. Aung San Suu Kyi ha appena appreso degli ammutinamenti nell'esercito dal World Service della Bbc, un salvagente, quando le informazioni sono cosi' dure da ottenere. E' sollevata che la programmazione della Bbc diretta alla Birmania sia stata risparmiata dai tagli del governo, si dice "confusa" per la decisione di tagliare quella cinese. Dopo settant'anni sono appena stati trasmessi gli ultimi programmi della Bbc in mandarino per la Cina.

La pressione dall'esterno ha piu' impatto di quel che la gente normalmente crede, lei sostiene. E' percio' che i generali si sono sentiti obbligati a dar forma ad una nuova Costituzione, sebbene essa lasci la medesima casta militare al governo del paese, solo vestita di abiti civili.

Le finte elezioni tenutesi prima del suo rilascio sono state dichiarate "profondamente compromesse" dalle Nazioni Unite. Il suo partito non si e' presentato, poiche' le condizioni per farlo includevano il ripudio di tutti i suoi prigionieri politici ed il giurare fedelta' ad una Costituzione che permette all'esercito di spadroneggiare in qualsiasi momento. Ma tali elezioni sono state sufficienti agli economisti occidentali neoliberisti per chiedere un compromesso e la cancellazione delle sanzioni, accusando nel contempo Aung San Suu Kyi di "ostinazione".

"Dicono che se potenziamo il commercio, il commercio ci portera' la democrazia. Dicono: Quello di cui avete bisogno e' una classe media, e poi avrete la democrazia. Come in Cina?", si chiede ironicamente, "Ma il Fondo Monetario Internazionale sostiene che il disastro della nostra economia e' dovuto al suo malo uso, non alle sanzioni. Le ong invitano i funzionari pubblici a seminari sulla 'costruzione di capacita'': ma il problema non e' che i funzionari pubblici non sono capaci, e' che non fanno niente se non ricevono una mazzetta". La Birmania, su 180 paesi, ne ha solo quattro che la superano in corruzione. "Parlo con gli uomini d'affari, e loro mi dicono che cio' che previene le imprese dal nascere e' che tutto casca nelle mani dei corrotti".

Il suo messaggio e' che la sola risposta sta nella democrazia e nella trasparenza, ma le ong non vogliono saperne di politica, il che la fa bruciare dall'indignazione. Cita Graham Greene: "Lui scrisse: Qualche volta, se sei umano, devi prendere una posizione. Loro dicono che noi non siamo pronti a fare compromessi. Non capisco cosa intendano. Le nostre menti non sono inflessibili, forse solo le nostra ginocchia lo sono. E noi non siamo in ginocchio".

Il suo messaggio e' che tutto e' politico, e niente e' apolitico. Con cristallina precisione, scandisce le parole a tutte maiuscole: "Io sono una donna politica. Sara' una parolaccia, ma e' cio che ho scelto come professione. Io sono una donna politica".

Parliamo quindi del generale disprezzo per la politica, mentre il voto continua a declinare in occidente: "Chiedete loro se emigrerebbero in uno stato totalitario", risponde.

Ma si preoccupa del fatto che anche quando la liberta' arriva, la gente ha la memoria corta se i risultati del governo non raggiungono le aspettative? "Ho sempre tentato di spiegare che la democrazia non e' perfetta. Ma almeno ti da' la possibilita' di forgiare da te stesso il tuo destino".

Nonostante tutto, sembra che la politica non occupi l'intera sua vita, mentre racconta di cosa l'arte ha significato per lei. Beethoven era una scelta che ci aspettavamo: "Per molte persone, rappresenta non solo la grandezza della musica, ma la grandezza del pensiero dietro di essa. Ho spesso desiderato, in questi ultimi anni di detenzione, di essere una compositrice perche' in tal modo avrei potuto esprimere quel che sentivo attraverso la musica, che in qualche modo e' piu' universale delle parole". Percio' il nostro Festival comincia con Fidelio, l'opera del prigioniero. Durante la detenzione, Aung San Suu Kyi ha suonato il pianoforte ogni giorno.

Ha ricordato la sua passione per T. S. Eliot quando era ad Oxford a studiare politica ed economia, percio' il Festival produrra' i Quattro Quartetti, accompagnati da un quartetto d'archi di Beethoven. Poi prende in giro le poesie tremende che le venivano insegnate a scuola nella Birmania coloniale e le recita ridendo. E infine c'e' una sorpresa.

