Telegrammi. 527



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 527 del 16 aprile 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Come puoi tacere tu?

2. Peppe Sini: Del sangue, delle lacrime e del fiele

3. Nandino Capovilla: Per Vittorio Arrigoni

4. Annamaria Rivera: Per Vittorio Arrigoni

5. Mao Valpiana: Per Vittorio Arrigoni

6. Contro la guerra una proposta agli enti locali

7. Virginia Lalli: Eglantyne Jebb

8. Virginia Lalli: Eleanor Roosevelt

9. Paola Nava: Aude Pacchioni

10. Paola Nava: Carmen Zanti

11. Per sostenere il Movimento Nonviolento

12. Segnalazioni librarie

13. La "Carta" del Movimento Nonviolento

14. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. COME PUOI TACERE TU?

 

Le stragi che l'Italia ognora compie

in Libia ed in Afghanistan, nel mare

che il nord separa dal sud del mondo.

Come puoi tacere tu?

 

Il fascismo imperialista del nostro

paese e del nostro

continente, la persecuzione

razzista nei confronti dei migranti.

Come puoi tacere tu?

 

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: DEL SANGUE, DELLE LACRIME E DEL FIELE

 

Una morte e' una tragedia e basta.

Ogni volta che sento qualcuno parlare di "sacrificio", penso che chi lo fa e' gia' complice degli assassini.

Ogni volta che sento qualcuno usare della morte di una persona per dar sfogo al suo odio o alimentare la sua propaganda, penso che chi lo fa e' gia' complice degli assassini.

Ogno volta che sento qualcuno algidamente discettare di "grande politica" dinanzi a un cadavere ancora caldo, penso che chi lo fa e' gia' complice degli assassini.

Penso che l'unica, l'unica cosa che vale la pena di fare sempre, e' salvare le vite. Penso che ogni morte e' un dolore e un orrore infinito. Ogni morte.

*

Ma certo e' difficile non avvertire qualcosa di minuziosamente atroce, di perversamente studiato e quindi di abissalmente malvagio, in questo omicidio.

Da dove vivo e per come vivo non ho alcuna possibilita' di sapere piu' di quanto riferiscano le voci e le immagini che giungono in Italia attraverso i media, e so che oltre la nuda evidenza della morte ben poco di certo vi e' in esse - le fonti "di movimento" che passano attraverso la rete telematica sono altrettanto inaffidabili di quelle "ufficiali", facile preda di ogni sordida mistificazione.

Ma poiche' sono un persona ormai anziana che molte orrende cose ha visto e sentito, non riesco a non chiedermi chi e perche' abbia voluto uccidere (ed anche: non abbia voluto salvare) Vittorio Arrigoni.

Davvero un gruppo terrorista piu' totalitario di Hamas?

O non piuttosto i servizi segreti, o i manutengoli ovvero i collaborazionisti o ancora i subornati dai servizi segreti, e i servizi segreti di chi?

O veramente un gruppo di adepti della virtu' per i quali solo i cadaveri sono abbastanza virtuosi?

Sono domande a cui non ho risposta, ma sono domande che non riesco a non farmi.

La pieta' ha sempre anche sete di verita' e di giustizia.

*

Da decenni in Italia si fa della tragedia palestinese lo stesso uso che ne fanno i regimi dispotici e razzisti del mondo arabo e del Medio Oriente: un uso strumentale a fini di consenso interno.

Hic et nunc per alimentare lo stereotipo degli "italiani, brava gente", mentre il nostro paese sta partecipando alla guerra in Afghanistan e in Libia, arma dittatori e golpisti e mafie, perseguita e fa morire migranti. Di questo innanzitutto dovremmo parlare.

E dovremmo parlare anche di quanto di antisemita, ovvero di pregiudizio e di persecuzione antiebraica, vi e' in certa pretesa "solidarieta' col popolo palestinese" che di solidale col popolo palestinese non fa nulla, ma opera alacremente unicamente per rinnovare i fasti hitleriani, per continuare la Shoah.

E dovremmo parlare anche di quanto di islamofobo ed arabofobo, ovvero di pregiudizio e di persecuzione colonialista e razzista, vi e' in certa pretesa "solidarieta' col popolo di Israele" che di solidale col popolo di Israele (intendendo con questa formula tanto la popolazione di uno stato quanto il popolo ebraico della bimillenaria diaspora, e sono ovviamente due cose collegate ma distinte) non fa nulla, ma opera alacremente unicamente per rinnovare i fasti della violenza imperialista razzista e coloniale propria della parte peggiore, piu' orrenda e ripugnante, della storia europea e cristiana, dei poteri cristiani ed europei.

Ogni volta che i gruppi dominanti dell'eversione dall'alto nel nostro paese, e con essi tutti i gruppi dirigenti della ex-sinistra italiana lestamente convertitisi - scilicet: gioiosamente prostituitisi - alle sublimi virtu' del capitalismo ben temperato e della guerra sola igiene del mondo, si appresta ad assassinare e perseguitare, allora - per un trucco che ben so riconoscere - si innalza sul pennone piu' alto la doppia retorica delle doppie solidarieta', in nome dell'una delle quali si avalla il massacro dell'altra parte, di quella parte di umanita' marchiata come "meno umana" dell'altra, la nostra.

