Nonviolenza. Femminile plurale. 291



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 291 del 10 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Un incontro l'8 marzo a Viterbo

2. Aldo Antonelli: Questo otto marzo

3. Stefano Ciccone: Dopo il 13 febbraio

4. Alberta Tortolini: Questo otto marzo

5. Nadia Angelucci intervista Vandana Shiva

6. Guendalina Di Sabatino intervista Edith Bruck

7. Silvia Vaccaro incontra Khady Koita

8. Silvia Vaccaro incontra Sampat Pal Devi

9. Silvia Vaccaro incontra Nadia Shamroukh

10. Silvia Vaccaro incontra Genevieve Vaughan

 

1. INCONTRI. UN INCONTRO L'8 MARZO A VITERBO

 

Martedi' 8 marzo 2011 a Viterbo presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" si e' tenuta una iniziativa per la Giornata della lotta delle donne per la liberazione dell'umanita', contro il maschilismo e il patriarcato, contro la guerra e il razzismo, contro lo sfruttamento che devasta e distrugge le vite umane e la biosfera, contro la mercificazione dei corpi e delle esistenze, contro ogni logica di violenza che umilia, opprime e distrugge.

E' intervenuta Antonella Litta, presidente del Comitato "Nepi per la pace" ed animatrice di tante iniziative per i diritti ed il bene comune, di pace e di solidarieta', per la salute e l'ambiente.

La dottoressa Antonella Litta ha recato una intensa testimonianza su molte esperienze di impegno, rispondendo anche alle domande e alle proposte delle persone presenti.

Nel corso della serata sono state rievocate anche le figure di Clara Zetkin e Rosa Luxemburg, e si e' riflettuto ampiamente sulla storia e sul senso dell'8 marzo e sulle lotte da condurre oggi.

"L'8 marzo e' una giornata di resistenza", ha concluso Antonella Litta, invitando tutte e tutti i partecipanti a lottare insieme per difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani e la biosfera.

Di seguito all'incontro di riflessione si e' svolta una cena vegetariana; la serata si e' conclusa con il concerto dell'ensemble di musicisti locali "Jazzy" che hanno suonato latin jazz e cubop.

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Breve notizia sulla dottoressa Antonella Litta

Antonella Litta svolge l'attivita' di medico di medicina generale a Nepi. E' specialista in Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11, pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia) e per questa associazione e' responsabile e coordinatrice nazionale del gruppo di studio su "Trasporto aereo come fattore d'inquinamento ambientale e danno alla salute". E' referente per l'Ordine dei medici di Viterbo per l'iniziativa congiunta Fnomceo-Isde "Tutela del diritto individuale e collettivo alla salute e ad un ambiente salubre". Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente. E' la portavoce del Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti. Come rappresentante dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (Isde-Italia) ha promosso una rilevante iniziativa per il risanamento delle acque del lago di Vico e in difesa della salute della popolazione dei comuni circumlacuali. E' oggi in Italia figura di riferimento nella denuncia della presenza dell'arsenico nelle acque destinate a consumo umano, e nella proposta di iniziative specifiche e adeguate da parte delle istituzioni per la dearsenificazione delle acque e la difesa della salute della popolazione.

 

2. RIFLESSIONE. ALDO ANTONELLI: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo don Aldo Antonelli (per contatti: ednran at teletu.it) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera.

Aldo Antonelli e' parroco di Antrosano (Aq) e straordinario costruttore di pace, una persona che ha preso sul serio il discorso della montagna, saldo e profondo un amico della nonviolenza]

 

Permettetemi di fare i miei auguri a tutte le donne che mi leggono.

Auguri e perdonateci a noi maschi, imbranati e prepotenti, incapaci e strafottenti, deboli e forzuti.

Voi siete piu' numerose, ma noi continuiamo a trattarvi come minoranze.

Siete piu' attive, ma noi vi paralizziamo.

Siete piu' intelligenti, ma noi vi emarginiamo.

Siete multiverse e piu' estroverse, ma noi vi riduciamo ad una dimensione.

Perfino nella chiesa siete piu' presenti ed attive, ma noi vi sfruttiamo.

Se questo mondo ci fa pena la colpa e' piu' nostra che vostra!

Auguri

Aldo

 

3. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: DOPO IL 13 FEBBRAIO

[Dal sito www.glialtrionline.it riprendiamo il seguente intervento d Stefano Ciccone del 15 febbraio 2011 dal titolo completo "Dopo il 13 febbraio. La scommessa degli uomini: inventare nuove parole".

Stefano Ciccone, intellettuale e militante della sinistra piu' limpida e rigorosa, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita' sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei movimenti delle donne; e' uno dei promotori dell'esperienza di "Maschileplurale" e dell'appello "La violenza contro le donne ci riguarda"]

 

Nessuno, credo, si aspettava le piazze che abbiamo visto il 13 febbraio. Tutti avevamo capito che sarebbero state grandi. Ma la qualita' del messaggio politico emerso da quella giornata non era scontata.

Gli stessi contenuti della mobilitazione hanno assunto un senso differente da quello dato dai primi appelli trasformati da quante hanno rifiutato la distinzione tra donne per bene e prostitute, che hanno rifiutato le categorie del moralismo. Ma va riconosciuto alle donne che hanno proposto questa mobilitazione di aver permesso questo processo intercettando un bisogno diffuso. Oggi questa mobilitazione e' nelle mani di tutte e tutti noi e non si riempie solo di numeri ma delle intelligenze e delle storie che in forme anche conflittuali le hanno dato forma.

Piazza del Popolo era arrabbiata ma allegra, piena di entusiasmo piu' che di rancore, nelle piazze c'erano le donne dei centri antiviolenza, quelle delle pari opportunita' ma anche il movimento per i diritti delle prostitute e molte ragazze dei collettivi femministi e lesbici, c'erano le donne che hanno costruito l'originalita' del femminismo italiano e che avevano espresso molti legittimi dubbi sul profilo della mobilitazione.

Ma il 13 febbraio ha creato anche un altro fatto nuovo di cui credo sia importante cogliere la novita'.

