Nonviolenza. Femminile plurale. 288



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 288 del 7 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Antonella Litta: Questo otto marzo

2. Norma Bertullacelli: Indignata

3. Nicoletta Crocella: Otto marzo 2011: ancora cento anni?

4. Maria G. Di Rienzo: La guerra contro le donne in Sudan

5. Gabriella Falcicchio: Questo otto marzo

6. Paola Pisterzi: Questo otto marzo

7. Lilia Sebastiani: Questo otto marzo

8. Assunta Signorelli: Questo otto marzo

9. Elvira Zaccagnino: Questo otto marzo

 

1. EDITORIALE. ANTONELLA LITTA: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Antonella Litta (per contatti: antonella.litta at gmail.com) per questo intervento.

Antonella Litta svolge l'attivita' di medico di medicina generale a Nepi. E' specialista in Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11, pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia) e per questa associazione e' responsabile e coordinatrice nazionale del gruppo di studio su "Trasporto aereo come fattore d'inquinamento ambientale e danno alla salute". E' referente per l'Ordine dei medici di Viterbo per l'iniziativa congiunta Fnomceo-Isde "Tutela del diritto individuale e collettivo alla salute e ad un ambiente salubre". Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente. E' la portavoce del Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti. Come rappresentante dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (Isde-Italia) ha promosso una rilevante iniziativa per il risanamento delle acque del lago di Vico e in difesa della salute della popolazione dei comuni circumlacuali. E' oggi in Italia figura di riferimento nella denuncia della presenza dell'arsenico nelle acque destinate a consumo umano, e nella proposta di iniziative specifiche e adeguate da parte delle istituzioni per la dearsenificazione delle acque e la difesa della salute della popolazione]

 

In generale non amo molto le ricorrenze e quindi preferisco ricordare l'otto marzo non con il termine festa che mi suona un po' superficiale e beffardo ma con quello di "giornata delle donne".

Rispetto a questa giornata provo sentimenti contrastanti: l'orgoglio di una celebrazione che diventa riflessione e nuova spinta per l'affermazione dei diritti di tutte le persone, e quindi soprattutto delle donne che ovunque e da sempre ne sono private, insieme alla amara disillusione che i traguardi raggiunti in campo sociale, economico e del diritto di famiglia si stiano sempre piu' e nuovamente allontanando fino a scomparire nel silenzio e nell'indifferenza, spesso inconsapevole, di tante donne tra noi, spesso le piu' giovani, anche se la bella manifestazione nazionale del 13 febbraio ha rinnovato in me speranza e fiducia.

E allora ripercorro gli anni della mia vita attraverso il volto e le storie di tante donne a cominciare naturalmente dal primo: quello di mia madre. E trovo in questi volti tratti comuni: la bellezza, gli occhi intelligenti, la capacita' di ascolto, il bene e l'amore gratuito e accogliente ma anche le lacrime e il dolore per una vita troppo spesso non pienamente vissuta perche' a volte privata della possibilita' di scelta, della possibilita' di decidere che lavoro fare, cosa studiare, chi amare, chi sposare, se avere o non avere figli e quanti. Una vita sottoposta alle regole scritte dai maschi in societa' e comunita' dominate dal potere degli uomini tanto da imporre anche alle donne modelli di comportamento maschile per riuscire ad affermarsi ed essere accettare.

Era ieri ed e' oggi.

Oggi la brutalita' del potere maschile s'incarna ancora di piu' nell'imposizione di un modello economico sempre piu' ottuso e aggressivo che riduce tutti, e prima le donne e i bambini, a merce, forza lavoro, passatempo erotico, umani pezzi di ricambio. Questo modello economico trova supporto in una concezione culturale diffusa ed arcaica in cui la donna e' considerata inferiore all'uomo e per questo a lui soggetta; la stessa concezione che porta a ritenere l'ambiente e le sue risorse solo un patrimonio da poter sfruttare e stravolgere, sottoposto alla bramosia scellerata e al dominio della sola specie umana.

Nella giornata dell'otto marzo, quindi, la rivendicazione dei diritti e della dignita' delle donne e', e deve essere sempre di piu', una rivendicazione dei diritti per tutti gli esseri umani e anche per i diritti della natura e dell'ambiente intesi come rispetto della sua  fisiologia, biodiversita', biodinamica, bellezza e del sempre piu' fragile equilibrio tra tutte le specie.

Oggi poi nessuna riflessione sul significato di questa ricorrenza puo' inoltre prescindere dalla questione migrazione. Ogni fenomeno migratorio soprattutto quelli definiti di massa nascono da tanti e fondamentali diritti negati: diritto alla vita inteso nel senso piu' semplice: quello di non morire di fame e di sete, diritto al lavoro, diritto a vivere in pace, diritto ad una vita dignitosa, diritto al riconoscimento di eguaglianza nella differenza tra uomini e donne.

Nel mio lavoro di medico ho incontrato ed incontro tanti migranti, uomini, donne e bambini.

Le donne spesso piu' silenziose, a volte accompagnate dagli uomini, a volte da sole, a volte con bambini piccolissimi. La prima cosa che cerco e mi sforzo di fare e' far percepire loro un atteggiamento di accoglienza e ascolto. E cosi' ho ascoltato e ascolto tante storie che ci chiedono un sempre piu' forte impegno per la pace e la giustizia come premessa indispensabile di ogni altro impegno e rivendicazione.

Che sia l'otto marzo una occasione di riflessione, di rinnovati impegni e quindi di vera festa.

 

2. RIFLESSIONE. NORMA BERTULLACELLI: INDIGNATA

[Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it) per averci messo a disposizione il testo del suo intervento alla manifestazione per la dignita' delle donne del 13 febbraio.

