Telegrammi. 487
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- Date: Mon, 7 Mar 2011 00:32:35 +0100 (CET)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 487 del 7 marzo 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Anna Bravo: Questo otto marzo
2. Maria G. Di Rienzo: Mezzi di comunicazione e violenza contro le donne
3. Domani a Viterbo
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. ANNA BRAVO: QUESTO OTTO MARZO
[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per questo intervento.
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008. Si veda anche l'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 353]
Arriviamo all'8 marzo forti del grande successo del 13 febbraio, e soprattutto dell'esperienza di cambiamento e di crescita che abbiamo fatto in questi decenni. Ma sappiamo che la strada e' lunga e che la violenza antifemminile cresce.
Ogni giorno verifichiamo che esistono molti modi per ferire o uccidere simbolicamente (e materialmente) una donna, modi diversi fra loro, visibili, invisibili, esibiti, mascherati, agiti da singoli, gruppi, Stati: dalla segregazione alle sterilizzazioni e aborti forzati alle mutilazioni sessuali, dallo scherno all'uso del corpo femminile, dall'esaltazione di immagini svilenti alla sottrazione dei figli, alle aggressioni apertamente politiche.
Infatti il concetto di violenza di genere messo a punto in varie dichiarazioni dell'Onu, comprende "qualsiasi atto (...) che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico": una formula elastica, cosi' da poter includere altri comportamenti.
Giustamente, perche' quella violenza attraversa le culture, le classi, le generazioni, i continenti; ha sempre come bersaglio la liberta' e la voglia di liberta' di una donna; non si dissolve con la modernizzazione; convive con le ideologie progressiste e rivoluzionarie.
Segnalo due bei libri che aiutano la riflessione. il primo e' Amore e violenza (Bollati Boringhieri 2011) di Lea Melandri.
Di fronte allo scempio del corpo femminile che trabocca dalla cronaca, una schiera di esperti televisivi ci invita a vedere quella distruttivita' come un raptus, quasi che l'uomo fosse stato "rapito" da un misterioso Mister Hyde. Altri osservatori, piu' seri, mettono la violenza in rapporto con il logoramento di due pilastri della mascolinita', la padronanza del futuro e il potere sulle donne; e' forse la sola tendenza trasversale in un periodo di contrasti radicali. Gli uomini occidentali, e orientali, asiatici, africani, vivono una crisi, sia pure in forme diverse, e reagiscono con armi vecchie e nuove.
Ma si puo' andare piu' a fondo. Melandri risale alla "preistoria" di questa distruttivita', muovendosi fra il vicino e il lontanissimo, fra la contemporaneita' e lo spazio/tempo delle origini, per mettere a fuoco le teorie e le pulsioni sottese al binomio questione maschile / questione femminile. Alle radici di tutto, sta l'antica e conflittuale dipendenza dalla madre, che si perpetua a dispetto delle negazioni, degli ausili psicologici - e dei motti di spirito sullle mamme nazionali, italiana, ebrea, black eccetera.
Oggi e' ritornato un clima di esaltazione della maternita' che non aiuta ne' le non-madri ne' le madri. Le prime possono sentirsi incomplete, le seconde sentirsi costrette a corrispondere a una immagine di perenne oblativita' - e molti mariti/figli/fratelli si comportano come fossero convinti che ogni donna debba svolgere il ruolo materno, accogliente, sempre a disposizione. Quasi che la maternita' potesse essere un obbligo invece che una scelta e un dono.
Per esempio, sentiamo continuamente esaltare le doti femminili - empatia, pragmatismo, uno speciale talento nel far coesistere pubblico e privato, casa e lavoro, nel curare i rapporti, nell'affrontare i conflitti con la mediazione - indicate come strada maestra verso un lavoro umanizzato: e' la donna "creativa". Se non che, quando qualcuna prova a cambiare l'organizzazione del lavoro e del potere, spesso incontra ostacoli tali da farle ridimensionare le aspettative: e' la donna "normalizzata". Poi ci sono l'ancella, la manager-immagine e la manager addetta (o costretta) allo sfoltimento del personale; e altre ancora. Ne parla il secondo libro, Donne senza guscio. Percorsi femminili in azienda (Guerini e Associati 2009), di Luisa Pogliana.
La crisi del maschile e' un'occasione storica offerta agli uomini per fare un po' di chiarezza in se stessi. Ma mi chiedo quanti ne avranno il coraggio e la voglia. Oggi viviamo in un groviglio complicato di nuovo e falsonuovo, di vecchio e di similvecchio - succede in tutte le fasi di trasformazione, ma questa e' complicata dal fatto che il rapporto fra i sessi sta nel tempo lineare della storia e contemporaneamente nel tempo ciclico della ripetizione.
Ma un regalo per l'8 marzo lo vorrei. Vorrei che molti piu' uomini (sulla scorta del pensiero di singoli, dell'associazione Maschile plurale e di vari altri gruppi) capissero che non aver mai commesso stupro non basta a chiamarsi fuori da un mondo maschile in cui la violenza contro le donne si ripete ogni giorno. Vorrei che capissero che neppure dallo svilimento delle donne e' possibile chiamarsi fuori, che c'e' una responsabilita' sovraindividuale - non come colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che contribuiscono a fare un clima. O a lasciarlo sopravvivere.
2. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: MEZZI DI COMUNICAZIONE E VIOLENZA CONTRO LE DONNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente testo che riprende a grandi linee la sua conferenza tenuta il 5 marzo 2011 a Certaldo nell'ambito del "Laboratorio per l'ascolto e l'accoglienza delle donne vittime di violenza" promosso dal Forum permanente delle donne e sostenuto dall'Assessorato alle pari opportunita' del Comune.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]
Sotto la dicitura "violenza di genere" sono rubricate, a livello internazionale, azioni e pratiche che risultano in un danno fisico, sessuale, psicologico o economico alla persona che ne viene investita e tale persona ne viene investita a causa del suo genere. Il genere, come sapete, e' il ruolo socialmente definito che si assegna ad uomini e donne sulla base del loro sesso. Noi nasciamo femmine o maschi, e poi cio' che c'e' attorno a noi ci dice cosa dobbiamo fare o non dobbiamo fare come femmine o maschi, cosa ci si aspetta da noi, perche' godiamo o no di tal diritto e cosi' via. E' ovvio che tutto questo non ha a che fare direttamente con il sesso, nel senso che le leggi che regolano il passaggio d'eredita' o la custodia dei figli o il diritto alla propria integrita' fisica e psichica non sono iscritte in nessun codice genetico: la socializzazione di genere in tutto il mondo, con rare e non estese eccezioni, ha principalmente a che fare con il controllo delle risorse, del territorio e della cultura, e quindi la mistica della femminilita' o della mascolinita' intese come insieme di caratteristiche trascendenti ed immutabili, fissate da dio o dalla natura all'atto della creazione, e' solo funzionale al mantenimento di un assetto di potere. Si tratta di un assetto assai sbilanciato per cui mi sentirei di definirlo meglio come "dominio".
La violenza di genere comprende: violenza domestica, stupro, pratiche dannose cosiddette "tradizionali" (mutilazioni genitali, delitti d'onore, matrimoni precoci, eccetera); il "femminicidio" (e cioe' la soppressione di persone per la sola ed esclusiva ragione che sono persone di sesso femminile); la molestia sessuale (che include le aggressioni a sfondo sessuale verbali, fisiche e psicologiche); il traffico di donne e bambine nell'industria del sesso; le violenze relative a scenari di conflitto o post-conflitto: e cioe' violenze sessuali, rapimenti, gravidanze forzate e riduzione in schiavitu'; la negazione di risorse o diritti, ad esempio il negare istruzione o accesso alla cura o misure per il controllo della fertilita' e per la protezione dalle malattie a trasmissione sessuale: non so se avete notato, ma di Aids si parla molto meno, o non se ne parla affatto, da quando la maggioranza delle persone sieropositive sono donne del cosiddetto "terzo mondo".
Le cifre che la violenza di genere produce sono allucinanti, ve ne cito solo alcune: i tre quarti dei poveri del pianeta sono donne, i tre quarti dei rifugiati ambientali e di guerra sono donne, i due terzi degli analfabeti sono donne: piu' di mezzo miliardo di persone, con l'aggiunta di 62 milioni di bambine in eta' scolare che a scuola non ci vanno; ogni minuto e mezzo una donna muore partorendo: perche' non ha accesso alle condizioni minime di igiene e sicurezza, perche' e' denutrita, perche' e' stata infibulata ed il suo travaglio e' durato tra il doppio ed il triplo del normale, perche' e' stata data in moglie ad 11 anni e sta partorendo a 12, perche' e' alla sua ennesima gravidanza, l'ultima, quella di troppo, giacche' le e' stato negato l'accesso al controllo della fertilita'; in tutto il mondo una donna fra i 15 ed i 44 anni ha piu' probabilita' di essere uccisa da un partner che dalla guerra o dall'Aids.
In Europa una donna su cinque sperimenta violenza domestica nell'arco della sua vita; i genitori single sono per piu' dell'80% donne ed un terzo di queste madri vive in poverta', come vive in poverta' il 63% delle donne europee che si sono sottratte alla violenza domestica. Le donne europee sono la maggioranza delle persone laureate (59%) ma guadagnano sempre meno, a parita' di impiego e orario, degli uomini europei. Si stima che il Pil si alzerebbe del 30% ovunque in Europa se le discriminazioni di genere nell'impiego fossero eliminate. Per fare un esempio, l'essere generosi nel finanziare la cura dei bambini paga: l'investimento pubblico nel settore di cura in Germania ha bilanciato le entrate governative grazie alle madri tornate al lavoro. La Svezia, che e' al top delle politiche amiche delle donne nel nostro continente, vanta il 70% di donne lavoratrici.
In Italia, un misero 46% di donne lavora (solo Malta fa peggio di noi) contro l'abbondante 58% della media europea. Nel caso le implicazioni non fossero chiare: la quota svedese di debito pubblico cadra' sotto il 37% alla fine di quest'anno, mentre le future generazioni italiane dovranno portarsi sulle spalle il costo di un aumento del debito del 115%. Nonostante il basso tasso di occupazione abbiamo anche noi un primato: siamo le piu' molestate sul lavoro d'Europa: l'ultima stima Istat parla di 10 milioni e 485 mila donne italiane che hanno subito molestie fisiche, molestie verbali, pedinamenti, atti di esibizionismo, telefonate oscene, o ricatti sessuali nei loro luoghi di lavoro.
In Italia si denunciano in media quattro stupri al giorno, ma si puo' tranquillamente ritenere che la cifra sia superiore, dato che solo il 7,3% delle violenze sessuali di ogni tipo viene effettivamente denunciato. In Italia circa 100 donne l'anno muoiono uccise da una persona che, ad uno stadio o l'altro della loro vita, aveva detto di amarle; e su dieci donne italiane che tentano il suicidio, otto hanno alle spalle abusi sessuali. Rifugi e centri antiviolenza italiani soffrono intanto del disinteresse quasi totale delle istituzioni, nonostante il nostro paese sia stato richiamato al proposito dal Parlamento Europeo.