E' emersa per la prima volta, in modo pubblico e visibile una parola maschile. E' una parola molto contraddittoria, spesso segnata - nelle dichiarazioni dei singoli partecipanti alle manifestazioni come in quelle dei leader nazionali - dalla riproposizione di stereotipi e luoghi comuni. Ma credo sarebbe un errore sottovalutarne la valenza.

La politica maschile appare su questo nodo segnata da un analfabetismo: non ha prodotto parole adeguate e non riconosce quelle prodotte, innanzitutto dalla politica delle donne.

Penso alla difficolta' di Bersani di evitare l'ambiguita' del riferimento proprietario o paternalistico a "le nostre compagne, mogli" non riuscendo a esplicitare le relazioni come riferimento per guardare al mondo. Anche in questo caso l'impaccio verbale mostra pero' l'emersione della necessita' a misurarsi con un terreno sul quale il buon senso non basta piu' e serve la capacita' di un'interrogazione su di se' e di riconoscimento della politicita' del nodo dei rapporti tra i sessi. Non a caso l'impasse che vive questa discussione ha molto in comune con l'alternativa tra giudizio moralistico e indifferenza che si ripropone sulla mercificazione del corpo delle donne nei media.

Credo sia doveroso riconoscere a "Gli altri", e in particolare ad Angela Azzaro e Lea Melandri, la scelta di dare voce a uomini e, in particolare, l'attenzione a un esperienza come quella della rete che si raccoglie attorno a Maschile Plurale. Ma credo sia stata anche importante la scelta de "Il manifesto" (ed anche li' e' impossibile non vedere come sia stato importante il lavoro e il punto di vista di Ida Dominijanni) di aprire le pagine del giornale a interventi di uomini, da Raimo a Raparelli, da Bellassai a Recalcati che hanno mostrato evidenti differenze di approccio e prospettive. L'interrogazione maschile ha tracimato anche in quotidiani come il "Corriere della Sera", "La Repubblica" e "La Stampa": hanno proposto interventi di uomini spesso volgarmente e forse ciecamente arretrati come Ostellino e Polito, altre volte di grande interesse come nel caso di Sofri. "L'Unita'", infine, che piu' di altri si e' identificata nel comitato promotore di questa mobilitazione, ha scelto di ascoltare e sollecitare uomini. E cosi' radio, blog, siti (tra gli altri certamente quello di www.donneealtri.it animato da Alberto Leiss e Letizia Paolozzi tra gli altri, la newsletter della Libreria delle donne di Milano, quella della Libera universita' delle donne).

Insomma: la mediazione del denaro e del potere nelle relazioni tra donne e uomini, la rappresentazione sociale dei sessi, dell'immaginario sessuale sono al centro come terreno di trasformazione e richiedono una pratica collettiva, visibile e pubblica anche degli uomini.

La prima cosa da fare e' raccogliere e valorizzare tutto questo. Credo sarebbe di grande interesse produrre e diffondere una "rassegna" di tutti gli interventi maschili apparsi in queste settimane su giornali e siti (lo abbiamo iniziato a fare sul sito www.maschileplurale.it). Credo sarebbe anche interessante raccogliere tutti i messaggi giunti da uomini al comitato promotore nazionale e nelle varie citta' (Monica Lanfranco, ad esempio, mi pare lo abbia fatto a Genova). In questa confusa presa di parola ci sono molte ambiguita', si ripropone spesso il modello del sostegno solidale o dello sdegno virile. Ma se ascoltiamo con attenzione ci accorgiamo che dietro c'e' la necessita' di dire qualcosa per cui non si hanno parole conosciute.

Perche' non costruire momenti di confronto pubblici tra uomini nelle prossime settimane? Sarebbe l'occasione per uscire dall'alternativa tra cinismo politicista che valuta le vicende giudiziarie come variabile del gioco di palazzo e segno oscillante tra il moralismo e l'ipocrisia. Potrebbe essere l'occasione per una vera interrogazione reciproca su cosa vogliamo e su cosa possiamo costruire insieme. Magari intercettando per la prima volta un desiderio di cambiamento maschile restato sotterraneo.

Se non ci aiuta una rappresentazione delle donne schiacciata tra vittimizzazione e giudizio moralistico poco ci aiuta l'interlocuzione con un maschile schiacciato sulle figure della rappresentanza politica e del potere che non colgano contraddizioni, conflitti e cambiamenti.

I ragazzi che vivono misurandosi con l'espressione sociale del desiderio femminile, gli uomini che tentano di reinventare la propria relazione di cura dei figli sono parte di un mutamento in corso ma che non ha visibilita' e spesso non ha parole per esprimersi e definirsi. E senza parola non c'e' forma, e questi mutamenti restano schiacciati in rappresentazioni ambigue e contraddittorie (la femminilizzazione come esito dall'uscita dai modelli della virilita' normativa, l'autocontrollo virile come antidoto alla violenza sulle donne, i mammi per raccontare una nuova attenzione alla cura).

Costruire una diversa parola maschile che non scelga l'autodisciplina ma riconosca come opportunita' la scoperta del desiderio femminile apre anche lo spazio politico per un conflitto e una relazione tra donne e uomini piu' fertile.

Ma serve, appunto, un percorso maschile che esca dalla dimensione individuale e produca politica. Cioe' conflitto, riconoscimento reciproco, pratiche collettive.

Su questo, suo malgrado, la rete di Maschile Plurale ha un ruolo e una responsabilita'. Chi ha scelto di costruire un percorso che si discosta dalle forme tradizionali della politica maschile e che quindi porta con se' una radicata diffidenza verso i modelli dell'appartenenza, della costruzione di gerarchie organizzative, di ricerca spasmodica di visibilita' pubblica e proselitismo oggi si trova di fronte alla responsabilita' di inventare forme diverse. Per dimostrare che l'alternativa non e' la paralisi, l'afasia, il ripiegamento individuale.

