Telegrammi. 516



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 516 del 5 aprile 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. La nemica

2. Peppe Sini: Ad alcuni amministratori locali (e non solo), contro il razzismo

3. Si e' svolto il 3 aprile a Viterbo un incontro di formazione nonviolenta

4. Il 4 aprile a Viterbo si e' svolto un incontro di riflessione sui diritti umani

5. Contro la guerra, la nonviolenza (parte prima)

6. Elena Petrassi: Agota Kristof

7. Per sostenere il Movimento Nonviolento

8. Segnalazioni librarie

9. La "Carta" del Movimento Nonviolento

10. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. LA NEMICA

 

La guerra e' nemica dell'umanita'.

Alla guerra tu opponiti sempre.

 

2. LETTERE. PEPPE SINI: AD ALCUNI AMMINISTRATORI LOCALI (E NON SOLO), CONTRO IL RAZZISMO

 

Sara' anche effetto delle imminenti elezioni amministrative che accecano gli urlatori del ceto politico ed amministrativo, ma il totalitario coro razzista intonato da pubblici amministratori e forze politiche locali in questi giorni contro i migranti e' abominevole.

A questo coro razzista occorre replicare in modo chiaro ed esplicito ricordando tre modeste ma decisive verita', fondative della civilta' umana, fondative dell'umana convivenza:

I. ogni essere umano ha diritto alla vita;

II. ogni essere umano ha diritto all'accoglienza ed all'assistenza da parte degli altri esseri umani;

III. ogni essere umano ha il dovere di accogliere ed assistere gli altri esseri umani per quanto e' nelle sue possibilita'.

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Se e' consentito proporre di far uso della ragione, vorrei avanzare tre argomenti: uno statistico, uno giuridico ed uno - chiedo venia - morale (e quindi politico, se la politica e' una cosa seria).

1. L'argomento statistico: in Italia vi sono oltre 8.000 Comuni, da quelli molto piccoli a quelli molto grandi, come Milano o Roma. Ogni Comune e' agevolmente in grado di ospitare, in una situazione di emergenza umanitaria, due o tre famiglie, ovvero una decina di persone. In tutta onesta', l'Italia e' perfettamente in grado di ospitare e di assistere in modo umano, in modo civile, in modo decente, tutti i migranti giunti nel nostro paese in questi ultimi mesi e molti altri ancora, senza alcun problema.

2. L'argomento giuridico: l'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana fa obbligo all'Italia di accogliere ed assistere le persone in fuga da fame, miseria, dittature e guerre, ovvero da condizioni e regimi che ledono i fondamentali diritti umani che l'Italia invece riconosce ai suoi cittadini. Recita infatti la Costituzione che "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge". Si tratta quindi solo di rispettare ed applicare la legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico.

3. L'argomento morale: vi e' un antico detto che dovrebbe ispirare la condotta di ogni essere umano e renderebbe la vita migliore per tutti: "Tratta le altre persone come vorresti essere trattato tu da loro". La politica e' l'arte di aiutare le persone a vivere, a vivere insieme, nel rispetto reciproco e comune della vita, della dignita' e dei diritti di ogni essere umano.

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Perseguitare e respingere i migranti e' un crimine contro l'umanita'.

Occorre piuttosto smettere di fare la guerra, che consiste sempre nell'uccisione di esseri umani - il crimine piu' atroce.

Occorre accogliere ed assistere tutte le persone che migrano in fuga da fame, dittature e guerre.

Occorre che tutti gli esseri umani siano di aiuto a tutti gli esseri umani.

Vi e' una sola umanita', su un unico pianeta casa comune dell'umanita' intera.

Cessi la guerra, cessi il razzismo.

 

3. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 3 APRILE A VITERBO UN INCONTRO DI FORMAZIONE NONVIOLENTA

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Domenica 3 aprile 2011 presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo si e' svolto un nuovo incontro del percorso di formazione e informazione nonviolenta che prosegue settimanalmente dal 2009.

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L'incontro si e' aperto con la preparazione delle iniziative in ricordo di Alfio Pannega nel primo anniversario della scomparsa, iniziative che si svolgeranno sabato 30 aprile e domenica primo maggio.

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Si e' poi riflettuto su varie iniziative in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani.

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Un'ampia riflessione e' stata poi ovviamente dedicata ancora una volta alla questione della presenza di arsenico nelle acque destinate al consumo umano.

Si e' confermato l'impegno per la prosecuzione dell'iniziativa per ottenere la completa dearsenificazione dell'acqua da bere, e in particolare per ottenere che in tutti i Comuni in cui l'acqua erogata nelle case supera la concentrazione di arsenico di 10 microgrammi per litro di acqua le amministrazioni comunali si impegnino immediatamente a: 1. emettere ordinanze di non potabilita', affinche' i cittadini non si avvelenino; 2. realizzare al piu' presto impianti di dearsenificazione che dearsenifichino alla fonte tutte le acque che giungono nelle case come potabili; e' possibile farlo con risultati adeguati, in tempi brevi e con costi contenuti; 3. durante la realizzazione dei dearsenificatori fornire acqua con autobotti all'intera popolazione, agli esercizi produttivi, ai servizi; 4. informare finalmente in modo onesto la popolazione: l'arsenico e' un veleno e l'obiettivo finale delle istituzioni deve essere fornire acqua del tutto priva di arsenico.