Mi fermo qui, perche' un'introduzione dev'essere il piu' breve possibile, eppure avete visto che anche sintetizzando la lista delle forme della violenza di genere e' lunga e pesante. Le ferite individuali sono terribili, ma i costi sociali non sono da meno: la violenza tiene fuori le donne dagli spazi pubblici, dal lavoro, dalla politica; impoverisce o distrugge famiglie e comunita' di persone; perpetua poverta', malattia, mortalita' infantile e materna.
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Che ruolo giocano i media in tutto questo? I media sono strumenti che influenzano in modo importante la socializzazione nelle vite delle persone. Le immagini stereotipate o negative delle donne, ed i modi in cui la violenza di genere viene riportata, come un crimine minore, una semplice violazione del buon gusto e/o come provocata da chi la subisce, contribuiscono all'accettazione ed alla normalizzazione della violenza stessa.
Ad un'occhiata solo un po' meno che superficiale si osservano tutta una serie di pregiudizi e di banalizzazioni nel modo di porgere le notizie al pubblico. Ci sono gli stereotipi palesi: - notizie nelle quali le donne sono presentate in ruoli stereotipati come vittime o oggetti sessuali; - notizie che usano un linguaggio o immagini visive che denigrano le donne; - notizie che banalizzano le conquiste delle donne; - notizie che glorificano o giustificano la violenza maschile; - notizie che mettono in ridicolo gli uomini in ruoli "non tradizionali"; - notizie nelle quali gli uomini sono presentati in ruoli stereotipati come grandi imprenditori o leader.
Ma c'e' anche un notevole numero di stereotipi piu' subdoli: - notizie che rinforzano le nozioni delle donne nei ruoli domestici e gli uomini in quelli pubblici; - notizie nelle quali le donne sono presentate in relazione a rapporti interpersonali che non hanno nessuna importanza per la narrazione (per esempio una donna politica, o che ha un ruolo pubblico, indicata come la moglie di qualcuno); - notizie che contengono valutazioni sui ruoli delle donne e degli uomini (ad esempio, una donna di successo che e' "comunque una buona moglie", o una campionessa sportiva che e' pure "una buona mamma"); - notizie che veicolano "credenze" funzionali alla gerarchizzazione, come ad esempio che le donne sono emotivamente fragili (la notizia puo' essere: le donne accedono sempre di piu' al mercato delle professioni ma... non trovano marito, bevono troppo, fanno uso di antidepressivi, il loro orologio biologico impazzisce eccetera). Diffusissime anche le "occasioni mancate", in cui il genere nelle notizie e' semplicemente nascosto, con la conseguenza che sulla questione viene data una sola prospettiva: molte notizie si riferiscono alla "gente", ma con il presupposto che la gente sia di sesso maschile.
Non so chi creda ancora, almeno nel nostro paese, al mito del giornalismo (sia esso cartaceo, televisivo o informatico) "neutrale" e "obiettivo". E' bene essere chiari su questo punto: i media a grande diffusione controllati, parzialmente o totalmente, da gruppi economici, politici, finanziari hanno leso gravemente quella che era non solo una professione rispettabile e importante, ma uno strumento di controllo democratico, di trasmissione di conoscenza, di costruzione di consapevolezza civile. Il problema non riguarda solo l'Italia, pero' da noi la sindrome sembra particolarmente diffusa.
Com'e' ovvio i servizi giornalistici o televisivi sono prodotti da persone, e nessuno puo' umanamente aspettarsi che queste persone non abbiano preferenze, idee, giudizi e anche pregiudizi, certo e' che quel che fanno ora e' veicolare preferenze, idee, giudizi eccetera che non sono neppure loro, ma sono quelli dei loro padroni (dire datori di lavoro avrebbe comportato un certo grado di dignita' nella relazione, grado che oggi non c'e'). Solo per fare un esempio l'odierna programmazione delle televisioni italiane contribuisce in modo notevole a creare un terreno fertile per la violenza di genere.
Come sapete, qualsiasi mezzo si usi per rappresentare o descrivere qualcosa, detto mezzo interagisce con la rappresentazione stessa, e cioe' modifica il senso di cio' che vogliamo mostrare. Dal punto di vista della ripresa, per esempio, tu puoi mostrare lo stesso evento da angolature diverse e suscitare responsi persino opposti dalla medesima scena. Anni fa la Bbc fece un esperimento in questo senso, filmando una scena di strada da angoli differenti e trasmettendoli in sequenza, ponendo poi come finale la visuale piu' ampia possibile. Per farvela breve, a seconda di quello che mostravano tu credevi che l'uomo protagonista del filmato fosse vittima di un incidente fortuito, oppure vittima di un'aggressione a scopo di rapina, o che non gli fosse capitato proprio niente. Solo quando vedevi la scena finale capivi che stava per essere colpito da un vaso caduto da una finestra soprastante e che il ragazzo che gli piombava addosso aveva notato la caduta, e buttandolo per terra lo aveva salvato.
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Quel che voglio sottolineare, con questo esempio, e' che la rappresentazione nei media delle donne e della violenza loro diretta non e' casuale, e' una scelta. Ed e' una scelta spesso trasversale ai posizionamenti ed alle ideologie. Potrei fornirvi i dati di diverse ricerche sul rapporto donne/mezzi di comunicazione, da "Women and Media in Europe" (studio europeo a cui l'Italia ha partecipato tramite il Censis ed altre organizzazioni) che e' del 2006, al progetto di monitoraggio "Glocal Media" (a cui l'Italia ha partecipato tramite l'Osservatorio Media Research di Pavia) che e' dell'anno scorso. Ma al di la' dei dati percentuali, che sono facilmente intuibili - piu' uomini che donne, piu' giovani che anziane, e cosi' via - e' interessante leggere i sommari finali. Vi cito un brano da quello del progetto di monitoraggio Glocal Media, che si intitola "Le funzioni ricoperte da donne ed uomini nelle notizie": "Le donne trovano piu' spazio nei notiziari come rappresentanti dell'opinione popolare - ruolo in cui si registra il massimo bilanciamento di genere - e poi come testimoni oculari di eventi che fanno notizia, come per esempio incidenti, rapine, scomparse e cosi' via: due ruoli che le rendono visibili ma che nel complesso registrano una scarsa presenza. Le funzioni piu' ricorrenti, come quella dei protagonisti, e anche le piu' autorevoli, come quella dell'esperto o commentatore sono prevalentemente appannaggio maschile: nell'83,9% dei casi i protagonisti delle notizie sono uomini e nell'85,1% dei casi le voci esperte sono maschili.