Per un sintetico profilo di Norma Bertullacelli dall'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 245 riprendiamo la seguente notizia biografica: "Sono nata nel 1952, sono figlia di un operaio metalmeccanico e di una casalinga. Sono stata la prima persona della mia famiglia a conseguire un diploma di scuola superiore. Se potessi usare solo una parola per definire me stessa, direi che sono un'insegnante: non ho mai fatto altro, e non saprei fare nient'altro. Amo e credo nel mio lavoro, anche se dare un'occhiata veloce intorno dovrebbe bastare a farmi cambiare idea. Sono contenta che questa vostra domanda mi inviti a ripercorrere la mia storia di pacifista, antimilitarista e nonviolenta, e vado ad elencare. Nel 1970 e nel 1971 ho partecipato alla marcia antimilitarista Trieste-Aviano. Non riesco ad immaginare niente di piu' eterogeneo: dai radicali agli obiettori di coscienza; da Lotta Continua al Movimento Nonviolento di Pietro Pinna. Pero' fu una tappa fondamentale nella mia vita. Negli anni successivi ho contribuito a fondare a Genova il Movimento Nonviolento, che faceva soprattutto attivita' di promozione dell'obiezione di coscienza e per il suo riconoscimento come diritto. Prima uscita a Genova: una contestazione all'alzabandiera del 4 novembre 1971. Fino al 1989 si svolgeva a Genova ogni due anni la Mostra Navale, che noi ribattezzammo Mostra Navale Bellica, e cosi' viene tuttora definita. Si trattava dell'esposizione del "meglio" dell'industria militare italiana. La prima volta che tentammo un'azione di contestazione ci sedemmo in due davanti ai cancelli, e le auto degli espositori e della polizia ci aggirarono senza nemmeno prenderci in considerazione. All'ultima edizione, quella del 1989 eravamo migliaia: e la Fiera del mare non ospito' piu' la mostra e la "Rivista Militare Italiana" scrisse che Genova "non la meritava". Non ci illudiamo di aver risolto il problema del commercio delle armi, ma credo che si sia trattato di esperienze significative. Nel 1983 partecipai ai blocchi dei cancelli della base di Comiso: la polizia carico' con la stessa violenza che avremmo rivisto al G8 di Genova, ma non furono poche le persone che resistettero alla carica sedute al proprio posto davanti ai cancelli della base. Nel 1999 arrivo', inaspettato, l'annuncio che Genova sarebbe stata la sede del g8, e cominciammo a darci da fare. Un'esperienza tragica, sotto molti punti di vista. Innanzitutto l'assassinio di Carlo Giuliani, che ancora aspetta verita' e giustizia. Grandi rimpianti e riflessioni autocritiche nel nostro gruppo pacifista: fummo i primi a mobilitarci e ad organizzarci ( la prima assemblea contro il g8 porta la data del 13 dicembre '99 e si svolse nella nostra sede), ma non riuscimmo a far sentire la nostra voce  quando le "grosse organizzazioni"  diventarono maggioritarie nel Genoa Social Forum. E questo avvenne nonostante il fatto che la nostra proposta ed il gruppo che mettemmo in piedi, la Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti, avesse ottenuto sostegni autorevoli, da Samir Amin a padre Zanotelli, da George Houtart a Jose' Bove'. Ci piace pero' ricordare che in quella "carta di intenti" era esplicito e condiviso il riferimento alla nonviolenza. La nostra proposta di assedio pacifico degli otto (circondiamo i cancelli, le gabbie e le transenne, e non ci muoviamo di li') ottenne scarsa attenzione: la maggio parte preferi' il corteo "militante" dei centri sociali o le "piazze tematiche" lontano dalla zona rossa. Da quasi dieci anni partecipo all'"ora in silenzio per la pace": presenza ogni mercoledi' dalle 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale di Genova (scelto non a caso: fu il palazzo dove si svolse il g8) contro tutte le guerre, in particolare quelle che coinvolgono l'Italia in modo diretto. Siamo arrivati/e alla 422sima ora: i volantini che abbiamo distribuito possono essere letti su www.orainsilenzioperlapace.org Perdonate l'immodestia, ma, visto che lo avete chiesto, cito anche le mie ("ben") tre pubblicazioni: due ricerche sulla didattica della fisica sulla rivista della Societa' Italiana di Fisica; ed una ricerca sui risultati scolastici nelle scuole medie superiori che dimostra che nelle classi piu' numerose e' piu' probabile essere bocciati ( per lo meno, lo era nel 1990...)"]

 

Sono indignata per le balle che il presidente del consiglio ha raccontato sulla nipote di Mubarak: ma lo sono di piu' per gli altri  migranti, quelli sui barconi, respinti verso la morte o rinchiusi nei lager oggi chiamati Cie.

Sono indignata perche' Nicole Minetti fa la consigliera regionale: ma lo sono di piu' per un sistema elettorale che consente a pochi di decidere chi rappresentera' molti nelle istituzioni.

Sono indignata perche' Berlusconi paga diecimila euro una prostituta, che e' una persona che io rispetto; ma lo sono di piu' perche' tutte le forze politiche, di destra e di sinistra,  presenti in parlamento hanno trovato quattrocentodieci milioni di euro per continuare ad uccidere innocenti in Afghanistan.

E spero che la prossima manifestazione cosi' partecipata sia di giorno feriale, ad oltranza, e non si sciolga fino alle dimissioni di questo governo.

Si chiama sciopero generale.

 

3. RIFLESSIONE. NICOLETTA CROCELLA: OTTO MARZO 2011: ANCORA CENTO ANNI?
[Ringraziamo Nicoletta Crocella (per contatti: stellecadenti at tiscali.it) per questo intervento.

Per un profilo di Nicoletta Crocella dall'ampia intervista in "Coi piedi per terra" n. 296 del 18 luglio 2010 riprendiamo la seguente breve notizia autobiografica: "Sono una donna adulta, ho 66 anni, sono responsabile dell'editoria per l'associazione Stelle Cadenti, ho fatto l'assistente sociale e la formatrice, da sempre scrivo, ho allevato bambini, amato uomini, coltivato amicizie, abbandonato storie che mi costringevano, incontrato altre persone. Ho partecipato a gruppi femministi, ecologisti, persino politici, oggi partecipo alle cose in cui credo, mi impegno con la scrittura e la comunicazione, nella relazione con i vicini, con bambini ed anziani, cani e gatti. Ho una particolare attenzione alla condizione della donna, la violenza sulle donne e' la rappresentazione di un mondo violento, della prevaricazione, del potere dell'uno sull'altra, ed alla condizione dei popoli oppressi. Particolare amore per la causa palestinese perche' la Palestina e' una ferita nel Mediterraneo, e' il capro espiatorio di nostre colpe passate, e' la dimostrazione di come un intero popolo possa divenire ostaggio, non considerato come composto di esseri umani, ma condannato in blocco ad una stenta sopravvivenza, per la nostra pretesa sicurezza. E per parlare di sicurezza, l'unica che mi interessa e' la sicurezza della terra e del cielo, del cibo e della vita delle persone vere"]

 

E va bene, come al solito le istituzioni arrivano in ritardo, e se noi abbiamo festeggiato nel 2008 i cento anni dell'otto marzo giornata internazionale della donna, loro se ne accorgono adesso. L'Unione Europea ad esempio non trova di meglio che festeggiare questo centenario rivisto con un convegno sulla leadership femminile...

