Nonviolenza. Femminile plurale. 325



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 325 del 16 aprile 2011

 

In questo numero:

1. Peppe Sini: Il 5 per mille al Movimento Nonviolento

2. Maria Cristina Leuzzi: Erminia Fua' Fusinato

3. Adriana Lotto: Kathe Kollwitz

4. Luciano Martinengo: Piera Oppezzo

5. Luciano Martinengo: Elvina Ramella

6. Valeria Palumbo: Fanny Mendelssohn

7. Valeria Palumbo: Meret Oppenheim

8. Annamaria Tagliavini: Rosellina Archinto

 

1. APPELLI. PEPPE SINI: IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Tra le cose sicuramente ragionevoli e buone che una persona onesta che paga le tasse in Italia puo' fare, c'e' la scelta di destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.

*

Leggo ancora una volta la carta programmatica del movimento fondato da Aldo Capitini; vi trovo scritto: "Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti".

Bene.

Continuo a leggere: "Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo".

Molto bene.

E arriva la conclusione: "Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli".

Ottimo.

Non ho bisogno d'altro per consigliare ad ogni persona di retto sentire e di volonta' buona di destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.

*

Ma a questo posso aggiungere anche la personale conoscenza con diverse persone amiche che il Movimento Nonviolento animano: sono persone che meritano di essere aiutate per quello che fanno e per come lo fanno.

Hanno i loro limiti, sono esseri umani; ed il Movimento Nonviolento e' un'esperienza di grande prestigio ma di dimensioni ancora limitate. Sostenerne l'azione e' gia' una buona azione, nonviolenta.

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Per destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' sufficiente apporre la propria firma nell'apposito spazio del modulo per la dichiarazione dei redditi e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione: 93100500235.

Per contattare il Movimento Nonviolento, per saperne di piu' e contribuire ad esso anche in altri modi (ad esempio aderendovi): via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

2. PROFILI. MARIA CRISTINA LEUZZI: ERMINIA FUA' FUSINATO

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Maria Cristina Leuzzi "e' docente di Storia dell'educazione e di Storia dell'educazione di genere presso la Facolta' di Scienze della Formazione di Roma Tre. Tra le sue numerose pubblicazioni e' recente il saggio Erminia Fua' Fusinato. Una vita in altro modo, Roma, Anicia 2008"]

 

Erminia Fua' Fusinato (Rovigo 1834 - Roma 1876).

Nasce il 23 ottobre 1834 a Rovigo da Marco Fua', medico, e da Gertrude Bianchi, ambedue di religione ebraica. Vive a Padova sin dall'infanzia. La sua istruzione si svolgera' in casa, senza particolare entusiasmo verso la religione ebraica, e il suo tutore e' lo zio paterno Benedetto, ingegnere, che la seguira' adottando la pedagogia di J. H. Pestalozzi. La curiosita' per la realta' circostante e per la natura sviluppano in lei una visione pragmatica della vita e un senso estetico molto forte che con gli anni si trasforma in vena poetica. Sposa, nonostante il diniego del padre, Arnaldo Fusinato, poeta e patriota, ma cattolico, il 6 agosto 1856. Nei primi anni di matrimonio vive a Castelfranco Veneto nel palazzo della contessa Teresa Coletti Colonna, prima suocera di Arnaldo. Qui nascono i suoi tre figli, Gino, Guido e Teresa.

Versatile nel poetare sin dall'adolescenza, prosegue negli anni a comporre e a studiare Dante e Petrarca. Partecipa agli avvenimenti risorgimentali prima attraverso l'attivita' cospiratrice del padre e successivamente condividendo e collaborando alla causa antiasburgica di Arnaldo. Nell'ottobre 1864, con i figli raggiunge il marito in esilio a Firenze. Qui partecipa, come poetessa apprezzata, alla vita intellettuale che si svolge nei salotti cittadini e diviene amica dei coniugi Peruzzi e intrattiene rapporti con Tommaseo e Lambruschini. Nel 1867, si fa promotrice della pubblicazione del romanzo Confessioni di un'ottuagenario di Ippolito Nievo presso l'editore Le Monnier.

Il successivo dissesto finanziario per incaute speculazioni del marito la costringe a cercare un'attivita' retribuita. E' aiutata dal ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti che le offre l'incarico di ispettrice scolastica per le scuole femminili dell'Umbria e successivamente per quelle di Napoli, perlopiu' gestite da ordini religiosi. La sua attenzione scrupolosa nel mettere a fuoco l'uniforme mancanza nella formazione delle allieve del senso critico e' ricambiata dal ministro con l'incarico di insegnamento di Morale nelle Conferenze pedagogiche appena iniziate a Roma per la formazione delle maestre. Si trasferisce da sola a Roma nel 1871 e da' prova di un approccio didattico del tutto innovativo rispetto al vigente prussianesimo scolastico. Nel 1872 insegna Lettere italiane al terzo anno della scuola normale da poco istituita. Nel 1873, in seguito alla decisione della Giunta comunale di Roma di istituire l'Istituto Superiore Femminile, le viene proposto di dirigerlo. Acquistato e restaurato dal Comune, il palazzo Aldobrandini di via della Palombella, le viene destinata, all'ultimo piano, la foresteria. Durante il primo anno scolastico, e' raggiunta dal marito e dalla figlia. L'Istituto, che segue il calendario accademico, sotto la sua guida e il suo insegnamento di Morale, riscuote un grande successo presso la borghesia laica della neocapitale. Il percorso curricolare, svolto in due bienni, attraverso le discipline umanistiche e scientifiche, pur prevedendo l'insegnamento dei lavori donneschi, e' finalizzato a sviluppare nelle giovani allieve il loro orizzonte culturale. Il diploma finale permette l'iscrizione alla scuola normale.

Minata nel fisico dalla tubercolosi, muore a Roma, il 30 settembre 1876. L'Istituto prende il suo nome e lo conservera' anche quando diviene Istituto magistrale. L'11 maggio 1882 e' inaugurato il monumento sepolcrale nel Cimitero del Verano a Roma.

Pur moderata, ha una visione pragmatica della vita e nei suoi scritti educativi i valori morali sono preminenti, ma non trascura di stigmatizzare i pregiudizi e le superstizioni presenti nella cultura dominante. Sostiene con forza argomentativa, anche per la sua esperienza, la necessita' per le donne borghesi di ampliare la propria istruzione perche' siano piu' efficaci e responsabili nell'educare figlie e figli.