*

E per non tacer nulla, in merito al conflitto israeliano-palestinese se non ci si fa carico dei diritti, e innanzitutto del diritto ad esistere, di entrambi i popoli, e di entrambi gli stati (giacche' su un piano di realta' effettuale va preso atto che finche' l'ordinamento internazionale sara' caratterizzato dalla statualita' come cardine del riconoscimento dei diritti i popoli che non hanno un loro stato sono effettualmente esposti ad ogni violenza), ebbene, non si trovera' mai una soluzione all'orrore presente. Tutte le iniziative unilaterali sono inani perche' subalterne a uno status quo surdeterminato da una catena di orrori. Tutte le retoriche strabiche sono inadeguate perche' occultano l'altra parte della terribile verita'. Non vi e' dubbio che nella gerarchia delle oppressioni il popolo palestinese e' il piu' oppresso, ma non vi e' neppure dubbio che lo stato di Israele e' l'ultimo rifugio di un popolo da due millenni crudelmente perseguitato e minacciato di sterminio (e nel modo piu' parossistico nell'ultimo secolo: dalla Shoah ci separano poche decine di anni).

Ogni volta che sento un europeo che infervoratosi per la causa palestinese arriva a vomitare le medesime parole del "Volkische Beobachter" (e succede con una frequenza impressionante e crescente, impressionante e crescente), ebbene, sento il fetore dei cumuli dei cadaveri dei lager.

Ed insieme: ogni volta che vedo un europeo fare spallucce dinanzi al massacro del popolo palestinese adducendo che Hamas e' totalitaria e terrorista, di nuovo sento il fetore dei cumuli dei cadaveri dei lager.

Ed ancora: ogni volta che sento un europeo attribuire a un intero popolo le responsabilita' del governo di uno stato, e che per contrastare quel governo ritiene legittimo infliggere le piu' immani sofferenze a quel popolo, ancora una volta sento il fetore dei cumuli dei cadaveri dei lager.

Mi stanno a cuore le vite, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

L'unica differenza tra un essere umano decente ed Hitler, o Stalin, e' in questa capacita' di sentire il dolore degli altri, e in questo impegno ad adoperarsi per quanto e' in proprio potere a contrastare quella violenza e lenire quel dolore.

*

So quanto e' difficile ragionare ed agire da persona amica della nonviolenza nelle situazioni di conflitto dispiegato, di massacro in corso. So come tutto sia parziale e contraddittorio, sotto il segno del limite e del rischio, dell'errore e dello scacco, della radicale insufficienza.

Ma quando sento qualcuno fare proclami usando la totalitaria formula "senza se e senza ma", penso che chi dice quelle sciagurate parole e' gia' pronto ad aderire al partito nazista.

Quando sento qualcuno proporre iniziative che implicano esporre alla morte delle persone, penso che chi quelle proposte formula e' gia' pronto ad aderire al partito nazista.

Quando sento qualcuno che nega la presenza di qualche verita' nelle percezioni altrui ed avverse, penso che chi quella denegazione agisce e' gia' pronto ad aderire al partito nazista.

*

Ed una cosa ancora vorrei dire, in poche parole.

Dinanzi all'attuale disastro del mondo non basta la solidarieta' internazionale. E non basta il pacifismo. Occorre la nonviolenza.

Scrivo queste cose senza giri di parole. Sono un vecchio militante del movimento operaio che dalla seconda meta' degli anni Settanta del secolo scorso si e' persuaso che solo la nonviolenza e' la via.

La nonviolenza e' la via. E quando dico nonviolenza in essa raccolgo il senso della storia e della lotta del movimento operaio, il senso della storia e della lotta dei movimenti di liberazione dell'umanita' sfruttata e oppressa, il senso della storia e della lotta del movimento delle donne, il senso della storia e della lotta dei movimenti di difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, il senso della storia e della lotta dei movimenti della responsabilita' umana per la salvaguardia della biosfera.

Chi pensa che la nonviolenza sia roba da ingenui adolescenti che aiutano le anziane signore ad attraversare la strada, evidentemente non ha saputo nulla della tragedia del secolo breve da cui proveniamo.

La nonviolenza e' questa lotta di liberazione dell'umanita' che sa che l'umanita' e' insieme unica ed irriducibilmente plurale, che essa si incarna nelle singole vite di persone umane ciascuna diversa da ogni altra e ciascuna come ogni altra portatrice di dignita' e diritti inalienabili.

*

Vittorio Arrigoni e' stato un testimone. Come capita ai testimoni, con i suoi limiti, le sue contraddizioni, i suoi errori, il suo cammino, il suo dolore, il suo grido che talvolta poteva stravolgere il suo volto, come sapeva Brecht. Nell'ora della morte ormai per sempre testimone di una scelta di pace e di umana solidarieta'.

"Restiamo umani" non e' uno slogan che ogni pappagallo puo' ripetere, ma il motto, la divisa di un impegno a riconoscere, distinguere, capire, ascoltare, dire, testimoniare, soccorrere; un impegno a quella lotta che sola liberera' tutte e tutti perche' per tutte e tutti rivendica vita, dignita', diritti.