Le donne raramente sono centrali nelle notizie registrate, indicando una scarsa capacita' di fare notizia, sia a livello individuale, sia a livello di gruppo sociale. Un risultato confermato anche dalle aree tematiche che coinvolgono maggiormente le donne. (...) Le donne vengono presentate come 'madri di', 'figlie di' e cosi' via piu' del doppio degli uomini. Le donne sono presentate quasi tre volte piu' degli uomini come vittime, e piu' del doppio degli uomini come sopravvissute, confermando cosi' una maggior tendenza a fare notizia qualora colpite da crimini, violenze o incidenti di varia natura.
Vi e' poi lo sbilanciamento nelle fonti o la rappresentazione asimmetrica di ambiti in cui le donne dovrebbero presenziare tanto quanto gli uomini. Ci sono infatti "frammenti" di realta' che possono essere rappresentati dai notiziari con un certo margine di liberta': per esempio le immagini che corredano un servizio sulla sanita', oppure sull'inflazione. Spesso si tratta di immagini che mostrano l'interno di ospedali o di ambulatori, nel primo caso, oppure di mercati, supermercati, negozi, persone dedite agli acquisti, nel secondo caso. Ora, se e' lecito attendersi che queste immagini mostrino sia donne sia uomini, essendo la popolazione composta all'incirca dal 50% di entrambi, in realta' spesso non e' cosi' (...).
Accade di frequente che le immagini dei luoghi pubblici ritraggano prevalentemente uomini, oppure anche donne ma in posizioni di minor prestigio o rilevanza rispetto agli uomini: per esempio, le notizie che riguardano l'aumento del costo della vita spesso ritraggono uomini competenti in economia, magari intervistati a titolo di esperti, e donne addette alla spesa quotidiana, magari intervistate a titolo di casalinghe. Oppure i servizi che riguardano l'influenza, spesso intervistano medici uomini a titolo di esperti e pazienti donne a titolo di testimoni o vittime del virus di stagione. Questo genere di servizi veicola stereotipi di genere molto sottili ma capaci, tanto quanto quelli piu' evidenti, di trasmettere un'immagine della realta' parziale e sbilanciata, che non concorre a creare un tessuto culturale favorevole alle pari opportunita'".
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In sostanza, nelle notizie ci siamo poco o non ci siamo, e quando ci siamo dobbiamo rispondere ad uno stereotipo preciso. Infatti, l'immagine piu' frequente nei media italiani, rilevata dall'altra ricerca "Donne e Media in Europa" e' quella della "donna di spettacolo": e si nota in modo particolare la forte presenza delle modelle nei telegiornali: "... questo tipo di scelta (dice il sommario) sul piano di un'equilibrata rappresentazione del mondo femminile lascia qualche perplessita', considerata la funzione di legittimazione ed esaltazione che il posizionamento all'interno del telegiornale di fatto regala. Queste perplessita' si acuiscono se si pensa all'impatto di tali icone sulle giovanissime: la top model da semplice professionista che scivola con garbo sulle passerelle e' diventata un modello di riferimento estetico, frustrante e a volte pericoloso perche' irraggiungibile, qualche volta eccentrico e discutibile". E cosi' abbiamo veline, letterine, balletti di ragazzine seminude, reality show che di "reale" non hanno proprio niente, pubblicita' squallide, programmi di intrattenimento ancora piu' squallidi, eccetera. Il risultato, che e' un gradino su cui la violenza di genere sale, e' l'ipersessualizzazione delle giovanissime, e financo delle bambine. L'industria della moda ha cominciato ad usare modelle sempre piu' giovani (e sempre piu' anoressiche: vent'anni fa, la modella tipo pesava l'8% in meno della donna media, oggi pesa il 23% in meno) ed ora e' comune vedere in questo ruolo persino ragazzine di 12/13 anni, che vengono ritratte e presentate come se fossero donne adulte. Di piu': come se fossero donne adulte in cerca di sesso. Se date un'occhiata critica alle foto pubblicitarie noterete per esempio l'angolatura delle immagini: la ragazzina semi-svestita guarda in su, con gli occhi bistrati e languidi, sovente verso un uomo piu' alto di lei e le sue pose suggeriscono fragilita', vulnerabilita': in sostanza mimano le immagini piu' comuni della pornografia. Quindi per le ragazzine lo stereotipo ossessivamente proposto e' questo: devono essere belle in modo uniforme, magrissime, poco vestite e suscitare il desiderio e l'approvazione maschile. Se vi prendeste la briga di intervistare le piccole modelle, scoprireste che hanno un'opinione pessima non solo di se stesse, ma dell'intero universo femminile. Mentre vi parlo in ospedale, dalle mie parti, c'e' una bambina di 11 anni, intubata perche' non mangia piu'. E il 4 febbraio scorso, una ragazza di diciassette anni molto insoddisfatta della sua immagine corporea si e' impiccata nel bagno della scuola. Credo non serva dire altro sui danni che l'oggettificazione sessuale produce sulle bambine e sulle ragazze, pero' e' doveroso ricordare i danni che produce sull'altra meta' del cielo, quella maschile. Il primo suggerimento agli uomini - ovviamente non tutti se lo bevono acriticamente e ci mancherebbe - e' che le bambine vogliono fare sesso con loro. Se ascoltate le giustificazioni degli stupratori di minorenni lo capite benissimo: aveva 12 anni ma ne dimostrava di piu', era vestita come una prostituta, era consenziente, eccetera. Il secondo suggerimento e' che non vi e' una vera riprovazione sociale per un atto del genere: altrimenti, perche' mai queste ragazzine seminude sculettano nei telegiornali o si offrono sui manifesti pubblicitari? Il terzo suggerimento e' che non vi e' una vera riprovazione neppure da parte di chi queste bimbe dovrebbe difendere, di chi dovrebbe averne cura, e cioe' le loro famiglie, che in caso contrario non darebbero la loro approvazione alla rappresentazione eroticizzata delle loro bambine. La responsabilita' di un'azione violenta e' sempre di chi la commette, ma l'ambiente che attornia questa persona puo' favorire o sfavorire il compiersi dell'azione violenta, puo' educare alla sopraffazione o puo' educare al rispetto. Quindi, prosciugare il brodo di coltura che alimenta la violenza e' un passo necessario per ridurre e poi eliminare la violenza stessa.