Tocca ancora una volta prendere le distanze e partire da noi: sembra ormai assodato che le donne sono protagoniste, magari con una autonoma vendita del proprio corpo al potente di turno per fare carriera, diventare persino ministre... Se quella di inchinarsi, vendersi, ossequiare e servire in ogni modo i potenti per accedere ad una fetta di potere sembra ormai l'attivita' piu' consolidata e redditizia, gestita in forme diverse da uomini e donne, ma con lo stesso squallido esito, bisogna dire che cresce il disagio e la presa di distanza delle persone comuni, delle donne che hanno una vita normale, cercano un lavoro, hanno un compagno, dei figli, e contano sulle proprie capacita' e competenze per riuscire nel mondo. Diventa quasi impossibile non parlare di questo nell'Italia di oggi, anche se il tema, in modo meno brutale ed ostentato, non e' certo soltanto italiano.

Trovandomi per ora all'estero, e dall'altra parte dell'oceano, nello Yucatan messicano, mi trovo ad avere sollecitazioni e stimoli diversi che fanno allargare lo sguardo sul mondo, su altri modi di vivere la condizione femminile, su modi diversi ed autentici di riscoprire la forza delle donne, di mettere al mondo il mondo verrebbe da dire. E mi sembra di poter dire che e' da questa forza delle donne segreta, pressata, contenuta dal potere globale, che verra' il cambiamento e la salvezza.

Nei contorcimenti dolorosi che stiamo vivendo in molti luoghi, e che preparano e segnano la fine del mondo, del mondo occidentale, o globale, come preferite, cosi' come lo conosciamo, le donne si muovono cercando di mettere in campo nuove-antiche verita', la forza, il rispetto, la mistica che comporta una riscoperta del sacro come aspetto intimo, legame con ogni energia del mondo, per arrivare ad un giorno nuovo, in cui l'intreccio di ombra e luce, di notte e giorno, sia colorato dalle mille sfumature della luce e dell'ombra. Il corpo, ridotto dalla dottrina ufficiale a fonte di peccato solo mostrandosi, portatore di desideri oscuri e negativi, viene invece riconosciuto come il potere che ci dona di entrare in relazione, di conoscere, riconoscere, incrociare sguardi e cammini, cosi' potente e sacro da "fare invidia agli angeli" che non lo possiedono. E l'amore di se' trascende la bellezza formale del proprio corpo, ma e' amore per la vita, le sensibilita', le relazioni che soltanto il corpo ci consente.

Si risveglia ancora una volta la voglia di prendersi cura, di se' e degli altri, del mondo, cosi' le madri inglesi chiamano ad una grande manifestazione per la vita e contro la cultura di guerra e morte che consente ai potenti di giocare con le vite degli esseri umani, dei governati, che se si ribellano divengono sudditi, carne da macello, ingrati incoscienti che non amano il capo...

E allora basta, basta accettare la violenza, e basta anche cercare di ridurre le donne a macchietta degli uomini, capaci di inchinarsi al potente ed esercitare potere sui sottoposti... ma via! Lasciamo le manifestazioni ufficiali senza piu' senso, senza comprensione e vocabolario, e cerchiamo nuove parole, cominciamo a dire la nostra realta', la nostra verita'. Sveliamo una volta per tutte il ruolo del patriarcato nell'indirizzare pensieri ed immaginario verso una soluzione soltanto, una direzione soltanto, rendendo le relazioni tra le persone un problema di potere, e confinando in giochi prestabiliti ogni umana fantasia. Chiamiamo a svelare la realta' di un potere basato sulla prevaricazione, invece che sul servizio, di una chiesa, o forse tutte le chiese, ma parlo di quel che so meglio, fondata sulla prevaricazione dell'uomo sulla donna, sul potere maschile che va ossequiato e compreso anche quando pecca, perche' il peccato ha diverso valore se commesso da un uomo o da una donna, e l'ordine sociale e' basato sul padre, dio padre onnipotente, che governa e comanda, e sulla moglie-madre, la sua chiesa, la cui azione ed il cui intendimento e' diretto solamente ad onorare ed adorare il padre celeste... Paura della vita vera, paura delle donne, del potere sommerso, del legame con la Luna e la Terra, con il cosmo e con la materialita' della vita: le donne sanno di cure e di dolore, ma anche di armonia, di intesa, di sguardi che si comprendono di complicita', di amore e di sostegno.

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8 marzo amiche mie? Di nuovo cento anni di 8 marzo? E sia, cento e cento e cento, mille anni di vita delle donne sommersa e nascosta, riscopriamo il potere delle donne, potere di vita, di intuizione, di amore e respingiamo la cultura di morte cui si aggrappano questi poteri moribondi, queste storie che devono finire perche' hanno perso ogni senso: noi siamo dalla parte delle persone, gli esseri umani uomini e donne, bambine e bambini, vecchie e vecchi, i corpi che soffrono che godono che sanguinano e dolorano, siamo con loro, e scendiamo in tutte le piazze sediamo in tutti i sit-in, protestiamo ad ogni occasione, ed insieme cerchiamo di riconoscere ed aprire le nuove strade, l'incontro tra le differenze, l'ascolto, la comprensione, la certezza di se' che ci consente di amare e di abbandonare le "armi" da sempre attribuite alle donne per volgere alla nuova era che rinasce dalle rovine di questa.

Mentre scrivo queste parole ho in mente alcune immagini che hanno segnato le mie giornate qui nello Yucatan: la prima, un cerchio di donne, donne nuove che insieme, con la guida attenta, competente, e stimolante di una donna lavorano intrecciando pensieri e desideri, magia del cosmo e sentimento, confrontandosi tra se' e con le altre in una ricerca profonda di se', consapevoli del qui ed ora, dei dolori e dei problemi, e della realta' interiore che muove le nostre reazioni. Piccoli gruppi, intreccio di donne che provengono da piu' mondi e culture differenti ed approdano a questo incontro.

E poi la fotografia di una anziana donna maya che attraversa la piazza trasportando il suo carico di oggetti da vendere ai turisti, lavoro sfiancante, che seguitano a fare con dignita' anche quando calano progressivamente di prezzo sperando in un acquisto.