Fonti e risorse bibliografiche: Acs, Archivio Centrale dello Stato, Mpi, Personale 1860-80, fasc. Fua' Fusinato Erminia; Asc, Archivio Storico Capitolino, Istruzione pubblica, Inventario (1871-1922), Personale, Erminia Fua' Fusinato; BcCv, Biblioteca Comunale Castelfranco Veneto, Archivio, Fua' Fusinato Erminia; BcPd, Biblioteca Civica Padova; M. Bandini Buti, Poetesse e Scrittrici, 1941, serie VI, pp. 279-280; Ghivizzani, G. (a cura di), Erminia Fua'-Fusinato. Scritti educativi, Milano, Carrara Editore, 1879 e 1880; rist., Roma-Foligno, F. Campitelli Ed., 1931 e 1932; Ghivizzani, G. (a cura di), Erminia Fua'-Fusinato. Scritti letterari, con un Discorso del Medesimo (Proemio) intorno la vita e le opere dell'Autrice, Milano, Libreria di educazione e d'istruzione di Paolo Carrara, 1882; rist., Roma-Foligno, F. Campitelli Ed., 1931 e 1932; Molmenti, P. G. (a cura di), Erminia Fua'-Fusinato e i suoi Ricordi, Milano, Fratelli Treves, 1877 e s. ed. 1878 e 1898; Leuzzi, M. C., Erminia Fua' Fusinato. Una vita in altro modo, Roma, Anicia 2008; Sordina, E., La donna che lavora: E. Fua' Fusinato, in Comune di Padova (a cura di), Il bambino e la sua cultura nella Padova dell'Ottocento, Padova, 1981, pp. 264-269.

 

3. PROFILI. ADRIANA LOTTO: KATHE KOLLWITZ

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Adriana Lotto, "docente di liceo e ricercatrice, vive e lavora a Belluno. Dirige con Bruna Bianchi la rivista "Dep. Deportate, esuli, profughe", rivista telematica di studi sulla storia e la memoria della deportazione femminile (www.unive.it/dep). Da anni collabora con l'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell'Eta' Contemporanea e presiede l'Associazione culturale Tina Merlin. E' autrice di libri, saggi e articoli su riviste e giornali, in particolare su guerra e resistenza, emigrazione e deportazione"]

 

Kathe Kollwitz (Koenigsberg 1867 - Moritzburg (Dresda) 1945).

"Il pacifismo non e' un tranquillo stare a guardare, ma lavoro, duro lavoro".

Cosi' scrive Kaethe Kollwitz nel febbraio '44 quando gia' si e' trasferita a Nordhausen, in Turingia, per sfuggire ai bombardamenti di Berlino. L'escalation di violenza scatenata dagli Alleati contro la Germania, ma soprattutto, al di la' delle contingenze, l'amara constatazione che sempre la guerra porta con se' una nuova guerra la ribadiscono nella convinzione che a quella "follia omicida" va posto fine una volta per tutte e che solo il socialismo mondiale puo' farsene carico.

Nata l'8 luglio 1867 a Koenigsberg, Kaethe e' quinta di otto figli (tre muoiono in tenera eta') nati dal matrimonio del mastro muratore Carl Schmidt con Katharina Rupp, figlia di un predicatore della chiesa libera, nonche' deputato alla Paulskirche. Respira l'atmosfera progressista della famiglia, ascolta dal padre la lettura delle poesie di Freiligrath e sogna la lotta sulle barricate, aderendo infine all'ideale socialista del fratello Konrad, giovane "pieno di vita e fantasioso", che ha conosciuto Federico Engels a Londra e si e' in seguito trasferito a Berlino a studiare e a redigere il "Vorwaerts". Al nonno Rupp deve soprattutto la sua formazione morale. Nel 1881 manifesta, assecondata dal padre, la sua vocazione artistica e prende le prime lezioni da Rudolf Mauer, incisore in rame, e dal pittore Gustav Nauyok.

Trasferitasi a Berlino all'eta' di 17 anni, s'iscrive a una scuola d'arte femminile sotto la guida di Karl Stauffer-Bern, che la indirizza al disegno piuttosto che alla pittura, e si fidanza con Karl Kollwitz, studente in medicina, che frequenta lo stesso circolo socialista del fratello Konrad. Nel 1889, spostatasi a Monaco presso Ludwig Herterich, grazie a Max Klinger, di cui ha letto la dispensa Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno) si rende conto che la sua strada e' quella della grafica. L'illustrazione di una scena del romanzo Germinal di Emile Zola ottiene un riconoscimento che la riempie di soddisfazione e di nuove prospettive. Schiller e Goethe sono le sue letture preferite, Freiligrath e il naturalismo le sue fonti d'ispirazione.

Nel 1891 sposa Karl, che ha trovato impiego come medico statale; con lui vivra' a Berlino fino alla sua morte (19 giugno 1940) dando alla luce due figli: Hans nel 1892 e Peter nel 1896. In questo periodo, dopo aver assistito alla rappresentazione del dramma Die Webern (I tessitori), di Gerhart Hauptmann, produce un ciclo di tre litografie e tre acqueforti: Ein Weberaufstand (Rivolta di tessitori), 1895-1898, ispirato alla vicenda, che espone nel 1898.

Max Liebermann ne resta colpito e lo propone per una medaglia d'oro, ma l'imperatore si rifiuta di concederla a una donna e per un siffatto soggetto.Tra il 1901 e il 1908 pone mano al ciclo Bauernkrieg (Guerra dei contadini), un tema storico, engelsianamente interpretato come fallimentare tentativo rivoluzionario del popolo tedesco. Nel frattempo compie alcuni viaggi: a Parigi, dove conosce Rodin e impara a scolpire, e in Italia, a seguito della vincita del premio Villa-Romana che le garantisce per un anno la permanenza in uno studio fiorentino. Aderisce al movimento secessionista berlinese e sceglie consapevolmente di rappresentare la vita del proletariato perche' "Le beau c'est le laid" ha detto Zola, e Kaethe ne conviene.

Coerentemente con le posizioni dei socialdemocratici, che il 4 agosto 1914 hanno votato i crediti di guerra in nome della difesa della patria, Kollwitz si trova da principio a sostenere una guerra ritenuta di aggressione e di grande pericolo per la Germania, cosi' da impegnarsi subito nella Commissione ausiliaria femmminile. Il figlio minore Peter, dal canto suo, osteggiato dal padre e confortato dalla madre, il 10 agosto decide di andare in guerra volontario. Il 22 ottobre dello stesso anno muore sul fronte occidentale. La perdita del figlio e via via la morte di tanti giovani come lui gettano Kaethe nello sconforto e la inducono a rivedere le sue idee su guerra, patria e nazione e ad aderire al pacifismo, sostenuta dalla lettura di autori come Henri Barbusse e Lev Tolstoj. Quando si rende conto di non riuscire a cogliere e a rappresentare la guerra, attraversa un periodo di crisi e di stanchezza che le impongono una lunga inattivita'.