Secondo la scrittrice Robin Gerber, "(In occidente) non abbiamo bisogno dei burqa in stile afgano per scomparire come donne. Noi scompariamo al rovescio: manipolando i nostri corpi e mostrandoli per aderire ad una visione della bellezza femminile imposta dall'esterno". La visione viene imposta non solo alle bambine, ma ad una maggioranza di donne che sono naturalmente piu' larghe, e piu' vecchie, delle modelle della pubblicita', generando in molte disistima e depressione (e a volte malattia). Una delle radici per il mantenimento di questa visione e' economica: l'industria dei cosmetici e dei prodotti dietetici ne vive alla grande. Ma un'altra radice e' il controllo. Se tu devi pensare a quante calorie ha la caramella, se il trucco e' a posto, se le scarpe hanno il tacco sufficientemente alto, e se sei abbastanza competitiva verso le altre donne per ottenere l'attenzione maschile, sei costantemente tesa, concentrata sul tuo aspetto ed incapace di pensare ad altro. Ha ragione la Gerber, e' lo stesso che imporre per legge un velo o un codice di abbigliamento purchessia: se tu devi preoccuparti del colore dei tuoi calzini e della lunghezza esatta del fazzoletto, perche' altrimenti la polizia puo' caricarti in auto e portarti via, e' piu' difficile che tu rifletta su cosa vuoi fare, chi vuoi essere, che relazioni vuoi avere, come desideri che il mondo vada, quanti e quali diritti hai, eccetera eccetera. Sapete quante donne si dicono soddisfatte, al mondo, della loro apparenza? Il 10%.
In Europa e nell'America del nord, le bambine cominciano a preoccuparsi del loro aspetto all'asilo, il 35% delle ragazzine fra i 6 e i 12 anni vorrebbe mettersi a dieta, ed il 70% delle adolescenti con un peso del tutto normale pensa di dover perdere peso. Insomma dobbiamo assomigliare a Barbie, o rischiamo di non esistere. Ma in realta', sarebbe proprio assomigliando a Barbie che finiremmo per non esistere. Se una persona umana avesse le stesse dimensioni della bambola ecco cosa succederebbe: la sua schiena sarebbe troppo debole per sostenere il peso della parte superiore del suo corpo, il suo ventre sarebbe talmente stretto che potrebbe contenere solo mezzo fegato e pochi centimetri di intestino; quindi, una donna che avesse le proporzioni di Barbie soffrirebbe di diarrea cronica e morirebbe di denutrizione.
Non mi sembra un grande scopo, per un'esistenza umana, e neppure uno scopo logico, ma i programmi televisivi, come i "reality show" e i "talk show", e gli innumerevoli servizi giornalistici loro correlati, si premurano di mostrare perche' una ragazza debba morire di fame, e cioe' a che le serve essere considerata "bella" dagli uomini.
"La donna del varieta' italiano (dice ancora "Women and Media in Europe") e' soprattutto il suo corpo, abbondantemente esposto. Non emergono (nelle donne presentate) capacita' e abilita' particolarmente evidenti ne' vengono citate o sottolineate. L'estetica complessiva resta quella dell'avanspettacolo. E infatti il livello complessivo dell'intrattenimento risulta mediocre e scadente. Nei reality, piu' in particolare, della donna si sottolinea soprattutto spregiudicatezza, esibizionismo, furbizia. Dati che rimandano allo stereotipo della "bad girl" intraprendente e furba, spregiudicata e abile nell'ottenere vantaggi e successo".
Vantaggi, successo. Soldi, gioielli, abiti firmati, borse di marca, appartamenti, automobili. Magari un posto in consiglio regionale o un seggio ministeriale. Risultati che valgono senz'altro la pena di sopportare l'arroganza, lo scherno e il letto del conduttore, organizzatore, utilizzatore maschio di turno. Come diceva la tenutaria di un bordello poco piu' di un secolo fa, davvero "Ogni ragazza sta seduta sulla sua fortuna"! In piu', non vogliamo certo essere classificate come bigotte, moraliste, vetero-qualchecosa, frigide racchie e via dicendo: cosa c'e' di male, ripetono opinionisti, politici, intellettuali uomini e donne, se una bella ragazza usa il suo corpo per fare carriera, e cosa c'e' di male nel sesso?