E' stato messo in rilievo per l'ennesima volta come i Comuni sarebbero agevolmente in grado di realizzare i dearsenificatori in tempi rapidi, ed abbiano quindi il dovere di farlo immediatamente.

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Successivamente si e' esaminata la sempre piu' grave situazione del lago di Vico e si e' preso l'impegno ad ulteriori iniziative in merito.

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E' stato poi confermato l'impegno a sostegno dei referendum per l'acqua bene comune, contro il nucleare e contro l'eversione dall'alto berlusconiana; si e' quindi ragionato sulle iniziative da intraprendere per contribuire al positivo esito dei referendum.

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Si e' poi passati all'esame degli ultimi sviluppi della questione del mega-aeroporto nocivo e distruttivo, insensato ed illegale, e delle iniziative da intraprendere in difesa dell'area del Bulicame ed in particolare per la realizzazione dell'indispensabile "parco naturalistico, archeologico e termale del Bulicame".

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Un approfondimento particolare e' stato dedicato alla questione delle scelte energetiche, del modello di consumi, di societa', di produzione e riproduzione sociale, con un'analisi globale adeguata alla dimensione dei problemi ed un'assunzione di responsabilita' all'altezza del momento dal punto di vista dell'umanita', comprese le generazioni future.

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La parte piu' ampia e rilevante della riunione e' stata poi ovviamente dedicata alla riflessione sulla tragedia bellica in corso.

E' stato confermato l'impegno contro la guerra e contro il razzismo, di solidarieta' con profughi e migranti e di sostegno ai popoli in lotta per la democrazia con la scelta della nonviolenza.

E' stata poi ancora una volta illustrata una possibile strategia nonviolenta di azione per la pace e i diritti umani che metta insieme varie forme d'intervento per rendere visibile l'opposizione popolare ai massacri e alle persecuzioni, per coinvolgere le istituzioni nel rispetto del dettato costituzionale che ripudia la guerra e il razzismo, nel formare alla nonviolenza e preparare azioni dirette nonviolente che operativamente contrastino l'apparato bellico ed i poteri criminali.

Contro la guerra e contro il razzismo, ed in particolare per l'immediata cessazione della partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan e in Libia, e per accogliere ed assistere tutti i migranti, nei prossimi giorni ci si impegnera' a promuovere tutte le iniziative nonviolente possibili.

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Infine si e' effettuata una verifica sull'andamento dell'iniziativa per il diritto allo studio, promossa da alcuni mesi.

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Le persone partecipanti all'incontro

Viterbo, 4 aprile 2011

 

4. INCONTRI. IL 4 APRILE A VITERBO SI E' SVOLTO UN INCONTRO DI RIFLESSIONE SUI DIRITTI UMANI

 

Lunedi' 4 aprile a Viterbo, presso la sede del "Centro di ricerca per la pace", si e' svolto un incontro di riflessione sui diritti umani e sull'impegno nonviolento per inverarli.

Nel corso dell'incontro e' stato espresso un persuaso impegno contro la guerra e in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani; per la difesa dell'ambiente casa comune dell'umanita' intera; per la legalita' costituzionale e la democrazia; contro il regime della corruzione, il razzismo e i poteri criminali.

 

5. RIFLESSIONE. CONTRO LA GUERRA, LA NONVIOLENZA (PARTE PRIMA)

[Ripubblichiamo ancora una volta ampia parte di un testo gia' diffuso nel 2001 (e gia' ripresentato piu' volte sul nostro notiziario), nato dalla rifusione di materiali precedenti e parzialmente apparso in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace, Asterios, Trieste 2001]

 

"Contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime" (Aldo Capitini)

Parte prima. Verso la guerra? Tre tesi

I. Affermare che la guerra sia inevitabile e' aver gia' ceduto alla guerra.

La guerra non e' mai inevitabile.

II. Affermare un rapporto rigidamente deterministico tra modello di sviluppo e guerra consolida quel modello di sviluppo trasformandolo in destino e ricatto.

Ogni paradigma teorico ed ogni assetto pratico della fabrilita' umana puo' essere modificato. La guerra non e' mai necessaria.

III. Il processo della trasformazione sociale puo' assumere forme diverse, chiunque si attardi ancora nella trista ed equivoca metafora della violenza forcipe della storia non e' stato informato di Auschwitz e di Hiroshima.

La guerra e' in quanto tale nemica dell'umanita'.

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Parte seconda. Di dove veniamo? Dal Novecento

Ci venne formulata la domanda: se si guardasse dalla finestra della pace sul Novecento, che cosa si dovrebbe dire?

A questa domanda la prima, istintiva risposta e': un muto agghiacciato moto di orrore.

Il Novecento e' stato il secolo della guerra, dei genocidii, del dispiegamento della violenza con una estensione e profondita' tali come mai si erano dati nella storia dell'uomo e del mondo. Le immense risorse messe a disposizione dagli enormi progressi della scienza, della tecnica e dell'organizzazione sociale sono state usate prevalentemente a fini cosi' abissalmente antiumani, di devastazione ed annichilimento delle persone e della biosfera, che la disperazione e' il primo moto.