Ho creduto di rendergli onore parlando chiaro, non con le solite manciate di parole con cui si sotterrano frettolosamente le vittime per eludere la domanda terribile che talora con la loro vita e sempre con la loro morte ti pongono. La domanda terribile e il comando terribile: tu non uccidere.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

3. LUTTI. NANDINO CAPOVILLA: PER VITTORIO ARRIGONI

[Don Nandino Capovilla e' coordinatore nazionale di Pax Christi Italia]

 

"Non ce ne andiamo, perche' riteniamo essenziale la nostra presenza di testimoni oculari dei crimini contro l'inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto".

Cosi' ripetevi durante Piombo fuso, unico italiano rimasto li', tra la tua gente, tra i volti straziati dei bambini ridotti a target di guerra. Cosi' mi hai ripetuto pochi mesi fa prima di abbracciarmi: io obbedivo all'ultimatum dei militari al valico di Heretz che mi ordinavano di uscire dalla Striscia, ma tu restavi. Questa era la tua vita: rimanere.

Sei rimasto con gli ultimi, caro Vittorio, e i tuoi occhi sono stati chiusi da un odio assurdo, cosi' in contrasto, cosi' lontano dall'affetto e dalla solidarieta' della gente di Gaza, da tutta la gente di Gaza che non e' "un posto scomodo dove si odia l'occidente", come affermano ora i commentatori televisivi, ma un pezzo di Palestina tenuta sotto embargo e martoriata all'inverosimile.

Immaginiamo i tuoi amici e compagni palestinesi ancora una volta inermi, ancora una volta senza una voce che porti fuori da quella grande prigione la loro disperazione, testimonianza della loro umanita' ferita e umiliata.

Non spendiamo parole per quelli che non hanno saputo essere, e per questo non sono restati, umani.

La tua gente di Palestina non dimentichera' il tuo amore per lei. Hai speso la tua vita per una pace giusta, disarmata, umana fino in fondo.

Anche a noi di Pax Christi manchera' la tua "bocca-scucita" che irrompeva in sala, al telefono, quando, durante qualche incontro qui in Italia, nelle citta' e nelle parrocchie dove si ha ancora il coraggio di raccontare l'occupazione della Palestina e l'inferno di Gaza, denunciavi e ripetevi: "restiamo umani!". Tu quell'inferno lo raccontavi con la tua vita. 24 ore su 24. Perche' eri li'. E vedevi, sentivi, vivevi con loro. Vedevi crimini che a noi nessuno raccontava. E restavi con loro.

Abbracciamo Maria Elena, la tua famiglia e vorremmo sussurrare loro che la tua e' stata una vita piena perche' donata ai fratelli e che tutto l'amore che hai saputo testimoniare rimarra' saldo e forte come la voglia di vivere dei bambini di Gaza.

Ci inchiniamo a te, Vittorio. Ora sappiamo che i martiri sono purtroppo e semplicemente quelli che non smettono di amare mai, costi quel che costi.

 

4. LUTTI. ANNAMARIA RIVERA: PER VITTORIO ARRIGONI

[Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per questo intervento.

Annamaria Rivera, antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005; Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo, Bari 2009; La Bella, la Bestia e l'Umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo, Ediesse, Roma 2010]

 

C'incitavi

a rimanere umani

nonostante tutto

era la tua firma

il sigillo

d'ogni tuo messaggio

dal fondo dell'orrore

del piombo fuso

 

Ora che umani feroci

nondimeno umani

hanno messo a tacere

per sempre

la tua umanita'

mi chiedo, Vittorio,

se la condanna non sia

la nostra specie

e la salvezza tradirla

provare a somigliare

ad altre creature

le fiere che mai infieriscono

sui miti e gli inermi

 

5. LUTTI. MAO VALPIANA: PER VITTORIO ARRIGONI

[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.

Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' segretario nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra recente ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]

 

Dove sono i pacifisti?

A piangere uno di loro, assassinato a Gaza dal delirio della violenza liberatrice.

La guerra tutto contagia, solo la nonviolenza e' l'antidoto.

 

6. INIZIATIVE. CONTRO LA GUERRA UNA PROPOSTA AGLI ENTI LOCALI

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Proponiamo a tutte le persone amiche della nonviolenza di inviare al sindaco del Comune, al presidente della Provincia ed al presidente della Regione in cui si risiede, una lettera aperta (da diffondere quindi anche a tutti i membri del consiglio comunale, provinciale, regionale, ed ai mezzi d'informazione) con cui chiedere che l'assemblea dell'ente locale approvi una deliberazione recante il testo seguente o uno analogo.

*

"Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... ripudia la guerra, nemica dell'umanita'.

Il Consiglio Comunale [Provinciale, Regionale] di ... riconosce, rispetta e promuove la vita, la dignita' e i diritti di ogni essere umano.

Richiede al Governo e al Parlamento che cessi la partecipazione italiana alle guerre in corso.

Richiede al Governo e al Parlamento che si torni al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana.