Di recente apprezza i Grateful Dead, in particolare "Standing on the Moon": "Lo avete mai ascoltato? A me piace molto. Mio figlio mi ha insegnato ad apprezzarlo. Anche Bob Marley. Mi piace 'Get up, Stand up for your rights' ('Alzati, ergiti per i tuoi diritti', ndt). Abbiamo bisogno di piu' musica di questo tipo". E cosi' il Festival le ha portato Lee Scratch Perry, uno dei mentori di Bob Marley.

Prima che ce ne andiamo, lei ci ferma per piegare un origami, un fior di loto, da mandare al Festival, dove si aggiungera' a tutti quelli posati a galleggiare nel lago del Queen's Park, a simboleggiare i molti prigionieri politici birmani.

Abilmente le sue dita si muovono avanti e indietro, e lei rammenta quando faceva la stessa cosa con i suoi figli piccoli. Eccola la', un'icona, il raggio della liberta', un simbolo mondiale di forza e perseveranza, che ride e piega la carta. Come sempre, con il buonumore e la grazia, indossa il suo eroismo leggermente.

 

3. PROFILI. LAURA BALBO: NATALIA GINZBURG

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Laura Balbo, sociologa, impegnata nel movimento antirazzista, e' stata parlamentare e ministra per le pari opportunita'. Opere di Laura Balbo: Stato di famiglia, Etas; Interferenze (con Renate Siebert), Feltrinelli; Time to care, Angeli; Tempi di vita (a cura di), Feltrinelli; I razzismi possibili, I razzismi reali, Razzismi: un vocabolario (tutti e tre i volumi in collaborazione con Luigi Manconi), Feltrinelli. Dal medesimo sito dell'Enciclopedia delle donne riprendiamo anche la seguente scheda: "Laura Balbo, ordinaria di Sociologia, ha insegnato nelle Universita' di Milano (Scienze Politiche, Universita' Statale, e Politecnico), Ferrara (Lettere e Filosofia), Padova (Scienze Politiche). E' stata Preside di facolta' e Presidente dell'Associazione Italiana di Sociologia (1998-2001). E' stata parlamentare (IX e X legislatura, 1983-1992) e Ministro delle Pari Opportunita' (1998-2000). Ha collaborato con l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (sezione europea, Copenaghen), con l'Unesco e, in varie occasioni, con la Commissione Europea. E' presidente dell'International Association for the Study of Racism (Amsterdam)". Vedi anche la voce a lei dedicata nell'"Enciclopedia delle donne", scritta da Giuliana Chiaretti (ed in questo foglio sotto riportata).

Natalia Ginzburg, nata Levi a Palermo nel 1916 (ma la famiglia si trasferi' presto a Torino) in una famiglia di intellettuali che ha grandemente contribuito alla lotta contro il fascismo, moglie del martire antifascista Leone Ginzburg, sposo' poi in seconde nozze Gabriele Baldini, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, autorevole collaboratrice della casa editrice Einaudi, parlamentare, di profonda umanita' e forte impegno civile, e' deceduta a Roma nel 1991. Tra le opere di Natalia Ginzburg segnaliamo particolarmente l'autobiografico Lessico famigliare (che e' anche uno straordinario documento storico e di vita civile). Opere su Natalia Ginzburg: per un avvio: Luciana Marchionne Picchione, Natalia Ginzburg, La Nuova Italia, Firenze; Elena Clementelli, Invito alla lettura di Natalia Ginzburg, Mursia, Milano]

 

Natalia Levi Ginzburg (Palermo 1916 - Roma 1991).

La sua vita ha attraversato eventi storici difficili, pesantissime tragedie personali. Cresce a Torino in un ambiente intellettuale e antifascista: continui controlli della polizia, la prigione che tocca diversi membri della sua famiglia, tra cui il padre e alcuni dei fratelli. Sono anni che sintetizzera' bene, in seguito, nel suo Lessico famigliare (1963). Nel 1938 si sposa con Leone Ginzburg, che nel 1940 viene mandato al confino in un piccolo paese dell'Abruzzo, e con lui vivranno Natalia e i tre figli (Carlo, Andrea, Alessandra) fino al 1943. Ricordera' quel momento in un testo delle Piccole virtu' (1962), un tempo vissuto come un passaggio scomodo e che si rivelera' essere invece il piu' felice.

Tra il 1943 e il 1944, i Ginzburg presero parte a diverse attivita' di editoria clandestina. Al loro ritorno a Roma, Leone fu arrestato e condotto in prigione, dove mori' per tortura, senza poter rivedere la moglie ed i tre figli.

La scrittrice torna a Torino e, al termine della guerra, inizia a collaborare alla casa editrice Einaudi. Traduzioni, romanzi, saggi, opere di teatro: la sua attivita' di scrittrice riempie i decenni successivi. Si sposera' di nuovo, nel 1950, con Gabriele Baldini, che morira' nel 1969. E sara' anche parlamentare (1983 e 1987), eletta nella Sinistra Indipendente, attiva in iniziative per la difesa dei diritti e contro il razzismo.

