Telegrammi. 490



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 490 del 10 marzo 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Alcuni estratti da "Nucleare: a chi conviene?" di Gianni Mattioli e Massimo Scalia

2. La "Carta" del Movimento Nonviolento

3. Per saperne di piu'

 

1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "NUCLEARE: A CHI CONVIENE?" DI GIANNI MATTIOLI E MASSIMO SCALIA

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Gianni Mattioli e Massimo Scalia, Nucleare: a chi conviene? Le tecnologie, i rischi, i costi, Edizione Ambiente, Milano 2010, pp. 254.

Gianni Mattioli, docente universitario di fisica, tra i promotori del movimento antinucleare e dell'ambientalismo scientifico in Italia, gia' parlamentare, sottosegretario e ministro. Tiene l'insegnamento di Complementi di Fisica matematica per il corso di laurea in Matematica e gli insegnamenti di Fisica (laurea triennale) e di Complementi di Fisica (lauree specialistiche) per il corso di laurea in Scienze naturali presso la facolta' di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Universita' di Roma "La Sapienza". Ha effettuato ricerca in fisica delle particelle elementari, meccanica quantistica, moti quasi-periodici nel formalismo hamiltoniano. Si e' occupato inoltre di energia e dell'impatto ambientale delle fonti energetiche, in particolare per quanto attiene alle radiazioni ionizzanti e ai modelli di diffusione in aria di sostanze inquinanti. Piu' recentemente, si e' dedicato all'approfondimento delle tematiche dell'effetto serra e della sostenibilita'. Ha pubblicato articoli su riviste scientifiche internazionali ed e' coautore di alcuni libri sulle questioni energetiche e sui problemi della sostenibilita'. Sui problemi energetici e' stato ascoltato come esperto in sedi istituzionali nazionali ed europee. Dal 1987 al 2001 e' stato deputato per i Verdi e, nella penultima legislatura, ha fatto parte dei governi che si sono avvicendati come sottosegretario ai Lavori pubblici e come ministro delle Politiche comunitarie e, ad interim, dell'Ambiente. Attualmente e' membro della giunta del Centro di ricerca de "La Sapienza" per le scienze applicate per la protezione dell'Ambiente e dei Beni Culturali. E' membro della Presidenza del Comitato scientifico del Decennio per l'Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell'Unesco e del Comitato scientifico di Legambiente.

Massimo Scalia, docente universitario di fisica matematica, tra i promotori del movimento antinucleare e dell'ambientalismo scientifico in Italia, gia' parlamentare. Dal sito di Greenpeace (www.greenpeace.org) riprendiamo la seguente scheda: "Massimo Scalia, nato a Roma il 27 maggio 1942, e ivi residente, si e' laureato in Fisica nel 1969. E' titolare del corso di Modelli di Evoluzione nelle Scienze Applicate (Fisica Matematica) e insegna Fisica Ambientale presso la Facolta' di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Universita' di Roma "La Sapienza". E' titolare di un programma di ricerca sulla teoria dei sistemi dinamici e sulle applicazioni alla Meccanica (sistemi lagrangiani e hamiltoniani), alla Fisica e alla Biologia. La sua ricerca, dopo gli esordi nella Fisica Teorica Nucleare (decadimenti b, "materia nucleare") , si e' orientata, da trent'anni, sugli aspetti qualitativi dell'evoluzione dei sistemi dinamici (stabilita', turbolenza, caos). Nello stesso periodo, dalla meta' degli anni Settanta, inizia lo studio delle questioni energetiche: impatto ambientale dei diversi tipi di produzione energetica (in particolare del ciclo del combustibile nucleare e aspetti di sicurezza), innovazione tecnologica, bilanci energetici su scala paese e su scala mondo, aspetti economici connessi. E' stato invitato come relatore alle conferenze regionali sull'energia - Basilicata (1978), Piemonte (1979), Puglia (1984) - e alle conferenze sull'ambientalizzazione del carbone di Brindisi e di Lignano Sabbiadoro (entrambe nel 1984). Subito dopo l'incidente di Chernobyl (1986), due periodici nazionali, "Espresso" e "Airone", richiesero dei volumetti divulgativi, per un'ampia tiratura, sul nucleare e sull'energia, che vennero redatti da lui insieme al prof. Gianni Mattioli, e pubblicati. Viene chiamato dal Governo a far parte della Commissione Energia/Economia presieduta da Paolo Baffi (1987), per la preparazione della Conferenza Nazionale sull'Energia. Viene invitato a far parte di varie commissioni scientifiche, attivate da enti locali e territoriali per la valutazione dell'impatto ambientale di impianti di produzione industriale e di energia; in tale contesto sviluppa e pubblica un modello fisico-matematico per descrivere la diffusione in atmosfera di inquinanti (1989). Dal 1981 al 1993, come direttore editoriale del periodico "Quale Energia" - la rivista sull'energia del movimento ambientalista italiano - cura, nelle rubriche piu' strettamente scientifiche della rivista, le analisi di valutazione del rischio di incidenti nucleari, la critica rigorosa ai diversi piani energetici del Governo ("I conti sbagliati del Piano energetico nazionale") e l'innovazione tecnologica legata all'uso efficiente dell'energia e alle fonti rinnovabili. Nel 2003-2004 ha fatto parte del gruppo di ricercatori che ha messo a punto il "Progetto Arese" per una mobilita' sostenibile, commissionato all'Enea dalla Regione Lombardia, curando in particolare l'analisi energetica e dei costi per i diversi modi di produzione da fonti rinnovabili dell'idrogeno insieme ai professori Gianni Mattioli ("La Sapienza") e Vincenzo Naso (direttore del Cirps). Nel luglio 2004 e' stato nominato, su indicazione della Regione Basilicata, componente della Commissione tecnico-scientifica per l'emergenza sulla sicurezza nucleare (Dpcm 3355/04, prorogata con Dpcm del 17/2/06). In relazione a tali problemi ha pubblicato: "Una strategia per la gestione delle scorie nucleari" (Geologia dell'Ambiente, n. 2, 2004), dove si illustra la ricerca fisica fondamentale in corso (Ads, laser) per affrontare la questione delle scorie radioattive di emivita lunghissima. E' stato deputato del Parlamento italiano nella X, XI, XII e XIII legislatura (1987-2001). Nella XII e XIII legislatura e' stato presidente della Commissione di inchiesta sui rifiuti. Nei lavori che tale Commissione ha realizzato nella XIII legislatura (1996-2001) ha, tra l'altro, redatto come relatore il primo documento parlamentare che affrontava organicamente la questione delle scorie nucleari, tenendo conto di inderogabili vincoli fisico-geologici e biologici, oltre che normativi, e predisponeva una strategia per la gestione dei rifiuti. Le linee essenziali del documento, approvato all'unanimita' nell'aprile 1999, venivano condivise dal Governo di allora con vari atti conseguenti. Quella strategia e' stata gravemente disattesa (purtroppo, vedi "Decreto Scanzano") nella successiva legislatura (2001-2006)"]

 