Nel 1917, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, l'esposizione presso la galleria di Paul Cassier di 150 opere, nonche' le numerose mostre allestite in tutta la Germania, la consacrano come artista.

Nel 1919, all'epoca della Repubblica di Weimar, entra all'Accademia delle Arti di Prussia. E' la prima donna ad essere nominata membro di una cosi' prestigiosa istituzione e a ricevere contemporaneamente il titolo di Professore. Nel 1928 ottiene la direzione della specializzazione in grafica.

Nel 1920 produce il manifesto Wien stirbt! Rettet seine Kinder (Vienna muore! Salvate i suoi figli). "Io devo esprimere il dolore degli uomini, un dolore che non ha mai fine e che ora e' enorme. Questo e' il mio compito, anche se non e' facile assolverlo", afferma, e nel 1922: "Non ho difficolta' ad ammettere che la mia arte ha uno scopo. Io voglio agire nella mia epoca, nella quale l'umanita' e' tanto priva di senno e bisognosa di aiuto". Si rende conto che ha bisogno di una tecnica espressiva piu' duttile della litografia, di uno strumento che renda l'essenziale, con pochi segni e decisi, frutto di un gesto fulmineo e sorvegliato al tempo stesso, nel gioco scarno del vuoto e del pieno, del bianco e del nero. Il nero che incida come il dolore le carni, il bianco che le scavi. Percio' si rivolge alla xilografia, sostenuta dall'amico Ernst Barlach.

Nascono cicli come Krieg (Guerra, 1922-23), in sette fogli; Das Opfer (Il sacrificio); Die Freiwilligen (I volontari); Die Eltern (I genitori); Die Witwe I e Die Witwe II (La vedova I e II); Die Muetter (Le madri); Das Volk (Il popolo). E ancora i manifesti litografici quali Die Ueberlebenden (I sopravvissuti), Plakat gegen den Paragraphen 218 (Manifesto contro i paragrafi 218 sull'aborto), 1923; Deutschlands Kinder hungern (I bambini tedeschi hanno fame), 1923; Nie wieder Krieg (Mai piu' guerra), 1924, dove il gesto imperioso del giovane con un braccio alzato e una mano sul cuore suggella il giuramento, Brot (Pane) trattate in xilografia e in litografia, entrambe del 1924 e infine l'incisione xilografica Frau mit Kindern in den Tod gehend (Donna con bambini che va incontro alla morte), 1923.

E' del 1924-1925 il secondo ciclo xilografico, il quarto in ordine di tempo, dal titolo Proletariat (Proletariato), composto da tre fogli: Erwerbslos (Disoccupato), Hunger (Fame), Kindersterben (I bambini muoiono). E' il piu' breve, ma anche il piu' laborioso dei suoi cicli, essenziale nel segno, drammatico nella composizione dominata dal colore nero che trattiene, carpendolo, il bianco della figurazione.

Finalmente, dopo 14 anni di gestazione, nel 1932 porta a termine il monumento dedicato al figlio morto. Si tratta di due enormi statue in granito, rappresentanti un padre e una madre chiusi nel loro dolore, che verrano poste nel cimitero militare di Roggevelde in Belgio.

Il 15 febbraio 1933, due settimane dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich, a seguito della sottoscrizione del Dringender Appel stilato da socialdemocratici, socialisti e pacifisti in favore dell'unita' delle sinistre, Kaethe Kollwitz, assieme a Heinrich Mann, e' costretta a lasciare l'Accademia delle Arti di Prussia e a subire le prime persecuzioni e perquisizioni. Per sottrarsi a un possibile arresto, sta per alcune settimane a Marienbad, ospite di Max Wertheimer e della sua famiglia, ma a meta' aprile decide di rimanere in Germania e torna a Berlino. Poiche' non era ebrea e nemmeno esponente dell'arte cosiddetta "degenerata", viene lasciata lavorare a condizione che le sue opere non siano esposte. Inizia allora quel lungo "esilio interno" che la vedra' esclusa da tutte le manifestazioni culturali; i suoi lavori vengono rimossi dalle sale e dalle gallerie pubbliche e private, le cartoline, riproducenti temi della sua attivita' grafica, sequestrate.

Ad ogni modo, tra interruzioni e rinnovati slanci, continua a lavorare e mentre i vecchi artisti tedeschi, per sopravvivere, si adattano alle direttive del Reich, Kaethe torna alla potenza espressiva, al profondo pessimismo di un tempo. Era questo il suo modo di restare ancorata alla realta' e di opporsi al regime portando avanti l'autentica arte tedesca. Cosi' dichiaro' in un' intervista telefonica all'"Izwestija", poi pubblicata nell'edizione del 3 luglio 1936, che costo' a lei e a Karl un pesante interrogatorio e la minaccia dell'internamento in un Lager nonostante l'eta'.

Dal 1934 al 1935 lavora al suo ultimo ciclo di litografie Vom Tode (Della morte), quella morte con cui, scrive alla sorella Lise nel febbraio '45, ha conversato per tutta la vita.

Nel 1939 la Germania e' di nuovo in guerra e Kaethe e' ormai vecchia e stanca; disegna tuttavia ancora molto e attende a piccole sculture sul tema che piu' la coinvolge: quello della maternita'. Negli anni Trenta, fino al 1942, esso assume un chiaro significato antimilitarista, sostanziato dai tragici eventi che l'hanno colpita in passato, la morte del figlio Peter, e che la colpiranno ancora negli ultimi anni di vita, la scomparsa nel 1942 sul fronte orientale del nipote Peter, figlio di Hans.

Pensa cosi' che il grido che si deve levare alto e potente, irrinunciabile, sia ora "Saatfruechte sollen nicht vermahlen werden" (Non macinate le sementi). Se nel 1924, sulle rovine della guerra appena finita, Kaethe aveva fatto del motto "Nie wieder Krieg" (Mai piu' guerra), l'emblema del suo pacifismo, a ribadirlo, a testamento proprio, ora assume la frase di Goethe tratta dal Lehrbrief del Wilhelm Meister. E le sementi sono i giovani, giovani che disegna nel 1942 raccolti sotto le poderose braccia di una vecchia madre.