Richiede al Governo e al Parlamento che l'Italia svolga una politica internazionale di pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per il riconoscimento e l'inveramento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

Solo la pace salva le vite".

 

7. PROFILI. VIRGINIA LALLI: EGLANTYNE JEBB

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Virginia Lalli, "nata a Roma nel 1974. Avvocato gia' responsabile del settore donne per Nuove Frontiere onlus. Collabora con diversi enti umanitari. Si occupa di attivita' formative ed educative ai Diritti umani nelle scuole. Curatrice e relatrice in convegni su tematiche di bioetica relative alla vita nascente"]

 

Eglantyne Jebb (Ellesmere Shrophire 1876 - Ginevra 1928).

"E' chiaro che non vi e' un'impossibilità intrinseca nel salvare i bambini nel mondo. E' impossibile solo se ci rifiutiamo di provarci".

"Il problema non e' il denaro ma l'atteggiamento della mente... il mondo non e' ingeneroso ma privo di fantasia e molto occupato".

Alle soglie del XX secolo il bambino e' ancora considerato solo in riferimento al mondo adulto; un adulto non del tutto compiuto, non una persona con proprie specifiche esigenze di tipo affettivo, psicologico, intellettivo. L'unico scrupolo relativo all'infanzia espresso sino a quel momento e' quello di regolarne l'ingresso e i modi di lavoro.

Eglantyne Jebb e' stata in grado di anticipare il concetto, rivoluzionario per l'epoca, che anche i bambini fossero titolari di diritti peculiari, distinti da quelli degli adulti, e inizia un'opera nei confronti delle istituzioni audace nelle sue rivendicazioni e anticonformista nei modi di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e di reperimento dei fondi.

Eglentyne nasce ad Ellesmere Shrophire il 25 agosto 1876 e cresce in una casa di campagna, in una famiglia benestante, fortemente impegnata nella propria comunita'. Con lei crescono cinque fra fratelli e sorelle. Il padre Arthur Trevor Jebb e' un avvocato e proprietario terriero. La madre, Louisa Eglantyne, fonda la Home Arts and Industries Association per sostenere i mestieri rurali tradizionali e dell'artigianato minacciati dalla meccanizzazione e dall'urbanizzazione. Sua sorella Louise contribuisce a fondare la Women's Land Army durante la prima guerra mondiale, che organizza nelle aziende agricole il lavoro delle donne che sostituiscono i mariti in guerra.

Eglantyne consegue la laurea in Storia Moderna a Oxford e insegna per un anno nelle scuole elementari. Si trasferisce poi a Cambridge per aiutare la madre e collaboro' con la Charity Organisation Society che mirava a organizzare le opere di carita' secondo metodi razionali e moderni. Eglantyne studia quindi in modo scientifico come aiutare le persone e nel 1906 pubblica Cambridge, A Study in Social Questions.

Con l'inizio della prima guerra mondiale insieme alla sorella Dorothy scrive note dalla stampa estera per la rivista "Cambridge Magazine". Alla fine della guerra pubblica in inglese sulla stessa rivista alcuni articoli di giornali esteri che descrivono le gravi conseguenze dell'embargo del governo britannico nei confronti di Austria e Germania, dove i bambini morivano di fame, a fronte del governo britannico, fermamente deciso a non dare aiuti al nemico sconfitto.

Nello stesso anno Eglantyne viene arrestata mentre a Trafalgar Square distribuisce volantini con fotografie di bambini affamati austriaci. Alcuni di questi volantini esistono ancora negli archivi di Save the Children. Il governo sperava con l'arresto di mettere a tacere questa donna che insieme ad altri influenti amici quali Lord Parmoor, John Maynard Keynes ed altri svolgevano un'efficace attivita' di lobbyng in tal senso. Eglantyne si difende in tribunale appellandosi al caso morale. Anche se riconosciuta colpevole viene solo multata per 5 sterline, il che - come scrive a sua madre - "equivale alla vittoria".

Il 15 aprile 1919 Eglantyne insieme alla sorella Dorothy istituisce un fondo per aiutare i bambini tedeschi e austriaci: Save the Children Fund. Inaspettatamente questa organizzazione presentata alla Royal Albert Hall a Londra il 19 maggio 1919 raccoglie rapidamente una grossa somma di denaro dal pubblico britannico e molti partecipano all'opera di soccorso. Per gestire il Fondo Eglantyne assicura che avrebbe utilizzato il metodo professionale imparato presso la Charity Organisation Society.

Nell'estate del 1919, Eglantyne Jebb scrive a Papa Benedetto XV per avere il supporto della Chiesa contro la carestia. In risposta al suo appello, nel novembre dello stesso anno, il Papa scrive l'Enciclica Paterno Iam Diu, chiedendo a tutte le chiese del mondo di raccogliere fondi per l'infanzia e l'anno successivo, nell'enciclica Annus iam Planus est, loda pubblicamente Save the Children per il suo lavoro. E' la prima volta nella storia che la Chiesa Cattolica supporta una causa promossa da un'organizzazione non confessionale.