E tuttavia questa risposta, la percezione dell'orrore, e' ad un tempo assolutamente necessaria e palesemente insufficiente.

Non solo: in quanto essa si risolvesse in mera contemplazione atterrita dell'orrore, e pertanto pietrificazione dinanzi all'orrore, e dunque nei fatti si convertisse in resa all'orrore, ebbene, allora essa sarebbe una risposta non solo insufficiente, ma indegna ed iniqua, poiche' sfocerebbe in una effettuale complicita' con l'orrore (sia pure per mera omissione, e sia pure come nudo essere schiacciati e sentirsi impotenti).

Vi e' dunque una seconda necessaria risposta, che attiene alla volonta' piu' che alla percezione, che concerne la facolta' del decidersi e dell'agire oltre che la facolta' del conoscere ed interpretare; ed e' la risposta seguente: che al male occorre non arrendersi; che alla violenza occorre resistere; all'ingiustizia negare il consenso.

Tra i nomi che si possono dare a questa seconda risposta vi sono i seguenti: il principio responsabilita', la scelta della nonviolenza.

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Ma cosa e' il punto di vista della pace?

Se e' proprio di ogni essere umano percepirsi come vivente e come valore, come preziosa scintilla senziente e pensante, e quindi rivendicare a se' dei diritti, e quel diritto fondamentale che e' il diritto di esistere senza del quale nessun altro diritto puo' darsi, ebbene, ne consegue che tale diritto a tutti gli esseri umani compete e va dunque riconosciuto: "nessuno sia respinto nel nulla" ha scritto una volta Elias Canetti; "ogni vittima ha il volto di Abele", ha detto una volta Heinrich Boell. Dalla rivendicazione da parte di ognuno del proprio irriducibile diritto di vivere discende l'affermazione di tale diritto per ciascun essere umano; discende il principio fondativo di ogni civile convivere: "tu non uccidere".

Discende che la guerra, il dare la morte, ovvero il negare il soccorso e la vita, confliggono con cio' che di piu' radicale ed inalienabile, perche' appunto costitutivo, vi e' in ogni essere umano.

Ovvero: ne discende che umanita' e pace sono uno stesso concetto, e che ogni volta che contro qualcuno si rompe quel patto di mutuo soccorso che tutti gli uomini stringe, e' all'intera umanita' che si reca offesa, e a se stessi.

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Il secolo di Auschwitz e di Hiroshima

Il Novecento e' il secolo di Auschwitz e di Hiroshima.

Chi si provasse a pensare al ventesimo secolo cercando di abbracciarne con lo sguardo l'intero decorso, cogliendolo nella sua globalita' e nelle sue peculiari emergenze, nel suo completo tracciato vedrebbe io credo come una gigantesca fornace e voragine che lo frattura, vedrebbe un cratere che ancora erutta, vedrebbe l'anticreazione all'opera nel mondo.

E' il secolo che si apre con il trionfo della rapina coloniale e con la carneficina della grande guerra 1914-1918.

Ed e' il secolo che s'inabissa fino al Lager e alla Bomba.

E dopo e nonostante un lungo e contrastato sforzo dell'umanita' per risalire dal baratro della violenza e delle schiavitu' verso una vita piu' degna, e' il secolo che si chiude con un regime di apartheid planetario che condanna i quattro quinti dell'umanita' attuale a una vita di sofferenze e molti alla morte per fame e di stenti; che si chiude con una crescente devastazione di quanto vi e' di vitale e di degno nel mondo, nella natura e nella civilta'; che si chiude - tristo sigillo - con la guerra tornata fin nel cuore dell'Europa (ovvero di una delle aree privilegiate del mondo, nella cittadella del nord ricco, e ricco certo perche' secolare rapinatore e oggi altresi' sfacciato usuraio), con guerre in cui sono riemersi il razzismo genocida e le armi atomiche, mentre negli sterminati sud del mondo le guerre e la fame ed i morti per le strade sono la realta' quotidiana di un "disordine costituito" mondiale che senza infingimenti, ed anzi celebrandosi come culmine della storia, saccheggia interi continenti e sacrifica chi vi vive.

Cosicche' si torna ad Auschwitz, a Hiroshima: cifra ed emblema del secolo che muore, e sinistro presagio, truce eredita'. Io scrivo queste righe e provo orrore.

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Resistenza e apertura nonviolenta

Ma il Novecento e' stato anche altro: donne e uomini vi sono stati che hanno spezzato secolari catene; donne e uomini vi sono stati che si sono opposti alla violenza in nome dell'umanita'; donne e uomini splendenti di dignita', portatori di speranza: nel loro camminare eretti, portatori di concreta utopia, profeti e prefigurazione di un'umanita' di liberi ed eguali.

Il Novecento e' stato il secolo dell'orrore e della resistenza all'orrore; dell'inesorabile disperazione e dell'inesauribile speranza; delle tenebre piu' profonde e delle piu' fulgide luci sorte a contrastarle.

Vi e' stato Auschwitz: ma vi e' stato anche Primo Levi, che Auschwitz ed i suoi autori ha sconfitto per sempre nel cuore e nelle menti di chiunque abbia letto i suoi libri, si sia accostato alla sua testimonianza.