Al richiamo collusivo di Berlusconi e al suo sogno asfittico del controllo del corpo delle donne e della loro disponibilita' dobbiamo saper contrapporre una diversa idea di liberta'. Ma per farlo dobbiamo trovare il coraggio e il desiderio di costruire parole comuni per dirla e viverla, insieme, anche nello spazio pubblico.

 

4. RIFLESSIONE. ALBERTA TORTOLINI. QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Alberta Tortolini (per contatti: betta.tort at libero.it) per questo intervento.

Alberta Tortolini e' docente all'Itc "Dalla Chiesa" di Montefiascone (Vt) ed e' impegnata nel promuovere l'educazione alla pace, ai diritti umani, alla nonviolenza]

 

8 marzo, giornata di riflessione, nata per ricordare delle morti sul lavoro: quelle delle operaie di una industria tessile in sciopero contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. I proprietari bloccarono le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire, scoppio' un incendio e morirono in 129. Era il 1908, la citta' del fatto, New York. Tra le operaie morte vi erano molte immigrate negli States, tra cui anche delle donne italiane: donne che cercavano di migliorare la propria qualita' del lavoro.

Non siamo un genere protetto perche' in via d'estinzione, anzi siamo piu' delle meta' del genere umano, ma ancora c'e' bisogno una volta l'anno della festa della donna, che ormai e' una data che rischia di scadere in una odiosa banalita', perche' svilita dalla pubblicita' e dal consumismo. Ma per chi conosce e riconosce quanto sia importante il nostro ruolo nella famiglia, nella scuola, come in tutti gli altri ambiti lavorativi e nel mondo civile, e quante lotte sono state fatte per la conquista della nostra dignita' di esseri umani, questa di oggi e' una bellissima circostanza per dirci con affetto e stima "siamo fiere di essere donne" e siamo fortemente grate alle nostre mamme, alle nostre nonne, le cui silenziose sofferenze e rinunce hanno reso possibile a noi e alle nostre figlie di vivere tempi migliori...

Giusto per le nostre nonne, quindi non molto tempo fa, la vita dura e semplice era scandita da ritmi lenti e immutati da secoli. Le fatiche in casa e nei campi erano accompagnate al poco mangiare, al poco vestire, ai rari momenti di divertimento; ma in questa miseria era tanta la felicita' e l'allegria che provavano per piccole cose, soprattutto se commisurate a quel poco che era tutto il resto. Poi in varie epoche alla miseria si unirono il dolore e la disperazione portati dalle guerre, e le donne si rimboccarono le maniche per sopravvivere con la forza che solo la disperazione da'. Poi i numerosi parti, i figli da allevare, la vita non certo confortata dall'aiuto degli elettrodomestici...

Dopo secoli di soggezione e sottomissione solo nel secondo dopoguerra le donne italiane hanno avuto diritto al voto e poi, nel corso di altri decenni, almeno sul piano formale delle leggi hanno ottenuto l'eguaglianza, conquistato la liberta' di scelta, ma vecchi pregiudizi, prepotenze, razzismo ed abitudini consolidate sono dure a morire.

Quindi non bisogna mai abbassare la guardia, perche' ogni giorno un uomo si alza e vuole toglierci i diritti acquisiti: facile decidere sulla pelle degli altri, sulla pelle delle donne in nome di un falso perbenismo ipocrita e misogino. Quindi e' la liberta' delle donne che va difesa e protetta: un pensiero alle ali spezzate delle donne violentate, perche' e' facile fare violenza al corpo della donna, con la forza bruta fisica o con la forza subdola del denaro che ormai, in questa societa' votata al consumismo sfrenato, compra tutto e tutto mette in vendita. Poi, non meno grave, la violenza psicologica che annienta la spiritualita', la gioia e la fantasia delle donne.

Per concludere, il mio pensiero di donna va alle donne migranti che attraversano il mare su delle carcasse galleggianti e vanno verso l'ignoto, fidandosi per forza di persone senza scrupoli, che non si sa se alla fine del viaggio le porteranno su una costa o le abbandoneranno al largo, o se un'onda coprira' quella carcassa galleggiante e le portera' in fondo al mare. E poi non sanno che su quella costa ci sono leggi che le respingeranno, senza sapere nemmeno da dove vengono e da cosa fuggono... per avere pieta', su quella costa, ci vuole la paura dell'invasione! Spesso queste donne hanno con se' i bimbi, che durante la traversata tengono coperti e protetti dai loro corpi chiusi in posizione fetale per difenderli dal freddo, per scaldarli ancora come quando li tenevano nell'utero... viaggio di disperazione verso un luogo dove si e' perso il ricordo delle nostre emigrate, compreso quello delle donne italiane morte nell'incendio di New York, per cui si e' deciso di istituire l'8 marzo come giornata della donna.

 

5. MAESTRE. NADIA ANGELUCCI INTERVISTA VANDANA SHIVA

[Dal mensile "Noi donne" di ottobre 2010 (disponibile anche nel sito www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo completo "La donna del mese: Vandana Shiva".

Nadia Angelucci e' redattrice di "Noi donne", giornalista, esperta in cooperazione internazionale, ha vissuto in vari paesi del Sud America collaborando con Ong, Universita', Istituti di cultura; collabora con varie testate e cura la trasmissione "Bucanero" su Radio Popolare Roma.

Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008; Ritorno alla terra, Fazi, Roma 2009; Campi di battaglia, Edizioni Ambiente, Milano 2009]

 

Fisica e ambientalista indiana, Vandana Shiva ha vinto il Sydney 2010 Peace Prize per il suo impegno verso l'empowerment delle donne nei paesi in via di sviluppo, la difesa dei diritti delle piccole comunita' agricole e la sua analisi scientifica sulla sostenibilita' ambientale. Per Shiva la salvaguardia della biodiversita' passa da una sostituzione del sistema economico dominate, basato sull'uso smodato delle risorse naturali, con una visione olistica in cui il sistema economico sia al servizio delle persone e del pianeta. Una trasformazione su vasta scala che lei chiama Earth Democracy, Democrazia della Terra.