Nel 1921 Save The Children aiuta i bambini russi vittime della carestia. Attualmente Save the Children e' la piu' grande organizzazione indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini. Opera in oltre cento paesi portando aiuti alle famiglie e ai bambini in situazioni di emergenza, per calamita' naturali o guerre. Ha status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite. Parla a nome dei bambini e fa pressione su governi e istituzioni nazionali e internazionali.

Durante il servizio che aveva prestato nella prima guerra mondiale, Eglantyne era stata molto colpita dalle sofferenze inflitte dalla guerra ai bambini ed essendo persuasa che "le guerre sono sempre guerre innanzitutto contro i bambini", aveva pensato che fosse necessario affermare alcuni diritti fondamentali propri dei bambini e nel 1923 riflettendo sulla vetta del monte Saleve che domina Ginevra, stilo' la prima Carta internazionale dei diritti del bambino: "che ogni bambino affamato sia nutrito, ogni bambino malato sia curato, ad ogni orfano, bambino di strada o ai margini della societa' sia data protezione e supporto".

La Carta scritta in stile semplice in cinque punti afferma che i bambini hanno dei diritti e la comunita' ha il dovere di proteggerli. La invia quindi alla Societa' delle Nazioni scrivendo: "Sono assolutamente convinta che sia giunto il momento di riconoscere i diritti propri dei bambini". Il testo viene adottato dalla Società delle Nazioni l'anno successivo il 26 settembre del 1924, con il nome di Dichiarazione di Ginevra e successivamente dalle Nazioni Unite. Sulla stessa carta si basa la Convenzione Onu sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza del 1989 oggi ratificata da tutti i Paesi del mondo ad eccezione degli Stati Uniti (poiche' riconoscono la pena di morte anche per i minori) e della Somalia (che non ha un governo stabile).

Eglantyne muore appena sei anni dopo, a Ginevra, nel 1928. A soli 52 anni. Con il suo coraggio personale, carisma e visione umana aveva conquistato la maggior parte dell'aristocrazia e le organizzazioni sindacali, il Papa, e il governo bolscevico, la moglie del Primo Ministro che aveva organizzato il blocco economico, e la neonata Lega delle Nazioni a Ginevra.

"Per avere successo nella vita, e' necessario dare vita", cosa che lei ha fatto non diventando madre, come ci si sarebbe aspettati da una signora benestante dell'eta' edoardiana, ma attraverso la creazione di Save the Children Fund.

Mentre la sua storia e' stata dimenticata e anche se i diritti umani dei bambini devono ancora essere pienamente realizzati, il successo di Eglantyne nell'imporli all'agenda politica mondiale attesta la forza del suo spirito umanitario. Eglantyne Jebb trovava i bambini rumorosi e stancanti e li definisce anche "birbanti", ma riconosce in loro il futuro. E capisce che e' a nostro rischio e pericolo non riuscire a proteggerli e rispettarli.

Fonti e siti: Clare Mulley, The Women Who Saved The Children. A biography of Eglantyne Jebb founder of Save The Children, Oneworld publications 2009. Il sito ufficiale di Save the Children: www.savethechildren.org

 

8. PROFILI. VIRGINIA LALLI: ELEANOR ROOSEVELT

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Eleanor Roosevelt (New York 1884 - 1962).

"Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, cosi' vicini e cosi' piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunita', eguale dignita' senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato li', hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi e' vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo piu' vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani e' nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunita'". (27 marzo 1958, In Your Hands).

In seguito alla morte dei suoi genitori, la giovane Eleanor fu cresciuta dalla nonna materna Mary Ludlow Hall. Eleanor si trovo' cosi' in un ambiente familiare alquanto ostile. Si lamento' della situazione con sua zia Anna "Bamie" Cowles (sorella di Theodore Roosevelt), la quale decise di portarla via dagli Hall. Lo zio Ted l'accolse nella sua casa. Fu li' che ad una festa di Natale incontro' il cugino e futuro marito Franklin Roosevelt. Con l'incoraggiamento della zia Bamie, Eleanor fu mandata ad Allenswood, una scuola femminile nei dintorni di Londra, dove studio' dal 1899 al 1902. Qui conobbe Mademoiselle Marie Souvestre, sua insegnante, che ebbe su di lei notevole influenza. La Souvestre era interessata alle cause liberali e alla questione femminile. Eleanor defini' la Souvestre come una delle persone che ebbero maggiore influenza nella sua vita. Quando venne il momento di tornare a New York, la Souvestre fece del suo meglio per prepararla ai Roosevelt di Hyde Park. Nel 1902 incomincio' a vedersi con il cugino Franklin, studente di Harvard, frequentazione che prosegui' sino al fidanzamento, nel novembre 1903. Sara Ann Roosevelt, la madre di Franklin, contraria al matrimonio, riusci' a farlo rimandare e nel vano tentativo di far dimenticare Eleanor al figlio, lo spedi' a fare un lungo viaggio con gli amici che duro' sedici mesi. Tuttavia la maggior parte della famiglia era favorevole all'unione. Il sostegno maggiore venne dallo zio Theodore, che scrisse una lettera a Franklin sostenendolo nella sua scelta. Il 17 marzo 1905 Eleanor e Franklin si sposarono. Dal matrimonio nacquero sei figli.