Nel giugno del 1943, Kollwitz si trasferisce a Nordhausen presso la ritrattista Margret Boening. Il 25 novembre la casa a Berlino, dove ha vissuto dal 1891, anno del matrimonio con Karl, viene distrutta dalle bombe e con essa anche molte sue opere e lastre di pietra. Verso la fine di luglio del 1945 si sposta a Moritzburg, nei pressi di Dresda, dove trascorre gli ultimi anni in profonda solitudine, alleviata dagli scambi epistolari con parenti e amici e dalla lettura di Goethe, e in una frequentazione costante, ma angosciata, con la morte, amareggiata che la guerra l'accompagni fino alla fine. Continua a disegnare, il mattino, dopo aver preso una tazza di caffe' vero ed essersi alzata, finche' la vista non piu' buona e gli occhiali oramai insufficienti non la costringono a mettere da parte fogli e matite. Anche questa e' una lotta e senza lotta, ha scritto pochi mesi prima, la vita non e' vita. La sua si chiude definitivamente il 22 aprile 1945, due settimane prima della resa tedesca. Nel settembre le sue ceneri torneranno a Berlino liberata.

Bibliografia: Kollwitz K., Die Tagerbuecher, herausgegeben von Jutta Bohnke-Kollwitz, Siedler Verlag, Berlin 1989; Kollwitz K., Briefen der Freundschaft und Begegnungen, List Verlag, Muenchen 1966; Bonus-Jepp B., Sechzig Jahre Freundschaft mit Kaethe Kollwitz, Rauch Verlag, Boppard 1948.

 

4. PROFILI. LUCIANO MARTINENGO: PIERA OPPEZZO

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Luciano Martinengo, "regista, ha conosciuto Piera Oppezzo nel 1974 e, per qualche anno, ha condiviso con lei e con Patrizia Lanfranconi l'appartamento di via Vincenzo Monti 32. L'amicizia, alla quale non era estranea la comune origine torinese, e' durata tutta la vita ma non e' stata caratterizzata da una frequentazione costante negli anni. A mano a mano che l'esistenza di Piera si spogliava di rapporti e di impegni, questo sodalizio e' rimasto come ancoraggio estremo al mondo"]

 

Piera Oppezzo (Torino, 1934 - Miazzina (Verbania), 2009).

"Nella vita, o si vive o si scrive" e' l'implicito programma di vita cui Piera Oppezzo si attenne con caparbia determinazione fino alla morte - una decisione il cui prezzo si misura in termini di incompletezza esistenziale. In un'intervista del 1989 Piera affermo': "... a suo tempo decisi che l'atto di scrivere e' l'atto principale che ritengo di dover compiere". E a questo atto subordino' tutto il resto, accettando o addirittura perseguendo un destino di non-felicita'.

Piera nacque a Torino nel 1934 e visse nelle ristrettezze l'infanzia e l'adolescenza, in una famiglia di modestissime condizioni economiche (il padre era cameriere) da cui si sentiva lontana e che non ne comprendeva l'ambizione letteraria. In una poesia parlo' della "infanzia saccheggiata dalla famiglia, a cui tuttavia sopravvisse". Piera Oppezzo non amava parlare di se' e del passato, percio' non si sa quasi nulla di quel periodo. Per qualche anno lavoro' come apprendista in una sartoria, piu' tardi come commessa alla Standa e infine come dattilografa alla Rai. Totalmente autodidatta, i suoi autori di riferimento spaziarono da subito da Emily Dickinson a Marina Cvetaeva. In Rai, dove fu pubblicata appena ventenne nella rivista aziendale, entro' in contatto con gli intellettuali e artisti dell'avanguardia torinese da cui fu subito apprezzata. "La Fiera letteraria" di Vincenzo Cardarelli pubblico' alcune delle sue prime poesie, accostabili a quelle di Sandro Penna o Umberto Saba.

Con il passare degli anni, la sua poesia, anzi la sua ricerca di espressione poetica, accompagno' in modo spietatamente coerente l'evolversi della sua vicenda umana. Il suo mondo poetico ne risulto' letteralmente scarnificato; le sue frasi cominciarono a omettere articoli, aggettivi, punteggiatura e connettivi vari, diventando quasi incomprensibili, almeno a una prima lettura. Nel 1966 usci' presso Einaudi una raccolta di poesie intitolata L'uomo qui presente, che fu ampiamente recensita e apprezzata.

Verso la meta' degli anni Sessanta Piera si sposto' a Milano dove visse fino alla morte: qui, il suo orizzonte si allargo' ai temi politici e al femminismo. Per sua stessa ammissione, il decennio 1968-1978 fu il periodo piu' intenso della sua vita, quando ll fervore delle speranze e la passione di tutta una generazione le fecero intravvedere la possibilita' di conciliare vita e scrittura. Del 1967 e' la raccolta pubblicata da Geiger con il titolo Si' a una reale interruzione.

A metà degli anni Settanta organizzo' con altre donne (tra le quali Nicoletta Gasperini, Raffaella Finzi, Ileana Faidutti) il collettivo "Pentole e Fornelli" che porto' per l'Italia uno spettacolo di canzoni e testi poetici. Nello spettacolo, Piera cantava in coro e recitava poesie. Pur frequentando Laura Lepetit, Rosaria Guacci e Bibi Tomasi, non fu mai parte organica della Libreria delle Donne. Con il riflusso degli "anni di piombo" torno' a un'intensa attivita' letteraria pubblicando presso La Tartaruga il romanzo Minuto per minuto (1978), ossessionante viaggio di pensieri minuti e gesti ripetitivi nell'universo di una stanza, e, sempre per La Tartaruga, un lungo racconto che ando' a far parte della raccolta Racconta (1989). Tradusse per Guanda Pel di carota di Jules Renard e per SE Il Profeta di Kahlil Gibran.

Del 1987 e' il lungo poema Le strade di Melanchta (Editrice nuovi autori); del 1991, il romanzo breve A note legate (Corpo 10). Molte poesie e testi di quegli anni furono pubblicati successivamente in numerose raccolte, su riviste ("Linea d'ombra", "La Salamandra", "Nuovi argomenti", "Lapis", "Leggere", "Il Manifesto", "Tam Tam", "Anterem"), e tradotte in tedesco e in inglese.

Per vivere, o meglio per sopravvivere, si occupava di correzione di bozze e collaborazioni editoriali, anche come lettrice, per Feltrinelli e altri editori.