Indice del volume

Introduzione di Gianni Silvestrini; Premessa; Abrupt climate change. Introduzione: fenomenologia; I cambiamenti climatici; L'effetto serra; Il dibattito scientifico sul clima; Il nuovo paradigma; Dalla stabilita' all'instabilita' climatica. La causa "antropica"; L'iniziativa politica; La rivoluzione energetica; La storia passata. La vicenda nucleare italiana; Dopo Chernobyl; L'energia nucleare: elementi essenziali. Nuclidi e isotopi; Radioattivita' - radiazioni ionizzanti; Reazioni nucleari; Uranio naturale; Condizioni di criticita'. Moderatore; Arricchimento dell'uranio; Reattori autofertilizzanti. Reattori veloci; I reattori "provati"; Ritrattamento del combustibile; Lo smantellamento dei reattori; I rifiuti radioattivi; La questione della sicurezza; L'energia nucleare e' pulita? Introduzione; Il ciclo del combustibile nucleare: lavorazioni a rischio salute; Effetti biologici e rischi sanitari connessi con le radiazioni; Il "protocollo" Icrp; Tumori infantili e trasparenza delle istituzioni; Allora: quanto costa il kWh? Quale futuro per l'energia nucleare? La situazione; Una prospettiva di energia abbondante; I reattori innovativi; Generation IV; Proliferazione e terrorismo; Un'esperienza industriale in declino; Conclusioni: allora, che cosa fare? Se non il nucleare, che cosa?; La strategia comunitaria; Una prospettiva industriale di qualita'; Scelte alternative; Il club nucleare. Si fara' il nucleare in Italia?; Rivoluzione energetica e green economy. Il sol dell'avvenire?; La scelta per la sostenibilita'; Un libro nel libro. Sapere scientifico e movimento popolare: breve storia del movimento antinucleare italiano. La preparazione; Il comitato per il controllo delle scelte energetiche; Il movimento; Chernobyl, 26 aprile 1986; Postfazione di Marcello Cini; Riferimenti bibliografici.

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Da p. 7

Introduzione di Gianni Silvestrini

I destini delle rinnovabili e del nucleare si sono incrociati piu' volte nella storia italiana.

Dopo lo stop all'atomo seguito ai referendum del 1987 l'Italia ha perso un'occasione storica: cambiare radicalmente la propria strategia energetica puntando sul solare e l'eolico, tecnologie che iniziavano proprio allora ad affermarsi in diversi paesi, dalla California alla Danimarca, dal Giappone alla Germania. Se un paese con poche risorse fossili come il nostro avesse abbracciato questa scelta, oggi avremmo un'industria verde in grado di primeggiare nel mondo.

Ma ancora piu' grave e incomprensibile e' l'errore dell'ultimo governo Berlusconi. Proprio quando l'onda verde si stava espandendo in tutto il pianeta, con investimenti nella produzione elettrica da rinnovabili ormai superiori a quelli per gli impianti convenzionali, viene proposto un anacronistico ritorno al nucleare. Con il rischio di distrarre risorse economiche e intelligenze che sarebbero necessarie a recuperare il ritardo accumulato nella produzione di tecnologie solari ed eoliche. E tutto cio' per puntare su una scelta priva di prospettive che rischia di farci affondare nelle sabbie mobili di proteste locali, scontri istituzionali, querelles giuridiche... Ma torniamo alla rivoluzione energetica in atto per evidenziarne l'ampiezza.

Nel periodo 2004-2009, la potenza eolica e solare installata nel mondo e' stata 14 volte superiore alla nuova potenza nucleare. Tenendo presenti poi le variazioni nette nel quinquennio considerato, contando quindi anche gli impianti atomici chiusi definitivamente, il rapporto diventa di 43 a 1.

Se si concentra l'attenzione sull'Europa il cambiamento in atto emerge in tutta la sua evidenza: lo scorso anno il 63% della nuova potenza elettrica installata infatti era green, con l'eolico al primo posto, il gas al secondo, il fotovoltaico al terzo.

Analizzando infine gli scenari ufficiali al 2030 elaborati dalla Commissione europea nell'agosto 2010, si evidenzia una forte crescita della quota di elettricita' verde - dal 19 al 36% - e la contemporanea riduzione del nucleare dal 28 al 24%.

In questo quadro in forte movimento l'Italia negli ultimi anni e' riuscita a ribaltare la posizione di fanalino di coda nelle nuove rinnovabili. Nel 2009 e' risultata seconda al mondo per la potenza fotovoltaica installata e sesta per quella eolica. Con una politica intelligente, le nostre imprese potrebbero ritagliarsi uno spazio a livello internazionale nella componentistica degli aerogeneratori; in tecnologie avanzate come il solare a concentrazione, nell' Italian soler design per l'edilizia fotovoltaica. Il programma Industria 2015 lanciato dal precedente governo andava proprio in questa direzione ed e' un peccato che ora sia fatto languire.

La scelta del nucleare appare invece del tutto velleitaria e ideologica. Mancano completamente le strutture e le competenze che sarebbero necessarie per il suo rilancio. Basti dire che l'Agenzia per la sicurezza nucleare che doveva essere attiva dal novembre 2009, a causa dei conflitti interni al governo ha visto sbloccarsi la nomina di Umberto Veronesi a suo presidente solo nell'ottobre 2010.

Inoltre per avere qualche possibilita' di successo una tecnologia cosi' complessa e controversa dovrebbe contare su un certo grado di consenso tra la popolazione e le istituzioni locali. Ma i sondaggi indicano un'opinione pubblica spaccata mentre molte Regioni, anche di centro-destra, hanno apertamente manifestato il proprio dissenso. Del resto si riscontra una diffusa diffidenza anche all'estero. Secondo le ultime rilevazioni dell'Eurobarometro solo il 17% dei cittadini della Ue vorrebbe un aumento della produzione nucleare, mentre il 34% preferirebbe una riduzione del suo contributo. Inoltre il 50% degli europei considera il nucleare un'opzione rischiosa, mentre solo il 36% valuta questa soluzione come portatrice di benefici. In Italia queste ultime percentuali sono rispettivamente del 52 e del 22%.

Tornando alla scelta dell'opzione nucleare viene spontaneo chiedersi come ci si voglia lanciare in questa avventura se non si e' finora stati in grado di identificare un sito per i rifiuti a bassa e media radioattivita' (non parliamo di quelli la cui pericolosita' si estendera' per decine di migliaia di anni). Si tratta di una scelta etica di non poco conto. Lasceremmo alle generazioni future per le prossime centinaia e migliaia di anni un'eredita' velenosa. E il fatto che non ci sia un solo paese al mondo che, a oltre mezzo secolo dall'inizio del funzionamento di centrali nucleari, abbia realizzato un cimitero per le scorie ad alta radioattivita' la dice lunga sulla superficialita' con cui ci si e' lanciati nello sfruttamento dell'atomo.

Infine c'e' un elemento decisivo, quello economico, su cui va fatta chiarezza. Uno degli elementi che vengono sbandierati con maggiore forza e' la riduzione delle bollette che si otterrebbe grazie a questa tecnologia. Il messaggio che si vuole fare passare e' che l'obiettivo del governo (25% nucleare e 25% di rinnovabili al 2030) consentirebbe di eliminare l'attuale gap tra le tariffe elettriche italiane e quelle europee. "Prezzi dell'elettricita' europei e quindi piu' bassi del 25-30%", "Con il nucleare 11 miliardi di risparmi", questi alcuni titoli dei giornali.