E poi una statua, nella piazza centrale di Valladolid, al centro di una fontana circolare, una donna con un abito maya, e dimensioni ed aspetto che incrociano caratteristiche maya ed ispaniche, che versa una brocca, ricorda l'immagine della Temperanza dei tarocchi di Marsiglia, e la si vuole simbolo dell'incontro e riconciliazione dopo una lunga ribellione tra il popolo maya e gli ispanici.

Un'altra statua, una donna robusta grande, in mezzo ad un crocevia di una anonima cittadina del Campeche: eretta, sorridente, capelli ordinatamente raccolti da un nastro, abito lungo, lo scialle che poggia morbidamente sui fianchi, dove posano anche le mani con aria assertiva. Ho chiesto ad un bambino chi fosse quella signora, mi ha risposto: "Non e' una segnora, e' una campesina che lotta per i suoi diritti, i diritti delle donne".

Le donne sempre sono usate come simbolo, ma in questi casi mi e' sembrato il segno di una crescita, di un inizio, di un nuovo sentire in cui conta il corpo delle donne, la loro realta', non soltanto una vaga idealizzazione.

Vorrei allora invitare tutte noi a fare dell'8 marzo un momento di incontro, di ascolto, di intreccio di storie e di realta', un mattone cui aggiungere ogni giorno un altro e un altro ancora, per giungere alla costruzione della nuova realta'.

 

4. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: LA GUERRA CONTRO LE DONNE IN SUDAN

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo, fondato sulle seguenti fonti: Sudan Democracy First Group, Women living under muslim laws, Awid.

Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]

 

Durante gennaio e febbraio i cittadini sudanesi hanno chiesto conto al partito di governo della continua guerra nel Darfur, della secessione del sud del paese, della corruzione e del nepotismo ampiamente diffusi, dell'assenza di giustizia e trasparenza, dell'incitamento all'odio e alle divisioni, delle crescenti poverta' e disoccupazione, dell'economia a rotoli. Le donne, in particolare, hanno chiesto la fine dei crimini basati sull'odio di genere: stupri, abusi sessuali, discriminazioni. Le loro parole d'ordine erano pace, democrazia, diritti umani, giustizia. Ecco le risposte che hanno ricevuto.

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Samah Mohammed Adam (30 gennaio 2011)

Attivista politica, e' stata arrestata mentre prendeva parte ad una manifestazione il 30 gennaio. E' stata spinta a forza dentro un furgone che conteneva circa 14 membri delle forze di sicurezza. Mentre veniva strattonata e malmenata, uno dei presenti le ha strappato la blusa, lasciandola quasi a seno scoperto. Stringendola a se', le ha chiesto come mai non voleva quel che stava accadendo: non era per quello che era uscita per strada? Samah ha cercato disperatamente di tenere insieme i brandelli della sua camicia, e di coprirsi il petto con il fazzoletto da testa. Ha urlato e pianto per tutto il tempo che e' stata tenuta nel furgone, temendo che sarebbe stata stuprata.

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Najat Al Haj (2 febbraio 2011)

E' una delle leader del Partito democratico unionista. E' stata arrestata dopo aver preso parte ad un'assemblea. La sua testa e' stata coperta con l'abito che indossava, ed un fucile le e' stato puntato alla tempia mentre la si forzava a salire su un'automobile delle forze di sicurezza. Nella sede in cui e' stata portata c'erano gia' quattro giornalisti, bendati ed allineati contro il muro mentre venivano interrogati con abusi verbali, umiliazioni e insulti. Gli agenti della sicurezza nazionale che hanno perquisito la sua borsa hanno trovato le sue pillole anticoncezionali e ne hanno fatto un caso: "E' cosi' che puoi dormire fuori, la notte! Per te e' normale, no? E adesso vai in giro con giovanotti muniti di preservativi! Ma dov'e' tuo marito? Ah gia', se avessi un marito non saresti qui adesso...". Najat e' stata rilasciata nel bel mezzo della notte, perche' a detta degli agenti sarebbe "abituata a tornare a casa ad ore simili".

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Marwa al Tijani (3 febbraio 2011)

Attivista del "Movimento della gioventu' 30 gennaio", e' stata arrestata dopo la repressione delle proteste organizzate dagli studenti in piazza Aqrab a Bahri. Puntandole le pistole in volto, i membri delle forze di sicurezza l'hanno costretta a salire su una delle loro automobili. Dapprima detenuta negli uffici locali, e' stata poi trasferita in un luogo che non e' in grado di identificare. Si e' trovata assieme ad altre dieci ragazze, costretta a sedere con loro sul pavimento mentre gli agenti le insultavano e le colpivano ripetutamente con fruste e bastoni. Marwa indossa abitualmente un "abaya" nero (un mantello che la copre completamente) che e' stata costretta a togliersi affinche' i suoi aguzzini potessero picchiarla meglio: "Non credevo potessero fare sul serio. L'ho tolto piangendo dall'umiliazione. Poi hanno cominciato a colpirmi sulla schiena e le gambe. Piu' singhiozzavo e piu' mi battevano. Ci minacciarono di metterci in prigione con le prostitute e di fotografarci assieme a loro per dimostrare alle nostre famiglie che figlie eravamo". Marwa e' stata anche accusata di avere una relazione sessuale con un collega d'universita' (anch'egli in stato d'arresto) e gli agenti si sono diffusi nell'insultarla fantasticando su tale relazione. Durante tutto il periodo in cui e' stata prigioniera, torturata e minacciata, nessuno a chiesto a Marwa alcunche' sulle dimostrazioni, sul suo ruolo di attivista eccetera.

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Suad Abdallah Jumaa (10 febbraio 2011)

Attivista politica, e' stata inseguita e costretta a scendere da un mezzo pubblico, forzato a fermarsi dalle forze di sicurezza. Portata negli uffici locali, e' stata picchiata, insultata e minacciata poiche' ha rifiutato di consegnare la scheda di memoria del suo cellulare. Rannicchiata in un angolo della stanza, con sette uomini attorno, Suad ha subito abusi fisici e verbali, con la minaccia dello stupro continuamente reiterata.