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Personalmente, ritengo il sesso parte della vita e anzi, una bella parte della vita. Nonostante le mie scarse attrattive di sempre, e la mia mezza eta' di oggi, non ho mai dovuto pagare per farlo, ne' sono mai stata pagata per farlo. La visione del sesso proposta dai media, pero', non e' il sesso come bella parte della vita: quello che ci mostrano e' uno pseudo-sesso, e' la trivializzazione piu' stupida del sesso, dove la misura della sessualita' femminile e' quanto essa soddisfa quella maschile, quanto risponde ai desideri e ai bisogni degli uomini. E' una sessualita' serva da parte femminile e padrona, acquirente, "utilizzatrice finale" da parte maschile: e non so cosa ne pensate voi, ma il mio concetto di piacere e divertimento e amore (tutte cose che hanno a che fare con il sesso), e' proprio un altro. Per esempio, non include la violenza. L'industria dell'intrattenimento, con gli show televisivi di cui sopra, con film, libri, e ogni tipo di supporto multimediale, continua a suggerire che la violenza e' sexy. Ne consegue che la sessualita' non e' tale se non e' violenta. E' un messaggio che i potenziali stupratori ricevono, principalmente grazie ai media, tutti i santi giorni. Che si usi il corpo per far carriera, poi, sinceramente mi disturba piu' a livello pragmatico che morale. E' una questione di competenze. Perche' se non posso fidarmi della diagnosi di un primario che ha ottenuto quel posto grazie a una mazzetta e non perche' e' un bravo medico, non posso fidarmi dell'operato di una Ministra alle Pari Opportunita' che posava per calendari pornografici.
L'alternativa alla scaltra venditrice di se stessa, nei media italiani, non e' particolarmente piu' attraente: potremmo definirla come "l'addolorata". Cito sempre dalle ricerche: "Nell'informazione, alla donna patinata e spregiudicata dell'intrattenimento si sostituisce bruscamente la donna-vittima e, comunque, la donna del dolore. La donna compare prevalentemente in servizi di cronaca nera (67,8%); di lei si parla all'interno di una vicenda drammatica, in cui e' coinvolta prevalentemente come vittima o in alcuni casi "carnefice". (...) Tutte le altre donne, quelle che studiano, lavorano, cercano di affermarsi nel mondo delle professioni e della cosa pubblica (...) restano completamente in ombra, sovrastate dalla presenza esorbitante di vallette e veline dell'intrattenimento, e da un esercito di donne-vittime o donne-streghe, al centro di servizi "autoptici" in cui non viene tralasciato alcun dettaglio dell'informazione. Un dato balza agli occhi e conferma l'analisi: praticamente invisibili le donne impegnate in politica (6,4%). (...) Un ulteriore dato definisce la situazione: la donna presentata nei servizi nella maggior parte dei casi "non ha voce", cioe' di lei si parla ma non le si da' parola. Quando parla lo fa per meno di 20 secondi".
Quindi: la violenza contro le donne va mostrata, persino nei dettagli piu' sensazionali (quelli da film horror), ma le donne non devono essere soggetti pensanti, con voce ed opinioni, neppure in questo caso. In compenso, i media ci forniscono tutta una serie di dottissimi articoli ed interviste a "esperti" in cui i perpetratori delle violenze vengono giustificati, adulati e compresi: una delle frasi chiave che ricorre nei titoli che illustrano la notizia dell'omicidio di una donna e' "lei voleva lasciarlo" oppure "lei lo aveva lasciato", ma e' una frase chiave che illustra persino gli articoli relativi agli studi sulla violenza di genere; uno degli ultimi che ho letto era piu' o meno: "Presentata a Milano la ricerca sulla violenza di genere: a rischio di omicidio separate e divorziate". Avete capito bene? Magari batte tutti i giorni voi e i vostri figli, magari state conducendo un'esistenza miserabile, ma guardatevi bene dal lasciarlo, perche' vi uccidera'. La responsabilita', e di conseguenza il biasimo, e' posta sulla vittima della violenza; cio' significa che sono le vittime a doversi far carico della prevenzione della stessa. Non occorre essere violentatori in proprio per propagandare la cultura dello stupro ed il culto della violenza. Non occorre neanche essere maschi, si puo' benissimo farlo essendo femmine. Un bel numero di questi sublimi pezzi di giornalismo sono firmati da donne, e per anni li ho letti su un giornale che di recente ha lanciato campagne e manifestazioni inerenti la dignita' delle donne: in particolare la frase "dove sono le femministe?" era contenuta praticamente in ogni articolo che riguardasse la violenza di genere. Poco importa che quello stesso mese io gli avessi spedito venti comunicati su cosa le femministe fanno, in Italia ed in tutto il mondo, per contrastare la violenza di genere, e poco importa che ogni volta rispondessi alla domanda dicendo "Io sono qua, ma guardate che la responsabilita' nel mettere fine alla violenza contro le donne non e' solo delle femministe, ne' solo delle donne, e' una responsabilita' che riguarda l'intera societa' umana in cui la violenza si da', ed e' una responsabilita' che riguarda anche voi, soprattutto nel modo in cui fate informazione sulla questione. In sintesi, e' un problema che si ha il dovere di risolvere non solo soccorrendo immediatamente le vittime di violenza, ma interrogandosi sulle attitudini e le credenze che scusano, legittimano e alimentano la violenza stessa".
Cosa accadrebbe, per esempio, se i media riportando una storia di violenza domestica cominciassero a raccontare come la donna e' sopravvissuta, cosa ha fatto, come ha lottato, chi l'ha sostenuta nel processo e cosi' via. Vedendo, leggendo, ascoltando questo, un'altra donna in una situazione simile puo' cominciare a pensare: "Lei ci e' riuscita, anch'io posso farlo". Cosa accaderebbe se i media, riportando le storie della tratta di donne per il mercato del sesso cominciassero ad indagare le complicita' e le connivenze che rendono possibile, e per molti persino accettabile, il commercio di essere umani?