E' li' che io l'ho conosciuta.

Scrivere queste righe ha significato per me rendermi conto di qualcosa di inaspettato: come una persona che da tanti anni non e' piu' con noi possa, a un tratto, essermi di nuovo vicina. Un'emozione profonda, che non conoscevo.

Natalia, nel ricordo, e' proprio lei: affettuosa con le persone che le sono attorno, molto consapevole dei problemi umani e politici del mondo di cui siamo parte. Schiva e discreta. Silenziosa, in molte occasioni. Sempre attenta. La sua presenza non si deforma, non si appanna.

E' la persona grazie alla quale ho capito come incontrare generazioni, esperienze, e pezzi di storia differenti da quelli che viviamo, possa costituire un "ponte" molto importante - se lo sappiamo utilizzare - per imparare, in qualche modo, a vivere: consapevoli, anche fiduciosi. Ci sono momenti e aspetti difficili, della vita e della storia; ma magari, andando avanti, di tutto questo capiremo il senso. Quel che succede attorno a noi, cercare di capirlo; e riuscire a fare la nostra parte. Non starne fuori, o ai margini. Un disorientamento estremamente attento, che sta tutto nella misura dell'umano. Questo c'e' nei suoi scritti.

Il suo linguaggio e' "umile"; lo sono i titoli dei romanzi, Le voci della sera (1961); Lessico famigliare (1963), Ti ho sposato per allegria (1966); La citta' e la casa (1984). Ci sono le "piccole cose", la "vita quotidiana" (termini usati in alcuni filoni della sociologia: dunque, anche in questo c'e' tra noi un legame).

I personaggi che nella sua scrittura arriviamo a conoscere come se davvero li avessimo incontrati, per quanto ci sono messi vicino, nei gesti semplici, nelle parole e anche in quello che non dicono, vivono negli anni del fascismo, delle leggi contro gli ebrei, di Mussolini e dell'Asse Roma-Berlino, della guerra. Ho chiara in mente (Tutti i nostri ieri, 1952) la descrizione del momento in cui si sparge la notizia della caduta del fascismo, e si parla dell'armistizio, e si spera che sia tutto finito. Ma poi arrivano i tedeschi, e invece "gli inglesi non arrivano mai".

Molti dei suoi libri sono costruiti attraverso lo sguardo di donne. C'e' la vita di bambine (Natalia, in Lessico Famigliare), di giovani ragazze incinte, di vecchie (la "signora Maria"), di donne adulte con i loro figli (Lucrezia, La citta' e la casa), le contadine, le borghesi.

E gli uomini: quelli in guerra, lontani per mesi e per anni; quelli di cui si sapeva solo che erano "in Russia". Cenzo Rena e Franz che si consegnano ai tedeschi per salvare la vita di dieci ostaggi innocenti, e vengono fucilati: sono le ultime pagine dei "nostri ieri".

Ho amato moltissimo l'invenzione (appunto nell'ultimo testo che ho citato) di mettere insieme le lettere di persone, familiari, amici, che si tengono in contatto o si ritrovano (e cambiamenti, sofferenze, il passare del tempo). Il tono, le parole sono quelle della vita di ogni giorno e delle "piccole cose", che pero' sono parte di vicende storiche complesse, pesanti. Complesse e pesanti anche le sue esperienze, a partire dalla morte terribile di Leone Ginzburg, il marito torturato e ucciso in carcere nel '44. Di questo lei non parlava mai.

Ci siamo "viste" per la prima volta (entrambe come neodeputate elette nella Sinistra Indipendente, ed entrambe "nuove" dell'ambiente) nel corso di una affollata riunione, in una stanza di Montecitorio. Mi ero seduta vicino ad alcune altre persone del nostro "gruppo" quando e' entrata, un po' incerta tra tanta gente in quel contesto inconsueto. Sono andata verso di lei e le ho suggerito di venire dove gia' alcuni di noi erano seduti. Da allora, mi ha definito il suo "angelo custode" nelle prime esperienze parlamentari, quelle burocratiche in particolare: fare il tesserino di deputato, identificare la propria cassetta postale tra le molte centinaia disponibili, trovare l'ascensore giusto per salire ai piani superiori. Allora c'erano queste cose, poi certo molto sara' cambiato nel palazzo.