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S.E. (13 febbraio 2011 - per rispetto della sua volonta' il nome completo non compare)

E' stata arrestata a Khartoum, alle 10,30 del mattino, per strada, dopo aver comprato carta e utensili per ufficio, ed e' rimasta in stato di detenzione sino alle 10 di sera. Negli uffici dell'intelligence nazionale e' stata picchiata su ogni singola parte del corpo; l'interrogatorio verteva sul suo aver distribuito volantini durante le manifestazioni. E' stata costretta a spogliarsi mentre veniva picchiata. A causa del pestaggio e' svenuta, e si e' risvegliata mentre uno degli agenti la stava violentando.

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Asmaa Hassan Al Turabi

Durante una conferenza stampa organizzata dal "Partito popolare del congresso" il 16 febbraio 2011, ha testimoniato sui modi in cui le manifestazioni pacifiche e silenziose delle donne sono state disperse e represse. Durante una di queste marce, i membri della sicurezza nazionale hanno spogliato Asmaa per strada quasi completamente.

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Sarah Cleto Rial

E' una donna del Sudan del sud che ha ricevuto il premio "Eleanor Roosevelt per i diritti umani" nel dicembre 2010. "Il mio impegno come attivista e' cominciato quando ero studentessa, diciassettenne, a Khartoum. Quell'anno fui arrestata per come mi vestivo. Fui portata in giro su un furgone aperto, per tutta la citta', mentre la gente mi tirava cose addosso, e poi in tribunale, dove fui interrogata e umiliata. Molte altre donne hanno sofferto ben di peggio. Da allora, per 25 anni, mi sono occupata delle vite delle persone marginalizzate in Sudan, assicurandomi soprattutto che le voci delle donne non andassero perdute".

 

5. RIFLESSIONE. GABRIELLA FALCICCHIO: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Gabriella Falcicchio (per contatti: gfalcicchio at hotmail.com) per questo intervento.

Gabriella Falcicchio, amica e studiosa della nonviolenza, e' ricercatrice in Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze pedagogiche e didattiche della Facolta' di Scienze della formazione all'Universita' di Bari. Cfr. anche l'intervista in "Coi piedi per terra" n. 398]

 

Questo 8 marzo e' ancora una volta una data piena di lutti e di dolore. Troppe donne muoiono in Italia quotidianamente, troppe donne vengono ferite, troppe donne sono segnate nel corpo e nella loro interiorita' dai colpi di uomini violenti.

La societa' italiana, stanca, fiacca, disattenta, distratta, e per questo complice, non coglie la portata di una crisi profonda che investe i generi, che lacera il tessuto primario di un popolo. Nelle buone relazioni tra uomini e donne si costruiscono quotidianamente le possibilita' progettuali di una societa'; dalle loro relazioni d'amore nascono bambini amati, ben accuditi e per questo capaci di generare nuova vita, a tutti i livelli. Dalle interazioni tra uomini e donne, nasce la possibilita' primaria della pace, che abita nel desiderio di avventurarsi nel territorio ignoto dell'altro e di esplorarlo con gioia, con delicatezza, lentamente.

Queste relazioni sono minate con precisione chirurgica da una struttura sociale che - anche in nome di un egualitarismo chiamato a gran voce da alcuni movimenti femministi - e' diventata cieca alle differenze tra donne e uomini, differenze fisiche e biologiche in primis, quelle piu' irriducibili e meno occultabili, e pure rese invisibili da convinzioni diffuse. La differenze diventano pesante divario quando si va a verificare chi svolge gran parte del lavoro sociale gratuito. Basi biologiche e lavoro "ombra", come lo definisce Ivan Illich, fanno della donna quella che nella gran parte dei casi, si prende cura senza alcun riconoscimento ne' simbolico ne' materiale dei nuovi nati, come degli anziani. Le professioni di cura ed educative peraltro, anche queste svilite e scarsamente riconosciute socialmente ed economicamente, sono non a caso prevalentemente femminili, dalle insegnanti alle badanti, dalle assistenti negli ospice alle giovani laureate che fanno sostegno scolastico pomeridiano.

Questo lavoro "ombra" si e' accentuato e appesantito negli ultimi decenni, quando i generi scompaiono per dare spazio all'invenzione del "sesso economico": maschi e femmine si trasformano in unita' produttive asessuate, identiche, alle quali viene chiesto di essere uguali nella produzione e uguali nei consumi. Di fatto, sappiamo che alla donna viene chiesto di piu' (e dato di meno in denaro), anche come unita' produttiva, e, in un processo che inesorabilmente vede diventar cieche (perche' sempre piu' falliche) le donne stesse, viene tolta la peculiarita' che le distingue dal maschio: essere le uniche a poter (e saper) generare altri esseri umani.

L'8 marzo potrebbe essere un'altra occasione per, noi donne, fermarci a pensare a cosa siamo diventate, a cosa desideriamo essere per noi stesse, per la societa' in cui viviamo, per l'umanita' che verra', quella che speriamo passi ancora per molto tempo per il nostro utero e la nostra vagina prima di vedere la luce. Solo attraverso una riflessione seria e profondamente autentica delle donne su se stesse, l'8 marzo puo' diventare la celebrazione del rispetto per le donne e del rispetto tra i generi, come base primaria per edificare una societa' amica della nonviolenza.

La giornata del rispetto tra i generi, nuove solidarieta' e alleanze per condividere il lavoro sociale (almeno quello che si puo' condividere).

 

6. RIFLESSIONE. PAOLA PISTERZI: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Paola Pisterzi (per contatti: paola87 at hotmail.it) per questo intervento.

Paola Pisterzi studia all'Universita' di Roma e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo]

 

Prima d'ora non mi ero mai realmente chiesta cosa fosse davvero l'otto marzo.

Questa data per me ha sempre rappresentato una delle tante feste consumistiche in cui molte persone di sesso femminile, piu' o meno giovani, festeggiano nei modi piu' dispendiosi il fatto di essere nate donne. Questa e' l'idea che mi ha accompagnata per diversi anni, fin da piccola.

Ho iniziato poi a chiedermi come mai ci fosse stato il bisogno di istituire una festa e cosa rappresentasse festeggiare di esser donne. Ignorando quasi totalmente le lotte femministe e le relative conquiste sociali, mi veniva da pensare che magari si volesse valorizzare la donna per le sue numerose capacita' e potenzialita', che questo fosse un giorno per riconoscere quanto fosse importante e indispensabile la sua presenza nella societa'.

