Telegrammi. 401



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 401 dell'11 dicembre 2010

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: La guerra assassina, il colpo di stato razzista

2. Marian Hassan: Dopotutto e' solo una donna

3. Scuola di pace di Napoli: Adesione all'appello "Le armi provocano morte, l'arte e' vita"

4. Una commemorazione di Alfio Pannega

5. Ristampati i "Racconti siciliani" di Danilo Dolci

6. Cantata per Danilo

7. Per sostenere il Movimento Nonviolento

8. "Azione nonviolenta"

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: LA GUERRA ASSASSINA, IL COLPO DI STATO RAZZISTA

 

L'articolo 2 della Costituzione della Repubblica Italiana afferma che "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo...". Sia benedetto il parlar chiaro degli antifascisti che scrissero la legge fondamentale del nostro paese restituito alla democrazia e alla civilta' dopo l'orrore del fascismo e della guerra mondiale.

L'articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana afferma che "... Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica...". E sia benedetto ancora il parlar chiaro degli antifascisti che scrissero la legge fondamentale del nostro paese restituito alla democrazia e alla civilta' dopo l'orrore del fascismo e della guerra mondiale.

L'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana afferma che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...". E nuovamente benedetto sia il parlar chiaro degli antifascisti che scrissero la legge fondamentale del nostro paese restituito alla democrazia e alla civilta' dopo l'orrore del fascismo e della guerra mondiale.

La Costituzione della Repubblica Italiana: questa e' la base dell'ordinamento giuridico che chiamiamo stato italiano. Questa e' la legge a cui tutte le altre leggi di questo paese devono adeguarsi. Questo l'impegno che in Italia tutti i pubblici poteri sono tenuti a rispettare e adempiere.

*

La partecipazione italiana alla guerra assassina in corso in Afghanistan e' in contrasto con la Costituzione: e' radicalmente illegale, e' un crimine contro l'umanita'.

Il colpo di stato razzista concretizzatosi in molteplici misure che negano la dignita' e i diritti umani di tutti gli esseri umani e' in contrasto con la Costituzione: e' radicalmente illegale, e' un crimine contro l'umanita'.

La guerra assassina ed il colpo di stato razzista sono i due crimini piu' mostruosi commessi da chi governa questo paese. Crimini scellerati, crimini contro cui e' diritto e dovere di ogni essere umano insorgere in nome del diritto, in nome della civilta', in nome della verita', in nome dell'umanita'.

Chi non si batte contro la guerra assassina ed il colpo di stato razzista di questi crimini si fa complice: ogni passivita', ogni omissivita', contribuisce a provocare inaudite sofferenze, feroci stragi.

Il primo dovere di ogni persona decente che oggi si trovi in Italia e' contrastare la guerra assassina ed il colpo di stato razzista.

Il primo dovere di ogni persona decente che oggi si trovi in Italia e' insorgere contro la guerra assassina ed il colpo di stato razzista, crimini contro l'umanita', barbarie che tutto travolge.

Il primo dovere di ogni persona decente che oggi si trovi in Italia e' la lotta nonviolenta contro la guerra assassina ed il colpo di stato razzista; la lotta nonviolenta perche' sia ripristinata la legalita' costituzionale; la lotta nonviolenta per far cadere il governo della guerra e del razzismo, il governo dei torturatori e degli assassini.

 

2. DIRITTI UMANI. MARIAN HASSAN: DOPOTUTTO E' SOLO UNA DONNA

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questa testimonianza di Marian Hassan, che vive nel Puntland, in Somalia. Questa lettera e' parte della campagna che sostiene l'International Violence Against Women Act (I-Vawa). Lettere di donne da tutto il mondo sono inviate al presidente degli Stati Uniti Barack Obama tramite World Pulse e Women Thrive Worldwide, per sollecitare l'adozione dell'atto internazionale contro la violenza di genere]

 

Noi donne somale abbiamo sofferto la nostra parte di stupri durante e dopo la guerra civile. Oggi soffriamo come rifugiate nei campi profughi. Lo stupro e' un argomento tabu': e per le donne che ne devono sopportare l'orrendo dolore, e' una condanna che dura tutta la vita, una condanna che viene ripetuta grazie al comportamento dei vicini, degli amici, dei compatrioti.

Il 29 settembre scorso, alle 8 di sera, due uomini non identificati armati di fucile sono entrati in casa di una casalinga di 40 anni, madre di cinque bambini, che risiede nel Galkaio del nord, settore Garsoor. L'hanno presa, portata via, picchiata, violentata, e l'hanno lasciata la'.