E' evidente che per portare le nostre tariffe sui livelli europei, il 25% da fonte nucleare non dovrebbe costare niente; anzi dovrebbe avere un prezzo negativo, considerando che nella tariffa elettrica si conteggiano anche i costi di trasmissione e distribuzione, le tasse ecc. Il nucleare ha invece un costo, molto elevato e crescente. Le ultime stime dell' Energy Outlook 2010 elaborate dal governo Usa indicano per i nuovi reattori in funzione nel 2020 costi dell'elettricita' pari a 85 euro/MWh, superiori a quelli dell'eolico, del gas e del carbone. Usando questo valore, il nucleare porterebbe quindi a un aumento e non a una diminuzione delle nostre bollette. In realta' circolano stime anche piu' alte. Secondo la stessa Associazione italiana nucleare i costi per i reattori attualmente in progetto si collocano tra i 75 e 110 euro/MWh.

L'azione di disinformazione presso il grande pubblico passa spacciando con disinvoltura i costi di reattori ammortizzati da trent'anni che si riferiscono solo alle spese di funzionamento dell'impianto con quelli delle nuove centrali che hanno bisogno di enormi capitali per essere costruite.

In effetti, il tema degli economics e' proprio quello su cui e' necessario un corretto approfondimento. Una cosa poco nota, per esempio, e' che il nucleare, proprio per gli alti costi, ha sempre goduto di incentivi diretti o indiretti. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia gli aiuti per gli impianti esistenti nel mondo equivalgono a un terzo del costo dell'elettricita' nucleare prodotta. Il sostegno sara' ancora piu' importante per i nuovi reattori, piu' complessi e piu' costosi.

Un'altra verita' spesso sottaciuta che accomuna esperienze molto diverse tra loro come il nucleare francese e quello statunitense riguarda l'escalation dei costi. In Francia l'incremento a moneta costante tra i primi e gli ultimi impianti e' stato di 3,5 volte. E il reattore francese Epr in costruzione a Olkiluoto, con costi che sono lievitati dai previsti 3 miliardi euro a 5,3 miliardi euro, conferma questa tendenza.

Negli Usa la crescita fuori controllo dei costi e' stata ancora piu' incredibile, con un rapporto tra le prime centrali e le ultime di 1 a 6. Questa dinamica perversa ha portato al blocco negli ultimi 25 anni della realizzazione di nuove centrali e ha portato a quello che e' considerato il piu' grande disastro industriale della storia.

Questa paradossale learning curve che vede un aumento e non una diminuzione dei costi e' attribuibile al costante aumento della complessita' della tecnologia.

Si tratta di una tendenza opposta a quella delle tecnologie delle fonti rinnovabili che hanno visto una drastica riduzione dei costi nell'ultimo ventennio.

Gli scenari futuri vedranno dunque il confronto tra il nucleare, che prevedibilmente avra' sempre maggiori difficolta', e un mix di tecnologie verdi con costi decrescenti ed efficienze sempre piu' elevate.

In uno scenario nel quale i paesi industrializzati si devono attrezzare per ridurre dell'80% le emissioni climalteranti entro il 2050 queste dinamiche incideranno pesantemente nelle strategie da sviluppare.

Non stupisce dunque che nel corso del 2010 siano stati pubblicati diversi studi che fino a qualche tempo fa sarebbero stati considerati eretici: come soddisfare la domanda elettrica europea entro meta' secolo con le sole rinnovabili. Alcuni paesi si stanno peraltro gia' attrezzando con propri programmi a lungo termine. Cosi' la Germania punta a coprire l'80% della domanda elettrica al 2050 con le energie verdi, mentre la Danimarca intende diventare totalmente fossil free entro la meta' del secolo.

La tumultuosa crescita prevista per le rinnovabili evidenzia un altro elemento di potenziale conflitto con la presenza di centrali nucleari che per loro natura non sono modulabili e introducono quindi un forte elemento di rigidita' al sistema elettrico.

In effetti, la Danimarca non ha centrali atomiche, mentre Germania e Spagna puntano a una forte penetrazione delle tecnologie verdi e alla contemporanea progressiva uscita dal nucleare. La stessa Merkel ha si' approvato il prolungamento della vita delle centrali atomiche, ma ha definito questa opzione come "tecnologia di transizione".

Alla luce di queste considerazioni appare paradossale che un paese come il nostro, dotato di un potenziale enorme di fonti rinnovabili, punti a rientrare nel nucleare.

Basta analizzare qualche numero per comprendere la vacuita' dei programmi italiani. Nel Piano nazionale d'azione sulle rinnovabili inviato lo scorso luglio a Bruxelles si ipotizza una copertura del 29% della domanda elettrica con l'energia verde entro il 2020. Nel decennio successivo questa quota dovrebbe aumentare di 5-10 punti percentuali. Quindi al 2030 ci troveremmo con il 37-42% della domanda elettrica coperta dalle rinnovabili. Un valore ben superiore a quanto ipotizzato dal governo (25%). E' chiaro che il 25% di nucleare indicato dal governo Berlusconi si potrebbe ottenere o comprimendo fortemente la crescita delle rinnovabili o sottoutilizzando gli impianti termoelettrici esistenti.

In conclusione, la scelta del nucleare, che al suo annuncio aveva creato grandi aspettative tra gli industriali italiani come soluzione salvifica, e' destinata a dimostrare la sua dirompente carica conflittuale a ogni passaggio istituzionale, a ogni coinvolgimento dei territori. E se per caso la costruzione degli impianti riuscisse a fare qualche passo in avanti si evidenzierebbe come, al contrario di tutte le affermazioni ufficiali, sarebbero necessarie forti incentivazioni che determinerebbero un ulteriore conflitto con le rinnovabili. Del resto la campagna di stampa che sta montando nei confronti dell'eolico e del fotovoltaico sembra preludere a un attacco al sostegno economico a queste tecnologie per fare spazio alla new entry atomica.

Occorre dunque preparare un'accurata azione di controinformazione che consenta ai cittadini di avere elementi adeguati a contrastare la vasta campagna gia' annunciata dal governo per spiegare come il nucleare sia sicuro e poco costoso.

Questo libro, pubblicato da Edizioni Ambiente nell'ambito di una collaborazione con il Kyoto Club, consente di inquadrare l'inefficacia dell'opzione nucleare come risposta alla sfida climatica, di approfondire la base scientifica dello sfruttamento delle reazioni atomiche, di evidenziare i rischi sanitari connessi al funzionamento e alla gestione delle scorie e infine di ricordare il percorso del movimento antinucleare italiano che ha portato al referendum del 1987.

Gli autori sono Gianni Mattioli e Massimo Scalia, da piu' di trent'anni in prima fila nelle lotte antinucleari e nello sforzo di definire strategie energetiche alternative.

Gianni Silvestrini Direttore scientifico Kyoto Club

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Da p. 13

Premessa

Periodicamente si riapre in Italia il dibattito sulla possibilita' e sugli aspetti positivi del ricorso al contributo dell'energia nucleare, che fu cancellato nel 1990 come conseguenza del referendum che segui' all'incidente di Chernobyl.

Da tempo, ormai, entrano nel dibattito le grandi questioni dello sconvolgimento climatico e della geopolitica sanguinosa dell'energia e cosi' non mancano coloro che virtuosamente si stupiscono perche' non venga, proprio dal fronte di chi si preoccupa per la salute del pianeta, un ragionevole sostegno alle centrali nucleari.