Non capivo pero' il nesso tra il valorizzarsi e l'andare in giro per ristoranti costosi o discoteche solo tra donne, trascurando totalmente l'esistenza di mariti e fidanzati, quando normalmente invece cio' non accadeva.

Sinceramente il nesso non lo comprendo molto nemmeno ora, anche se crescendo ho capito che purtroppo le donne di oggi non sanno che per essere libere di dimostrare quello che sono, per poter studiare, per poter lavorare e non essere considerate solo delle schiave "sforna-figli" da molti uomini e dalla stessa societa', molte altre prima di loro hanno dovuto lottare.

Per noi ragazze di oggi e' normale frequentare l'universita', uscire la sera con gli amici, avere un ragazzo senza essere pedinate. Abbiamo moltissime possibilita' e possiamo scegliere cosa ci piace e cosa non ci piace, senza che ci vengano fatte troppe pressioni e se ci vengono fatte cerchiamo di difenderci, consapevoli che ne abbiamo il diritto.

Sicuramente negli anni la donna ha acquisito una forte coscienza di se', ha combattuto per arrivare ad avere pari diritti rispetto agli uomini, ma ora siamo nettamente in una fase di declino.

Dov'e' finita la nostra consapevolezza?

Oggi quello che si vede in giro e' solo tanta voglia di apparire. E' deprimente accendere la televisione e vedere quanto la donna non venga rispettata e a sua volta non rispetti se stessa.

Ci sono programmi di tutti i tipi, alcuni anche spacciati per culturali, in cui si vedono ragazze praticamente nude. Non c'e' piu' spazio nemmeno per l'immaginazione ormai. E' tutto servito. La donna stessa e' servita, come fosse qualcosa da usare, sfruttare, privata della sua capacita' di pensare e di essere donna.

Tutti piu' o meno inconsapevolmente siamo sottoposti a lavaggi del cervello mediatici fin da piccoli, ci sembra quasi normale vedere certe scene. Ci portano a desiderare di essere come i modelli televisivi, a voler avere successo, denaro. Crescono futuri consumatori. Crescono generazioni convinte che per arrivare si debba vendere il proprio corpo a qualche potente. Convinte che siano loro a scegliere, quando in realta' e' gia' la societa' che ha scelto per loro e per tutte noi, involontariamente condizionate.

Quelle di noi che si discostano dalla "norma" sono considerate strane, sono via via emarginate, rese inermi, depresse, sconfitte.

Spesso penso che avrei voluto avere vent'anni negli anni '70 e sentirmi immersa in un'aria di cambiamento, di voglia di fare, di lotte non facili e conquiste.

Non mi spiego come sia possibile una simile degenerazione. Quello che e' certo e' che e' la donna a dover riprendere in mano le redini, e' la donna che deve riacquistare sicurezza, deve sentirsi unita alle altre donne e sentire che ci sono ancora lotte comuni da portare avanti, perche' la nostra situazione e' sicuramente migliorata, ma c'e' ancora molto da fare.

Qualcuno mi raccontava di come sia difficile per una ragazza sposata trovare lavoro: ci sono donne che vengono scartate perche' potrebbero avere figli e quindi essere inefficienti e costituire addirittura un peso per l'azienda. Questo e' solo uno dei tanti esempi.

Cos'e' l'otto marzo?

E' il giorno in cui la donna dovrebbe ricordare cosa significa essere donna, il giorno in cui dovrebbe ricordare ed essere consapevole delle lotte fatte da altre donne, il giorno in cui ci si dovrebbe svegliare e capire che un corpo non e' una merce o un oggetto, un giorno in cui dovrebbe unirsi ad altre donne...

 

7. RIFLESSIONE. LILIA SEBASTIANI: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Lilia Sebastiani (per contatti: lilia.sebastiani at tiscali.it) per questo intervento.

Lilia Sebastiani, laureata in lettere moderne e dottore in teologia morale, autrice di diversi libri (uno degli ultimi: Svolte: il ruolo delle donne negli snodi del cammino di Gesu', Cittadella Editrice, Assisi 2008), svolge attivita' di articolista e conferenziera in materia teologica, con attenzione particolare ai problemi di etica-spiritualita' biblica e a quelli concernenti il rapporto tra femminilita' e sfera religiosa]

 

Nonostante le mie sincere convinzioni femministe, non direi di aver mai amato particolarmente la "festa della donna": per me si trova solo un paio di gradini piu' su, quanto a serieta' (sua) e coinvolgimento (mio), delle varie feste della mamma, del papa', degli innamorati e via dicendo.

Forse perche' non mi pare che l'espressione "festa" sia adeguata per una ricorrenza che fa memoria di una tragedia e che vorrebbe chiederci di diventare consapevoli di tante cose tuttora inaccettabili e non di rado drammatiche. Parlare di festa si presta a frivolezze, a convivialita' e perfino a galanterie, facilissime anche per il piu' tradizionalista degli uomini, tutte cose che deformano il senso della ricorrenza. O servono, inconsapevolmente, a esorcizzare quanto di potenzialmente critico e scomodo potrebbe restarvi dentro.

Tuttavia l'8 marzo c'e' ancora ed e' giusto usarlo per acquisire e stimolare un supplemento di coscienza in noi e negli altri, in questa epoca di post-post-femminismo.

Questo otto marzo giunge meno di un mese dopo la grande manifestazione delle donne in varie citta' d'Italia, che aveva come slogan "Se non ora, quando?", un evento promettente anche perche' coinvolgeva un buon numero di uomini. Anche ammettendo che vi fossero piu' per trasmettere un messaggio politico (giusto e urgente comunque) che per sentimenti di autentica solidarieta' con le donne, il segno e' importante. Si e' parlato molto, in quella circostanza e non solo, di dignita' della donna.

Forse ormai l'idea e' abbastanza acquisita da poter essere dilatata senza perdere specificita'.

Io vorrei che in questo otto marzo tutti riconoscessero che quanto ferisce la dignita' delle donne, fosse pure di una donna sola, ferisce ipso facto anche la dignita' degli uomini, di tutto intero il genere umano. Perche' sappiamo bene che laddove esistono ancora degli oppressi, a qualunque titolo, l'oppressore non sta affatto meglio dell'oppresso: solo piu' comodo. Non sta "meglio", perche' vive all'interno di una realta' alienata. E quanto diciamo degli oppressori solo per semplificare vale anche per i complici, piu' o meno diretti, piu' o meno consapevoli.