Per quanto influenzino il risultato dell'uso che ne facciamo per comunicare, e' bene ricordare che i media in se' solo sono media, e cioe' "mezzi", attrezzi. Come li si usa e' tutta responsabilita' umana, nostra.
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La cultura dello stupro dice alle donne di far corsi di autodifesa, di essere piu' sensate, di evitare certi luoghi e certi orari, di non vestirsi cosi' e cola', ma agli uomini non dice assolutamente di smetterla. Anzi, se proprio dice qualcosa al proposito, parla di padri meravigliosi, di mariti esemplari, di compagni affettuosi, di amici fidati, che a causa di un'inspiegabile azione della donna (e d'altronde come volete che la spieghi se non ha spazio, o se lo spazio che ha sono venti secondi)... comunque, poiche' la donna voleva lasciarlo, lo aveva lasciato, o non lo voleva proprio, questi uomini sono presi da raptus, stuprano e uccidono. Scavando piu' a fondo nella notizia si scopre sempre che il raptus e' stranamente preceduto da anni di violenze, mesi di pedinamenti, programmazione accurata dell'assalto e cosi' via. Vien da chiedersi quanto durino i raptus.
Solo per citare un caso, alcuni anni fa un noto psicoterapeuta, propugnando la teoria del raptus per gli stupratori, equiparo' lo stupro al diabete. Disse in sostanza che era da moralisti biasimare i violentatori, giacche' erano colti da incontrollabili raptus: sarebbe stato come biasimare un diabetico per la sua malattia. Alla domanda sul perche' gli uomini erano cosi' soggetti a tale disagio, il raptus, o comunque perche' vi erano piu' soggetti delle donne, il luminare della scienza rispose testualmente: "Perche' hanno piu' muscoli". Il che e' molto interessante perche' suggerisce che l'unico uso che tu puoi fare della tua forza fisica consiste nel provocare danno agli altri, in questo caso alle altre. Cioe', se hai un bastone, l'uso principale che ne fai e' darlo in testa a qualcun altro. Tutti gli altri possibili usi che sono venuti in mente a me: usarlo come gruccia se mi fa male il piede, come sostegno per appendere ad asciugare lo strofinaccio, come paletto nell'orto per le piante rampicanti, come attrezzo per la ginnastica aerobica, e persino come mazza da pindul-pandul (un gioco che facevo da bambina in Friuli, non so come si chiami qui), sono evidentemente frutto del mio moralismo, della cui creativita' mi sento pero' abbastanza lieta. E oltre che moralista sono anche materialista, infatti pretendo dei supporti scientifici ad affermazioni del genere, e visto che lo psicoterapeuta non ne ha, ha solo la sua rispettabile opinione al proposito, io non solo non me la bevo, ma mi guardero' bene dal consigliare qualcuno o qualcuna di sdraiarsi sul lettino del suo ambulatorio.
C'e' naturalmente uno scopo nel negare o razionalizzare una violenza sessuale nel momento stesso in cui la notizia viene riportata, ed e' il renderla uno dei tanti "fatti della vita", un fatto spiacevole, e' vero, ma inevitabile come una perturbazione atmosferica ed altrettanto slegato dalla volonta' umana. Poi nei bar, negli uffici e nei negozi si sentono questo tipo di discorsi: Ma non ha gridato, secondo me ci stava. Oppure: Viene da una famiglia che te la raccomando, il ragazzo invece e' figlio del dott. Tal dei Tali, mi sembra proprio impossibile. Oppure: Vuoi che non potesse dibattersi? E' piu' grossa di lui.
E via cosi', fino a rendere lo stupro una soave e consensuale pratica amorosa, o lo sbocco di un irrefrenabile e primitivo impulso cui gli uomini non possono resistere. La violenza sessuale e' invece appresa: nasce tutta dal convincimento sociale che gli uomini abbiano il diritto di dominare le donne. Lo stupro di una donna e' ammonizione, degradazione, terrore e limitazione per tutte le altre. La maggior parte delle donne e delle ragazze limita e sorveglia i propri comportamenti per paura dello stupro, anche se non le e' mai accaduto di subire violenza. La maggior parte delle donne vive con questo timore, la maggior parte degli uomini no, e questo e' il modo in cui la violenza sessuale funziona come potente metodo di costrizione per meta' dell'umanita'.
Sino ad ora abbiamo esaminato programmi televisivi (potete tranquillamente accorparvi le radio, i dati non sono diversi) e quotidiani del mainstream, in chiusura prendo brevemente in considerazione l'alternativa della rete informatica, internet. Dicevo prima che i media sono attrezzi. Anche internet puo' essere usato ed e' effettivamente usato per propagandare stereotipi, molestare persone, glorificare la violenza. Fortunatamente viene anche usato, e bene, per fare il contrario, come testimoniamo le reti antiviolenza collegate a livello globale.
