Telegrammi. 402
- Subject: Telegrammi. 402
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- Date: Sun, 12 Dec 2010 00:36:42 +0100 (CET)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 402 del 12 dicembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Severino Vardacampi: Cancun
2. La guerra e il razzismo. E tu
3. Domenico Gallo aderisce all'appello "Le armi provocano morte, l'arte e' vita"
4. Guido Viale: Cambiare dal basso. Idee e proposte per uscire dalla crisi dell'economia, della democrazia e dell'ambiente
5. Silvia Vaccaro intervista Mahboubeh Abbasgholizadeh
6. Rossana Rossanda ricorda Adriana Zarri
7. Tatiana Bertolini: Olympe de Gouges
8. Per sostenere il Movimento Nonviolento
9. "Azione nonviolenta"
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: CANCUN
Nulla di buono puo' venire dai vertici mondiali dei comitati d'affari mondiali.
Quello che chiamano "sviluppo" e' la nostra morte.
Quello che chiamano "governance" e' la dittatura che opprime i quattro quinti dell'umanita' riducendoli alla fame e alla schiavitu'.
Quello che chiamano "progresso" e' la devastazione della biosfera e la condanna della generalita' dell'umanita' futura a una vita infera in un mondo ridotto a rovina.
Nulla di buono puo' venire dai vertici mondiali dei comitati d'affari mondiali.
Solo dal basso, solo da scelte di sobrieta' e di giustizia, di condivisione e di cura reciproca, solo dalle prospettive di Kropotkin e Gandhi, di Ivan Illich e di Vandana Shiva, puo' venire una speranza.
Solo dalla nostra lotta per un'umanita' di donne e uomini eguali in diritti, responsabili e solidali.
La nonviolenza e' in cammino.
2. EDITORIALE. LA GUERRA E IL RAZZISMO. E TU
Se non ti opponi tu alla guerra, agli eserciti, alle armi, chi si opporra'?
Se non ti opponi tu alle stragi, chi si opporra'?
Se non ti opponi tu al colpo di stato razzista, chi si opporra'?
Se non ti opponi tu alle persecuzioni, alla riduzione in schiavitu', ai pogrom, ai campi di concentramento, alle deportazioni, chi si opporra'?
Vi e' una sola umanita'.
Con le tue gambe cammina la nonviolenza.
3. APPELLI. DOMENICO GALLO ADERISCE ALL'APPELLO "LE ARMI PROVOCANO MORTE, L'ARTE E' VITA"
[Riceviamo e diffondiamo.
Domenico Gallo, illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista, gia' parlamentare, tra gli animatore dell'Associazione nazionale giuristi democratici; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985; Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999; (a cura di, con Corrado Veneziano), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione. Guerra all'informazione, Besa, 2005; (a cura di, con Franco Ippolito), Salviamo la Costituzione, Chimienti, Taranto 2006. Vari suoi scritti sono disponibili nel sito www.domenicogallo.it
Francesco de Notaris, gia' senatore della Repubblica, giornalista e saggista, protagonista di molte iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti umani, contro i poteri criminali e la violenza. Tra le opere di Francesco de Notaris: Realizzare la speranza. Voci della citta', Edizioni Dehoniane, Napoli. Si veda anche l'ampia intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 301]
Aderisco all'appello e vi prego di aggiungere la mia firma.
Domenico Gallo
*
Allegato. Il testo dell'appello promosso da Francesco de Notaris: Le armi provocano morte, l'arte e' vita
Senza mezzi termini bisogna dire, a proposito della probabilita' che la Mbda (una delle piu' importanti industrie europee di sistemi missilistici e di esplosivi) possa finanziare il Museo Madre a Napoli, che e' assoluta l'incompatibilita' tra l'industria che produce morte e un Museo di arte moderna come il Madre.
L'arte e la modernita' devono rifiutare il denaro prodotto dalle guerre, dal sangue ed anche da investimenti di soldi di dubbia provenienza. E' inammissibile nascondere la realta' e la verita'.
L'economia deve essere al servizio dell'essere umano, che non e' merce da comprare. E' ottimo il comportamento degli artisti pronti a ritirare le loro opere se l'irresponsabile ipotesi diventasse realta'.
Da senatore e parlamentare per la pace scrissi la mozione poi approvata per bloccare la produzione da parte delle aziende italiane delle mine anti-uomo, presentai il testo di legge per l'obiezione di coscienza al servizio militare ed il disegno per la riconversione dell'industria bellica. In Iraq ho visto le stragi prodotte da missili e bombe "intelligenti". La politica non puo' operare scelte che ostacolano il disarmo e la pace offrendo alibi a quanti sono del tutto impegnati a fabbricare strumenti di morte.