Abbiamo passato insieme molto tempo: le sedute durante i lunghi dibattiti parlamentari, riunioni di ogni tipo, convegni. Nel 1989 abbiamo costituito, insieme ad altri, l'associazione Italia-Razzismo. E momenti liberi: a casa sua a Roma; una volta a Sperlonga durante le vacanze e anche un'estate, chissa' come, in Val d'Aosta, con Vittorio Foa. Voglio ricordare anche lui, che mi e' altrettanto caro.

I figli, i nipoti. In un paio di occasioni anche Giulio Einaudi: lui mi sembrava poco contento che io fossi tra i piedi, proprio non c'entravo con il loro mondo. In effetti non ricordo che si sia mai parlato dei suoi romanzi o di letteratura in generale: forse avrei dovuto farlo.

Certe sue brevi frasi comunque mi sono rimaste in mente. Alcune dei suoi libri; altre, di momenti vissuti insieme: quelle dell'ultima volta che ci siamo viste. Abbiamo parlato di cose quotidiane, come sempre. Il giorno dopo mi hanno chiamato, e ho saputo che non c'era piu'.

Le tengo dentro di me: con gratitudine e un senso di profonda tenerezza.

Per la bibliografia si rimanda alla voce, riportiamo qui alcuni testi non citati: Natalia Ginzburg, La strada che va in citta', Einaudi, 1942; Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi, Milano, Garzanti, 1970; Natalia Ginzburg, Caro Michele, Mondadori 1972; Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni, Einaudi 1983.

 

4. PROFILI. LAURA BALBO: NADINE GORDIMER

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Nadine Gordimer e' una delle piu' grandi scrittrici contemporanee, sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel per la letteratura. Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi di racconti e romanzi (tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il mondo tardoborghese, Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio, Qualcosa la' fuori, Storia di mio figlio, Un'arma in casa, Occasione d'amore, L'aggancio, Sveglia!, Il salto, Beethoven era per un sedicesimo nero, tutti presso Feltrinelli; Il bacio del soldato, presso La Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990; Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996; Vivere nella speranza e nella storia. Note dal nostro secolo, Feltrinelli, Milano 1999; Scrivere e' vivere. Scritti e interviste, Datanews, Milano 2007. Opere su Nadine Gordimer: AA. VV., Nadine Gordimer: a bibliography of primary and secondary sources, 1937-1992, Hans Zell, London 1994. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Nadine Gordimer (Johannesburg, 20 novembre 1923) e' una scrittrice sudafricana, autrice di romanzi e saggi, vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991. Nel gennaio 2007 le viene assegnato il Premio Grinzane Cavour per la Lettura. Nasce a Springs, centro minerario nell'area urbana a est di Johannesburg (East Rand) nella provincia del Gauteng, da Isidore e Nan Gordimer. I suoi genitori sono entrambi immigranti ebrei: il padre si era trasferito in Sudafrica dalla Lettonia, la madre da Londra. Vive a Johannesburg... La madre la spinge sin da piccola a leggere e a interessarsi al mondo che la circonda: comincia cosi' a scoprire il razzismo di cui e' permeata la societa' in cui vive. Si iscrive alla University of Witwatersrand... qui tocca con mano le barriere esistenti fra i giovani studenti bianchi e i neri anche nell'istruzione universitaria. In questi anni entra in contatto con l'African National Congress e inizia la sua lotta contro la discriminazione razziale. Negli anni '60 e '70 insegna in alcune universita' degli Stati Uniti. Si batte contro l'apartheid. Molte delle sue opere affrontano la questione delle tensioni morali e psicologiche dovute alla segregazione razziale in atto nella sua patria. La sua prima pubblicazione e' un breve racconto per bambini, The Quest for Seen Gold, apparso sul "Children's Sunday Express" nel 1937. La sua prima raccolta, Face to Face (Faccia a faccia), e' pubblicata nel 1949. Il primo romanzo The Lying Days, e' pubblicato nel 1953. Fra i membri fondatori del Congress of South African Writers, Nadine Gordimer e' stata premiata con numerosi titoli onorifici... Bibliografia: a) Romanzi: The Lying Days (I giorni della menzogna) (1953); A World of Strangers (Un mondo di stranieri) (1958); Occasion for Loving (Occasione d'amore) (1963); The Late Bourgeois World (Il mondo tardoborghese) (1966); A Guest of Honour (Un ospite d'onore) (1970); The Conservationist (Il conservatore) (1974), vincitore del Booker prize nel 1974; Burger's Daughter (La figlia di Burger) (1979); July's People (Luglio) (1981); A Sport of Nature (Una forza della natura) (1987); My Son's Story (Storia di mio figlio) (1990); None to Accompany Me (Nessuno al mio fianco) (1994); The House Gun (Un'arma in casa) (1998); The Pickup (L'aggancio) (2001); Get a Life (2005); b) Raccolte di racconti: Face to Face (Faccia a faccia) (1949); Town and Country Lovers; The Soft Voice of the Serpent (La voce soave del serpente) (1952); Six feet of the Country (1956); Not for Publication (1965); Livingstone's Companions (I compagni di Livingstone) (1970); Selected Stories (1975); No Place Like: Selected Stories (1978); A Soldier's Embrace (1980); Something Out There (Qualcosa la' fuori) (1984); Correspondence Course and other Stories (1984); The Moment Before the Gun Went Off (1988); Jump: And Other Stories (Il salto) (1991); Why Haven't You Written: Selected Stories 1950-1972 (1992); Loot: And Other Stories (2003); c) Teatro: The First Circle (1949) pub. in Six One-Act Plays; d) Saggi: The Essential Gesture (1988); The Black Interpreters (1973); Writing and Being (Scrivere ed essere. Lezioni di poetica) (1995); e) Altre opere: On the Mines (1973); Lifetimes under Apartheid (1986)". Cfr. anche i testi apparsi ne "La nonviolenza e' in cammino", nn. 189, 275, 1384; nelle "Notizie minime della nonviolenza" nn. 128, 421, 441 e 468; "La domenica della nonviolenza" nn. 14 e 161 (monografico); "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 178 (monografico); "Voci e volti della nonviolenza" nn. 170 e 172 (monografici)]