Che poi, spesso, accesi sostenitori dell'atomo siano anche piuttosto scettici rispetto alla gravita' dello sconvolgimento climatico e alla responsabilita' antropica presente nelle sue cause attiene a un fenomeno culturale interessante, ancor piu' se si osserva che quasi sempre il carnet culturale misteriosamente si completa con il sostegno all'uso alimentare di organismi geneticamente modificati e con lo scetticismo sugli effetti sanitari dei cellulari o degli elettrodotti.

La tematica dei cambiamenti climatici e' una grande questione, una prospettiva drammatica non per un futuro lontano, ma nella quale siamo gia' dentro: quell'Abrupt Climate Change individuato, forse nel modo piu' chiaro e rigoroso, dal rapporto del 2002 del National Research Council degli Stati Uniti.

Bisogna in tempi drasticamente rapidi ridurre le emissioni di anidride carbonica e dunque cambiare il bilancio mondiale dell'energia, cosi' dominato dal ricorso ai combustibili fossili. La stessa perentoria indicazione proviene dall'avvicinarsi minaccioso del picco della curva di Hubbert, relativa all'andamento della produzione del petrolio, e successivamente si profila la situazione analoga per il gas, mentre, secondo le previsioni dell'International Energy Agency (Iea), i consumi di elettricita' sono destinati a raddoppiare o triplicare da qui al 2050.

Questa tematica comincia a entrare nelle motivazioni di quanti sostengono la necessita' di un "rinascimento nucleare" e noi non ci sottrarremo a queste motivazioni, anzi dedicheremo il capitolo 0 proprio al drammatico scenario dei cambiamenti climatici, per metterne in evidenza gli elementi essenziali e la necessita' di progettare un futuro energetico alternativo. Purtroppo pero' l'alternativa non passa attraverso l'energia nucleare, come questa si presenta oggi per la maturita' sin qui conseguita: senza un salto di ricerca fondamentale, di nuove conoscenze di fisica, il suo contributo appare molto limitato e apre problemi piu' gravi di quanti non ne risolva.

Di questo parleremo nelle pagine che seguono, ma vogliamo subito dare al lettore la misura della vacuita' dell'argomentazione "climatica" a sostegno del nucleare: se un impegno straordinario portasse al raddoppio delle centrali nucleari - con gli enormi problemi che esamineremo nei prossimi capitoli - la riduzione delle emissioni di CO2 non supererebbe il 5%.

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Da p. 61

1. La storia passata

1. 1. La vicenda nucleare italiana

"Solo l'Italia, unico tra i paesi dell'Occidente industrializzato, all'indomani dell'incidente di Chernobyl, effettuo', sotto la spinta della subalternita' della politica all'emotivita' di massa, la scelta sciagurata di bloccare il nucleare": questa sentenza non corrisponde alla realta' dei fatti e tuttavia e' stata cosi' ripetuta all'opinione pubblica da essere ormai considerata vera. E' forse utile, allora, partire con qualche racconto.

In realta', la vicenda nucleare si gioco' in Italia all'inizio degli anni '60, quando il nostro paese era tra quelli maggiormente impegnati in questo settore, così come nel settore delle grandi macchine di calcolo.

Non senza significato era stato il fatto che la firma nel 1957 del trattato che aveva sancito la nascita dell'Euratom, la Comunita' europea dell'energia atomica, fosse avvenuta proprio a Roma.

Ma, solo qualche anno dopo gli Usa, il grande paese amico e alleato, permisero si' la nascita del primo governo di centro-sinistra, ma una condizione non scritta fu che l'Italia abbandonasse velleita' importanti in ambedue i settori indicati. Cosi', l'Olivetti Grandi Macchine viene ceduta alla General Electric (Olge) e, in campo energetico, l'Italia diviene grande paese raffinatore di petrolio, uscendo dai primati che aveva nel campo nucleare, ma anche geotermico e idroelettrico.

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Da p. 64

1. 2. Dopo Chernobyl

A seguito di Chernobyl, il nucleare viene bloccato in tutti i paesi dell'Ocse: non si procedera' a nessun nuovo ordinativo di reattori - proprio come gia' si era verificato negli Usa, dove, come abbiamo visto, a partire dal 1978 non era stata commissionata nessuna nuova installazione e un centinaio di progetti erano stati accantonati. "L'impegno attuale in quel Paese - registra Guido Cosenza - per quanto riguarda gli impianti nucleari, e' quasi esclusivamente diretto a protrarre la vita degli apparati dai quarant'anni programmati a sessanta" (B.1.1).

La situazione di stallo nella realizzazione di nuovi impianti nei paesi Ocse dura a tutt'oggi, con la sola eccezione del Giappone. Austria (1978, referendum), Svezia (1980, referendum) e Spagna hanno chiuso i programmi nucleari prima dell'Italia e analoga scelta e' stata effettuata, piu' recentemente, dalla Germania, con la definizione della exit strategy dalla produzione di energia elettronucleare entro il 2020.

Dunque, questo blocco generale dello sviluppo dell'energia nucleare, che non parte nella modesta Italia, ma negli Stati Uniti e si estende poi agli altri paesi avanzati, e' la tappa di questa tecnologia, che si tende a cancellare nel dibattito disinformato. Eppure basterebbe confrontare la realta' attuale - alcune centinaia di reattori in tutto il mondo - con la prospettiva di migliaia di centrali che, sotto l'egida di "Atoms for Peace", si prometteva che avrebbero donato ai popoli della terra energia elettrica quasi gratis.

In realta', l'egida citata "Atoms for Peace" appare una vera provocazione quando si osserva (paragrafo 2.7) come nel corso del funzionamento di questi reattori si produce plutonio adatto alla utilizzazione militare che viene estratto con appropriate tecniche (paragrafo 2.9). C'erano, inoltre, i complessi e costosi impianti realizzati per l'arricchimento dell'uranio necessario per la fisica della bomba (paragrafo 2.6): cosa meglio che utilizzarli per effettuare la fabbricazione di un combustibile appropriato alla produzione di energia elettrica? E questo spiega come il maggior sviluppo del ricorso all'energia nucleare - con il massiccio coinvolgimento della ricerca e degli apparati industriali - si ritrovi nei paesi maggiormente impegnati nella realizzazione di armamenti nucleari - Usa, Francia, Russia - e si allarghi poi nelle reciproche aree di influenza geo-politica.

"La costruzione di reattori nucleari civili - ricorda Guido Cosenza - ha avuto un periodo iniziale di grande sviluppo che e' culminato nel 1989; a quella data risultavano in funzione 423 impianti. Da quel momento si e' pressoche' arrestata la costruzione di nuove centrali nucleari. Attualmente (anno 2007) ne risultano in funzione 439" (B.1.1).

In Europa l'unico reattore in costruzione da qualche anno e' Olkiluoto 3, in Finlandia - primo reattore commissionato nell'Europa Occidentale dal disastro di Chernobyl - ma, nonostante i forti sussidi finanziari ricevuti (prestito per 1,95 miliardi di euro a tasso agevolato dalla tedesca Bayerische Landesbank, garanzie sul prestito di 610 milioni dall'istituto francese Coface) e la sfida che voleva rappresentare, i tempi previsti per la consegna si sono allungati di oltre tre anni e i costi di costruzione sono aumentati del 70% (B.1.2).