La madre del futuro presidente degli Stati Uniti non aveva visto di buon occhio il matrimonio di suo figlio con Eleanor, che considerava timida, non particolarmente carina e poco esperta della vita. Eleanor lascio' che Sara dominasse completamente il primo periodo della sua vita coniugale, sebbene la rendita di Eleanor al momento del matrimonio fosse di poco inferiore a quella del marito e la coppia non avesse dunque alcun bisogno del supporto economico offerto dalla suocera.

Il punto di svolta nella vita di Eleanor ebbe luogo nel 1921, quando il marito contrasse la poliomielite e rimase paralizzato alle gambe. Fu a questo punto che la personalita' della Roosevelt si impose finalmente su quella della suocera, la quale invitava il figlio a ritirarsi dalla vita politica e a rassegnarsi al suo destino. Eleanor invece convinse il marito ad andare avanti e divenne "le gambe e le orecchie" del marito, conquistandosi uno spazio personale di azione. Dopo che Franklin fu nominato governatore di New York nel 1928, lei comincio' a presenziare alle visite a case, ospedali e prigioni per conto del marito. In quel periodo lavoro' anche per la League of Women Voters, la National Consumers' League, la Women's Trade Union League e la sezione femminile del Comitato democratico dello Stato di New York.

L'incoraggiamento costante di Eleanor permise a Franklin di tornare alla politica e vincere il governatorato di New York (1929-1933).

Quando Franklin Delano Roosevelt fu eletto alla presidenza (1933-1945) Eleanor Roosevelt divenne la prima first lady attivista. Con conferenze stampa e la sua rubrica quotidiana mantenne un contatto con il pubblico circa le politiche sociali della Casa Bianca, in particolare il New Deal. Convinse il marito a creare il National Youth Administration (Nya), che ha fornito aiuti finanziari agli studenti e la formazione professionale per giovani uomini e donne.

La sua preoccupazione per i neri americani, la spinse a lavorare a stretto contatto con organizzazioni come l'Associazione nazionale per il progresso della gente di colore (Naacp) e nel 1939 si dimise dalle Figlie della rivoluzione americana in segno di protesta poiche' l'associazione rifiuto' il permesso di cantare nella propria sala concerto di Washington alla cantante nera Marian Anderson.

Quando Franklin D. Roosevelt mori' nel 1945, il ruolo di Eleanor Roosevelt come first lady era finito ma non si ritiro' a vita privata e il nuovo Presidente, Harry S. Truman (1884-1972), che sali' alla Casa Bianca dopo la morte di Franklin Roosevelt nel 1945, le chiese di diventare rappresentante per i diritti umani presso la Commissione delle Nazioni Unite.

Finita la guerra, Eleanor Roosevelt si impegno' per la ratifica della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo da parte delle Nazioni Unite. Il 28 settembre 1948, in un famoso discorso, defini' la Dichiarazione "la Magna Carta di tutta l'umanita'". La Dichiarazione fu approvata quasi all'unanimita' dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, con soli otto astenuti. La Dichiarazione universale dei diritti umani ha affermato la vita, la liberta' e l'uguaglianza a livello internazionale per tutte le persone indipendentemente dalla razza, credo o colore. Il retaggio delle sue parole e delle sue opere compare nelle costituzioni di molte nazioni, ed in un corpo di leggi internazionali in evoluzione che ora protegge i diritti degli uomini e delle donne in tutto il mondo.

Eleanor Roosevelt lavoro' fino alla fine dei suoi giorni per ottenere l'accettazione e l'attuazione dei diritti contemplati nella Dichiarazione.

Eleanor si interesso' anche di politica estera e dopo che gli Stati Uniti furono entrati nella seconda guerra mondiale (1939-45) nel 1941, fece numerosi viaggi al fronte per supportare le attivita' della Croce Rossa e per il morale delle truppe.

Nel 1943, con Wendell Willkie ad altri esponenti americani, getto' le basi per la costituzione della "Freedom House", un istituto di ricerca per la promozione della pace e della democrazia nel mondo. Eleanor riusci' a raccogliere molti fondi.

Ha scritto diversi libri sulle sue esperienze: Questa e' la mia storia (1937), This I Remember (1950), On My Own (1958), e Domani e' adesso (pubblicato postumo, 1963).

Eleanor ha presieduto anche la "Commissione presidenziale sulla condizione delle donne" della quale fu presidente John F. Kennedy.

Di fronte agli eventi piu' cruciali del XX secolo, la Grande depressione, la seconda guerra mondiale, l'istituzione delle Nazioni Unite e l'adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, si confronto' con opportunita' e avversita', con un senso di ottimismo e determinazione. Efficacemente Adlai Stevenson (un ex candidato democratico alla presidenza) scrisse di lei: "Avrebbe preferito accendere una candela che maledire l'oscurita'".

Bibliografia: Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, Assemblea generale delle Nazioni Unite, 1948.