 

Nadine Gordimer (Johannesburg (Sudafrica) 1923 - vivente).

Ho sempre pensato che noi europei, cosi' "eurocentrici", e ovviamente pochissimo informati, dovremmo in qualche modo cercare di collocarci in uno scenario diciamo piu' "aperto" ("globale"?). I testi di questa scrittrice mi hanno aiutato in questo tentativo, alcuni soprattutto, che ho molto amato. Una forza della natura (meglio il titolo inglese, A Sport of Nature: l'indimenticabile Hillela) e L'Aggancio (di nuovo, in inglese: The Pickup), Vivere nell'interregno, e Il salto.

Nadine Gordimer vive e lavora a Johannesburg. Fin da giovane la sua esperienza quotidiana e' messa al centro e da lei interpretata alla luce dei complessi, drammatici meccanismi della discriminazione razziale che si trova ad osservare. Le sue opere comprendono quindici romanzi, racconti, saggi di forte respiro politico. Mantiene contatti con l'African National Congress. E' tra i membri fondatori del Congress of South African Writers.

Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra i quali il Booker Prize (1974), il Grinzane Cavour (1985 e 2006), il premio Carlo Levi (2002). Nel 1991 e' stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura. Da molti anni ricopre la carica di Goodwill Ambassador delle Nazioni Unite.

Dai suoi libri, anche da quelli degli ultimi anni (La Sveglia, 2006; Il Conservatore, 2009), e anche da alcuni viaggi (nello Zimbabwe ancora negli anni del regime coloniale; piu' di recente, nel Sud Africa del dopo apartheid) ho imparato che il mondo di cui faccio parte (in senso fisico, culturale, politico) e' davvero un piccolo pezzo, in fondo irrilevante, del "tutto" in cui siano inseriti. E che tenere gli occhi aperti su altri "pezzi", dunque sul mondo che lei descrive e interpreta, e' un lavoro che dobbiamo fare. Invece non si definisce in questi termini (imparare, lavorare) l'esperienza del leggere, del viaggiare, del porsi delle domande, del mettersi in discussione.

Mi e' stato soprattutto utile un "incontro" del tutto inatteso, un caso fortunato: il testo di Stephen Clingman The Essential Gesture. Writing, Politics and Places (1988), in cui sono raccolti e presentati gli scritti di Nadine Gordimer di carattere piu' giornalistico o anche politico, su condizioni e vicende di diverse parti del continente africano, in un arco di tempo che va dagli anni '50 agli anni '80. Sono 23 testi su persone, paesi dell'Africa, momenti storici diversi. Su leggi razziali e censura, coraggiose denuncie, movimenti di opposizione e di protesta. Anche terribili conflitti, brutalita', miseria, intrecci di corruzione, nelle fasi della decolonizzazione. Il libro e' appunto un insieme di testimonianze attente, molte delle quali dolorose, di parti diverse e di difficili momenti storici dell'immenso continente. Sviluppa l'analisi delle difficolta', delle "scelte nella confusione in cui si deve vivere". Riflettendo sulla "responsabilita' dello scrivere" si definisce, nella sua relazione con i black writers del Sud Africa, come fellow writer.