Le armi sono costruite per uccidere. L'arte, invece, eleva l'essere umano. Se i costruttori di armi hanno bisogno di apparire benefattori, lo divengano sul serio, riconvertendo le loro fabbriche a produzioni civili.
Si facciano sentire le persone che amano la pace.
Per adesioni: francesco.denotaris at virgilio.it
4. RIFLESSIONE. GUIDO VIALE: CAMBIARE DAL BASSO. IDEE E PROPOSTE PER USCIRE DALLA CRISI DELL'ECONOMIA, DELLA DEMOCRAZIA E DELL'AMBIENTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 novembre 2010.
Guido Viale e' nato nel 1943, e' stato uno dei leader della protesta studentesca nel '68, lavora a Milano, si occupa di politiche attive del lavoro in campo ambientale, fa parte del Comitato tecnico-scientifico dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (Anpa). Opere di Guido Viale: segnaliamo particolarmente Il Sessantotto, Mazzotta, Milano 1978, Nda Press, 2008; Un mondo usa e getta, Feltrinelli, Milano 1994, 2000; Tutti in taxi, Feltrinelli, Milano 1996; Governare i rifiuti, Bollati Boringhieri, Torino 1999; A casa, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2001; Vita e morte dell'automobile, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Azzerare i rifiuti, Bollati Boringhieri, Torino 2008; Prove di un mondo diverso, Nda Press, 2009; La civilta' del riuso, Laterza, Roma-Bari 2010]
Per chi guarda alla crisi in corso dal punto di vista di un mondo diverso alcune questioni gia' ampiamente dibattute in altre sedi possono essere date per scontate. Innanzitutto, se c'e' o ci sara' una "ripresa" dalla crisi - il che e' ancora da vedere - non sara' granche'; dei tre principali indicatori con cui si misura l'andamento economico (Pil, profitti e occupazione), la ripresa potra' riguardare il Pil di alcuni paesi, i profitti di una parte, e una parte soltanto, delle imprese; ma sicuramente non riguardera' l'occupazione e i redditi da lavoro. Meno che mai possiamo pensare di andare incontro a una nuova fase di espansione economica, come quella dei cosiddetti "Trenta gloriosi" (1945-1975); per lo meno nella parte del mondo che ci riguarda. Investimenti e profitti sono ormai irreversibilmente disgiunti da occupazione e migliori condizioni di lavoro.
Il pianeta Terra e' sull'orlo di un baratro dovuto all'eccessivo consumo di ambiente, sia dal lato del prelievo delle risorse che da quello dell'emissione di scarti, residui e rifiuti. Crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate. Per questo, per garantire reddito e condizioni di vita e di lavoro dignitose a tutti e' necessario un profondo cambiamento sia dei nostri modelli di consumo che dell'apparato produttivo che li sostiene. Consumi e struttura produttiva sono indissolubilmente legati: fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica, risparmio e riciclo di suolo e di risorse, mobilita' sostenibile e agricoltura biologica, multiculturale, multifunzionale e a km0 sono i capisaldi del cambiamento necessario. Questo cambiamento impone una radicale inversione di paradigma nei processi economici, per sostituire alle economie di scala fondate su grandi impianti e grandi reti di controllo economico e finanziario (come il ciclo degli idrocarburi, dalla culla alla tomba) i principi del decentramento, della diffusione, della differenziazione territoriale, dell'integrazione attraverso un rapporto diretto, anche personale, tra produzione di beni o erogazione di servizi e consumo. L'esigenza di rilocalizzare e "territorializzare" produzioni e consumi riguarda ovviamente le risorse e i beni fisici (gli atomi) e non l'informazione e i saperi (i bit); ma questo corrisponde perfettamente al criterio guida di pensare globalmente e agire localmente.
Le attuali classi dirigenti, sia politiche (di maggioranza e di opposizione) che manageriali o imprenditoriali non sono attrezzate ne' sostanzialmente interessate a un cambiamento del genere. La crisi potrebbe sviluppare processi sia di compattazione autoritaria che di disgregazione del tessuto connettivo dell'economia e della societa'. In entrambi i casi, pericolosi per tutti. C'e' pertanto bisogno di una diversa forza trainante, non solo per essere realizzate, ma anche solo per concepire e progettare nelle loro articolazioni qualsiasi trasformazione sostanziale.