 

9. PROFILI. PAOLA NAVA: AUDE PACCHIONI

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Paola Nava "lavora nel campo della ricerca storica e sociologica. Nel 2002 e' stata direttrice artistica de "Le donne intrecciano le culture" di Modena e dal 2005 al 2009 del "Poesia Festival" dei Comuni Unione Terre dei Castelli. Tra le pubblicazioni storiche: La fabbrica dell'emancipazione. Operaie della Manifattura Tabacchi di Modena: storie di vita e di lavoro, Roma, Utopia 1986; (a cura di), Operaie, serve, maestre, impiegate, Torino, Rosenberg & Sellier 1992; Emilia Romagna: a una svolta la cultura dei servizi, in Paul Ginsborg (a cura di), Stato dell'Italia, Milano, Il Saggiatore - Bruno Mondadori 1994"]

 

Aude Pacchioni (Soliera (Modena) 1926 - vivente).

Nasce in una famiglia di piccoli coltivatori diretti. Frequenta le scuole fino alla terza "avviamento". Partecipa alla Resistenza militando nella brigata Diavolo con il nome di Mimma. Lavora come impiegata in una fabbrica poi si dedica alla politica.

Iscritta al Partito Comunista dalla Liberazione, svolge attivita' sindacale tra le mondine della Bassa modenese e diventa dirigente della sezione femminile di Soliera, poi dirigente della Confederterra dal '48 al '53. Dal 1954 al 1960 e' presidente provinciale dell'Udi (Unione Donne Italiane). Eletta consigliera comunale a Modena nel 1956, diventa assessore ai Servizi sociali e Sanita' nel 1960. Qui, con il sindaco Alfeo Corassori prima e Rubes Triva poi (dal 1962 al 1973) e con gli altri consiglieri, progetta e costruisce quel modello emiliano di welfare legato alla cultura del lavoro, alla partecipazione, alla tradizione di comunita' e di responsabilita' collettiva.

E' un periodo nel quale sindaco e assessori "montano sugli autobus", girano tra la gente, conoscono tutti; un momento durante il quale si crea un dialogo continuo e ininterrotto, una domanda sociale che diventa progetto e costruzione del nuovo. Per Aude Pacchioni tutto questo e' intrecciato alle lotte del movimento femminile; dalle istanze, piu' generali, di pace a quelle, piu' concrete e quotidiane, del dare risposte alle condizioni di vita della gente per migliorarle. E allora asili, scuole, colonie, case-albergo per gli anziani, sanita', piani regolatori, trasporti. Insomma un modello culturale e sociale cui gli amministratori di allora si dedicano totalmente: impegno piu' difficile per le donne, discriminate sia culturalmente che dal doppio lavoro, ma che, proprio dall'esperienza della cura e dall'elaborazione che ne aveva fatto il movimento femminile, trovano idee e forza per realizzare politiche sociali. Il passaggio, a partire da meta' degli anni '50 e fino alla fine dei '70 e' dall'assistenza al welfare. Pacchioni ne e' protagonista soprattutto con le battaglie per gli asili nido e l'assistenza agli anziani. Il primo nido sara' quello di via Spontini nel 1969 (titolato dal 2003 Rubes Triva), progettato addirittura nel 1953 all'interno di un complesso residenziale di case popolari e che sara' realizzato con molte difficolta' e contrasti e soprattutto grazie al fatto che Pacchioni e' si' assessore ma anche presidente dell'Onmi (Opera Nazionale Maternita' e Infanzia), l'unica istituzione che si occupava allora di assistenza ai bambini, in quanto rappresentante del sindaco. In seguito, fino al '70, gli asili e poi le scuole comunali si diffonderanno, a Modena ma anche a Reggio Emilia e in tutta le regione, trainando un movimento che portera' poi, nel 1971, a inquadrare il percorso in leggi (n. 1044 del 6 dicembre 1971 quella istitutiva degli asili nido e n. 1204 del 30 dicembre 1971 quella sulla tutela della maternita'). Al centro del progetto educativo e' messo il bambino, senza distinzioni di sesso, etnia, lingua, religione... e un fortissimo investimento educativo viene fatto sugli insegnanti (formazione permanente, coordinamento pedagogico, collaborazione con le famiglie). Percorsi divenuti ormai nazionali ma che troveranno, a partire da Reggio Emilia e sotto la guida infaticabile di Loris Malaguzzi, riconoscimento internazionale, tanto che ancor oggi il centro Internazionale Loris Malaguzzi e' considerato un esempio in tutto il mondo.

Del 1969 a Modena e' la realizzazione della prima Casa Albergo per gli anziani, altro impegno da sempre di Pacchioni. Ma la carriera politica di Aude Pacchioni non si ferma e si snoda tra cariche istituzionali e assessorati fino a oggi: dal 1970 e' presidente degli istituti ospedalieri, poi dal 1980 e' assessore al Bilancio, quindi assessore al Patrimonio. Attualmente e' presidente provinciale dell'Anpi (Associazione Nazionale Partigiani).

Bibliografia: Daniela dell'Orco, Nora Sigman, Eredita' rivelate. Le donne nelle amministrazioni locali modenesi, 1946-1960, Modena, Poligrafico Mucchi 2000; Stefano Magagnoli, Nora Sigman, Paolo Trionfini (a cura di), Democrazia, cittadinanza e sviluppo economico, Carocci 2004.