Navdanya, la "banca" delle sementi da lei creata nel 1991, supporta gli agricoltori locali e la diversita' delle colture e difende i diritti delle persone e della natura contro il controllo societario sui prodotti alimentari e sulle risorse naturali.

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- Nadia Angelucci: Nel discorso dominante la crescita economica e l'aumento dei consumi hanno un'accezione positiva e sono equiparate al progresso; cio' e' contrapposto al concetto di conservazione e cura della tradizione a cui viene riservato un significato negativo. In questo senso spesso gli ambientalisti vengono accusati di essere retrogradi, estremisti, immobilisti. Lei, che difende l'ambiente e le tradizioni legate alla natura e al suo ciclo vitale, si sente cosi' conservatrice e retrograda?

- Vandana Shiva: In realta' e' la crescita economica, cieca ai bisogni ecologici e sociali, che conduce alla regressione della societa', non al progresso. In tutto il mondo, e' percepito come prioritario l'imperativo di ridefinire il concetto di crescita. La Commissione Stiglitz istituita dal Presidente francese nel 2008, ha detto chiaramente che la crescita economica e' un tipo di indicatore che non rende la stima corretta del benessere sociale. Il Bhutan, piccolo regno himalayano, ha definito il suo obiettivo nazionale la "Felicita' Nazionale Lorda" e non il "Prodotto Nazionale Lordo". Il primo ministro del Bhutan mi ha invitato a collaborare per raggiungere questo obiettivo. Credo che il governo del Bhutan abbia adottato un approccio lungimirante perche' mira alla conservazione delle loro loro ricchezze naturali e dei loro valori culturali come base dello sviluppo sostenibile. Quelli di noi che lavorano per proteggere la natura e la conservazione dei valori delle culture ancestrali stanno creando il futuro. Chi confida e promuove la crescita basata sul saccheggio delle risorse della terra sta distruggendo il futuro del pianeta.

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- Nadia Angelucci: Lei ha messo in evidenza il ruolo delle donne nella conservazione della biodiversita' e dell'equilibrio tra esseri umani e natura. Puo' spiegarci meglio il suo pensiero?

- Vandana Shiva: Le donne tradizionalmente sono state lasciate ad occuparsi dell'economia di sussistenza, mentre gli uomini sono stati coinvolti nell'economia di mercato, basata sul saccheggio, e non sull'utilizzo equilibrato, delle risorse naturali. Le donne hanno cosi' conservato la loro capacita' e le loro conoscenze per la conservazione della biodiversita' e per il mantenimento e lo sviluppo di un'economia basata sulla biodiversita'. Il contributo delle donne alla conservazione e alla salvaguardia del pianeta e' il risultato della divisione del lavoro.

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- Nadia Angelucci: Quale e' stato e quale puo' essere il ruolo dei movimenti sociali a livello planetario per salvaguardare l'ambiente, la biodiversita' e il pianeta?

- Vandana Shiva: I movimenti sociali svolgono un ruolo di vitale importanza per la salvaguardia dell'ambiente globale, della biodiversita' e, piu' in generale, del nostro pianeta. Cio' e' particolarmente vero nella nostra epoca in cui gli Stati sono ostaggio di poteri che spingono per la creazione di uno stato corporativo che si metta al servizio del benessere delle multinazionali piu' che interessarsi del benessere dei propri cittadini.

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- Nadia Angelucci: Il 2010 e' stato proclamato dalle Nazioni Unite "Anno della biodiversita'". A suo parere durante quest'anno le istituzioni delle Nazioni Unite e i governi degli stati membri piu' ricchi hanno realmente adottato delle politiche per salvaguardare l'ambiente e la biodiversita'?

- Vandana Shiva: Purtroppo con l'Anno della biodiversita' non e' stata colta l'occasione per cambiare le politiche e si e' continuato a privilegiare il business come nel passato. Le imprese hanno proseguito nella loro opera di corruzione dei governi per dare impulso alla diffusione degli Ogm - Organismi Geneticamente Modificati - che minacciano la biodiversita'. Le grandi multinazionali dell'agricoltura seguitano con le azioni di biopirateria e spogliano i popoli ancestrali delle risorse proprie interne e delle proprie conoscenze tradizionali. Sembra anzi che nel corso di quest'anno l'aggressivita' delle imprese sia ancora piu' intensa; ne sono evidenza le pressioni esercitate sulla Commissione Europea per far approvare l'introduzione degli Ogm.

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- Nadia Angelucci: Parlando di clima, il vertice di Copenaghen e' stato un fallimento, mentre proposte venute da alcuni piccoli stati e dai movimenti dei popoli nativi (riconoscimento dell'acqua come diritto umano, tribunale per i crimini ambientali, nuove costituzioni boliviana ed ecuadoriana) sembrano porre la salvaguardia della madreterra al centro dell'operare politico. La dialettica tra queste due posizioni e' possibile?

- Vandana Shiva: C'e' oggi una chiara dialettica tra un modello industriale sorpassato, basato sui combustibili fossili e sul petrolio, e un modello emergente basato sulle energie rinnovabili, quelle della Madre Terra. L'iniziativa boliviana sulla Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra e' in contrasto con gli accordi Omc - Organizzazione Mondiale del Commercio - che sanciscono i diritti delle imprese. D'altra parte la recente vittoria in India delle tribu' di Niyamgiri, la montagna sacra che sostiene la legge universale, per fermare l'estrazione di bauxite per l'industria di alluminio della multinazionale Vendanta e' un passo nella costruzione di una Terra centrata sui beni comuni e sui diritti umani. Questa e' quella che definisco 'Democrazia della Terra'. Il 2 ottobre (anniversario della nascita di Gandhi), stiamo organizzando Bhoomi, il festival della Terra, per diffondere la consapevolezza sui diritti del nostro pianeta, sui diritti delle persone e sui doni della Madre Terra.

 

6. TESTIMONI. GUENDALINA DI SABATINO INTERVISTA EDITH BRUCK

[Dal mensile  "Noi donne" di ottobre 2010 (disponibile anche nel sito www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo completo "Intervista a Edith Bruck. Le parole del dolore" e il sommario "Esce il nuovo libro, Bruck premiata a Bologna con la Targa ricordo Paolo Volponi".