Dopo alcune coabitazioni, ando' a vivere da sola in un appartamento, alquanto precario, della storica casa occupata di via Morigi 8 e poi in una casa "protetta" del Comune in corso Lodi. Gli ultimi due mesi furono trascorsi in una sofferta solitudine, appena alleviata dalle visite di due-tre amici, in ospedale e poi nel convalescenziario di Miazzina sul lago Maggiore. Qui mori' il 19 dicembre 2009. La sua ultima raccolta di poesie, pubblicata da Manni, risale al 2003 (Andare qui). Hanno apprezzato i suoi versi: Stefano Agosti, Roberto Cerati, Franco Cordelli, Maria Corti, Goffredo Fofi, Giancarlo Majorino, Giulia Niccolai, Cosimo Ortesta, Sandra Petrignani, Marianto Prina, Maria Pia Quintavalla, Giovanni Raboni, Enzo Siciliano, Adriano Spatola.

La vita di Piera Oppezzo rimane misteriosa, cosi' come sono appena intuibili le ragioni della sua non-felicita'. Una non-felicita' perseguita con accanimento, come fonte e molla di ispirazione. Per sondare il mistero, restano gli scritti: la forma dell'esistenza di Piera e' la chiave di lettura delle sue poesie e dei suoi racconti. Quello che e' certo e' il valore assoluto che lei attribuiva alla scrittura. Per sua stessa ammissione, la caratteristica fondamentale della sua poesia e' "l'espressione basata sui concetti e non sul sentimento".

Piera Oppezzo non e' catalogabile. Malgrado il tentativo di schizzarne i contorni, sfugge alla definizione, E cio', per volonta' sua propria e dichiarata ("il 'ritornare' mi e' estraneo"; "'ripassare' tutta la propria vita, ... il rischio e' di svianti approssimazioni se risolte in poche righe...") e per un istinto di estrema difesa. Ecco come parla di se', non parlando di se', in questo stralcio da Le strade di Melanchta: "si puo' vagabondare sempre/ anche chiudendo la porta di casa/ non e' vero che non c'e' nessuno/ ci sono io ho capito/ mi state inseguendo/ dice a qualcun altro che insiste per sapere".

Il rispetto impone di lasciar parlare la sua voce, anche dove e' imprecisa e frammentata. Ogni lettore poi la completera' con il proprio ascolto.

Bibliografia: Oltre alle opere citate, si ricordano le antologie che riportano poesie di Piera Oppezzo: Donne in poesia, a cura di Biancamaria Frabotta, Savelli 1976; Italian Poetry 1960-1980, Invisible City, San Francisco, 1982; The Defiant Muse - Italian feminist poems from the Middle Ages to the present, The Feminist Press, New York, 1986; Contemporary Italian women poets, Italica Press, New York.

 

5. PROFILI. LUCIANO MARTINENGO: ELVINA RAMELLA

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Elvina Ramella (Biella 1927 - Milano 2007).

Quando studiava al Conservatorio di Milano, il maestro di canto la chiamava "cavallo pazzo" per la sua irresistibile esuberanza. Una forza della natura Elvina lo era di certo, e ne era consapevole fin da bambina: quella sua voce straordinaria le dava sicurezza e fascino e la metteva al centro dell'attenzione gia' al tempo delle elementari. Il padre aveva una piccola trattoria-osteria a Biella e non voleva assolutamente mandare la figlia a studiare canto. E questo malgrado il giudizio lusinghiero che aveva dato della sua voce nientemeno che la grande soprano Toti Dal Monte, di passaggio a Biella. La madre di Elvina invece ne assecondo' il talento e la passione imponendo al marito la propria volonta'. Grazie a lei e nonostante la guerra che imperversava, Elvina pote' studiare al Conservatorio di Parma con il maestro Italo Brancucci.

Era il 1943 e lei aveva appena sedici anni. Non doveva essere facile affrontare uno studio severo, lontana dai genitori e dalla sorella, vivendo in una pensione familiare. Data la precarieta' della linea ferroviaria, la madre la visitava quando riusciva a trovare un passaggio in camion: il viaggio era sempre fortunoso e dai tempi aleatori. Elvina era sostenuta non solo dalla passione per il canto ma anche dal carattere solare e da un'allegra fiducia nelle proprie capacita'.

Nel dopoguerra continuo' gli studi al Conservatorio di Milano affinando successivamente la sua tecnica con le lezioni di Elvira de Hidalgo, celebre maestra di Maria Callas. Debutto' nel 1951 al Teatro Nuovo di Milano nel ruolo di Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini. Ma il successo internazionale arrivo' nel 1961 a Venezia, quando fu chiamata a sostituire Joan Sutherland, che aveva abbandonato il Teatro La Fenice per divergenze con il maestro Nello Santi. L'opera era La Sonnambula di Bellini che Elvina interpreto' in modo superbo ottenendo un clamoroso successo. Ramella fu una grande soprano di coloratura (o soprano leggero), cui si addicevano particolarmente ruoli quali quello di Giulietta nei Capuleti e Montecchi, di Amina nella Sonnambula e di Elvira nei Puritani di Bellini; di Carolina nel Matrimonio segreto di Cimarosa, di Adina nell'Elisir d'amore e di Lucia nella Lucia di Lammermoor di Donizetti, di Gilda nel Rigoletto di Verdi, di Musetta nella Boheme di Puccini; di Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini. La sua voce, duttile e plasmata da una ferrea disciplina, le permetteva tutti quei gorgheggi, trilli e ornamenti virtuosistici, tipici appunto del soprano leggero. Il suo era un temperamento di usignolo piuttosto che di primadonna drammatica.

Nella sua carriera, durata una trentina d'anni, canto' in tutti i principali teatri italiani, dalla Scala di Milano al San Carlo di Napoli, dall'Arena di Verona all'Opera di Roma, con numerose puntate all'estero, specialmente in Germania, Inghilterra, Irlanda e Francia. Fu ospite di alcune trasmissioni radiofoniche della Rai e incise per la Fonit-Cetra. Canto' sotto la direzione di grandi direttori d'orchestra fra i quali Tullio Serafin, Peter Maag, Gianandrea Gavazzeni, Antonino Votto, Nino Sanzogno, Gabriele Santini. Nel 1971 sposo' il magistrato Gennaro Di Miscio, autore di un famoso Processo di Cristo nel quale analizzava le modalita' giuridico-storiche di quel processo, quale riportato dai Vangeli. Nel 1979, poco dopo l'assassinio del giudice Alessandrini, si svolse a Milano il processo alle Brigate rosse. La corte era presieduta da Di Miscio, che fu pubblicamente minacciato di morte da Renato Curcio. Al magistrato fu assegnata una scorta armata, situazione che complico' anche l'attivita' artistica della Ramella. Oppresso dalle minacce, Di Miscio cadde in una profonda depressione fisica e psicologica che, qualche mese dopo, fini' per costargli la vita.