Nei testi - interventi a convegni, pubblicazioni su giornali e riviste, lectures in occasione dei riconoscimenti internazionali che le sono stati conferiti - c'e' la straordinaria scrittura che conosciamo dai suoi romanzi, ma anche una accurata, impietosa registrazione di eventi storici e sociali di cui pochissimo sappiamo.

Ho letto questo libro come una forte testimonianza (e denuncia) di vicende politiche che alla maggioranza di noi sono rimaste ignote, comunque lontane: Egitto, Congo, Ghana, Costa d'Avorio, Madagascar, Botswana. C'e' anche una parte di viaggi e di lettura dei paesi che visita. Incontra e osserva le tradizioni, le popolazioni, e i prodotti dell'arte e delle culture tradizionali che in qualche forma sopravvivono. Anche gli animali: elefanti e leoni e gorilla e pappagalli. Le tante stupefacenti forme della vegetazione, nelle foreste, lungo i fiumi. La varieta' dei paesaggi. L'irripetibile (da allora sono cambiate tante cose: assetti politici, turismo di massa, ecc.) viaggio lungo il fiume Congo, dalla foce a Stanleyville, Elisabethville, Leopoldville: i nomi della colonizzazione. Molte di quelle diverse parti e complesse vicende dell'immenso, travagliato continente le aveva, dice, "si' e no sentite nominare". Dappertutto eventi e destini decisi altrove, e poverta', conflitti, regimi corrotti e forme di potere dittatoriali; il peso della presenze e degli interessi dei paesi ricchi. Parla delle conseguenze di decisioni prese altrove, per quei "paesi che le potenze coloniali avevano ripartito al momento di andarsene" senza alcuna attenzione alle possibili conseguenze per quelli che, appunto, rimanevano.

La parte centrale di questo volume, con il titolo A Writer in South Africa, raccoglie scritti che testimoniano anche un clima di relativa speranza. Ma il suo e' il paese dell'apartheid, di Nelson Mandela tenuto in carcere per tanti anni della sua vita, di Desmond Tutu. Norme e pratiche istituzionali in un sistema che facciamo fatica a immaginare nel suo effettivo funzionamento (dice a un certo punto, "una democrazia per soli bianchi"); la segregazione, la poverta', le repressioni; contrapposizioni e scontri durissimi. I movimenti di organizzazione e di protesta (quelli della Black Consciousness: descrive l'ambiguita' delle scelte che compie, lei scrittrice, sudafricana, bianca). C'e' tutto questo nel sottotitolo del volume ("writing, politics and places"): sullo stesso piano e collegati tra loro, come dimensioni ugualmente centrali all'esperienza umana, la scrittura, la politica, i luoghi. Anche una frase di Salman Rushdie val la pena di riprendere. Dice di lei che e' stata "radicalizzata, resa radicale dal suo tempo; o meglio, dall'ìmpegno a scriverlo, il suo tempo".

Io credo che si possa imparare riflettendo su questo percorso, queste scelte, questa vita. Perche' sembrano cose lontane, ma non lo sono.

Bibliografia: Nadine Gordimer, I giorni della menzogna (The Lying Days, 1953); Nadine Gordimer, Un mondo di stranieri (A World of Strangers, 1958), Feltrinelli 1961; Nadine Gordimer, Occasione d'amore (Occasion for Loving, 1963), Feltrinelli 1984; Nadine Gordimer, Il mondo tardoborghese (The Late Bourgeois World, 1966), Feltrinelli 1989; Nadine Gordimer, Un ospite d'onore (A Guest of Honour, 1970 - vincitore del James Tait Black Memorial Prize), Feltrinelli 1985; Nadine Gordimer, Il conservatore (The Conservationist, 1974 - vincitore del Booker Prize), La tartaruga 1987; Nadine Gordimer, La figlia di Burger (Burger's Daughter, 1979), Mondadori 1979; Nadine Gordimer, Luglio (July's People, 1981), Rizzoli 1984; Nadine Gordimer, Una forza della natura (A Sport of Nature, 1987), Feltrinelli 1987; Nadine Gordimer, Storia di mio figlio (My Son's Story, 1990), Feltrinelli 1991; Nadine Gordimer, Nessuno al mio fianco (None to Accompany Me, 1994), Feltrinelli 1994; Nadine Gordimer, Un'arma in casa (The House Gun, 1998), Feltrinelli 1998; Nadine Gordimer, L'aggancio (The Pickup, 2001), Feltrinelli 2002; Nadine Gordimer, Sveglia! (Get a Life, 2005) Feltrinelli 2006.