 

10. PROFILI. PAOLA NAVA: CARMEN ZANTI

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it]

 

Carmen Zanti (Cavriago 1923 - Reggio Emilia 1979).

Carmen Zanti e' stata un personaggio politico di grande rilevanza dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del Novecento.

Trascorre gran parte dell'infanzia e dell'adolescenza in Francia, dove il padre Angelo e' costretto all'esilio. In Francia, a Nizza, entra nel Partito Comunista (nelle Jeunes Filles de France) nel quale si impegna fino al 1940, quando ritorna in Italia e partecipa, dal '43, alla lotta di Liberazione. Per un certo periodo, a Liberazione avvenuta, Carmen continua a lavorare per il Partito per costituire la Commissione femminile della Federazione tra Milano, Piacenza, Reggio, battendosi affinche' sia soppressa ogni forma di inferiorita' politica e giuridica delle donne. Un percorso quasi obbligato per le donne del partito di allora, che passavano dal ruolo di staffetta partigiana a quello di funzionaria delegata alle questioni femminili.

Dal '53 il suo nome compare negli organismi dirigenti nazionali dell'Udi (Unione Donne Italiane), dal Comitato direttivo alla Commissione organizzazione; la discussione verte in quel periodo sui problemi della autonomia e della specificita' dell'organizzazione femminile, sulla strumentalita' o meno di essa rispetto a un disegno politico piu' generale.

Contemporaneamente, facilitata dall'ottima conoscenza del francese, si occupa dei rapporti con analoghe organizzazioni internazionali che si articoleranno poi nella Fdif (Federazione Democratica Internazionale delle Donne) a partire dal 1950; qui esprimera' la specificita' di un percorso politico che trapassa da un concetto provinciale e nazionale ad uno scenario mondiale, ricco per le possibilita' di incontro e confronto con soggetti e culture differenti.

Tra i compiti della Fdif il principale e' certo quello di lavorare per la pace, sostenendo tuttavia la scelta dell'Unione Sovietica come impegno etico contro l'imperialismo americano nella contrapposizione che caratterizza la guerra fredda.

La sede della Fdif, inizialmente a Parigi, viene poi trasferita a Berlino Est dopo la estromissione da parte del governo francese; Carmen vi opera dal 1957 al 1963. La sua posizione non e' certo facile: come segretaria dell'organismo internazionale deve mediare tra le rigide posizioni delle donne dei paesi comunisti, orientate al dibattito su pace, diritti delle donne e dei bambini, e quelle piu' avanzate dell'Udi che si pone il problema del ruolo della donna nella societa' e della sua emancipazione. Difficili mediazioni compensate pero' dai frequenti viaggi in tutto il mondo e dai convegni e anniversari della Giornata internazionale della donna.

Nel 1954 Carmen sposa Alighiero Tondi, un intellettuale brillante, ordinato sacerdote gesuita, poi, dal '52, uscito dalla Chiesa e approdato al Partito Comunista. Di certo una forte passione, ma anche un rapporto difficile, complicato dal carattere di lui, molto polemico e massimalista. Tondi andra' con lei a Berlino dal '57 al '62, dove insegnera' all'universita' Humboldt. Dopo la morte di Carmen ritornera' al sacerdozio.

Nel '63, al Congresso di Mosca, Carmen, con una dichiarazione di voto senza precedenti, pronuncia l'atto di abbandono della Fdif votando contro la mozione maggioritaria che subordina l'emancipazione femminile alla realizzazione del comunismo; la ritiene inaccettabile per tutte le donne e si esprime a favore dell'autonomia e dell'emancipazione, in linea con l'Udi.

Tornata in Italia, dal 1963 al 1972 e' deputata; poi senatrice dal 1972 al 1976. Si occupa in particolare di condizione femminile e assistenza alla maternita' e infanzia. Gli obiettivi, poi raggiunti, sono quelli di sciogliere l'Onmi (Opera Nazionale Maternita' e Infanzia) e di impostare un piano di asili nido nonche' l'istituzione dei consultori. Si occupa anche di assistenza psichiatrica e di riforma sanitaria.

Carmen torna a Reggio Emilia nel 1976 e vi rimane fino al 1979, anno della sua morte.

Bibliografia: Paola Nava e Maria Grazia Ruggerini, Carmen Zanti. Una biografia femminile, Cavriago, Tipolitografia Bertani 1987.

 

11. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

12. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Javier Arbones e Pablo Milrud, L'armonia e' questione di numeri. Musica e matematica, Mondo matematico - Rba Italia, Milano 2011, pp. 160, s.i.p. (ma euro 9,99).

- Pere Grima, La certezza assoluta e altre finzioni. I segreti della statistica, Mondo matematico - Rba Italia, Milano 2011, pp. 142, s.i,p. (ma euro 9,99).

*

Riletture

- Jean Dieudonne', L'arte dei numeri. Matematica e matematici oggi, Mondadori, Milano 1989, Mondadori - De Agostini, Milano-Novara 1995, pp. XIV + 236.

- Georges Ifrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano 1989, Mondadori - De Agostini, Milano-Novara 1995, pp. 318.

 

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

14. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 527 del 16 aprile 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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