La carriera di Elvina, interrotta per un anno, riprese con ruoli che esaltavano il suo virtuosismo, quali quello di Betly, nell'omonima opera buffa di Donizetti. Il Filosofo di campagna di Baldassarre Galuppi (ultima rappresentazione prima della chiusura della Piccola Scala) vide Elvina nel ruolo di Eugenia con accanto Madlyn Renee e Roberto Coviello ai loro esordi. Partecipo' ancora come solista a un evento musicale alla Villa Reale di Milano, organizzato dal sindaco Tognoli in onore dei sindaci delle grandi citta' del mondo; e ad alcuni recital a Parma e Ferrara (verso la meta' degli anni Ottanta).

A questo punto riapparve la grinta che l'aveva caratterizzata da giovanissima ed Elvina inizio' la sua nuova carriera di maestra di canto diventando un sicuro punto di riferimento per le esordienti e un'infallibile scopritrice di nuovi talenti. Basti citare Anna Caterina Antonacci, nuova primadonna italiana dell'opera, e Raffaella Angeletti, una delle piu' promettenti soprano della scena internazionale.

Elvina Ramella, soprano e maestra indimenticabile, fu circondata dall'amicizia e dalla stima di grandi star dell'opera quali Mario Del Monaco, Giuseppe di Stefano e Luciano Pavarotti.

Mori' a Milano il 4 marzo 2007.

 

6. PROFILI. VALERIA PALUMBO: FANNY MENDELSSOHN

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Valeria Palumbo, "caporedattore centrale de 'L'Europeo', collabora con vari giornali e siti internet, tiene lezioni universitarie, organizza reading teatrali, partecipa a festival storici e letterari. Membro della Societa' italiana delle storiche e della Societa' italiana delle Letterate. Ultimi libri: per Odradek Le figlie di Lilith (2008), Dalla chioma di Athena (2010); per Fermento L'ora delle Ragazze Alfa (2009), La divina suocera (2010)"]

 

Fanny Mendelssohn (Amburgo 1805 - Berlino 1847).

Musica di Felix Mendelssohn o di sua sorella Fanny? Perche' il ben piu' celebre Felix, di cui nel 2009 e' stato celebrato con enfasi il bicentenario della nascita, fece passare per suoi quattro libri di brani per piano e sei Lieder composti dalla sorella.

Oggi le composizioni di Fanny Mendelssohn Hensel si possono ascoltare in qualche cd. Anche i suoi spartiti sono stati pubblicati. Ma e' stato un lungo percorso. Ostacolato, in primis, proprio da Felix.

Fanny era la piu' grande di quattro fratelli. Felix, invece, nacque il 3 febbraio 1809. Nonostante cio' che abbiamo scritto finora, Fanny e Felix furono uniti sia da un grandissimo talento per la musica sia da un solidissimo affetto e dalla stima reciproca.

Forse il fatto che Felix abbia rubato alcune composizioni a Fanny rivela quanto amasse la sua musica. Per esempio era di Fanny "Italien", un brano eseguito da Felix per la regina Vittoria: tra i tanti eseguiti dal giovane pianista, si rivelo' il preferito della sovrana inglese. Non solo, ma quando, il 14 maggio 1847, Fanny mori', Felix cadde in una profonda depressione. Dopo sei mesi, il 4 novembre, si spense anche lui.

Il punto e' che, per quanto Abraham, il padre, abbia sempre incoraggiato i loro studi musicali in pari misura, a Fanny fu impedito di fare davvero la musicista. A dire il vero perfino per Felix ci fu qualche dubbio. Presto, pero', superato.

Abraham, poi, non solo incoraggio' il talento della figlia ma s'impegno' a svilupparlo. Sua moglie Lea fu d'accordo. Fu lei stessa a dar lezioni di piano e di teoria musicale alla figlia. Fanny prosegui' poi con lo studio del basso continuo e della composizione. Prese lezioni di pianoforte da Marie Bigot nel 1816 a Parigi e con Ludwig Berger a Berlino. Nel 1818 inizio' a studiare composizione con Carl Friedrich Zelter. Proprio in quell'anno, a soli 13 anni, diede prova della sua abilita' musicale imparando a memoria, e con grande stupore del padre, i 24 preludi di Bach.

Fanny conservo' sempre questa straordinaria memoria musicale. Durante il suo soggiorno a Roma riusci' a eseguire un ricchissimo repertorio di brani di Bach, Beethoven e di quasi tutti i grandi maestri romantici tedeschi benche' li' gli spartiti non fossero affatto disponibili.

Era un'ottima esecutrice. Ma anche una prolifica compositrice: a 19 anni scrisse, per esempio, 32 fughe. Dei 24 Lieder pubblicati da Felix a inizio carriera, sei erano suoi.

Nella primavera del 1821 Felix, allora undicenne, ando' a Weimar, ospite per quattordici giorni dello scrittore e mecenate Johann Wolfgang Goethe. A Fanny fu vietato accettare l'invito. Pero' Felix esegui' i Lieder di Fanny all'anziano intellettuale, al quale piacquero tanto che scrisse per lei una poesia, "A colei che e' lontana", perche' la mettesse in musica. Gliela mando' attraverso Carl Friedrich Zelter dicendo: "la porti alla cara bambina". Fanny, pero', non la musico' mai.

Intanto, a 17 anni, Fanny aveva conosciuto e si era innamorata del pittore Wilhelm Hensel; la madre Lea vieto' perfino che i due si scrivessero e si oppose in tutti i modi al legame, convinta che un artista non sarebbe stato in grado di mantenere la figlia (ne' lei avrebbe potuto mantenersi con la musica). Non aveva fatto i conti con la caparbieta' di Fanny che sposo' Hensel nel 1829 e gli diede un figlio, Sebastian, nome scelto perche' era quello di Bach. Ma soprattutto trovo' in lui un solido sostenitore.

L'attivita' musicale di Fanny fu molto intensa in alcuni periodi, soprattutto prima di sposarsi. Alla fine avrebbe composto 250 Lieder, 125 brani per pianoforte, quattro cantate e diversi pezzi di musica strumentale da camera e per coro.