 

5. PROFILI. GIULIANA CHIARETTI: LAURA BALBO

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Giuliana Chiaretti "vive fra Venezia e Milano.Nasce a Leonessa, il 30 dicembre 1939. La famiglia si trasferisce a Roma nel 1943. Si laurea nel 1962 presso la Facolta' di Scienze Politiche, Universita' La Sapienza, qui inizia la sua carriera accademica. Nel 1967 sceglie di proseguire gli studi a Milano. Nel 1979 la nascita della figlia Federica. Per lunghi anni e' stata membro del Cipa di Milano. E' professore ordinario di sociologia all'Universita' Ca' Foscari, dove insegna dal 1996. La sua ricerca e i suoi scritti si situano a confine tra sociologia e psicoanalisi"]

 

Laura Balbo (Padova 1933 - vivente).

"Vivo da sociologa da quasi cinque decenni. Dei temi e della prospettiva delle scienze sociali ho fatto sempre anche un uso 'privato', nel senso che hanno contribuito a dar senso a molte delle mie scelte: come collocarmi, come vivere. E, d'altra parte, le esperienze della mia vita di tutti i giorni hanno certo interferito in molti modi con pensieri, letture, osservazioni, scritti; e hanno segnato la mia presenza nel 'pubblico'" (1).

Intersezioni e rimandi, dunque, dal privato al pubblico, dalla sociologia alla vita quotidiana, dalla sua vita alla vita delle altre donne, in un rapporto di lucidita' ed empatia. Non e' far venire meno i confini che separano gli ambiti della sua esistenza, ne' perche' "il personale e' politico", ma per affermare il nesso fra lavoro intellettuale ed esperienza, l'intreccio che orienta nella vita e nella ricerca. Si potrebbe anche dire che Laura Balbo ha studiato la sociologia non per un interesse verso la disciplina, ma per capire la societa' e per sentirsene pienamente parte, fin da giovane.

Se e' vero che una vita si delinea attraverso uno o piu' punti di svolta, che lasciano l'impronta di un cambiamento, per lei, laureata in sociologia presso la Facolta' di Scienze Politiche dell'Universita' di Padova nel 1956, un punto di svolta e', l'anno successivo, una borsa Fulbright per studiare all'Universita' di California, Berkeley. La' avviene il passaggio alla vita adulta, con una doppia esperienza: quella intellettuale "inimmaginabile" nel campus riservato a bianchi, e quella dei dintorni del campus, che le rivelano il rovescio americano della segregazione razziale (2).

Rientra in Italia, e a partire dal 1968 fino a quando diventera' professore ordinario nei primi anni '80 (3), insegna sociologia nella Facolta' di Giurisprudenza e poi di Scienze Politiche dell'Universita' Statale di Milano. Si apre un decennio vorticoso, accelerato dai movimenti giovanili e femministi, che investono tutto l'Occidente; in Italia i ritmi incalzano le conquiste dei diritti civili e dunque, moltissimo, le donne. Nelle scienze sociali sono le donne, studiose nelle varie discipline, a esercitare un pensiero critico in una prospettiva di genere e della vita quotidiana: e' il germoglio degli "Womens' Studies" e del pensiero della differenza. Laura Balbo ne e' pienamente parte. Si trova a meta' del suo percorso di vita, ha tre figli, nati negli anni '60: un altro punto di svolta, un nuovo e decisivo intreccio fra lavoro intellettuale ed esperienza. I temi sono la doppia presenza delle donne adulte nel lavoro familiare e nel lavoro professionale, il welfare; naturalmente i cambiamenti nelle pratiche quotidiane di vita, e poi l'esperienza delle 150 ore per il diritto allo studio dei lavoratori, che anticipa un tema oggi centrale per lei: il lifelong learning, dis-imparare per continuare ad imparare, capacita' che un presente in continuo cambiamento richiede (4). Questi temi si precisano negli anni successivi, quando affronta la questione dei tempi - tempi di vita, di lavoro, di cura - e la traduce in proposte dell'agenda politica (5). Sono gli anni in cui e' deputata nel gruppo della Sinistra Indipendente, due legislature (dal 1983 al 1992): l'intreccio fra presenza "pubblica" e vita da sociologa assume una particolare coloritura e spessore.

E' un intenso lavorio, una ricognizione instancabile e diffusa - che ha delle sue matrici e un suo corso di lunga data, incessante nella storia, nel sindacato, nei movimenti emancipazionisti e nel femminismo - che ha consentito di vedere il lavoro e la vita quotidiana delle donne, l'intreccio di queste due dimensioni che va elaborato e che e' la vita delle donne. Laura Balbo e altre hanno saputo riconoscerne il valore, vi ci sono riconosciute e l'hanno riproposto nel suo significato simbolico. E' il lavoro del quilting, l'immagine del patchwork. E' l'arte di raccogliere "frammenti di materiale e frammenti di tempo", di saperli ricucire e ricomporre, e' un'economia di lavoro quotidiano e una modalita' creativa di comporre la propria vita.