Una forza del genere oggi non c'e', ma nel tessuto sociale di un pianeta globalizzato si sono andate sviluppando nel corso degli ultimi due decenni pratiche, esperienze, saperi e consapevolezze nuove, anche se prive di una "voce" commisurata alla loro consistenza o di collegamenti adeguati; sia per mancanza di risorse e di accesso ai media, sia, soprattutto, per le loro caratteristiche ancora in gran parte locali o settoriali. Ma per una riconversione di vasta portata non bastano la difesa, la rivendicazione e il conflitto; servono anche progettualita', valorizzazione dei saperi e delle competenze mobilitabili, aggregazione non solo dell'associazionismo, ma anche di imprenditorialita' e di presenze istituzionali. Una aggregazione del genere delinea un perimetro variabile, ma essenziale, di una democrazia partecipativa - compatibile e per molto tempo destinata a convivere con le rappresentanze istituzionali tradizionali - le cui forme non potranno necessariamente essere simili dappertutto.
Ho evitato finora di nominare termini come decrescita, democrazia a Km0, conversione ecologica, socialismo, lotta di classe, partito e simili: parole che possono dividere. Cercando di porre l'accento su quello che unisce o puo' unire uno schieramento di idee, di pratiche e di organizzazioni piu' ampio possibile. Qui di seguito, invece, prendo posizione su questioni che possono non trovare piu' tutti d'accordo.
Innanzitutto ritengo che lo Stato e gli Stati siano la controparte e non gli agenti di una trasformazione come quella delineata, che non puo' essere governata o gestita, ma nemmeno progettata, dall'alto e in forma centralizzata. Tanto meno possono svolgere un ruolo del genere la finanza internazionale o gli organismi che la rappresentano a livello planetario o quelli in cui si articola il loro potere.
In secondo luogo, ritengo sacrosanta e irrinunciabile la difesa dell'occupazione e del reddito sui luoghi di lavoro, ma se si svolge senza mettere in discussione logica e tipologia dei beni e dei servizi prodotti, al di fuori di una prospettiva di riconversione della struttura produttiva e dei modelli di consumo vigenti, e' una lotta perdente. Per esempio non porta a nulla chiedere che la Fiat produca piu' auto, che ne produca di piu' in Italia, che produca modelli a piu' alto valore aggiunto, cioe' di lusso, che produca "auto ecologiche" (peraltro un ossimoro). Per questo ritengo fulcro della riconversione il passaggio dall'accesso individuale ai beni e ai servizi a forme sempre piu' spinte di consumo condiviso. Non si tratta di "collettivizzare" i consumi, ma di associarsi per migliorarne l'efficacia e ridurne i costi. Gli esempi a portata di mano sono i Gas (gruppi di acquisto solidale) che nel corso degli ultimi due anni si sono diffusi in modo esponenziale; quelli piu' promettenti sono l'associazionismo per gestire il risparmio energetico, installare impianti di energia rinnovabile o promuovere la mobilita' flessibile. E' un modello che puo' investire tutti i servizi pubblici locali: trasporti, energia, rifiuti, acque, manutenzione del territorio, welfare municipale. E poi cultura, spettacolo, istruzione, formazione professionale e permanente; ma anche riuso di beni dismessi o da dismettere, attraverso la promozione di una cultura e di una pratica della manutenzione.
Certamente c'e' bisogno di un quadro programmatico generale, non solo di livello nazionale, ma anche internazionale. Ma in mancanza di soggetti e agenti in grado o disponibili a farsene carico - e comunque impossibilitati a realizzarlo nelle sue articolazioni territoriali - e' a livello locale che si gioca la partita; oggi un disegno programmatico generale puo' nascere solo dal concorso di iniziative a carattere locale, ancorche' concepite con un approccio e un pensiero globali. Per questo la salvaguardia o la riconquista di un ruolo fondamentale per i poteri locali - municipalita' e i loro bracci operativi - assume una valenza strategica generale: cosa che la campagna contro la privatizzazione dell'acqua ha messo in evidenza.
Niente a che fare con il "federalismo" sbandierato dalla Lega. Non c'e' mai stato tanto accentramento e tanta espropriazione dei poteri locali - dall'Ici alle decisioni sulla localizzazione degli impianti nucleari; dal sequestro dei fondi Fas al taglio dei trasferimenti e all'accentramento degli interventi straordinari nelle mani della Protezione civile, cioe' della Presidenza del consiglio, cioe' della "cricca" - come da quando la Lega e' al governo. Ma la minaccia e l'ostacolo maggiori per qualsiasi prospettiva di cambiamento radicale dello stato di cose presente sono rappresentati dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali, promossa e portata avanti sotto le false sembianze della loro "liberalizzazione". Non solo perche' essa sostituisce il profitto alla valenza e alle finalita' sociali dei "beni comuni". Ma soprattutto perche' il divieto o la limitazione dell' in house providing, lungi dal promuovere l'efficienza dei servizi, innescano processi di aggregazione e finanziarizzazione delle gestioni; e con esse un progressivo e violento allontanamento dei poteri decisionali dal territorio di riferimento in attivita' che sono essenzialmente "servizi di prossimita'", la cui efficacia dipende dal grado di controllo e di condizionamento - ma anche di partecipazione e di coinvolgimento - che l'utenza riesce a esercitare su di essi. La vicenda dei rifiuti urbani della Campania, la cui gestione era stata affidata nella sua interezza a una multinazionale estranea al territorio, dopo essere stata sottratta, con l'istituto del Commissario straordinario e con la militarizzazione del territorio, al gia' debole controllo delle rappresentanze istituzionali e della contestazione dal basso, e' un caso da manuale. Come lo e' la vicenda del sequestro del servizio idrico privatizzato in provincia di Latina.