Eppure il padre le aveva scritto nel 1820: "Forse la musica sara' la professione di Felix. Laddove per te non dev'essere nient'altro che un ornamento e mai la base su cui poggia la tua esistenza e la tua attivita'". E ancora nel giorno del suo ventitreesimo compleanno: "Dovresti applicarti con maggior serieta' e con piu' zelo al tuo vero e unico lavoro, all'unico lavoro che si addice a una ragazza: fare la donna di casa". Ma Fanny continuo' a dare concerti e a comporre. Lei stessa, pero', si lamento' spesso, nelle lettere, delle pressioni familiari. In una lettera del 1836 a Karl Klingemann, un amico di famiglia londinese, scriveva: "Se nessuno ti offre un'opinione o prende il minimo interesse nelle tue creazioni, col tempo si perde non soltanto tutto il piacere in esse, ma anche tutta la capacita' di giudicare il loro valore... non posso fare a meno di considerare un segno di talento il fatto che io non rinunci a comporre, benche' non riesca a ottenere che nessuno si interessi dei miei sforzi".

Il maggior ostacolo pero' fu proprio Felix che, il 24 giugno del 1837, scriveva alla madre: "Non posso incoraggiare Fanny a pubblicare qualcosa perche' e' contro il mio punto di vista e le mie convinzioni". Il suo giudizio si rivelo' determinante perche' Fanny si fidava ciecamente del fratello. Gia' il 30 luglio 1836 gli aveva scritto: "Non so che cosa esattamente Goethe intendesse per influenza demoniaca che menzionava molto spesso verso la fine, ma una cosa e' chiara, se esiste, tu la eserciti su di me. Credo che se tu seriamente mi suggerissi di diventare una buona matematica io non troverei particolari difficolta' a farlo. E potrei semplicemente smettere di esser una musicista domani se tu non pensassi piu' che io sono cosi' brava. Per questo, maneggiami con cura".

Soltanto un anno prima di morire ebbe il coraggio di ammettere la sua frustrazione; in una lettera a Felix del 9 luglio 1846, scrisse: "Per quarant'anni ho avuto paura di mio fratello, come a quattordici anni ne avevo di mio padre; o meglio, paura non e' la parola giusta, direi piuttosto il desiderio, durante tutta la mia vita, di compiacere te e tutte le persone che amo. Se so in anticipo che non ci riusciro', mi sento subito a disagio. In una parola, Felix... ho cominciato a pubblicare. Ho ricevuto un'ottima offerta da Herr Bock per i miei Lieder e ho finalmente prestato orecchio alle sue allettanti condizioni. Spero di non dispiacerti, visto che non sono una vera femme libre... Spero che tu non ti senta offeso in nessun modo, visto che ho agito, come puoi vedere, in modo completamente indipendente, e in modo da risparmiarti ogni momento spiacevole. Se l'impresa riuscira', ovvero se al pubblico piaceranno le mie composizioni, so gia' che sara' un grande incoraggiamento per me, qualcosa che ho sempre desiderato avere per azzardarmi a pubblicare".

Fonti: Adriana Mascoli e Marcella Papeschi, Fanny Mendelssohn. Note a margine, Manni; Reading teatrale Mon amour et aussi l'amour pour la musique, di Valeria Palumbo, con Sonia Grandis; Ute Buechter-Roemer, Fanny Mendelssohn-Hensel, Rowohlt, 2001 (In tedesco). Discografia: Piano Trios, Fanny Mendelssohn, Clara Schumann, The Darlington Piano Trio, Hyperion; Fanny Mendelssohn-Hensel, Piano Sonatas in C and G minor, eseguite da Heather Schmidt, Naxos.

 

7. PROFILI: VALERIA PALUMBO: MERET OPPENHEIM

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Meret Oppenheim (Charlottenburg (Berlino) 1913 - Basilea 1985).

Berlinese: Meret Oppenheim era nata il 6 ottobre 1913 a Charlottenburg, oggi nel cuore della capitale tedesca e fino al 1920 una citta' autonoma.

Suo padre era un medico di Amburgo, Erich Alphons. Sua madre, Eva Wenger, era svizzera. Il suo insolito nome, Meret, veniva dall'episodio Meretlein del romanzo Gruenen Heinrich dello scrittore, poeta e pittore elvetico Gottfried Keller. Anche Meret, oltre che artista, sarebbe stata poetessa. Ebbe un'ottima formazione, in parte legata agli insegnamenti di Rudolf Steiner, e dimostro' una particolare predisposizione, da subito, per il disegno, la storia e il tedesco. Sua nonna, Lisa Wenger, aveva gia' frequentato l'Accademia d'arte a Duesseldorf, ed era diventata pittrice e autrice di libri per ragazzi. Questo permise a Meret di entrare presto in contatto con gli ambienti artistici e letterari e, in particolare, con lo scrittore Hermann Hesse, con il quale, per qualche anno, era stata sposata sua zia Ruth Wenger. Nonostante l'amore per Goethe e Rilke, pero', nel 1931, la giovane Oppenheim decise di diventare artista.

Nel 1933 parti' per Parigi insieme con un'altra pittrice e amica elvetica, Irene Zurkinden. E li' conobbe Alberto Giacometti e Hans Arp. In qualche modo il suo successo comincio' con l'orecchio di Alberto: la prima opera di Meret che ebbe risonanza si intitolava appunto L'orecchio di Giacometti. L'artista aveva allora venti anni. Giacometti e Arp la invitarono a esporre, sempre nel 1933, al Salon des Surindependentes. Da quel momento fece parte del gruppo dei surrealisti.

In realta', a parte le discriminazioni che anche gli artisti delle avanguardie riservavano alle donne, i tentativi di isolarle ed escluderle dalle esposizioni, di farle sentire sempre un po' diverse, Meret era, per formazione e fantasia, gia' un "caso" a parte. Amava la psicanalisi. Le piacevano Klee, Modigliani, Matisse, il primo Picasso. Ma scelse sempre strade impervie e molto personali. Come quando, a 16 anni, segno' sulla copertina di un quaderno l'equazione X = coniglio. La scritta piacque tanto ad Andre' Breton che la volle in regalo.

Era inquieta e trasgressiva: basti pensare a come si fece fotografare da Man Ray nel 1934. Nuda, davanti al torchio. O mentre leggeva a letto, con i peli pubici in primo piano. La svolta avvenne nel 1936, quando invento' la tazzina coperta di pelo e la battezzo' Colazione in pelliccia. Il Museum of Modern Art di New York la compro' subito, per un corrispettivo di 250 euro. In barba a tutte le idee strampalate prodotte dai suoi colleghi, e' rimasta l'opera simbolo del surrealismo. Lo stesso anno "incapretto'" un paio di scarpe da donna su un vassoio, facendole assomigliare a un pollo al forno, e le intitolo' La mia tata. Ironia. Ma anche una spettacolare capacita' di intuire quali provocazioni artistiche avrebbero superato la semplice soglia dello "scandalo" e si sarebbero imposte come idee-guida. La mia tata fu anche all'origine di uno scontro con la moglie di Max Ernst, Marie Berthe. Che chiese il divorzio. Non perche' Ernst avesse procurato le scarpe alla Oppenheim. Ma perche' Meret e Max, che si erano conosciuti a una festa nello studio di Kurt Seligmann, erano amanti: fu la goccia che fece traboccare il vaso. Anche se un anno dopo, temendo che la relazione con Ernst, ben piu' anziano di lei, soffocasse la sua vena artistica, Meret lo lascio'.