Gli ultimi due decenni sono rivolti al tema del razzismo, cui deve una parte importante del prestigio che le e' riconosciuto in Italia e a livello internazionale (6). Pubblica, insieme a Luigi Manconi, nel 1990, I razzismi possibili, due anni dopo I razzismi reali, ed e' sulla necessita' di far fronte alle discriminazioni diffuse in ogni ambito che imposta il programma di Ministro senza portafoglio per le Pari Opportunita' nei governi D'Alema (22 ottobre 1998 - 25 aprile 2000). La sua presenza in Parlamento e' una presenza attiva in un modo particolare: nel senso dell'osservare e dell'ascoltare e poi del raccontare (Riflessioni in-attuali di una ex ministro. Pensare la politica anche sociologicamente, Cosenza, Rubettino 2002). Esce nel 2006 In che razza di societa' vivremo? L'Europa, i razzismi, il futuro. Il suo accento cade sui razzismi quotidiani, sulle radici colonialiste della societa' europea razzializzata, sull'attaccamento identitario alla "bianchitudine": lo sguardo e' spostato da "loro" a "noi", alla fatica di cambiare, di assecondare e riposizionarsi in un contesto in continuo mutamento. Il lifelong learning, nella sua visione, e' un modo di fronteggiare la societa' dell'incertezza evitando di tradurre l'incertezza in paura, del diverso, dello straniero. E' un apprendere quotidiano: mettere in discussione, riesaminare, riconsiderare. Nei suoi progetti futuri il lavoro nel Group of Concerned Citizens, costituitosi nel 2009 presso il Centro de Cultura Contemporanea di Barcellona con l'intento di attivare a livello europeo un decennio di consapevolezza e di azione sul ricorrere e permanere del razzismo. Anche in rete si trova disseminato il suo pensiero sull'oggi, ad esempio nei suoi "promemoria": in sbilanciamoci: lavoro di quilting, frammenti da ricucire, patchwork, anzi "i nuovi patchwork".

Si puo' immaginarla nella sua stanza: libri, appunti in foglietti sparsi, carte, il telefono che squilla, le nipotine spesso intorno, e la finestra aperta sul mondo. In viaggio, spesso, in America del Sud, in Giappone, in Cina, in Australia; e in l'Italia o in Europa, spesso tra i giovani e, di recente, tra i bambini, con lo scopo di trovare, insieme agli insegnanti, le strade che portano a disimparare il razzismo.

*

Note

1. Laura Balbo, Privato e pubblico, la sociologia e la vita quotidiana: un percorso di cinque decenni, in Marzio Barbagli e Harvir Ferguson (a cura di), La teoria sociologica e lo stato moderno. Saggi in onore di Gianfranco Poggi, Bologna, Il Mulino 2009, p. 131.

2. Ib., p. 135. Con gli Usa manterra' un legame duratuto, al di la' del suo essere stata Senior Fulbright Fellow al Center for European Studies dell'Universita' di Harvard, Visiting Scholar al Radcliffe Institute for Indepedent Studies (1963-65), Visiting Associate Professor all'Universita' di California, Berkeley e Santa Cruz (1980).

3. Come professore ordinario insegna alla Facolta' di Lettere e Filosofia, Universita' di Ferrara.

4. Pubblica negli anni '70: L'inferma scienza. Tre saggi sull'istituzionalizzazione della sociologia in Italia (con Giuliana Chiaretti e Gianni Massironi), Bologna, Il Mulino 1975; Stato di famiglia. Bisogni, privato, collettivo, Milano, Etas 1976; Interferenze. Lo Stato, la vita familiare, la vita privata (con Renate Siebert-Zahar), Milano, Feltrinelli 1979. Piu' avanti, nel 2008, Il lavoro e la cura. Imparare a cambiare, Torino, Einaudi.

5. Con Helga Nowotny, Time to Care in Tomorrow's Welfare Systems, Vienna, 1986; (a cura) Tempi di vita. Studi e proposte per cambiarli, Milano, Feltrinelli 1991.

6. E' presidente dell'International Association for the Study of Racism di Amsterdam.

 

6. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Avraham Burg, Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico, Neri Pozza, Vicenza 2008, pp. 416.

- Edward W. Said, Sempre nel posto sbagliato. Autobiografia, Feltrinelli, Milano 2000, 2009, pp. 310.

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 529 del 18 aprile 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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