Per questo la promozione di forme nuove di consumo condiviso - che vuol dire controllo o condizionamento sulle condizioni in cui il bene o il servizio vengono prodotti, distribuiti o erogati - e' al tempo stesso via e risultato di una democrazia partecipata che coinvolga la cittadinanza attiva e la faccia crescere in numero e capacita' di autogoverno: protagonisti ne dovrebbero diventare, secondo le modalita' specifiche proprie di ciascun attore, i lavoratori e le loro organizzazioni, il volontariato e l'associazionismo di base, le amministrazioni locali o qualche loro segmento, le imprese sociali e quelle, anche private, soprattutto se a base locale, disponibili al cambiamento. La progettazione e la realizzazione di questo passaggio richiede comunque un confronto aperto tra tutti gli interlocutori potenziali; un confronto che nella maggior parte dei casi andra' imposto con la lotta; ma che in altri potra' essere favorito dal precipitare della crisi.
Le proposte maturate e gia' sperimentate in anni di riflessione e di pratiche in seno ai movimenti sono vincenti. In un confronto aperto e trasparente non possono che prevalere. Il che non significa che si impongano anche le soluzioni proposte: tra il dire e il fare c'e' di mezzo il mare.
5. INTERVISTE. SILVIA VACCARO INTERVISTA MAHBOUBEH ABBAS GHOLIZADEH
[Dal sito www.noidonne.org col titolo "La donna del mese: Mahboubeh Abbasgholizadeh" e il sommario "Attivista iraniana per i diritti delle donne, sostiene che 'la cosa piu' importante sia esprimere la propria essenza femminile e sviluppare una coscienza di genere'"]
Mahboubeh Abbasgholizadeh ha il volto serio. I capelli sono corti, l'aria apparentemente dura e impenetrabile. Iraniana, ha iniziato a lottare insieme ad altre donne musulmane, nel 1992, fondando il gruppo di "Studi e ricerche sulla condizione della donna" che diede vita alla pubblicazione del trimestrale "Farzaneh (Journal of Women's Studies and Research)", chiuso nel 2002. Dal 1994 al 2007 e' stata direttrice dell'Associazione di Scrittrici e Giornaliste (ong). Delusa dalle femministe musulmane e dalla mancanza di dinamismo nelle riforme giuridiche, si e' avvicinata al femminismo secolare e collabora con le organizzazioni internazionali come la Women Living Under Muslim Laws (Wluml) e l'Institute for Women's Empowerment (Iwe). E' stata arrestata piu' volte a causa del suo attivismo politico. A maggio di quest'anno, mentre si trovava all'estero, un tribunale iraniano l'ha condannata a due anni di carcere e trenta colpi di frusta con l'accusa di cospirazione contro la sicurezza nazionale. Attualmente vive ad Amsterdam, lontana dal suo paese e da chi e' pronto a tapparle la bocca.
L'ho incontrata a Roma, una delle tappe del suo viaggio in Italia, e sono rimasta affascinata dalla sua grinta, e dalla sua espressione misurata e razionale. "Tutto e' iniziato quando ho deciso di divorziare. Mentre ero in aula, davanti ai giudici che decidevano del mio futuro, ho improvvisamente realizzato che la mia voce contava molto meno di quella di mio marito. Io potevo chiedere il divorzio ma sarebbe stato un uomo, il giudice, a decidere se potevo separarmi o se dovevo restare con una persona che non volevo piu' accanto. Il giudice, concesso il divorzio, stabili' che i miei due figli dovevano stare col padre, perche' era un figura piu' importante in quanto uomo e in quanto portatore di reddito, e soprattutto era piu' razionale di me e quindi piu' capace di sapere quello che era meglio per loro. Io mi ribellai, cercando di affermare il mio diritto di madre, ma non venni ascoltata. Questa e' stata la peggiore discriminazione che ho dovuto sopportare e questo mi ha portato a lottare per i diritti delle donne".