Guendalina Di Sabatino vive a Teramo dove e' presidente del centro di cultura delle donne "Hannah Arendt"; ha collaborato nel laboratorio di scrittura di scienze della comunicazione dell'universita' di Teramo, con tv e quotidiani locali; e' impegnata nei movimenti delle donne dalla fine degli anni '70.

Edith Bruck, scrittrice, nata in Ungheria da una famiglia ebraica, sopravvissuta alla deportazione, dal 1954 vive a Roma. Una grande testimone della Shoah, una scrittrice di straordinaria finezza, una persona di forte impegno civile. Tra le opere di Edith Bruck segnaliamo particolarmente Chi ti ama cosi', Due stanze vuote, Transit, Signora Auschwitz, tutti ora editi presso Marsilio, Venezia; ed il recentissimo Privato, Garzanti, Milano 2010]

 

Edith Bruck, la scrittrice italiana di origine ungherese deportata adolescente nei lager nazisti di Dachau, Bergen-Belsen, Auschwitz, e' tra le più importanti autrici di cultura ebraica della letteratura europea. Dopo i successi del romanzo Quanta Stella c'e' nel cielo propone ai lettori il suo ultimo libro Privato (Garzanti, 2010, pp. 185) composto da due lunghi racconti: il recente inedito "Un mese dopo" e "Lettera alla madre" pubblicato nel volume eponimo nel 1988, vincitore di piu' premi letterari. Due racconti, poesia ininterrotta, in cui gli avvenimenti narrati dalla scrittrice intrecciano in un'unica trama le tragiche vicende della sua vita al destino di milioni di ebrei in Europa, vittime delle persecuzioni razziali e del genocidio nazista. Due racconti in forma epistolare. Dialoghi immaginari con sua madre, bruciata nei forni di Auschwitz, e con suo fratello scomparso da poco in Brasile, sopravvissuto ai campi di sterminio.

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- Guendalina Di Sabatino: Due lettere postume che raccontano il mondo degli affetti orribilmente reciso.

- Edith Bruck: Non ho avuto mai il tempo di parlare ne' con l'una ne' con l'altro. In qualche misura ho prolungato la mia vicinanza con loro per dire cio' che non ho potuto dire mentre erano in vita. Un modo per far rivivere mia madre, per parlare e stare con lei il piu' a lungo possibile. Con le madri non e' che si parlasse molto alla mia epoca, la mia aveva sei figli da curare, io ero la piu' piccola, e come tutti i figli del mondo ero desiderosa d'amore. Ma lei, come tantissime madri povere, non aveva tempo, aveva troppe preoccupazioni. Mio fratello non ha mai aperto bocca sui campi di concentramento. Lui ha visto morire mio padre. Avrei voluto sapere quello che ha detto, come ha pensato a noi, come ha vissuto l'internamento un uomo abbastanza fragile, povero, che ha lottato tutta la vita per la sopravvivenza, morto di stenti pochi giorni prima della liberazione, ma non potevo chiedere niente a mio fratello, piangeva. Anche l'ultima volta che l'ho visto, alla "tenera eta'" di 76 anni, non riusciva a parlare, non ce la faceva. E' rimasto muto come molti sopravvissuti, e sicuramente ha sofferto molto piu' di me che, in parte, ho vomitato questo veleno che porto dentro attraverso la scrittura, attraverso la parola, anche una terapia per me.

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- Guendalina Di Sabatino: In realta' sono lettere indirizzate al mondo.

- Edith Bruck: Piu' che una cosa privata e' una cosa universale che l'umanita' non sa ancora abbastanza. E' testimonianza, non credo che ci sia un privato e un pubblico. Io credo che tutto quello che abbiamo vissuto vada gridato, denunciato e testimoniato non solo per l'oggi ma per il futuro. Basta vedere quello che accade nell'intero pianeta. Anche se nulla, come diceva Primo Levi, puo' essere paragonabile e paragonato ad Auschwitz, perche' e' un unicum di quello che e' accaduto nel XX secolo, nell'Europa cristiana, nel mondo ci sono tanti, tanti piccoli Auschwitz. E non finiranno mai, purtroppo.

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- Guendalina Di Sabatino: Che cosa significa essere ebrea oggi, dopo Auschwitz?

- Edith Bruck: E' un forte sentimento profondo che non rinnegherei mai. E' un sentimento, neppure una religione, una nostalgia di qualcosa che e' scomparso, l'universo yiddish, la sua lingua ormai morta. E' l'infanzia, il passato di cui hai una terribile nostalgia in continuazione perche' l'ebraismo e' cambiato molto nel mondo.

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- Guendalina Di Sabatino: La "Casa dei pensieri" di Bologna, nell'ambito della Festa dell'Unita', le ha assegnato la "Targa ricordo Paolo Volponi", un riconoscimento internazionale. Il quinto in un anno.

- Edith Bruck: Volponi era una persona che oggi manca, uno scrittore impegnato nel sociale, le sue poesie e i suoi libri sono straordinariamente attuali. Ho avuto una grande stima per lui, che ho conosciuto e incontrato piu' volte. La Targa e' molto importante per me perche' porta il suo nome. Sono molto contenta, anche perche' si ricorda un uomo di grande valore civile e morale.

 

7. RIFLESSIONE. SILVIA VACCARO INCONTRA KHADY KOITA

[Dal mensile "Noi donne" di novembre 2010 (disponibile anche nel sito www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo completo "La donna del mese: Khady Koita" e il sommario "Dobbiamo resistere e unirci, pur restando fedeli a noi stesse e alla nostra cultura di appartenenza".