Vi e' stata l'atomica su Hiroshima e Nagasaki: ma vi e' stato anche Guenther Anders che l'eta' atomica ha totalmente smascherato e ci ha dato ragioni e strumenti per lottare contro l'orrore impensabile e concreto che ci supera ed annichilisce e che pure possiamo e dobbiamo contrastare.

Vi e' stata la guerra: ma vi e' stato anche Mohandas Gandhi che ci ha dimostrato che e' possibile lottare contro di essa nel modo piu' limpido ed intransigente, e ci ha proposto la rivoluzione necessaria per cambiare il corso della storia: la nonviolenza, che e' la forza della verita', la forza dell'amore.

L'apartheid trionfa tuttora su scala planetaria: ma Nelson Mandela ci ha dimostrato che se un uomo di volonta' buona sa dire di no, e sceglie nitida la lotta per la dignita' di ognuno e di tutti contro ogni servitu', allora l'umanita' e' invincibile.

L'oppressione di genere ancora dimidia e squarcia l'umanita': ma Virginia Woolf ci ha spiegato che chi per secoli ha avuto la lingua tagliata reca in se' saggezza, verita' ed amore sufficienti a rovesciare il mondo rovesciato.

La distruzione della biosfera divora irreversibilmente risorse insostituibili: ma Vandana Shiva ci ha fatto vedere che se una popolazione sa abbracciare gli alberi essa salva gli alberi e se stessa.

E' stato il secolo del totalitarismo, implicito tanto nel primato della tecnica come nelle ideologie del suolo e del sangue come nei miti della redenzione attraverso la denegazione ed il sacrificio del diverso; il totalitarismo ai cui idoli hanno sacrificato signorie illustrissime, e sui cui altari sono state arse seminagioni intere di uomini e donne innocenti. Ma contro il totalitarismo sono insorti avversari coraggiosi, donne e uomini che quando tutto sembrava perduto hanno saputo tutto salvare e sia pure al prezzo della propria stessa vita: gli infiniti martiri di tutte le Resistenze, cui scrivendo queste parole ancora ci inchiniamo memori e grati.

La morte e' stata eretta a dea e padrona (da Heidegger alle SS, il Novecento e' stato un secolo follemente necrofilo), ma e' stata combattuta sul piano teorico e pratico da tanti generosi.

Il mondo e' stato incendiato dalle ideologie dell'esclusione e della sopraffazione: ma vi e' stato anche Ernesto Balducci e la sua proposta dell'uomo planetario; ma vi e' stato anche Emmanuel Levinas e la sua responsabilita' dinanzi al volto muto e sofferente dell'altro.

L'orgia della cultura consumista che tutto divora ed in primo luogo la nostra coscienza: ma di contro anche la riflessione di Hans Jonas ed il suo "principio responsabilità", ed il lavoro concreto ed efficace di esperienze come quella del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.

La disumanizzazione: ma vi e' stato anche Franco Basaglia e la sua lotta luminosa per restituire umanita' a coloro cui era stata negata.

Cosi' il Novecento non e' solo il secolo dell'orrore, ma anche il secolo della resistenza all'orrore. Non e' solo il secolo delle guerre, ma anche il secolo della resistenza alle guerre. Non e' solo il secolo della disperazione, ma anche il secolo della speranza e della responsabilita'. E' il secolo di Auschwitz e di Hiroshima, ed e' il secolo della Resistenza e dell'inizio della lotta nonviolenta per un'umanita' di liberi ed eguali.

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Miti, retoriche, ideologie: la complicita' con l'orrore

Ci viene proposta una domanda sul ruolo che nel dispiegarsi della violenza abbiano i miti, le retoriche, le ideologie; di come la dimensione del sacro si leghi a quella della violenza; di come le chiese e le agenzie educative (ma tra le chiese e le agenzie educative possiamo collocare altresi' i movimenti politici, i mass-media, e una serie infinita di "-ismi" e di istituzioni) possano venir arruolate nelle fila degli eserciti e dei torturatori.

Domande che fanno tremare le vene e i polsi. Poiche' invero questo e' accaduto: che i miti delle origini come quelli del progresso abbiano prodotto stragi infinite; che le retoriche dell'identita' e della supremazia abbiano spinto ad uccidere il diverso da se'; che le ideologie abbiano trasformato seguaci di idee in assassini spietati; che sacro e violenza si siano spesso stretti in un nodo scorsoio; che quasi ogni chiesa abbia sacrificato a dei assetati di sangue, e quasi ogni agenzia educativa abbia insegnato quella sola corrotta virtu': l'obbedienza, che tutto travolge, e giustifica ogni abominio. Invero tutto questo e' accaduto. E l'umana ragione troppo fragile schermo e' stata, e l'umana solidarieta' non ha saputo essere difesa efficiente o rimedio adeguato.

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Ma anche: racconto, comunicazione, condivisione

Invero questo e' accaduto ed e' quindi legittimo avere in sospetto i miti, le retoriche, le ideologie, ed il sacro, e le chiese e le scuole. Ma si e' anche dato il contrario.

Si e' dato il raccontare che istituisce fraternita' ed umanita' effonde e riscatta: si pensi al raccontare e alla riflessione sul raccontare di Primo Levi; si pensi alla trasmissione del sapere attraverso le generazioni nel racconto orale che ci scalda intorno al fuoco e piu' del fuoco nel freddo e nel buio della notte.