Quanto alla Francia - esaurita la motivazione strategica della force de frappe - non ha proceduto al rinnovo degli impianti relativi al trattamento del combustibile, ha chiuso - come si chiarira' nel capitolo 2 - la sua filiera legata all'utilizzazione dell'uranio 238, mentre la realizzazione di un nuovo impianto Epr (european pressurized reactor) - un prototipo di terza generazione "avanzata" - sta incontrando difficolta' e ritardi, anche per gli interventi dell'autorita' di controllo per la sicurezza nucleare, del tutto analoghi a quelli che hanno fatto una pessima reclame al reattore finlandese.

L'Italia, dunque, fece nel 1988 (governo De Mita) quello che stavano facendo gli altri: non procedette piu' alla realizzazione di nuovi impianti. Si dira': avrebbe potuto portare a compimento Montalto di Castro. Orbene: l'uso dell'energia nucleare non e' solo il funzionamento dei reattori, ma sono necessari i servizi complessi e costosi del ciclo del combustibile (arricchimento, riprocessamento, scorie), per il passato commissionati, in parte, ad altri paesi. Con quale razionalita' si poteva dunque completare un reattore e per cio' doversi dotare dei servizi del ciclo?

Nelle mutate condizioni strategiche, come si e' detto, la Francia si ritrovava ora un programma nucleare sovradimensionato rispetto alla domanda di base (cioe' di flusso continuo di energia elettrica, cui si aggiunge in alcune ore della giornata, la cosiddetta domanda "di picco"). Anzi: esso esponeva lo stato a un grosso indebitamento. Da qui il corteggiamento all'Italia perche' le sue importazioni di energia elettrica avessero la caratteristica di forniture non interrompibili.

Va da se' che riconoscere ai kWh francesi questa caratteristica permetteva all'Italia di spuntare un prezzo piu' basso.

Ma quanto costa in realta' quel kWh?

Per dare una risposta a questo interrogativo, bisogna comprendere bene la complessita' di una centrale nucleare, anzi, piu' in generale la complessita' del ciclo del combustibile nucleare: alla base di questa complessita', sta, da una parte, la questione della radioattivita' e del suo impatto sanitario e ambientale e, dall'altra, la questione militare, il problema, cioe', della proliferazione degli armamenti atomici.

Per parlare di costo del kWh, dobbiamo dunque affrontare la problematica delle radiazioni, che spesso riesce a scomparire dal discorso sull'energia nucleare.

Alcuni richiami essenziali di merito sono tuttavia necessari per comprendere la problematica che vogliamo affrontare. Nel capitolo 2 si fara' cenno ad alcuni elementi di fisica nucleare; nel capitolo 3 si presentera' la questione dell'impatto sanitario della radioattivita', in condizione di funzionamento "normale" degli impianti e nel successivo capitolo 4 si fornira' una breve panoramica dei reattori nucleari "provati".

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Da p. 129

4. Allora: quanto costa il kWh nucleare?

Si perviene cosi' alla questione del costo del kWh nucleare, continuamente agitata nel dibattito italiano dai sostenitori dell'atomo, che indicano nella "sciagurata scelta referendaria" che segui' all'incidente di Chernobyl la causa del maggior costo dell'energia elettrica in Italia.

In realta', la questione "radiazioni" rappresenta, come abbiamo visto, un tale rischio sanitario da richiedere per questi impianti standard di qualita' molto piu' esigenti e percio' controlli piu' restrittivi. Tutto cio' si traduce non solo in costi molto elevati, ma anche in procedure che allungano i tempi introducendo costi ulteriori. Ma su tutto questo le esperienze effettuate permettono ormai una "statistica" di previsione dei costi o, quantomeno, come vedremo nel prossimo capitolo, una stima definita del rischio di esposizione finanziaria. Cio' che invece resta ancora difficile da precisare e' quanto incida sul costo del kWh la chiusura del ciclo del combustibile nucleare.

In realta', e' questo il punto piu' paradossale per effettuare valutazioni affidabili, poiche' per le altre fonti energetiche utilizzate per la produzione di elettricita' e' possibile assegnare il relativo costo del kWh.

Ecco, per esempio, le valutazioni proposte dal Cirps, un centro interuniversitario dedicato alla ricerca sulla sostenibilita' e particolarmente attento alle questioni energetiche, che ha sede nella Facolta' di Ingegneria de "La Sapienza" (2007): energia elettrica prodotta con carbone: 0,07 euro/kWh, se adottati i dispositivi di mitigazione del danno sanitario (non i dispositivi per la cattura della CO2, oggi non industrialmente maturi e affidabili); con olio combustibile: 0,05 euro/kWh; con gas naturale: 0,04 euro/kWh; con impianti miniidro: 0,04 euro/kWh, da fonte eolica: 0,03-0,05 euro/kWh.

Ma questa valutazione non e' oggi possibile per l'energia elettrica prodotta dalla fonte nucleare.

La risposta al problema dipende infatti dal grado di intervento dello Stato nella chiusura del ciclo del combustibile nucleare, che, come e' noto, ha rilevanti aspetti di natura militare (per esempio, la gestione del plutonio comunque prodotto negli attuali tipi di reattori) oppure presenta aspetti per i quali addirittura non si puo' parlare di tecnologie mature e commerciali, come nel caso della sistemazione delle scorie o dello smantellamento del reattore.

Lo smaltimento delle scorie, per esempio, come abbiamo visto al paragrafo 2.11.2, e' tuttora materia di ricerca fondamentale: l'obiettivo finale e', come si e' visto, quello dello stoccaggio in formazioni geologiche appropriate, caratterizzate da bassissima permeabilita' e situate in zone geologicamente stabili. Per paradossale che possa apparire, a mezzo secolo dall'inizio di questa attivita' industriale e con oltre 400 centrali in funzione, non c'e' un solo paese che abbia realizzato un sito per la sistemazione definitiva per le scorie di terza categoria. Due sono gli ordini di problemi: da una parte, come si e' detto, l'individuazione di un sito appropriato e, dall'altra, gli enormi costi per la messa a punto del deposito e per il successivo stoccaggio dei rifiuti. [...]

In ogni caso e' l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, a toglierci ogni dubbio su chi dovra' affrontare i costi del back end del nucleare ricordandoci che e' impossibile nell'Occidente la costruzione di impianti nucleari senza prezzi minimi garantiti e senza mettere lo smantellamento delle centrali e la gestione delle scorie a carico dello Stato (B.4.5).

In conclusione, nella composizione del costo del kWh nucleare alcune componenti sono decisamente opache, altre neanche definibili (i costi della ricerca fondamentale ancora aperta): esso potra' anche risultare meno costoso, ma non c'e' dubbio che si tratta di un prezzo politico dell'energia. In queste condizioni, e' priva di significato ogni ulteriore analisi del costo del kWh nucleare.

Quanti tuttavia hanno avanzato proiezioni di costo del kWh nucleare (per esempio Eia/Doe: "Annual Energy Outlook 2004 and Projections to 2025"; Mit: "The future of nuclear power", 2003; ed altri), che cercano di tener conto di elementi come il costo della gestione dei rifiuti radioattivi, pervengono comunque a stime dell'ordine dei 0,06-0,07 euro/kWh, da confrontare con i costi delle altre fonti, sopra esposti. Alla stessa stima - 0,08-0,11 dollari/kWh, tenendo conto del rapporto euro/dollaro - perviene un ampio studio piu' recente su tutto il nucleare; nella parte della valutazione economica da un lato si sottolinea come cruciale la questione dell'aleatorieta' finanziaria e dall'altro si ricorda che la differenza tra prezzo e costo e' tutta a carico del contribuente (B.4.6).