Silvia Vaccaro e' redattrice di "Noi donne", siciliana, ha studiato Mediazione linguistica e Cooperazione internazionale; appassionata di tematiche di genere, ha vissuto in Spagna ed Ecuador lavorando con donne kichwa; collabora con il Comitato Pari Opportunita' di Roma 3]

 

Le mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono una antica pratica tribale slegata dalle confessioni religiose e molto diffusa in varie regioni del continente africano. Due le tipologie piu' comuni: l'infibulazione (asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali e cucitura della vulva, rimane un foro per permettere la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale) e l'escissione (asportazione del clitoride). Queste pratiche privano le donne del piacere sessuale per tutta la vita e ovviamente anche dell'integrita' fisica e psicologica.

Incontro a Roma Khady Koita, senegalese e vice-presidente di Euronet, l'organismo europeo per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili nato nel 1997 e ufficializzato nel 2002. Nel periodo 2007-2009, grazie a dei fondi europei e della cooperazione belga, Khady e le sue colleghe sono riuscite a portare avanti un'importante campagna di sensibilizzazione contro le mutilazioni. Finalmente nel 2010 varie associazioni ed enti, tra cui Euronet, hanno redatto una bozza da presentare all'Onu per chiedere una risoluzione ad hoc che permetta di abolire definitivamente le mutilazioni genitali femminili: l'obiettivo e' fare pressione sui governi degli Stati africani in cui sono maggiormente diffuse.

Anche Khady ha subito in prima persona questa assurda violenza e dalla sua esperienza personale e' nato un libro, "Mutilata", edito in Italia da Cairo Publishing e pubblicato e premiato in molti paesi europei. Con buona parte dei ricavi delle vendite, Khady sta costruendo una casa delle donne in Senegal, ma la sua non e' una lotta solo personale: "quello che ho vissuto io l'hanno subito molte donne, e non parlo solo di mutilazioni genitali femminili. Penso ai matrimoni precoci e forzati con uomini molto piu' vecchi o alla violenza domestica, destino comune a molte donne africane. Prima pero' era un tabu' parlare di violenza, adesso si discute di mutilazioni genitali femminili nelle tribune politiche, nei media, nelle comunita'. Quello che serve in questo momento e' continuare a lavorare in rete e per farlo servono fondi, di cui purtroppo adesso non disponiamo. L'impegno e' trovarli. L'Europa e' attenta ai diritti umani e sono tutti d'accordo nel sostenere che le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti fisici e morali della persona; pertanto, tutte le misure europee in materia di immigrazione, dovrebbero affrontare la questione. In generale, pero', non mi piace la parola 'integrazione', ritengo piu' opportuno usare la parola 'adattamento', perche' bisogna adattare la propria vita al posto in cui si vive. Io parto dalla riflessione che i figli dei migranti sono prima europei e dopo africani: nascono in Europa, studiano qui, crescono qui, parlano le lingue europee. Anche se vanno in Africa in vacanza, cosa sanno di quella cultura? I genitori li educano al rimpianto della terra-madre e io lo trovo assurdo. Bisogna invece spingere i propri figli a studiare, ad acquisire competenze per trovare un buon lavoro. Dare motivazioni e incentivi ai giovani perche' possano essere i cittadini del futuro. Un giorno se vorranno tornare in Africa, avranno qualcosa da dare al continente, altrimenti non ha nemmeno senso tornarci".

E le donne migranti - le ho chiesto - di cosa hanno bisogno veramente? "Vorrei dire finalmente che non siamo vittime e non abbiamo bisogno di compassione. Vogliamo che le istituzioni europee riconoscano il nostro status di esseri umani. Non siamo schiave dei nostri mariti e dobbiamo esigere gli stessi diritti delle donne europee. L'emancipazione e' possibile anche se prende altre vie e necessita di un impegno da parte nostra, che inizia, secondo me, con lo studio della lingua del paese dove viviamo: se non c'e' comunicazione, non c'e' comprensione. Non appena impari la lingua, puoi studiare, puoi imparare tante cose. Mai ad appiattire le differenze pero': io non voglio essere come una donna italiana ma essere semplicemente me stessa e condividere le esperienze. Le donne, poi, piu' degli uomini, dovrebbero fare gruppo, unirsi, dato che sono tristemente accomunate dalla violenza che gli uomini tendono a usare contro di loro. Dobbiamo resistere e unirci, pur restando fedeli a noi stesse e alla nostra cultura di appartenenza".

 

8. RIFLESSIONE. SILVIA VACCARO INCONTRA SAMPAT PAL DEVI

[Dal mensile "Noi donne" di luglio-agosto 2010 (disponibile anche nel sito www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo completo "La donna del mese: Sampat Pal Devi" e il sommario "Sposa bambina a 9 anni, e' ora una leader che combatte contro le ingiustizie"]

 

Se si pensa alle donne indiane, la prima cosa che viene in mente e' il sari, l'abito tradizionale indossato indipendentemente dal ceto sociale o dalla casta. Ho incontrato Sampat Pal Devi, che ha usato il sari per fondare un gruppo di donne che lottano contro le ingiustizie e i soprusi perpetrati dagli uomini. Questa donna ha compiuto un'operazione simbolica molto forte, stravolgendo l'uso del sari, divenuto cosi' uniforme da battaglia e ribaltando l'immagine della donna indiana da sottomessa a combattente. In altre parole, Sampat Pal Devi rappresenta la forza del cambiamento. Lo si intuisce dal tono deciso della sua voce, dalla gestualita' e dal messaggio che vuole trasmettere, che seppur mediato dalla traduzione, arriva semplice e chiaro. Il suo lavoro e' talmente rivoluzionario che sta diventando un caso mondiale.

L'ho incontrata a Roma, dove e' arrivata per la promozione del libro Con il sari rosa (Piemme Edizioni), presentato per la prima volta in Italia a Torino, durante la Fiera del Libro. Sposa Bambina a nove anni, costretta ad abbandonare la scuola e a rimettersi alla volonta' di un marito semisconosciuto, il suo destino sembrava identico a quello della maggioranza delle donne indiane.

Circa quattro anni fa ebbe l'intuizione di poter stimolare un cambiamento nella sua vita e in quella di altre donne e grazie alla sua determinazione e' riuscita a radunare circa 400 combattenti provenienti da diversi villaggi della zona meridionale dell'Uttar Pradesh che, armate di lathi (il bastone tradizionale indiano) e di tanto coraggio, hanno affrontato mariti e padri maneschi, stupratori e poliziotti corrotti.