E le retoriche possono anche essere coscienza che comunicare e' difficile e richiede consapevolezza, concentrazione, responsabilita'; e che nell'interazione sociale invece di vincere si puo' convincere (vincere insieme); ed essere dunque coscienza del dubbio, arte di prudenza, atteggiamento di ascolto, e base, canale, strumento di democrazia, di civile convivere e condursi.

E le ideologie oltre che falsa coscienza ed alienazione (l'analisi insuperata di Marx) possono essere anche una richiesta e uno sforzo di rendersi conto e di dare ragione, una ricerca comune (la "religio", come legame, collegamento, discorso comune tra gli uomini).

E le chiese, le comunita', le "ecclesie" (includendo quindi tra esse ogni forma di comunita' tenuta insieme da valori, interessi, bisogni comuni e profondi) possono anche essere convivenza solidale, condivisione del pane, una legge che non opprime ma sostiene e libera, e si fondino pure su sogni e illusioni: non sono forse sogni e illusioni tanta parte della stoffa di cui consistiamo?

E le agenzie educative (dalla scuola al partito politico, dal lavoro alla comunita' scientifica, dalle infinite sedi della socializzazione al movimento di rivendicazione) possono anche trasmettere esperienze e saggezza, essere ricerca comune ed educazione reciproca: coscientizzazione (Paulo Freire).

In breve: e' la volonta' degli uomini che decide; il male non e' mai necessario: ed a tutti e' dato, sempre, di contrastarlo.

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Gli uomini ora sanno

E comunque noi oggi sappiamo: sappiamo, ce lo ha spiegato Primo Levi, che la strada dell'ossequio e del consenso e' senza ritorno, e porta ai campi di sterminio. Sappiamo, lo ha ripetuto tante volte Mohandas Gandhi, che il potere oppressivo si regge anche sul consenso delle vittime e sull'indifferenza di chi sta a guardare. Sappiamo, lo scrisse memorabilmente Lorenzo Milani, che l'obbedienza non e' piu' una virtu', ma la più subdola delle tentazioni, e che ognuno deve sentirsi l'unico responsabile di tutto. Gli uomini ora sanno. Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

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Le tre verita' di Hiroshima

Nel 1981 aprendo un celebre convegno di "Testimonianze" sul tema Se vuoi la pace, prepara la pace, Ernesto Balducci (uno dei piu' lucidi e limpidi costruttori di pace di questo secolo) pronuncio' un forte discorso. In esso enuncio' quelle che chiamo' "le tre verita' di Hiroshima". Rileggiamo le sue parole.

"La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.

La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e' arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.

La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento'.

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Un messaggio da Assisi: sei impegni per la pace

Il 24 settembre 2000 si e' svolta, promossa dai movimenti nonviolenti, una marcia da Perugia ad Assisi contro tutti gli eserciti e le guerre. Ai partecipanti si chiedeva l'adesione e l'impegno personale sui sei punti del "Manifesto 2000 per una cultura della pace e della nonviolenza" lanciato dai Premi Nobel per la Pace; e' un programma che ci pare opportuno proporre alla lettura e alla riflessione.

"1. Rispettare ogni vita. Rispettare la vita e la dignita' di ogni essere umano senza alcuna discriminazione ne' pregiudizio;

2. Rifiutare la violenza. Praticare la nonviolenza attiva, rifiutando la violenza in tutte le sue forme: fisica, sessuale, psicologica, economica e sociale, in particolare nei confronti dei piu' deboli e vulnerabili, come i bambini e gli adolescenti;

3. Condividere con gli altri. Condividere il mio tempo e le risorse materiali coltivando la generosita', allo scopo di porre fine all'esclusione, all'ingiustizia e all'oppressione politica ed economica;

4. Ascoltare per capire. Difendere la liberta' di espressione e la diversita' culturale, privilegiando sempre l'ascolto e il dialogo senza cedere al fanatismo, alla maldicenza e al rifiuto degli altri;

5. Preservare il pianeta. Promuovere un consumo responsabile e un modo di sviluppo che tengano conto dell'importanza di tutte le forme di vita e preservino l'equilibrio delle risorse naturali del pianeta;

6. Riscoprire la solidarieta'. Contribuire allo sviluppo della mia comunita', con la piena partecipazione delle donne e nel rispetto dei principi democratici, al fine di creare, insieme, nuove forme di solidarieta'".

Se una lezione e un programma di lavoro dall'esperienza del secolo che si e' concluso possiamo trarre, ci pare che nelle parole di Balducci e nell'appello dei Premi Nobel per la Pace se ne possa trovare una traccia. E dunque al lavoro.

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Parte terza. Ci sono alternative? La nonviolenza

Guardiamoci intorno

I quattro quinti dell'umanita' vivono una vita di enormi sofferenze; le guerre, la fame, lo sfruttamento, l'oppressione e l'ingiustizia strutturale tengono in condizioni disumane la maggior parte dell'umanita'; la biosfera (ovvero quella sottile pellicola del nostro pianeta in cui soltanto esiste vita vegetale, animale ed umana) e' messa a rischio da un modello di sviluppo criminale; ingenti risorse che potrebbero offrire benessere a molti, vengono invece rapinate, sperperate, distrutte da pochi; e' crescente l'inquinamento dell'ambiente e la distruzione di risorse non rinnovabili; le nuove tecnologie (particolarmente quelle informatiche e quelle biologiche) contengono grandi potenzialita' ma implicano enormi rischi e richiedono per la loro gestione un di piu' di democrazia, di razionalita', di responsabilita'; si pone il problema di quale pianeta stiamo predisponendo per le generazioni future; pace, democrazia e diritti umani mai come oggi costituiscono una triade di esigenze irrefutabili e irrinviabili.