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In merito all'uso violento, quella che segue e' la storia di Laura, che e' pero' abbastanza comune da poter essere trattata come esempio: "Sappiamo tutte che quando ti gridano dietro per strada puo' essere l'inizio di un'aggressione. Sappiamo che se il tipo con cui esci risponde a schiaffi alle sue arrabbiature con te, domani potra' prenderti a pugni, e persino ucciderti alla fine. Sappiamo che la violenza tende a crescere se non viene fermata. Perche' allora prendiamo cosi' poco sul serio le molestie via internet? Alcune donne ne sono gia' morte. Mandare un'e-mail viene visto come una cosa 'privata', percio' se insulti una donna in pubblico magari attiri l'attenzione, ma se lo fai con centinaia di messaggi nessuno se ne preoccupera'. Io ho sopportato cinque anni di relazione violenta, ho chiesto aiuto ad un centro antiviolenza e ho fatto tutte le cose normali che si fanno in questi casi per evitare ritorsioni, ho cambiato e-mail, ho cambiato numero telefonico, ho cambiato percorso per andare al lavoro, stavo persino per cambiare casa. Niente ha funzionato. Lui ha continuato a minacciarmi sino a che io non l'ho minacciato a mia volta. E' triste dirlo, ma quest'uomo non capisce cosa fa di sbagliato, non ammette che le sue azioni sono sbagliate. Nel mio gruppo di auto-aiuto, nessuna di noi sopravvissute ha mai ricevuto realmente le scuse di chi ci ha fatto del male. Adesso il mio persecutore non mi manda piu' messaggi, sono passati sei mesi, ma ha ancora il coraggio di fornire i miei dati personali ad amici e conoscenti suoi, senza il mio consenso. Non capisco perche' abbia l'idea di poter passare qualsiasi limite, perche' creda che le regole, per lui, sono differenti".
Laura e' giovane, abbastanza giovane da non capire. Nessuno le ha dato informazioni diverse da quelle che passano sui media a grande diffusione, e cioe' che le donne sono essenzialmente figurine in un gioco di scambio per gli uomini. Nessuno ha dato informazioni diverse al suo persecutore. La scuola, ad esempio, non ha dato loro input differenti. La storia delle donne non si studia a scuola. Laura non la conosce, come non la conosce una nota consigliera regionale indagata per favoreggiamento della prostituzione minorile e proprio percio', immediatamente dopo di cio', eletta a gestire online una rubrica sulle donne, come "esperta": nella quale rubrica sproloquia della bellezza come "punto di forza" e cita le fiabe, Biancaneve e Cenerentola eccetera, per mostrare che un principe salvifico ci vuole per ogni donna, anzi, ottenere l'attenzione del principe e' lo scopo unico della vita di un donna. Di Biancaneve dice, con vero sprezzo del pericolo, che "viveva con sette uomini", implicando chiaramente che se ci viveva ci faceva anche sesso: probabilmente l'autrice di queste idiozie non ha esperienza di una relazione che non comporti lo scambio sessuale mercificato; dopotutto i setti nani la mantenevano, no, la Biancaneve, vuoi che non abbiano chiesto nemmeno un servizietto? Non ha mai letto una fiaba, scrive, che cominciasse con "C'era una volta in piazza" o dove le principesse protestassero. Intanto ha letto poco e male, perche' principesse che protestano ce ne sono eccome anche nelle fiabe classiche. E poi ignora che quel che ha: la possibilita' di eleggere ed essere eletta, il diritto di avere beni propri non sotto la tutela o il controllo di un parente di sesso maschile, il diritto di divorziare o di interrompere una gravidanza, il diritto a non essere molestata o assalita, il diritto ad avere un trattamento decente nell'ambito lavorativo, il diritto a non dover morire per l'onore della famiglia, eccetera, tutto questo non gliel'ha dato il principe. E' proprio perche' la mia generazione e quella precedente, e quella precedente ancora, sino alla protesta delle donne in Campidoglio nella Roma antica: e' perche' tutte queste donne "c'erano una volta in piazza" che lei ha delle garanzie e dei diritti come essere umano. Affinche' lei, e Laura, e tutte le altre, potessero essere libere, non siamo andate solo in piazza. Siamo andate in galera, ci siamo incatenate davanti ai Parlamenti, abbiamo fatto scioperi della fame, siamo state persino ammazzate.
Naturalmente non dico questo perche' voglio la sua gratitudine, ne' quella di nessun'altra o altro, lo dico perche' l'erosione della memoria e' un fattore chiave nel mantenimento dell'assetto presente, ed anche nel rapporto fra donne e mezzi di comunicazione. L'eterno presente dei media ha l'effetto proprio di cancellare, oscurare, i limiti di cui parlava Laura raccontando la sua esperienza di sopravvissuta alla violenza. Quello che propugna, l'eterno presente senza memoria, e' un'atomizzazione spinta degli individui, accoppiata alla percezione dell'altra o dell'altro solo come pericolo, fastidio o attrezzo da usare per la propria soddisfazione o ascesa.
L'istituzione dello stesso 8 marzo, il Giorno Internazionale della Donna, la ricorrenza per cui mi avete chiamata qui oggi, del che vi ringrazio ancora, aveva come scopo principale il mantenere la memoria delle lotte delle donne, perche' le conquiste dovute a queste lotte possono sempre andare perdute. A questo proposito i media, come fonte di trasmissione e comunicazione di conoscenze, possono essere sia utili sia dannosi. Sarebbe importante dar loro segnali: di incoraggiamento quando sono corretti e informati, di biasimo quando non lo sono. E non scoraggiarsi mai. Stiamo sulle spalle delle gigantesse che ci hanno precedute, percio' guardiamo lontano.
3. INCONTRI. DOMANI A VITERBO
L'otto marzo 2011 a Viterbo, con inizio alle ore 18, presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul", in strada Castel d'Asso snc (nelle vicinanze dell'area del Bulicame), si terra' una iniziativa per la Giornata della lotta delle donne per la liberazione dell'umanita', contro il maschilismo e il patriarcato, contro la guerra e il razzismo, contro lo sfruttamento che devasta e distrugge le vite umane e la biosfera, contro la mercificazione dei corpi e delle esistenze, contro ogni logica di violenza che umilia, opprime e distrugge.
Interviene Antonella Litta, presidente del Comitato "Nepi per la pace" ed animatrice di tante iniziative per i diritti ed il bene comune, di pace e di solidarieta'.
A seguire convivialita', con cena vegetariana, ed infine concerto dell'ensemble di musicisti locali "Jazzi" che suoneranno latin jazz e cubop.
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 487 del 7 marzo 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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