Un indicatore significativo del "costo vero" del kWh nucleare si puo' trarre dal confronto delle vicende americana e francese. Come abbiamo visto le imprese elettriche americane abbandonano il nuovo nucleare nel 1978, mentre l'atomo cresce ancora in Francia per oltre un decennio, nello stretto intreccio tra force de frappe e nucleare civile. [...]

Per tutti i motivi accennati si capira' come focalizzare la questione dei costi del nucleare sul costo del kWh e' fuorviante, non sara' davvero la sua sbandierata e non dimostrata economicita' a sostenere il rilancio del nucleare. Anzi, l'insistenza su questo tasto, non ingenua, sembra intesa a voler mettere in ombra il vero problema economico del nucleare: il finanziamento degli elevati capitali richiesti dagli investimenti e i tempi molto lunghi - oltre vent'anni - per il ritorno dei capitali investiti. Questi due fattori hanno causato negli Stati Uniti l'uscita, oltre trent'anni fa, del nucleare dal mercato dell'energia - li' per davvero libero -; e gia' nel 1985 la rivista "Forbes" (quella che fa ogni anno le classifiche dei piu' ricchi del mondo) aveva attribuito al nucleare la maglia nera del piu' grande fallimento commerciale di un'industria in quel paese.

E, tanto per restare negli Usa, l'Ufficio federale di statistica per l'energia lo valuta come il piu' costoso per gli impianti che entreranno in funzione nel 2020 (B.4.5).

Questi due fattori si ripresentano, immutati, al giorno d'oggi. Per un'analisi approfondita degli aspetti economici e finanziari si vedano B.4.6 e B.4.7; sul piano degli accadimenti concreti guardiamo l'Epr "Olkiluoto-3" in costruzione in Finlandia. E' stato finanziato con un prestito di 1,95 miliardi di euro dalla Bayerische Landesbank e di 610 milioni di euro dalla francese Coface, con tassi ultra agevolati; altri finanziamenti dalle industrie finlandesi tramite un patto costruttori - grandi utenti di energia elettrica, che riserverebbe a quest'ultimi tariffe immutate per vent'anni (se l'autorita' Ue per la libera concorrenza non avra' da ridire). Sta viaggiando con tre anni e passa di ritardo e un extra costo del 70% rispetto a quello preventivato di 3,2 miliardi di euro; al punto di indurre Areva e Siemens, le due aziende impegnate nella realizzazione, a entrare in causa con l'ente elettrico finlandese nel tentativo di scaricare su di esso una parte dei maggiori costi. Allungamento dei tempi, aumento dei costi: e' la litania del nucleare. Un allungamento determinato, per esempio, dall'agenzia di controllo finlandese Stuk, che, tra le altre cose, ha respinto il vessel fatto costruire in India perche' non rispettava le specifiche garantite dal progetto. E separazione di fatto tra le due societa' proponenti: la Siemens infatti ha ceduto il suo 34% all'inizio del 2009 (B.4.8) per seguire il richiamo fascinoso di Putin; forse in Russia, in un mercato mondiale sempre piu' asfittico (capitolo 6) ci sara' qualche chiodo, nucleare, da battere.

Ma quanto costa allora l'Epr-1600 che il governo italiano vorrebbe imporre, e' il caso di dirlo (capitolo 6), nel nostro paese?

Dalla forcella iniziale - 2,8-3,4 milioni di euro - la sarabanda dei costi e' levitata sopra i 4 milioni per megawatt. Ma anche questa, come tutte le cifre fornite dall'Enel, e' al ribasso. La verita' e' apparsa senza veli nel luglio 2009, quando il governo canadese ha indetto una gara per nuove centrali nucleari. Areva offre il suo Epr a 7,4 milioni di dollari a megawatt, cioe' circa cinque milioni di euro, al netto di eventuali sovra costi causati dall'allungamento dei tempi; il governo canadese rinuncia. Con l'occhio all'intesa Sarkozy-Berlusconi, quella cifra vuol dire che i quattro reattori dell'accordo (6.400 megawatt) verrebbero a costare a oggi oltre 32 miliardi di euro.

Non un euro di piu', sia ben chiaro, nell'Italia dove lo stesso numero di chilometri della Tav e' costato quattro volte di piu' che in Francia.

E mentre l'Enel ancora ci tranquillizzava a gennaio 2010 affermando che un Epr non sarebbe costato piu' di 4,5 miliardi di euro, Areva aveva gia' perso nel dicembre 2009 un'altra gara d'appalto ad Abu Dhabi, dove aveva offerto quattro Epr a 6,5 miliardi di euro l'uno. E la sconfitta non era stata determinata solo dal prezzo, ma dalla brutta figura di 0lkiluoto. Nubi nere si addensano addirittura dall'Eliseo su Areva, sempre meno credibile come protagonista del rilancio nucleare, tranne che per Berlusconi e sodali.

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Da p. 147

Guardando poi, magari un po' provincialmente ma non troppo, agli Epr da 1.600 MW che il governo Berlusconi ha promesso agli italiani - e, sotto la sferza di Enel, EdF e Areva, si e' mosso con celere impegno per fornire il quadro normativo per farle, le centrali -, che dire dei loro aspetti di sicurezza?

Le tre agenzie europee per la sicurezza nucleare, la britannica Hse'sNd, la finlandese Stuk e la stessa agenzia francese Asn sottolinearono, addirittura in un comunicato congiunto del novembre 2009 - fatto del tutto inusuale -, l'inadeguatezza in condizioni incidentali del software dell'Epr di Areva. E la Nrc, l'ente che si occupa di sicurezza nucleare negli Stati Uniti, non ha licenziato ne' l'Epr ne' l'Ap-1000 della Westinghouse (altro reattore di generazione III+ che si e' gia' affacciato nel nostro paese). Ma questo, si dira', attiene alle normali cautele che presiedono a tutte le procedure del licensing da parte delle autorita' di controllo. Senza dubbio, ma evidenzia, dove mai ce ne fosse bisogno, che queste cautele sono particolari perche' si sta parlando di prototipi industriali: a tutto il 2010, a trent'anni da Three Mile Island, non c'e' in funzione nel mondo un solo reattore Epr o Ap-1000!

Nel marzo 2010 poi, il Reseau "Sortir du nucleaire", entrato in possesso di alcuni documenti confidenziali dell'EdF, li fa analizzare da un gruppo di esperti e produce un rapporto che sottolinea un grave rischio di malfunzionamento dell'Epr, a causa del volerne legare la progettazione a precisi aspetti di calcolo economico: modulare la potenza del reattore sulla richiesta in rete per ottimizzare la vendita del kWh.