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Dieci ferite della contemporaneita'

Un recente volume che analizza alcune figure e correnti della riflessione morale contemporanea (AA. VV., Etiche della mondialita', Cittadella, Assisi 1996) propone questa descrizione schematica della situazione presente:

"Le ferite piu' laceranti della contemporaneita' possono essere ricapitolate nel quadro seguente, articolato in dieci punti:

1) l'invadenza e gli effetti sconvolgenti di un ordine economico mondiale che, per assicurare l'opulenza ad una minoranza dell'umanita', produce per tutti gli altri la fame, il sottosviluppo, la disoccupazione, la degradazione del lavoro;

2) la crisi ecologica, con intollerabili danni alla biosfera ed alle condizioni per la sopravvivenza delle diverse forme di vita sulla terra;

3) la crisi demografica, con la crescente sproporzione tra popolazione e risorse disponibili;

4) l'acuirsi delle tensioni etniche e religiose, delle discriminazioni di casta e di sesso, nonche' la traduzione irresponsabile del principio dell'autodeterminazione dei popoli;

5) la crisi delle relazioni interumane di solidarieta' e l'esclusione di intere fasce della societa';

6) il ricorso alla guerra come risoluzione delle controversie internazionali;

7) l'esistenza di regimi dittatoriali ed il ripetersi della violazione dei diritti umani in molti stati;

8) l'espandersi delle organizzazioni criminali transnazionali e del mercato mondiale delle droghe;

9) il monopolio occidentale del sistema informativo-comunicativo e l'omologazione delle culture sotto il liberismo assoluto dell'Occidente;

10) la difficolta' di indirizzare al bene comune dell'umanita' le dinamiche e gli esiti della ricerca scientifica e della tecnologia".

Si potrebbe dire diversamente, di alcune cose si potrebbe discutere, ma il quadro complessivo e' all'incirca questo.

Vari studiosi e vari rappresentanti di movimenti che lottano per la dignita' umana, concordano nel denunciare la situazione presente come intollerabile; cfr. ad esempio le analisi proposte dalla prestigiosa rivista "Le Monde diplomatique", o le analisi del Marcos portavoce dell'esperienza zapatista in Chiapas, o le riflessioni della Rete di Lilliput. Come si puo' accettare questa situazione?

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Che fare?

Si pone il problema di opporsi a tanta violenza, a tanto dolore, a tanta ingiustizia, a tanta follia.

Ed occorre quindi elaborare e praticare delle adeguate etiche planetarie; dei comportamenti concreti capaci di contrastare la catastrofica deriva presente; una azione politica coerente ed efficace; progetti, dinamiche, istituzioni all'altezza delle necessita'. Come fare?

Noi crediamo che per la lotta che occorre condurre alcuni strumenti operativi importanti li offra la teoria-prassi della nonviolenza.

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La proposta della nonviolenza come teoria-pratica di liberazione

La nonviolenza e' una possibile risposta a questo urgente problema: alla violenza crescente si puo', si deve, opporre la nonviolenza.

Ma detto questo e' stato detto ancora ben poco: cosa e' la nonviolenza?

In prima approssimazione potremmo dire che la nonviolenza e' una teoria-pratica di liberazione, ovvero una proposta di azione finalizzata all'affermazione concreta e immediata della dignita' umana; una proposta pratica, ma che implica dei giudizi di valore, e quindi una teoria: un punto di vista che concerne questioni morali, politiche, gnoseologiche (cioe' relative alla teoria della conoscenza), antropologiche (ovvero una visione dell'uomo e della cultura). Ma essenzialmente a nostro avviso la nonviolenza e' lotta contro la violenza, lotta contro l'ingiustizia, lotta che afferma la responsabilita' di ognuno per il bene di tutti, lotta che nel suo stesso farsi istituisce democrazia, diritti umani, difesa della biosfera.

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La nonviolenza come cosa complessa

La nonviolenza e' una teoria-prassi sperimentale ed in continuo sviluppo creativo, dalle molteplici dimensioni ed interpretazioni, quindi da studiare rigorosamente.

La nonviolenza non e' una cosa semplice. Lo stesso termine si presta a diverse interpretazioni; i suoi ambiti applicativi sono molto diversificati, coloro che alla nonviolenza si sono accostati o che di strumenti, tecniche, riflessioni di essa hanno fatto uso, ne hanno dato interpretazioni molto diverse.