Per Mahboubeh il femminismo e' diventato parte della vita, non come una corrente importata dall'occidente, ma come modo di sentire e vivere l'esistenza. "Mi definisco femminista perche' credo che per una donna la cosa piu' importante sia esprimere la propria essenza femminile e sviluppare una coscienza di genere: dobbiamo provare a ripensare il nostro stile di vita, interrogarci sulle nostre scelte e trovare un modo condiviso per acquistare il giusto potere nella societa'. Credo che il femminismo in Iran o in Italia sia differente perche' ci sono diversi riferimenti culturali, ma credo che le radici del femminismo si basino esclusivamente sulla coscienza di genere e sulla volonta' di esprimere noi stesse".
In Iran la situazione delle donne appare complicata ed e' difficile immaginare un futuro prossimo di uguaglianza e liberta'. "La sfida piu' difficile per le donne iraniane riguarda il riconoscimento dell'uguaglianza nel diritto costituzionale e civile e l'affermazione del diritto di cittadinanza. Mi fa sperare vedere che le giovani iraniane sono pronte a lottare per questi obiettivi, e per vivere una sessualita' serena e consapevole".
Come immagina l'Iran senza l'attuale presidente? "Credo che qualsiasi governo diverso da quello di Ahmadinejad baserebbe la sua esistenza sui valori democratici e laici, senza per questo perdere il senso religioso. In seguito alla rivoluzione del 1979 e' iniziato un lento processo di perdita dei diritti umani e le donne sono state le piu' colpite. Oggi mi auguro che gli attivisti del green movement, uomini e donne, siano sensibili alle tematiche di genere. Se le persone diventano attente e consapevoli, ogni governo, secolare o religioso che sia, dovra' fare i conti con questo tipo di sensibilita' e dovra' cercare di eliminare le discriminazioni basate sui pregiudizi radicati nella mentalita' e nella cultura ancestrale ancora vigente".
6. AMICIZIE. ROSSANA ROSSANDA RICORDA ADRIANA ZARRI
[Dal quotidiano "il manifesto" del 19 novembre 2010, col titolo "La mia amica Adrana".
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste.
Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, teologa e saggista, e' deceduta nel 2010. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo i seguenti stralci: "Adriana Zarri (San Lazzaro di Savena, 26 aprile 1919 - Crotte di Strambino, 18 novembre 2010) e' stata una teologa, giornalista e scrittrice italiana. E' nata nel 1919 a San Lazzaro di Savena, nelle immediate vicinanze di Bologna, figlia di un mugnaio, gia' bracciante, e della figlia di un capomastro. Negli anni giovanili dirigente dell'Azione Cattolica, dal 1952 e' giornalista pubblicista. Dopo aver vissuto in diverse citta' italiane (Roma, soprattutto), dal settembre 1975, per una scelta di tipo eremitale, si e' ritirata prima ad Albiano, poi a Fiorano Canavese, e infine, dalla meta' degli anni '90, a Strambino, sempre in provincia di Torino. Ha collaborato con molte testate cattoliche: L'Osservatore Romano, Rocca, Studium, Politica oggi, Sette giorni, Il Regno, Concilium, Servitium e Adista. Ha collaborato con i periodici Avvenimenti (con la rubrica Diario inutile) e MicroMega. Nel quotidiano Il Manifesto aveva una rubrica domenicale, Parabole. In passato partecipo' anche come ospite fissa alla trasmissione televisiva Samarcanda condotta da Michele Santoro. Ha portato avanti una teologia antitradizionalista, dubitando dell'esistenza dell'Inferno in quanto punzione non educativa e riproponendo una visione pessimistica della morte. Ha preso pubblicamente le distanze tanto dal disinteressamento nei confronti della religione quanto da movimenti conservatori come Comunione e Liberazione oppure Opus Dei. Premi e onorificenze: Il 6 dicembre 1995 le e' stato conferito il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Premio speciale Testimone del Tempo, assegnato dal Premio Acqui Storia; Premio Matilde di Canossa, della Provincia di Reggio; Premio Minerva 1989, nella sezione Ricerca scientifica e culturale; Premio Igino Giordani 2002, del comune di Tivoli. Per il suo volume Vita e morte senza miracoli di Celestino VI ha vinto, nel 2008, la quattordicesima edizione del Premio Letterario Domenico Rea, nella sezione Narrativa e la quarta edizione del Premio letterario Alessandro Tassoni, sempre per la sezione Narrativa". Tra le opere di Adriana Zarri: Giorni feriali, Ipl, Milano 1953; L'ora di notte, Sei, Torino 1960; La chiesa, nostra figlia, La Locusta, Vicenza 1962; Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualita', Borla, Torino 1964; Teologia del probabile, Borla, Torino 1967; Tu. Quasi preghiere, Gribaudi, Torino 1973; E' piu' facile che un cammello..., Gribaudi, Torino 1975; Erba della mia erba. Resoconto di vita, Cittadella, Assisi 1981; Dodici Lune, Camunia, Milano 1989; Figlio perduto. La parola che viene dal silenzio, La Piccola, Celleno 1991; Nostro Signore del deserto. Teologia e antropologia della preghiera, Cittadella, Assisi 1991; Quaestio 98. Nudi senza vergogna, Camunia, Milano 1994; Dedicato a, Frontiera, 1998; Dio che viene. Il Natale e i nostri natali, La Piccola, Celleno 2007; Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, Diabasis, Reggio Emilia 2008; Un eremo non e' un guscio di lumaca, Einaudi, Torino (di prossima pubblicazione)]