Quale lo scenario incidentale ipotizzato, del quale l'autorita' di sicurezza, la Asn, e' stata volutamente tenuta all'oscuro? "Secondo i calcoli di Edf e di Areva - recita il rapporto di 'Sortir du nucleaire' - il controllo del reattore in modo Rip (ritorno istantaneo di potenza) e la disposizione dei cluster di comando del reattore possono causare un incidente d'espulsione dei cluster stessi a debole potenza e comportare la rottura dell'involucro del meccanismo di comando di questi... Dopo le espulsioni dei cluster di comando a debole potenza (Edg), il reattore Epr potrebbe non mettersi in 'arresto automatico'". La descrizione dell'ipotetico incidente non e' chiarissima, solo un po' meglio quella fornita da Greenpeace. Cerchiamo di capire. Innanzi tutto il sistema definito "cluster di comando" e' costituito da aste che comandano le barre di controllo, passando in canali che attraversano la parte superiore del contenitore del vessel (vedi lo schema di un Pwr al paragrafo 2.8.1). Perche' queste aste potrebbero essere espulse a seguito di una ripresa istantanea di potenza, generando una situazione incontrollabile che darebbe il via a un incidente dagli esiti disastrosi? Per governare la reazione a catena, oltre alle barre di controllo, si usa l'acido borico presente nell'acqua del vessel. L'acido, che e' fortemente corrosivo, puo' attaccare i canali in cui scorrono le aste ed eroderli: allora, in corrispondenza a un Rip, la pressione presente nella parte superiore del contenitore del vessel (circa 150 atm) puo' espellere le aste, in modo incontrollato a causa dell'erosione subita dai canali, danneggiare tutto il sistema di controllo della reazione e compromettere lo stesso arresto automatico del reattore (che richiede appunto un sistema di controllo efficiente).

Perche' EdF e Areva, avendo individuato un albero incidentale che porta a un incidente "severo" o addirittura incontrollabile, e consapevoli di non essere riusciti a trovare una soluzione ai rischi possibili nella modalita' di funzionamento Rip, non ne informano, come sono tenuti a fare, l'autorita' di controllo? Questione di soldi, sostiene il Reseau. Infatti, la caratteristica progettuale dell'Epr di adattare la potenza istantanea del reattore alla richiesta in rete - che, seppur regolata da prescrizioni, e' la maggior indiziata per i rischi di questo tipo - sembrerebbe avere motivazioni di carattere strettamente economico: il differenziale tra gli attuali costi dell'elettricita' di base in Francia e quelli stimati a causa dell'aumento dei costi del reattore - 0,55 euro/kWh, ma Citigroup prevede gia' 0,65-0,70 euro/kWh - comporta per il tornaconto economico l'utilizzo di una potenza variabile che consenta la produzione per i picchi della richiesta elettrica, quando il kWh costa assai di piu' di quello di base. Non e' improprio rilevare che l'inizio dell'incidente catastrofico di un reattore ben diverso, quello di Chernobyl, fu proprio quella ripresa rapida di potenza, che era una delle caratteristiche di progetto dei Rbmk-1000.

La denuncia del Reseau evidenzia che l'Epr-1600 e' stato progettato - per motivi primariamente economici, sostiene il Reseau - in barba alla sicurezza, attenuando o rinunciando a quell'aspetto passivo che caratterizza i "vecchi" Lwr: quando il nocciolo del reattore si surriscalda la reazione a catena decresce e, conseguentemente, il calore prodotto e la potenza erogata (paragrafo 2.12.2).

E sorge naturale l'osservazione che la promozione dell'Epr avviene in assenza dei gia' citati risk assessment (paragrafo 2.12.3). Su quei rapporti ci fu molto interesse e un esteso dibattito: non parliamone neanche del dibattito, ma almeno dov'e' l'analogo rapporto di sicurezza per la generazione III+? In definitiva, i reattori III+ che vengono oggi proposti hanno il sapore di una tardiva risposta - trent'anni! - alle carenze progettuali alla base dell'incidente di Tmi. E la valutazione sul percorso degli "insegnamenti di Harrisburg" ha questo elemento centrale: si e' proceduto non lungo la strada della sicurezza intrinseca, mai in effetti praticata, ma con miglioramenti puramente ingegneristici, dai quali non ci si puo' aspettare piu' di tanto. Con questo ribadiamo che pompe, valvole, vasche di smaltimento della sovrappressione, moltiplicazione e autonomia dei sistemi di raffreddamento per l'emergenza, piattaforme per il contenimento e il raffreddamento di materiale fissile fuoriuscito dal vessel in caso di parziale fusione del nocciolo, computerizzazione del controllo e via elencando sono gli elementi di una doverosa sicurezza attiva, che affida pero' alle macchine o all'uomo, e non alla fisica del reattore, gli interventi per l'arresto dell'operativita' in caso di incidente.

"I miglioramenti sono marginali, non vanno a intaccare il cuore del problema", afferma Carlo Rubbia (B.5.9) e aggiunge: "Noi stiamo parlando di una tecnologia che risale agli anni '60, ai tempi dei primi sottomarini nucleari. Ma veramente vogliamo tenerla in vita fino al 2050, quando avra' quasi un secolo di storia sulle spalle?".

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5. 6. Un'esperienza industriale in declino

Abbondanza della risorsa, compatibilita' ambientale, basso costo, risoluzione di tutte le questioni aperte continuano a essere solennemente affermati in tante occasioni di informazione sull'energia nucleare rese all'opinione pubblica dalla stampa e dalla televisione per sostenerne il rilancio. L'inconsistenza di questi elementi fa dichiarare al Premio Nobel Carlo Rubbia, nel corso della sua audizione in Senato del 21 febbraio 2007: "Hiroshima, Chernobyl e le scorie radioattive. Questi tre aspetti, a mio avviso, scoraggiano la costruzione di impianti per la produzione di energia che si basi sulle attuali tecnologie nucleari". Dunque proliferazione, sicurezza e scorie: in altra sede, poi, Rubbia esprimera', come abbiamo gia' riportato, il suo scetticismo anche nei confronti dei progetti di Generation IV. La vicenda dell'energia nucleare e' in primo luogo una vicenda militare: i reattori per la produzione di energia elettrica, sia pure presentati come Atoms for peace, permettevano, come si e' visto, di produrre le grandi quantita' di plutonio per armare le testate e, in secondo luogo, per ridurre la spesa militare con la vendita dell'energia elettrica. Non si tratta di una tecnologia pensata per il tempo delle opere tranquille, ma per il tempo della guerra e si comprende allora perche' la principale preoccupazione non sia davvero la sistemazione delle scorie o i rilasci di radiazioni. Possiamo anche dimenticare la guerra e fare ogni sforzo di ricerca per utilizzare una fonte energetica di cosi' alta densita'. Ma bisogna essere consapevoli che addomesticare per usi civili una tecnologia nata con tutt'altre finalita' possa richiedere molta ricerca e molto tempo.

E la riprova viene dalla marginalita' del nucleare nel contesto delle fonti primarie, ancor di piu' dal punto di vista dei consumi finali (paragrafo 5.2). Ma, allora, marginale anche nel combattere l'effetto serra: pochi percento di riduzione della CO2 richiederebbero un raddoppio dell'attuale potenza elettronucleare entro vent'anni, raddoppio del quale pero' non c'e' nessuna traccia nelle decisioni concrete.

Certo, gli "ordinativi" (di nuove centrali atomiche) non si negano a nessuno; e vivono la loro vita, per la maggior parte virtuale, in modo che i sacerdoti dell'atomo possano salmodiare che entro il 2020 saranno aperti 200 nuovi cantieri - santo cielo, ci sono gli "ordinativi"! -, dimentichi che i 160.000 MW di ordinativi, con i quali all'alba del giorno dopo la prima crisi energetica (1973) la sola Cee riempiva i "portafogli" dell'elettromeccanica nucleare mondiale, solo cinque anni dopo si erano piu' che dimezzati. E una seria documentazione analitica, svelando un nucleare ai minimi storici, conferma quanto sia virtuale non solo l'ordinativo, ma, addirittura, la stessa lista Iaea dei reattori classificati "in costruzione".