Lo stesso Gandhi, che ne e' il vero e proprio fondatore, ne ha dato definizioni diverse ed ha elaborato un concetto di essa sperimentale, contestuale, dinamico, critico. Sperimentale perche' la nonviolenza non e' un dogma ma un concreto operare in quanto tale constantemente ri-discutibile; contestuale, perche' e' solo nel vivo del conflitto, solo nella concretezza della lotta contro l'ingiustizia, che la nonviolenza in quanto prassi si da', si misura e si definisce; dinamico, perche' appunto la nonviolenza non e' un che di statico, di ipostatizzato, di prefissato, di preconfezionato, ma si realizza nel processo della lotta, nel vivo del conflitto, nel cuore della storia e della societa', ed agisce come parte in causa, come elemento contraddittorio e propulsivo, come rottura del disordine costituito e come progetto di trasformazione; critico, perche' la nonviolenza non e' uno stato di quiete, di appagamento, la fine di alcunche', ma un costante rovello, un'incessante verifica, una lotta interminabile, e quindi anche una serrata critica ed autocritica.

La nonviolenza non e' una ideologia o una filosofia politica e sociale in piu'; ma non e' neppure un mero repertorio di strumenti e di tecniche; essa si propone come una teoria-prassi compatibile con altre teorie morali e politiche, ma ha una sua autonomia e coerenza che ne fa una cosa complessa, inconclusa, in sviluppo, ma insieme una cosa non confondibile, non sussumibile, non addomesticabile.

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Dimensioni ed interpretazioni della nonviolenza

Dimensioni: vedremo che la nonviolenza ha diverse dimensioni, una di esse e' quella della scelta etico-politica, e quindi della condotta personale e collettiva nella vita quotidiana come nei conflitti politici, sociali e culturali; una seconda dimensione e' quella delle tecniche di lotta e delle forme di gestione delle relazioni e dei conflitti; una terza dimensione e' quella della nonviolenza come strategia di lotta contro le ingiustizie; una quarta dimensione e' quella del progetto politico, economico e sociale che la scelta nonviolenta implica se le sue premesse vengono svolte fino alle ultime conseguenze.

Intepretazioni: si potrebbe dire che vi sono tante interpretazioni della nonviolenza quanti sono coloro che la hanno adottata e che su di essa hanno riflettuto.

Per quanto ci concerne, noi qui proponiamo un approccio non dogmatico, ma sperimentale ed aperto, concreto e contestuale; pertanto questo stesso scritto non e' un formulario tuttologico, o un ricettario onnivalente, ma la proposta e la descrizione - certo intenzionata, certo non neutrale - di una serie di tesi su cui comunque la discussione e la riflessione restano aperte.

(Parte prima - Segue)

 

6. PROFILI. ELENA PETRASSI: AGOTA KRISTOF

[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it

Elena Petrassi, "scrittrice e poetessa, vive e lavora a Milano dove si occupa di comunicazione aziendale. Ha pubblicato con Ati' Editore il romanzo Frammenti del tredicesimo mese la cui voce narrante principale e' la citta' di Milano e con l'editore Moretti&Vitali le raccolte di poesia Il calvario della rosa (2004) e Sillabario della Luce (2007). Nel 2010 escono la raccolta di poesie Figure del silenzio e il secondo romanzo In giornate identiche a nuvole. Organizzatrice culturale, ha animato per anni le attivita' culturali della libreria Utopia - in particolare con la rassegna Poesia e Filosofia. Collabora alle riviste 'Poesia' e 'For - Rivista per la formazione dell'Associazione Italiana Formatori' dove con lo scrittore e formatore Dario Arkel sta leggendo ed esplorando in chiave formativo-pedagogica alcuni grandi scrittori e poeti tra i quali: Hillesum, Tolstoj, Roth, Appelfeld, Woolf, Plath, Biamonti, Bramati, Rilke, Mansfield, Camus".

Da "Nonviolenza. Femminile plurale" 196 in cui e' riportata un'intervista ad Agota Kristof, riprendiamo la seguente scheda: "Agota Kristof, scrittrice ungherese, scrive in francese. Dalla Wikipedia riprendiamo per stralci la seguente scheda: Agota Kristof e' nata a Csikvand (Ungheria) nel 1935. Nel 1956, in seguito all'intervento militare sovietico, Agota Kristof fugge con il marito e la figlia in Svizzera, a Neuchatel, dove impara il francese e dove tuttora risiede. Raggiunge il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier (Il grande quaderno). Le grand cahier confluira', insieme a La preuve (La prova) e La troisieme mensonge (La terza menzogna), nella Trilogie (Trilogia della citta' di K.), il riconosciuto capolavoro letterario di Agota Kristof, pubblicata in oltre 30 paesi. Tra le opere di Agota Kristof: Quello che resta [il futuro Il grande quaderno], Milano, Guanda, 1988; La prova, Milano, Guanda, 1989; Trilogia della citta' di K. [Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna], Torino, Einaudi, 1998; La chiave dell'ascensore. L'ora grigia, Torino, Einaudi, 1999; Ieri, Torino, Einaudi, 2002; La vendetta, Torino, Einaudi, 2005; L'analfabeta. Racconto autobiografico, Bellinzona, Casagrande, 2005; Dove sei Mathias?, Bellinzona, Casagrande, 2006"]

 

Agota Kristof (Csikvand (Ungheria) 1935 - vivente).

L'esilio dalla lingua materna, la convinzione che l'esistenza trasposta sulla carta possa assumere una valenza assoluta, il senso di perdita continuo, il desiderio feroce di sopravvivere a qualunque costo, uno sguardo implacabile che non cede mai al sentimentalismo, al buonismo, alla riconciliazione, ma che sempre accetta di guardare la vita nel suo male e la sfida nel volerla descrivere cosi' com'e'. Sono i temi chiave della vita e dei libri di Agota Kristof, scrittrice contemporanea tra le piu' ispide e sgradevoli.