Gli uomini che le componenti della Gulabi Gang (letteralmente la banda rosa) fronteggiano, spesso reagiscono con la forza ma questo non le spaventa, e continuano a marciare verso i commissariati, quando giunge loro notizia di indagini condotte male nei casi di abusi in famiglia; si radunano attorno alla casa di un marito violento minacciando ribellioni; impediscono i matrimoni delle spose-bambine.

A fronte di questa sua grande esperienza, le ho chiesto dunque di raccontarmi delle donne indiane, di come vivono, di cosa sentono. "Le donne nella mia terra non godono degli stessi diritti degli uomini. Si puo' vedere da tutti gli ambiti della vita: quando si tratta di rispetto dei diritti umani, le donne sono sempre al servizio dei mariti e spesso maltrattate. Dalla politica, all'educazione, in India non c'e' uguaglianza".

E' sopratutto sull'istruzione che Sampat conduce delle battaglie molto dure, ricordando alle "sue" donne l'importanza dell'educazione, il rispetto dell'igiene personale, l'attenzione per l'ambiente e il grande rispetto per il prossimo. L'azione che Sampat Pal sta portando avanti e' un coraggioso tentativo di ristabilire un equilibrio tra i sessi, missione difficile anche quando lo scenario non e' piu' quello indiano, ma quello occidentale.

In merito a questo, le ho domandato cosa pensa di noi, donne dell'occidente: "abbiamo alcuni problemi comuni perche', anche se le donne, ad esempio qui in Italia, sono indipendenti e istruite, spesso mancano di coraggio e non lottano abbastanza per migliorare alcuni aspetti come le condizioni sociali e il riconoscimento dell'uguaglianza della donna di fronte all'uomo. Bisogna dunque lottare insieme, in un movimento che abbracci tutto il mondo".

Prima di scomparire dietro il suo sari, Sampat mi ha raccontato una fiaba indiana che voglio riportare: "Il sole un giorno scomparve dal cielo e nessuna stella si sentiva in grado di rimpiazzarlo temendo di non emettere abbastanza luce. Tutte si tiravano indietro e il mondo rischiava di rimanere al buio. A quel punto si levo' la voce di un lumino che disse che avrebbe cercato di illuminare il mondo, seppur nel suo piccolo. Ciascun essere umano puo' essere quel lumino, capace di portare un contributo all'umanita', se lo vuole davvero".

Sampat non si e' spaventata ne' arresa di fronte al buio e alla solitudine che avvolgono, ancora troppo spesso, la vita delle donne in India e in altre parti del mondo, e noi ci siamo salutate nella speranza che il suo sogno "di creare un luogo dove le donne possano lavorare e vivere insieme" si realizzi presto.

 

9. RIFLESSIONE. SILVIA VACCARO INCONTRA NADIA SHAMROUKH

[Dal mensile "Noi donne" di gennaio 2011 (disponibile anche nel sito www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo completo "La donna del mese: Nadia Shamroukh" e il sommario "Presidente della Jordanian Woman Union, afferma 'il mio desiderio piu' grande è quello di vedere nascere una grande organizzazione per tutte le donne arabe'"]

 

Chi era Nadia Shamroukh l'ho saputo il giorno prima di incontrarla. Quasi per caso avevo sentito un'amica che era partita per la Giordania con la nota ong italiana "Un ponte per", l'aveva conosciuta in quella occasione e me ne aveva parlato entusiasta, descrivendola come una persona meravigliosa, generosa, accogliente. L'affetto che avevo sentito in quelle parole rivolte alla donna che stavo per incontrare sono state confermate dai fatti.

Ho incontrato Nadia durante una tavola rotonda organizzata da "Un ponte per" nella quale si discuteva di alcuni progetti che l'ong porta avanti. Uno di questi, che si occupa di protezione delle donne vittime di abusi, assistenza sanitaria, legale e campagne di informazione, e' realizzato in partenariato con la Jordanian Woman Union, di cui Nadia e' presidente. Si e' parlato molto della presenza di rifugiati iracheni in Giordania e delle loro condizioni di vita spesso terribili. Le ho chiesto di parlarmi della sua opinione sul conflitto iracheno e sulle responsabilita' piu' gravi che lei, donna araba impegnata in prima linea per i diritti umani, individuava.

"In Iraq assistiamo ad un disastro provocato dagli americani, con l'aiuto degli europei e anche degli arabi. Molti governi hanno seguito gli americani solo perche' ancora dominano la sfera mondiale. La Lega Araba, cosi' come l'Europa, non ha avuto la forza di mettersi contro gli Usa. Il motivo della guerra e' un vero e proprio assalto al petrolio, quindi non e' esatto parlare di un conflitto, parlerei piuttosto di una vera e propria distruzione premeditata dell'Iraq, e credo anche che la comunita' internazionale non abbia fatto quasi nulla per impedirla. Avrebbero dovuto mandare delle forze speciali come e' stato per il genocidio ruandese o nel caso della ex-Jugoslavia. Perche' non l'hanno fatto e non lo fanno? Perche' restano tutti a guardare lo sterminio di migliaia di civili iracheni? Questa situazione non e' facile da risolvere e purtroppo quando gli americani finalmente se ne andranno lasceranno un paese a pezzi. Quando c'era Saddam, che era un dittatore, la gente era unita contro di lui. Da quando c'e' l'occupazione statunitense, il popolo e' diviso e i fratelli sono pronti ad uccidersi tra loro".