Per lei qualsiasi crisi di creativita' era un serio problema, per questo si dedico' anche al design di mobili, di abiti e gioielli: dal 1936 i nazisti avevano bloccato l'attivita' di suo padre, di origini ebraiche, e la famiglia, prima benestante, si era trovata in difficolta'.

Nonostante il bisogno di lavorare, pero', e l'importanza di poter esporre con altri artisti (con i surrealisti resto' legata sino al 1937) Meret non rinunciava alle sue idee e alle polemiche. Non sopportava, per esempio, che si desse un'interpretazione troppo erotica delle sue invenzioni. Che pure erano spesso davvero trasgressive, come Festino di primavera, il pranzo-performance organizzato a casa sua sul corpo nudo di una modella. Meret si senti' fraintesa. Nel 1936 era riuscita a organizzare la sua prima personale, alla galleria Schulthess di Basilea. L'anno dopo torno' a stabilirsi nella citta' svizzera e per due anni frequento' la scuola di arti applicate. Intanto continuava a lavorare, anche se spesso distruggeva o lasciava incompiuti i suoi progetti. Fu in contatto con il Gruppo 33, che si opponeva sia al fascismo sia alle tendenze conservatrici dell'arte svizzera. E prese parte alla mostra di Allianz, un'altra associazione di artisti elvetici. Nel 1938 visito' con Leonor Fini e Andre' Peyre de Mandiargues il nord Italia. Nel 1939 torno' a Parigi per partecipare a una mostra sull'arredamento "fantastico" con, tra gli altri, Max Ernst e Leonor Fini. In quell'occasione presento' alcuni oggetti e il celebre tavolo con le zampe di uccello. Nel 1949 sposo' Wolfgang La Roche con il quale visse sino alla morte di lui, a Berna, nel 1967. Nel frattempo Meret aveva superato una profonda crisi artistica. Nel 1958 riprese a lavorare a pieno ritmo: negli anni Settanta era ormai un'icona vivente. Mori' il 15 novembre 1885, il giorno della presentazione del suo libro di poesie da lei stessa illustrato, Caroline, dedicato a Karoline von Guenderode, la grande poetessa tedesca (1780-1806) che si era suicidata per amore.

 

8. PROFILI. ANNAMARIA TAGLIAVINI: ROSELLINA ARCHINTO

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Annamaria Tagliavini, laureata in Filosofia, dal 1994 dirige la Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna, femminista, da lungo tempo e' impegnata nel campo dell'informazione e della documentazione di genere. Fa parte dell'Associazione Orlando e di importanti organizzazioni femminili e femministe internazionali come Wine - Women Information Network Europe e Know How on the World of Women Information Conference Permanent Comittee]

 

Rosellina Marconi Archinto (Genova 1933 - vivente).

Rosellina Archinto ha cinque figli e dieci nipoti. Vive e lavora a Milano, ma e' nata a Genova. Si laurea, a Milano, in Economia e nel 1958 si sposa con Alberico Archinto Rocca Saporiti. Dopo un soggiorno a New York (durante il quale frequenta la prestigiosa Columbia University), torna in Italia nel 1963 e mette a frutto la sua esperienza fondando la casa editrice Emme Edizioni, che si distingue subito per l'alta qualita' dei suoi prodotti, ancora oggi considerati veri e propri classici, non solo per il loro valore artistico, ma anche per quello "civile". Suo infatti e' il merito di aver proposto a un pubblico infantile volumi che coniugano potenza e qualita' visiva e contenuti. In tal modo contribuisce a "sdoganare" la letteratura per ragazzi, che in Italia veniva ancora considerata minoritaria. Diffonde in Italia i piu' grandi disegnatori stranieri quali ad esempio Maurice Sendak, Leo Lionni, Tomi Ungerer, Eric Carle, Guillermo Mordillo e molti altri. Contemporaneamente lancia in tutto il mondo i disegnatori italiani (quali Enzo e Iela Mari, Bruno Munari, Emanuele Luzzati, Flavio Costantini). Per questo lavoro Rosellina ha ricevuto molti premi alla Fiera del Libro per l'infanzia a Bologna e premi internazionali quali il premio per il miglior libro per bambini in Giappone, in Germania e in Francia. Nelle collane di psicopedagogia ha pubblicato in Italia volumi dei piu' famosi studiosi del mondo quali Jean Piaget, Francoise Dolto, Arno Stern e molti altri.

Nel 1985 da' vita alla Casa Editrice Archinto, che si connota soprattutto per la pubblicazione di epistolari letterari, lettere d'amore e di viaggio di artisti, musicisti e autori delle letterature di tutto il mondo, ma soprattutto per lo spirito anticonvenzionale e la capacita' di vedere al di la' del consueto. Nel catalogo figurano autori famosi da Rilke a Mann, da Gide a Wittgenstein, da Malerba a Quasimodo. Inoltre pubblica saggi critici letterari di autori noti in tutto il mondo da Bonnefoy a Briganti, da Manguel a Capote. In questo contesto pubblica per dieci anni la rivista "Leggere", (1888-1996) mensile di letteratura, recensioni e novita' librarie.

Nel 1999 fonda la Babalibri, che dirige in collaborazione con sua figlia Francesca, in co-edizione con la grande casa editrice francese specializzata in letteratura infantile L'ecole des Loisirs. Ben presto la casa editrice diventa un vero e proprio punto di riferimento, in particolare per l'edizione di albi illustrati, fruibili a diversi livelli, e caratterizzati da uno stile limpido e ricercato.

E' stata presidente della Commissione Cultura del Comune di Milano (1990-1993) e vicepresidente della Fondazione del Teatro Carlo Felice a Genova (2003-2006). Attualmente e' presidente onorario della Associazione degli Amici dei Musei Liguri e di Palazzo Ducale a Genova, fa parte del Comitato Scientifico del Collegio di Milano ed e' presidente dell'Associazione "Amici di Lalla Romano". E' nella giuria del Premio Strega e del Premio Bagutta.

Siti: Casa editrice Archinto: www.archinto.it; Babalibri: www.babalibri.it

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 325 del 16 aprile 2011

 

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