Si e' spenta ieri notte Adriana Zarri, teologa, mistica, donna inflessibilmente libera e solitaria. Stava male da tempo, da quando una caduta pareva avere spezzato d'un colpo l'energia che la spingeva dalla cascina piemontese dove abitava, il suo orto, i suoi animaletti e le sue rose, in giro per l'Italia, saltando sulla sua vecchia macchina o su un treno, a partecipare alle battaglie civili, e custode d'una lettura corretta delle scritture che le permetteva, anzi le comandava, di essere anche cittadina. Si batteva conversando, riunendo altri nella preghiera, scrivendo. Sino alla fine, gia' assai malandata, ha continuato a scrivere per noi, come per "Rocca", o per "Concilium" o "Il regno": alternando gli interventi o le rubriche, per noi le agili Parabole, ai saggi e ai romanzi. Tutti in verita' parabole, l'ultima e' del 2008 Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, favola moderna su un papa che non fu - come lei aveva sperato fosse in Ratzinger, dagli esordi assieme a Hans Kung nel Vaticano II - e che si inverava in un colto parroco di campagna deciso a servirsi della indiscutibile autorita', e non perche' credesse alla propria infallibilita', ma perche' liberava la chiesa di Roma dai suoi ori materiali e dai suoi orpelli devozionali. Nel romanzo non li definisce "idolatrici", ma che fosse un'"idolatria" lo pensava e diceva. E vi ha fatto perfino uno dei suoi convegni.
Adriana e' stata fra i molti credenti cui il Concilio Vaticano II aveva aperto il cuore alla speranza. Sono molti, e a tutti i livelli, dal fedele a certi parroci a qualche vescovo e fin cardinale, che non si mettono fuori della chiesa, ma ai margini e in mezzo alla gente. La chiesa preferisce ignorarli, e benche' siano di sinistra, la sinistra ne fa, come la chiesa, ben poco conto: quando Berlinguer, dopo Togliatti, penso' a un'alleanza con i cattolici, la cerco' nella Democrazia Cristiana, cioe' in chi piu' lontana da questi cristiani di base non poteva essere. Adriana della Dc, come peraltro del Pci, non fece mai parte, ne' e' mai stata di quelli che si potevano incontrare ai meeting di Comunione e Liberazione, che defini', in un celebre libretto, "i guardiani del sabato". In gioventu' era stata tentata di entrare in un ordine, ma vi aveva rinunciato per mantenere liberi i suoi pensieri e la sua parola: "Se non prendo gli ordini, mi diceva, loro piu' che scomunicarmi non possono, e scomunicare un laico non usa piu'".
Loro, cioe' il Vaticano, la curia. Cosi' preferi' vivere da laica come una monaca, anzi - amava dirsi - da eremita, del suo orto e dei suoi conigli, lavorando come poteva senza rinunciare alla solitudine, e con l'aiuto dei suoi amici - ne aveva molti, amici che in lei cercavano e da lei avevano la parola, gli incontri di riflessione estivi nella pace della campagna, o la preghiera nella veglia pasquale di cui aveva ritradotto le parole con Fabrizio Frasnedi.
Un giorno le dicevo che del cristianesimo mi interessava la disciplina interiore, protesto' con veemenza: disciplina era un termine che non tollerava. Ne' esteriore ne' interiore. E' stata di quelli che piu' hanno attaccato la svolta impressa alla chiesa da Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II.
Non ne apprezzava affatto la derivazione dalla chiesa polacca, non trovo' accettabile che stringesse la mano a Pinochet (non lo perdono' neanche a madre Teresa), trovo' indegno che cacciasse da se' con un gesto della mano il teologo della liberazione Boff che gli si era gettato ai piedi. Mi aspettavo che la sua scrittura, sempre corretta anche nei passaggi piu' severi, prendesse come obiettivo anche Ratzinger, ma su Ratzinger ha quasi taciuto. Stava gia' male, le era rimasto caro il Ratzinger degli inizi, le piaceva la leggenda romana del suo amore per i gatti, e certo la sua predilezione per il rituale latino. Predilezione condivisa: Adriana la trasgressiva pregava e cantava con una bella voce limpida, il rituale di oggi, trovava giusto che il sacerdote dicesse messa senza dare la schiena ai fedeli, ma non avrebbe rinunciato al gregoriano.