"In Giordania sono arrivati moltissimi profughi da quando e' iniziato questo orrendo conflitto. I governi arabi, soprattutto quelli dei paesi confinanti con l'Iraq, non possono essere miopi davanti a questa tragedia umana e devono garantire ai cittadini iracheni che fuggono da quell'inferno una vita dignitosa. Nel mio paese arrivano sia persone ricche che pagando ottengono la residenza e vivono nei quartieri alti delle nostre citta', sia gente poverissima che noi cerchiamo di aiutare con i nostri progetti. In generale la popolazione araba sostiene gli iracheni, in particolare il popolo giordano e' molto vicino a questo popolo fratello. Questo rapporto ha origini storiche: l'Iraq ha sostenuto la Giordania molte volte, ha donato quantita' enormi di petrolio e moltissimi nostri ragazzi hanno studiato in Iraq gratuitamente. C'e' quindi molta solidarieta' da parte della nostra popolazione nei confronti dei rifugiati".

Parlando piu' in particolare di donne, le ho chiesto che tipo di relazione c'e' tra giordane e irachene. Nadia mi ha rivelato quello che desidera di piu'. "Vorrei finalmente una legge nuova: essere tutelate da una legge giusta vuol dire vivere in un paese civile. Ancora adesso la qualita' di vita di una donna in Giordania dipende molto dalla classe sociale a cui appartiene, ma tutte, nessuna esclusa, sono accomunate dalla subordinazione nei confronti dell'uomo di casa. Sognando ad occhi aperti, il mio desiderio piu' grande e' quello di vedere nascere un'organizzazione in cui tutte le donne arabe si trovino riunite per parlare insieme di tematiche di genere, per confrontarsi e per essere piu' forti. Noi arabi siamo un unico popolo separato dai confini dei paesi e credo che la pace e i diritti fioriscano solo dove c'e' solidarieta' tra le persone e dove la fratellanza dei popoli e' piu' forte".

 

10. RIFLESSIONE. SILVIA VACCARO INCONTRA GENEVIEVE VAUGHAN

[Dal mensile "Noi donne" di settembre 2010 (disponibile anche nel sito www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo completo "La donna del mese: Genevieve Vaughan" e il sommario "Ricercatrice americana trapiantata in Italia e teorica di un sistema economico basato sullo scambio privo di interesse personale"]

 

La crisi del sistema capitalista e l'andamento disastroso delle economie di alcuni paesi occidentali nell'ultimo anno hanno aperto un dibattito: oggetto della discussione la pretesa infallibilita' del neoliberismo e la possibile apertura a nuove forme di economia.

Durante una conferenza sul matriarcato, ho incontrato Genevieve Vaughan, ricercatrice americana trapiantata in Italia, che ha elaborato la "teoria del dono", un sistema economico basato sullo scambio ma privo di interesse personale. "Penso che si debba e si possa ripartire dal dono soprattutto in un momento di crisi come questo - ha spiegato Genevieve - e dal dare per soddisfare i bisogni dell'altro, non per ottenere un profitto, proprio come fanno le madri coi figli o nelle comunita' indigene sparse per il pianeta: solo cosi' puo' crescere un'umanita' migliore e piu' attenta".

Le ho chiesto come si colloca il femminismo in questo senso. "Credo che il femminismo di per se' e' una sorta di dono, perche' le donne hanno tentato di restituire alle loro compagne quello che la societa' patriarcale ha tolto loro nei secoli. Inoltre le donne assolvono ancora oggi una funzione di 'donans' nei confronti della societa' in generale: questa nostra predisposizione al dono e il suo riconoscimento sono vitali per l'umanita' intera".

Le ho chiesto se la presenza di un maggior numero di donne nei governi possa facilitare l'affermarsi dell'economia del dono e lei, sorridendo, ha dichiarato che le donne che hanno un atteggiamento patriarcale e sfruttano il sistema vigente invece che rovesciarlo, non favoriscono di certo un'economia alternativa. "Bisogna essere una donna anti-patriarcale per poter cambiare le cose. Nel subconscio tutte abbiamo la vocazione al dono, ma alcune di noi credono ancora nell'economia capitalista, nonostante tutti i giorni abbiamo le prove che questo sistema genera ingiustizie e disastri. E' solo uno specchietto per le allodole: le donne attratte dal capitalismo, che ne vogliono fare parte, non sanno valutarne la portata negativa. Credo dunque che bisognerebbe creare un'economia completamente diversa, non di mercato, ma un'economia del dono generalizzato. Alcuni esempi sono i software gratis che si trovano su internet, o wikipedia, o la condivisione delle informazioni tramite mailing list. E' difficile pensare ad un sistema economico alternativo ma spero che, anche grazie alla rete, sara' sempre piu' semplice condividere e donare agli altri".

Il dono in parte viene messo in pratica anche nelle nostre societa' capitaliste, ma l'azione del "donare" non e' riconosciuta come un valore. Ancora meno viene riconosciuta l'importanza del ruolo materno e di educazione al dono, portato avanti dalle donne. "L'umanita' non vuole riconoscere che tutti crescono in una economia del dono, perche' i bambini piccoli ricevono senza dare, non potendo scambiare alla pari con gli adulti. In passato, nelle cosiddette civilta' primitive, esisteva una continuita' tra l'infanzia e il mondo degli adulti e venivano mantenute alcune pratiche come quella del dono. Nelle nostre societa' occidentali invece l'apporto delle madri e dei piccoli non e' preso in considerazione come dovrebbe. Io credo che i bambini spesso possano insegnare a noi come comportarci, pensiamo ad esempio a come trattano la natura, noi dovremmo imparare da loro, noi che l'abbiamo devastata".

Nelle societa' indigene, tuttora, le economie sono costruite sulle pratiche del dono, mentre le economie occidentali sono costruite solo sullo scambio, sull'interesse personale, sulle sopraffazioni. Secondo Vaughan "capitalismo e patriarcato combaciano: i valori dell'uno sono molto simili a quelli dell'altro. Nonostante alcuni difensori del neoliberismo affermino che il mercato offre la possibilita' di vivere in una societa' piu' giusta e piu' equa di quella patriarcale, questa e' una bugia: l'ineguaglianza e' solo spostata su un piano diverso, un piano materiale".

La lucidita' delle riflessioni di Genevieve mi porta ad affermare che una lotta seria contro il patriarcato dovrebbe partire, o quantomeno considerare, una revisione dell'economia vigente dalle sue fondamenta.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 291 del 10 marzo 2011

 

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