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Da p. 171

6. Conclusioni: allora, che cosa fare?

6. 1. Se non il nucleare, che cosa?

E' la domanda che si fa avanti in tanti dibattiti. Speriamo, ormai alla fine di questo libro, che sia chiaro come sia una domanda mal posta: guarda infatti al 2% e non al 98% dei consumi finali.

Non ci possiamo oggi aspettare dalla fissione nucleare la risposta alle scelte urgenti che siamo chiamati a effettuare in tema di energia e sconvolgimento climatico.

In queste condizioni, possiamo chiederci quale significato possa avere per l'Italia concentrare uno sforzo rilevantissimo - alternativo ad altre possibili scelte - per rientrare in un settore in declino per il quale sappiamo:

- che utilizza come combustibile una risorsa scarsa e percio' destinata a divenire sempre piu' costosa e oggetto di competizione internazionale, da acquisire comunque sul mercato estero;

- che utilizza una tecnologia complessa per fronteggiare, non completamente, gravi rischi sanitari, non solo in condizioni incidentali, ma anche nel semplice funzionamento di routine;

- che non ha risolto il problema della chiusura in sicurezza del ciclo del combustibile e dunque, pur potendo garantire pochi anni di disponibilita', aprirebbe per il futuro problemi irrisolti e gravi;

- che annuncia costi di produzione del kWh elettrico difficilmente definibili (smantellamento, scorie), comunque più elevati - gia' attualmente o in un prevedibile futuro - rispetto ad altre fonti energetiche pulite e rinnovabili.

Ma allora, che cosa fare di fronte allo scenario sempre piu' preoccupante dei cambiamenti climatici e sempre piu' sanguinoso della geopolitica dell'energia? Quale strategia per l'Italia?

6. 2. La strategia comunitaria

L'Unione europea ha deciso un'altra alternativa, con vincoli precisi gia' per il 2020: 20% di riduzione della CO2, 20% di risparmio sui consumi finali e, sui consumi restanti, 20% di fonti pulite e rinnovabili, ridotte per l'Italia al 17%, forse in omaggio alla strenua (e squalificante) opposizione fatta dal governo Berlusconi alla definizione della decisione comunitaria. E' realistica questa alternativa?

Riportiamo qui le conclusioni che si ricavano da un'ampia analisi della letteratura (B.0.8): "Considerando le tendenze dei prossimi anni, in valori assoluti, le nuove installazioni solari ed eoliche supereranno nettamente l'incremento di potenza nucleare installata.

Naturalmente, a parita' di potenza, l'elettricita' generata e' 2-7 volte superiore per il nucleare. Malgrado cio', analizzando la produzione nel periodo 2008-12, il nuovo eolico dovrebbe generare una quantita' di elettricita' pari a due volte e mezzo quella del nuovo nucleare mentre l'elettricita' dal fotovoltaico dovrebbe raggiungere un quarto di quella prodotta dalle nuove centrali atomiche. Considerando poi che nel 2008 e nel 2009 e' prevista la chiusura di 11 centrali nucleari, nel periodo 2008-12 la produzione addizionale di elettricita' eolica e solare, e quindi il contributo alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti di queste tecnologie, dovrebbe essere almeno 4 volte superiore rispetto al contributo netto del nucleare... Un recente rapporto del Department of Energy (Usa - Doe 2008) analizza la possibilita' che il vento possa soddisfare con 300 GW il 20% della domanda statunitense nel 2030, una percentuale analoga all'attuale contributo del nucleare. Passando al fotovoltaico, le industrie del settore stimano una potenza di 1.270 GW al 2030, che consentirebbe di coprire il 6-9% della domanda mondiale".

La strada su cui procedere e' dunque quella a cui ci impegna la strategia decisa in sede europea.

Si tratta di obiettivi, dal punto di vista quantitativo, assai piu' rilevanti del programma nucleare del governo, il quale, con l'accordo Sarkozy-Berlusconi, prevede di coprire col nucleare il 2% dei consumi totali con una spesa di oltre 30 miliardi di euro, a carico dei cittadini!

Un governo che addirittura bara quando programma di coprire il 25% dei consumi elettrici con le fonti rinnovabili: il 25% sembra infatti piu' grande del 20% europeo, che pero' si riferisce ai consumi totali. Il conto e' presto fatto. Poiche' i consumi elettrici italiani sono un po' piu' del 20% dei consumi totali, il governo sta programmando di coprire con le fonti rinnovabili poco piu' del 5% (il 25%, cioe' un quarto di venti), diciamo pure il 6% dei consumi totali. La differenza tra questo 6% e il 17%, l'obbligo vincolante per l'Italia, sara' pagata dai contribuenti italiani sulla bolletta energetica.

Con gli impegni europei, si tratta invece, come si e' detto, di sostituire i combustibili fossili con risparmio e fonti rinnovabili per circa il 40% dei consumi complessivi.

In questa sede non entriamo nel dettaglio delle tecnologie per l'uso piu' efficiente dell'energia e per l'impiego delle fonti pulite, alternative ai combustibili fossili. Bastera' qui osservare come l'obiettivo definito dall'Unione europea poggia la sua coerenza sul decollo accelerato di queste tecnologie che si registra ormai in molti paesi e che e' nei programmi annunciati da Obama, ma anche dalla Cina.

Si va:

- dai parchi eolici, ai pannelli solari termici per l'acqua calda, ai pannelli fotovoltaici per l'elettricita';

- al ricorso al solare termodinamico collegato con l'immagazzinamento del calore ad alta temperatura in serbatoi salini ad alta capacita' termica;

- alla pluralita' degli interventi che si possono realizzare nel comparto dell'edilizia. A partire dalla riqualificazione energetica degli edifici, che nel solo settore pubblico e' in grado, come mostra lo studio ad hoc di Enea presentato nel febbraio 2009, di consentire oltre al risparmio energetico un ritorno economico di 19 miliardi di euro, piu' 14 di valore aggiunto per le modifiche apportate e 150.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di 8,2 miliardi di euro di investimento. Altro che "piano casa" di Berlusconi!

- agli interventi di adeguamento delle reti di trasporto per servire persone e merci con sistemi e tecnologie a minore impatto ambientale: non si tratta dunque soltanto di produzioni materiali, seppure altamente tecnologiche, come i veicoli ibridi ed elettrici alimentati da nuovi carburanti e da celle a combustibile, o le microcentrali eoliche o solari per fornire idrogeno, ma anche di sistemi operativi e informatici ad altissima sofisticazione, dedicati alla riduzione del traffico, alla gestione del car sharing e car pooling, alla riorganizzazione dei sistemi di trasporto nella produzione e commercializzazione delle merci per risparmiare mobilita';

- ai progetti per la produzione di idrogeno con l'impiego del sole, del vento e la utilizzazione di questo con le celle a combustibile e nei motori;

- a tutti gli impieghi termici alimentati da fonti rinnovabili (oltre che solare, geotermia, biomasse; B.6.1).

 

2. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

3. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 490 del 10 marzo 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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