I luoghi si presentano come quinte teatrali, sono miseri, claustrofobici, perduti. I personaggi sono le marionette chiamate a riempire con le loro azioni questi scenari e non sono connotati tanto dall'aspetto fisico, sempre descritto con crudele precisione, ne' da una dimensione psicologica che ce li renda vivi: sono sempre le azioni compiute a dire chi essi siano. Se sentimenti mostrano non sono mai sentimenti buoni ma sempre negativi: l'avarizia, la crudelta', il tradimento, la disperazione, la codardia, il sadismo.

Scrive nel suo libro autobiografico L'analfabeta: "All'inizio non c'era che una sola lingua. Gli oggetti, le cose, i sentimenti, i colori, i sogni, le lettere, i libri, i giornali, erano quella lingua. Non avrei mai immaginato che potesse esistere un'altra lingua, che un essere umano potesse pronunciare parole che non sarei riuscita a capire. Perche' avrebbe dovuto farlo? Per quale motivo?".

La bambina Agota legge, come una malattia, qualunque cosa le capiti sotto mano. Il mondo e' diviso tra la cucina della madre, con i suoi odori di cibo e umanita', e la scuola del padre che odora di gesso e di libri. Questa infanzia contadina, povera ma felice, ci viene resa con la sua semplicita' e normalita'. La fine di questo mondo coincide con il primo esilio dalla vita di campagna alla vita di citta' in un collegio. "La voglia di scrivere verra' piu' tardi, quando si sara' rotto il filo d'argento dell'infanzia, quando verranno giorni cattivi, e arriveranno gli anni che potrei definire 'non amati'. Quando separata dai miei genitori e dai miei fratelli, entrero' in collegio in una citta' sconosciuta, dove, per sopportare il dolore della separazione, non mi restera' che una soluzione: scrivere".

La vita nel collegio e' una pena, meglio allora scrivere un diario in una scrittura segreta perche' nessuno possa leggerlo. Alla scrittura si alterna un pianto lungo e senza consolazione, al punto che la scrittrice dichiarera' che per il resto della sua vita piangere le risultera' pressoche' impossibile, come se in quegli anni avesse esaurito tutte le lacrime. Piange per la liberta' e l'infanzia perdute, per le cose svanite, "le corse a piedi nudi per il bosco sulla terra umida fino alla 'roccia blu'; svaniti gli alberi su cui arrampicarsi, da cui cadere quando un ramo marcio si rompe; svanito anche Yano che mi aiuta a rialzarmi; svanite le passeggiate notturne sui tetti; svanito Tila che va a fare la spia da mamma".

Le prime composizioni poetiche di Agota sono frasi nella notte che le girano attorno bisbigliando e poi prendono un ritmo, cantano. Fuggita in Svizzera con il marito e una neonata legata sulla schiena nel 1956, a seguito dell'invasione dell'Ungheria da parte dei sovietici, la Kristof si trova ad affrontare la sfida con una nuova lingua che questa volta, dopo il tedesco e il russo, e' il francese: "Parlo il francese da piu' di trent'anni, lo scrivo da vent'anni, ma ancora non lo conosco. Non riesco a parlarlo senza errori, e non so scriverlo che con l'aiuto di un dizionario da consultare di frequente. E' per questa ragione che definisco anche la lingua francese una lingua nemica. Ma ce n'e' un'altra di ragione, ed e' la piu' grave: questa lingua sta uccidendo la mia lingua materna".

Attraversando il deserto della lingua senza poter leggere quasi nulla per cinque anni, lavorando come operaia in una fabbrica di orologi, e' con la scrittura che la giovane Agota trova il suo riscatto. "Come si diventa scrittori? Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l'impressione che non interessera' mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri". Ricomincia ad andare a scuola a ventisette anni e in due anni soltanto consegue un primo Certificato di studi. Ora sa di nuovo leggere e la vita ricomincia a essere una festa di libri e autori: Hugo, Rousseau, Voltaire, Sartre, Camus, Michaux, Ponge, Sade e Faulkner, Steinbeck, Hemingway. "Il mondo e' pieno di libri, di libri finalmente comprensibili, anche per me... Non appena padroneggio un po' la lettura, mi fisso un altro obiettivo: scrivere in francese... Questa lingua, il francese, non l'ho scelta io. Mi e' stata imposta dal caso, dalle circostanze. So che non riusciro' mai a scrivere come scrivono gli scrittori francesi di nascita. Ma scrivero' come meglio potro'. E' una sfida. La sfida di un'analfabeta".

Bibliografia: A. Kristof, L'analfabeta. Racconto autobiografico, Casagrande 2005; A. Kristof, Trilogia della citta' di K. (che raccoglie i tre romanzi: Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna), Einaudi 1998; A. Kristof, Ieri, Einaudi 2002 (la versione cinematografica, Brucio nel vento, e' di Silvio Soldini).

 

7. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Pierre Broue', La rivoluzione perduta. Vita di Trockij 1879-1940, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. XXII + 1040.

 

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

10. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 516 del 5 aprile 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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