Di quel che conosco in questi ultimi anni su di lei da vicino non so altro. Gli amici perfetti di Ivrea l'hanno accompagnata sino alle fine. Era ormai cosi' fragile che si e' come addormentata. In letizia, spero, perché aveva molto amato la bellezza del mondo, i giorni, le stagioni, le creature, il cielo. La sua era una mistica della vita e sono certa che cosi' - agile, alta, ostinata, attiva, i capelli tirati indietro dal bel viso acuto, vestita sempre con qualche colore perche' amava che di colore fosse adorno l'universo - vorrebbe essere ricordata.
7. STORIA. TATIANA BERTOLINI: OLYMPE DE GOUGES
[Dal sito www.noidonne.org col titolo "Olympe de Gouges. L'altra voce della Rivoluzione" e il sommario "Una protagonista del suo tempo e antesignana dell'emancipazione femminile. La ghigliottina non soffoco' il suo pensiero"]
All'indomani dello scoppio della Rivoluzione del 1789 a Parigi e in quasi tutta la Francia sorsero il cosiddetti club, o circoli, nei quali si riunivano i cittadini francesi per organizzare le loro attivita' politiche e sperimentare una nuova forma di partecipazione alla vita sociale. Di questi uno dei piu' importanti tra quelli sorti a Parigi, fu il Circle Social organizzato dai Girondini, che facevano capo a Brissot e a Condorcet. Al suo interno si ritrovarono poi due gruppi: Il Club degli amici della verita' ed il corrispettivo Club delle amiche della verita', un circolo tutto al femminile che aveva iniziato ad occuparsi della specificita' dei problemi delle donne in quel momento di mutamenti giuridici e sociali.
Si puo' vedere come gia' con il crollo dell'ancien regime la questione femminile si presenti sotto un duplice aspetto: da una parte stabilire uguali diritti per gli uomini e le donne, dall'altra considerare i problemi sociali e le specificita' della parte femminile della nazione, che noi oggi chiamiamo identita' di genere.
Per quanto riguarda la parita' dei diritti, la cosa non fu ne' facile ne' chiara fin da subito. Basterà dire che la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" avrebbe dovuto riguardare, nella mente dei suoi estensori, solo la componente maschile, adulta e libera della societa'. Mentre in altri casi il termine Homme significava l'intera umanita'. Da questa dichiarazione quindi sono escluse le donne e gli schiavi, aspetto questo da non sottovalutare: infatti con la rivoluzione francese si incomincia a parlare di abolizione della schiavitu', e proprio partendo da questo punto le prime donne che si occupano di questi problemi non mancheranno di sottolineare l'equivalenza tra la condizione degli schiavi e la loro.
Riguardo invece alla specificita' della condizione femminile, sono molto interessanti i risultati cui giunge il Club delle amiche della verita'. Queste donne avevano evidenziato le seguenti necessita': protezione dai maltrattamenti dei mariti e dalla miseria, istituzione di ospedali e asili per l'infanzia, gratuiti per le donne che arrivavano dalla campagna e rimanevano incinte, retribuzione del lavoro femminile, riforma del diritto ereditario che favoriva i figli e discriminava le vedove e le figlie, istruzione femminile e nuova legge sull'infedelta' coniugale.
E' nell'ambiente di questo circolo che fa la sua comparsa Olympe de Gouges, della quale e' stata pubblicata nel 2009 una raccolta di scritti dal titolo curioso La musa barbara. Tale musa e' la stessa Olympe e il titolo se lo era attribuito lei stessa.
Figlia naturale di un nobile, sposata giovanissima ad un uomo piu' vecchio di lei che la lascera' presto vedova, e dal quale avra' almeno un figlio, una volta giunta a Parigi si dedica con passione alla scrittura, scrivendo pieces teatrali che non sempre verranno date e frequentando il club girondino. Allo scoppio della rivoluzione si dedica alla questione femminile anche se i suoi lavori, lettere aperte, pamphlet o articoli, vertono in generale sulla situazione in cui si trova la Francia. Lo stile e' piuttosto enfatico, e da cio' traspare comunque la passione con cui essi sono scritti.
In apertura troviamo alcuni testi nei quali l'autrice da' una sua interpretazione della situazione economica e finanziaria in cui si trova la Francia e dispensa consigli abbastanza ingenui e contraddittori (un'enorme colletta popolare e un'imposta sul lusso) che dovrebbero risolvere i drammatici problemi del paese.. Dapprima monarchica, difende il re secondo lei ostaggio della corte e dei suoi ministri, e lo esorta a darsi da fare per non rimanere a sua volta vittima dei suoi nemici, ma dopo la tentata fuga a Varennes, considerata un tradimento verso la nazione, si dichiara leale e fervente repubblicana, pur stendendo nel dicembre del 1792 una difesa d'ufficio di Luigi Capeto secondo la quale il fatto che non sia piu' re dovrebbe bastare a punirlo e che non necessiti la sua morte.