Vorrei che le giovanissime, le quali mostrano spesso una certa sufficienza quando sentono parlare di questione femminile, perche' ritengono di non aver mai percepito subordinazione o discriminazione nel loro vissuto, affinassero le capacita' di percezione, di analisi e di solidarieta' anche globale e storica, attraverso tempi e luoghi.

Vorrei che in questo otto marzo si ricordasse pure come nella chiesa cattolica le donne sono tuttora escluse dal ministero ordinato, e quindi da ogni funzione di governo e di magistero, unicamente in base alla loro appartenenza di genere e di nessun'altra variabile personale. Non e' l'unica realta' in cui le donne sono discriminate; ma è l'unica in cui sia bene in mostra, e anche sacralizzato, il "divieto di accesso"...

 

8. RIFLESSIONE. ASSUNTA SIGNORELLI: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Assunta Signorelli (per contatti: assuntasignorelli at libero.it) per questo intervento.

Per un profilo di Assunta Signorelli da un'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 268 riprendiamo la seguente notizia autobiografica: "Nata nel 1948 sono una femminista basagliana non pentita e non dissociata con esperienze prima dei vent'anni nei movimenti dei cattolici del dissenso a Roma e poi del movimento studentesco alla facolta' universitaria di Medicina, infine dal '72 lunga marcia dentro le istituzioni totali fondamentalmente a Trieste ma anche in altri luoghi. Ultima (in ordine di tempo) esperienza significativa: tre anni in Calabria lavoro nell'istituto "Papa Giovanni XXIII" di Serra d'Aiello (Cosenza) che per mesi nel 2008 ha occupato le cronache dei giornali, esperienza culminata con uno sgombero forzato delle persone accolte che mi ha dato la misura di cosa sia la violenza delle istituzioni del potere contro i deboli. Militanza femminista, di genere, che nel corso del lavoro si e' espressa con la costituzione del Centro Donna Salute Mentale che ha operato dal 1990 al 2002, unica esperienza di lavoro istituzionale di un servizio pubblico con sole operatrici donne e diretto solo all'utenza femminile con sofferenza psichica dalle forme piu' leggere alle piu' gravi. Esperienza conclusasi per una forma di violenza sotterranea continuamente agita e mai esplicitata da parte della direzione del dipartimento di salute mentale di cui quel servizio faceva parte. Dal 1977 lavoro come dipendente del servizio sanitario nazionale come psichiatra a tempo pieno, e attualmente sono la responsabile del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura del Dipartimento di salute mentale di Trieste]

 

Otto marzo senza mimose, qui al nord ancora non sono fiorite: e' un inverno rigido e freddo, con tanto vento che sradica alberi e devasta giardini. Ci saranno quelle di serra che vengono dai paesi caldi, dove la guerra e l'inquinamento ci mettono del loro per distruggere la natura e costeranno tanti soldi e non avranno il profumo della natura, ma in fondo credo sia giusto cosi'.

Pensare ad una festa, sia pure quella della donna, mi e' difficile, quasi impossibile: ho cercato di condividere con le compagne (mi piace continuare ad usare questo nome anche se ha un sapore diverso rispetto al passato e, soprattutto, per me un'altra geografia: quella della condivisione, cosi' come segnala il suo etimo, del pane e della fatica quotidiana che facciamo per contrastare i soprusi e la deriva dei "senza") l'impegno e l'entusiasmo nell'organizzare eventi, ma  facevo fatica finche' una caduta provvidenziale (complice la bora triestina) mi ha bloccato a casa.

Sento un senso d'estraneita' forte e la parola mi richiama un otto marzo di tanti anni fa, era il 1994, e in tante, alcune in fuga dalla guerra della ex Jugoslavia, ci trovammo insieme per far festa e discutere fra noi.

Estranee alla guerra cittadine di pace, era la nostra parola d'ordine, parola d'ordine che stento a ritrovare, in primis dentro di me. La deriva del nostro paese, sempre piu' attorcigliato su se stesso e sulle odiose beghe di palazzo, ha creato una sorta di vuoto pneumatico nel quale ogni azione, ogni iniziativa perde il proprio senso e diventa uguale al suo contrario.

Pessimismo della ragione, forse, ma e' difficile ritrovare un ottimismo della volonta'!

So che e' necessario, che in fondo il potere questo vuole e per questo da anni lavora. Ma come rispondere senza cadere nella trappola dell'indistinto e dell'in/differenza?

Su questo mi piacerebbe riflettere, ritrovare con le altre donne quell'estraneita' alla guerra che nasce dalla capacita' naturale del genere di dare vita e di accogliere tutto cio' che e' vitale mantenendo intatta la propria singolarita' individuale senza creare barriere o steccati.

Estraneita' che non e' mai negazione del conflitto ma assunzione di questo come fatto necessario per non uccidere niente e nessuno, soprattutto l'altro, altra da te.

Mi piacerebbe un otto marzo che non nomini berlusconi e i suoi sodali, che non parli di partiti, che incominci a ribaltare la parola dell'oppressore ("questa e' la lingua dell'oppressore, ma ho bisogno di parlarti", scriveva Adrienne Rich) che ci trascina su un terreno che non ci appartiene.

Un otto marzo davvero per tutte le donne, con gli uomini, per una volta, in silenzio, quel silenzio che il rispetto dell'altro, altra da te impone quando quest'altra parla di se' e della propria esperienza che non ti appartiene e che solo l'ascolto silenzioso puo' permetterti di comprendere.

Un otto marzo che veda le donne insieme per affermare il diritto all'autodeterminazione sempre, al protagonismo nel pubblico e nel privato senza condizionamenti o distinguo di circostanza.

Un otto marzo che dica che amare non significa annullarsi o farsi da parte ma proposta di se' e delle proprie modalita' d'esistenza.

Un otto marzo che affermi che le donne sono "Disponibili sempre, mai a disposizione".

Un otto marzo che dica che il diritto d'esistere come individualita' singolari, con bisogni, desideri ed attitudini personali, e' un diritto che non si baratta.

Un otto marzo che sancisca che le donne sono portatrici d'identita' molteplici e che quella della prostituta e', semplicemente, un'identita' parziale che molte e molti portano dentro come desiderio di riappropriazione di quelle parti di se' superflue per l'espressione dello spirito, come riconoscimento d'appartenenza al mondo della carne e consapevolezza che essere oggetto per l'altro, in un mondo capace di reciprocita' e mutuo rispetto, puo' essere fonte non solo di piacere ma anche di potere.

Un otto marzo per gridare che per le donne non esistono confini o barriere che non siano quelle dei corpi, della fisicita' concreta di ciascuno che non puo', non deve essere mai violata.

Nostalgie e tristi pensieri di una donna ormai al tramonto, che nel giro di circa vent'anni ha visto sgretolarsi solidarieta', etica del fare e conquiste frutto d'anni d'impegno e fatica?

Voglio credere che sia cosi'; per questo alla fine, nonostante tutto, saro' con le altre in piazza per ritrovare un terreno comune, per riconnettere i fili di una rete che se non deve smagliarsi non puo', per tale motivo, soffocare nessuna costringendola a negare parti di se'.

"Noi giungiamo in questo spazio attraverso la sofferenza, il dolore e la lotta... La nostra trasformazione, individuale e collettiva, avviene attraverso la costruzione di uno spazio creativo radicale, capace di affermare la nostra soggettivita', di assegnarci una posizione nuova da cui poter articolare il nostro senso del mondo" (bell hooks, Elogio del margine).

 

9. RIFLESSIONE. ELVIRA ZACCAGNINO: QUESTO OTTO MARZO

[Ringraziamo Elvira Zaccagnino (per contatti: media at lameridiana.it) per questo intervento.
Elvira Zaccagnino e' impegnata nell'esperienza delle Edizioni La Meridiana, una delle piu' rilevanti case editrici di area nonviolenta che costituisce uno dei frutti della testimonianza dell'indimenticabile Tonino Bello]

Ci sono donne che ce la fanno.

Tengono insieme famiglia e lavoro. Non hanno un marcia in piu'. Semplicemente marciano. Al ritmo serrato dei tempi che famiglia e lavoro impongono. Di qua e di la'. Due piedi in piu' scarpe? E poi cosa dovrebbero riuscire a fare?

C'e' una strana attesa che talvolta diventa pretesa rispetto alla donna che lavora: "E la casa, come fai? I figli, chi te li tiene? Il marito, ti da' una mano?".

Si chiede dando per scontato che la donna debba tenere insieme tutto. Che lei, e non lui, debba. Se non ce la fa, se un filo, anche uno solo le sfugge di mano, c'era da aspettarselo. Era prevedibile. Ha lavorato troppo. Non ha rinunciato a qualcosa. Eppure.

Conosco Maria. Non lavora. La sua casa uno specchio. Due figli. Stessa eta' dei miei. Resta sola a casa a lungo. Non e' affatto meno stressata di me. Poche amiche. Il marito al lavoro. A volte mi chiedo cosa desideri una donna come lei che ha poco piu' di trent'anni.

Conosco Lucrezia. Si alza la mattina alle 5. Rientra alle 15,00. Infermiera in un reparto oncologico. Un figlio. Il marito non le da' una mano. Lui e' stanco perche' lavora!. Un altro figlio no. Avrebbe dovuto, lei, rinunciare al lavoro. Ma quello e' l'unico momento in cui "svaga". Vita sociale? Una mamma anziana e poche amiche. In fondo il tempo e' troppo poco e la sera e' troppo stanca.

C'e' poi Rita. E' rimasta sola. Due figli grandi e molto tempo libero. Lavoro, volontariato, politica. Sai che c'e', se hai bisogno. E non solo ora che e' rimasta vedova. Anche prima: lei c'era.

C'e' Mara. Un marito e per scelta di lui nessun figlio. Ce la fa? Quando ti parla dei tradimenti di lui ti dici fortunata perche' almeno a te sono rimasti i figli. Eppure lui e' la sua sola famiglia. Deve farcela, Mara.

C'e' Sara. Un figlio e un marito attaccato alle sue fragilita'. "Dammi solo un appiglio perche' io possa  scalare con te le montagne e lo faro'", lei gli ripete. Ma lui no. Nemmeno le colline. Lui e' fragile. Lei lavora, la casa, il figlio, la spesa, la madre, il padre anziano.

C'e' Luisa. Tre figli, un lavoro da dirigente, i pannetti ancora da cambiare, la babysitter e la donna delle pulizie che ti mollano sul piu' bello, le figlie da accompagnare e un marito che la sostiene tanto, ma poi brontola se per due giorni di seguito si mangiano surgelati.

C'e' Gabriella, ormai in pensione. Figli grandi e lontani per lavoro. Il marito in pensione. Si e' rimessa in gioco lei. Lui no. Lei palestra, amici, volontariato, cinema, teatro. Se chiami non  la trovi mai in casa. Ma sei hai bisogno di una ricetta, una qualsiasi, ti insegna tutte le varianti provate quando i dolci per i figli li faceva lei la mattina presto, prima di andare al lavoro.

C'e' Simona, la sua famiglia e' lei. Ci parli e la scopri uguale a te nonostante la diversa quotidianita'.

C'e' Lina, casalinga da sempre. Ne ha cresciuti tre di figli. Tutti laureati e professionisti affermati ora. Ma lontani. Ce l'ha fatta? Se lo chiedete anche a lei ora quando a farle compagnia la sera c'e' solo la tv.

Ci sono donne. E ogni donna e' una storia. Non so se ce la fanno. So che ci provano.

C'e' un modello? Una ricetta? Un trucco? Non ne ho trovati. Eppure ho guardato e incontrato molte donne e di ognuna ho provato a capire come si puo' fare a fare tutto quello che ci viene chiesto di fare. Me lo chiedo. Alcuni fili mi sono gia' sfuggiti. Eppure. So che nessuna delle donne che conosco rinuncerebbe al lavoro, al suo marito/compagno e a nessuno dei suoi figli. Perche'? Semplicemente perche' non sarebbero se stesse.

Allora non chiedeteci come facciamo. Non state a guardare se ce la facciamo. Non giudicateci se non ce la facciamo. Non ponetevi il problema se e' una questione di sensibilita' femminile. A volte penso che sia frutto di una cultura che ci vuole ancora eroine o martiri. O peccatrici da redimere. E se invece fossimo solo persone uguali all'altra meta' del cielo? Oh Dio! Allora anche agli uomini potremmo rivolgere la stessa domanda: come fate a conciliare famiglia e lavoro? Non ce la fate? Non sapete come fare?

Gia', la questione e' tutta qui: un grande, immenso luogo comune ancora da superare. Anche questo 8 marzo.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 288 del 7 marzo 2011

 

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