Le pagine piu' interessanti riguardano, pero', la questione femminile e tra essi risalta la "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina" scritta di getto dopo la stesura di quella citata dei diritti dell'uomo. In essa troviamo accentuata l'esigenza di una parita' giuridica ben di la' da venire. Il primo articolo parla subito chiaro: la donna nasce libera e resta uguale agli uomini per diritti. Le distinzioni potranno unicamente fondarsi sull'utilita' comune: a cio' segue di conseguenza che tutte le cittadine e i cittadini devono poter essere ammessi a tutte le dignita', a tutti i posti e impieghi pubblici, secondo le loro capacita' e senza altra distinzione oltre a quelle delle loro virtu' e dei loro talenti.
La modernita' di questi scritti e' davvero sorprendente se si riflette sul fatto che ancora nel '900 il diritto di voto e' stata una conquista faticosa, e nel nostro paese ancora negli anni '50 alcune attivita' (ad esempio magistratura) erano precluse alle donne. Olympe de Gouges coglie subito l'importanza di una parita' giuridica per poter poi raggiungere gli altri obbiettivi individuati dalle amiche della verita'. In calce alla dichiarazione vi e' una postfazione in cui l'autrice esamina la condizione della donna nei secoli precedenti, ove l'unica liberta' e potere che le era concessa era quella di sfruttare il suo corpo e la sua bellezza. Un sesso a quel tempo disprezzabile ma rispettato, mentre ora le pare rispettabile ma disprezzato. Il testo si apre con una famosa esortazione: Svegliati donna, la campana della ragione sta suonando in tutto l'universo, riscopri i tuoi diritti! Per Olympe l'emancipazione femminile quindi e' una conseguenza naturale quasi inevitabile dei cambiamenti che i francesi stanno vivendo, ma sta alle donne lottare per ottenerla, poiche' essa ha perfettamente capito che dagli uomini non si potra' ottenere alcun appoggio.
Per una donna cosi' decisa nelle sue idee e per nulla timorosa nell'esporle, che in alcuni scritti critica pubblicamente e duramente Robespierre, il destino e' pero' segnato. Il 3 novembre 1793 verra' ghigliottinata e gli scritti trovati nella sua casa ancora inediti saranno distrutti.
Pur con i limiti accennati, l'antologia dei suoi testi ancora oggi mantiene un notevole interesse, non solo come spaccato di un'epoca, la descrizione di avvenimenti dal loro interno, ma anche per la modernita' e lungimiranza dell'esame degli argomenti che concernono la condizione femminile cosi' come poi si e' evoluta nel corso della storia.
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10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Massimo Campanini, Averroe', Il Mulino, Bologna 2007, pp. 168, euro 11.
- Giorgio Colli, Apollineo e dionisiaco, Adelphi, Milano 2010, pp. 276, euro 14.
- Hans Fenske, Il pensiero politico contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2001, 2004, 2006, pp. 328, euro 14,50.
- Salvatore Lupo, Potere criminale. Intervista sulla storia della mafia, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. VIII + 192.
- Stefano Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Einaudi, Torino 2003, 2008, pp. X + 284, euro 17,50.
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Riletture
- Pietro Citati, Tolstoj, 1983, Adelphi, Milano 1996, 2007, pp. 332.
- Giorgio Colli, Platone politico, Adelphi, Milano 2007, pp. 166.
- Alexis de Tocqueville, L'antico regime e la rivoluzione, Bur - Rcs Libri, Milano 1981, 1998, pp. 350.
*
Riedizioni
- Marc Bloch, La societa' feudale, Einaudi, Torino, Mondadori, Milano 2010, pp. XXVIII + 552, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).
- Rupert Brown, Psicologia sociale del pregiudizio, Il Mulino, Bologna 1997, Fabbri - Rcs Libri, Milano 2007, 2010, pp. XVIII + 386, euro 9,90.
- Arnold Gehlen, Prospettive antropologiche, Il Mulino, Bologna, 1985, 2005, 2009, pp. 208, euro 12.
- Guido Gozzano, Poesie, Rcs Rizzoli Libri, Milano 1977, 2010, pp. 488, euro 7,50 (in supplemento al "Corriere della sera").
- Emanuele Narducci, Cicerone. La parola e la politica, Laterza, Roma-Bari 2009, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp. XVIII + 450, euro 9,90.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 402 del 12 dicembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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