In ottobre un'altra casalinga dormiva tranquilla in casa propria, non aspettandosi violenza dall'amato marito: avevano solo avuto una discussione il mattino precedente. Lui e' arrivato con un coltello, le ha tagliato la lingua affinche' non potesse chiamare aiuto ed ha fatto a pezzi il resto del suo corpo. Non e' neppure scappato. E' andato alla fattoria vicina dove aveva lavorato ed ha dormito li'. Il giorno dopo la polizia lo ha trovato e lo ha messo in prigione, ma il suo clan e' corso in suo aiuto: il suo clan sostiene che dopotutto e' solo una donna ad essere stata uccisa.

Quest'uomo ha il suo clan che difende il suo "diritto" di assassinare una donna. Ma chi difendera' il diritto alla vita di quella donna? Chi le dara' giustizia? Chi lottera' per le altre donne che ogni giorno perdono la vita o sono stuprate?

Le donne del mio paese non possono uscire da sole dopo le 6 di sera per timore di essere rapite, violate, assalite. In undici mesi, da gennaio a novembre 2010, 120 casi di stupro sono stati denunciati nelle citta' cosiddette "stabili": che sta succedendo nelle citta' che ancora bruciano? Quante donne, quante ragazze, hanno ormai perso ogni speranza di avere giustizia?

Nella mia comunita' i diritti delle donne sono continuamente violati e nessuno e' seriamente impegnato a contrastare la situazione. Soffriamo in silenzio. Io pero' voglio alzare la mia voce, e voglio si alzino le voci delle troppe donne e ragazze ridotte al silenzio.

 

3. APPELLI. SCUOLA DI PACE DI NAPOLI: ADESIONE ALL'APPELLO "LE ARMI PROVOCANO MORTE, L'ARTE E' VITA"

[Dalla "Scuola di pace" di Napoli (per contatti: scuoladipace1 at virgilio.it) riceviamo e diffondiamo il seguente documento di adesione all'appello promosso da Fancesco de Notaris (per contatti: francesco.denotaris at virgilio.it) che abbiamo pubblicato nel notiziario di ieri]

 

Aderiamo con convinzione all'appello "Le armi provocano morte, l'arte e' vita" che riportiamo di seguito a firma di Francesco de Notaris, gia' senatore della Repubblica, giornalista e saggista.

La notizia riportata ci sembra di una gravita' eccezionale; bisogna reagire con indignazione sottolineando la strategia dell'industria bellica e dell'apparato militare in genere che cercano di accreditarsi presso l'opinione pubblica come portatori di "valori di civilta'" inculcando l'idea che  produrre armi contribuisce alla ricchezza nazionale e fare il militare e' un mestiere o meglio una professione che non solo, in particolari condizioni come le "missioni di pace", permette un'ottima retribuzione, ma e' ricca di "umanita' e dedizione" per il riscatto di popoli oppressi.

Per l'associazione "Scuola di pace" di Napoli, Corrado Maffia.

*

Allegato. Francesco  de Notaris: Le armi provocano morte, l'arte e' vita

Senza mezzi termini bisogna dire, a proposito della probabilita' che la Mbda (una delle piu' importanti industrie europee di sistemi missilistici e di esplosivi) possa finanziare il Museo Madre a Napoli, che e' assoluta l'incompatibilita' tra l'industria che produce morte e un Museo di arte moderna come il Madre.

L'arte e la modernita' devono rifiutare il denaro prodotto dalle guerre, dal sangue ed anche da investimenti di soldi di dubbia provenienza. E' inammissibile nascondere la realta' e la verita'.

L'economia deve essere al servizio dell'essere umano, che non e' merce da comprare. E' ottimo il comportamento degli artisti pronti a ritirare le loro opere se l'irresponsabile ipotesi diventasse realta'.

Da senatore e parlamentare per la pace scrissi la mozione poi approvata per bloccare la produzione da parte delle aziende italiane delle mine anti-uomo, presentai il testo di legge per l'obiezione di coscienza al servizio militare ed il disegno per la riconversione dell'industria bellica. In Iraq ho visto le stragi prodotte da missili e bombe "intelligenti". La politica non puo' operare scelte che ostacolano il disarmo e la pace offrendo alibi a quanti sono del tutto impegnati a fabbricare strumenti di morte.

Le armi sono costruite per uccidere. L'arte, invece, eleva l'essere umano. Se i costruttori di armi hanno bisogno di apparire benefattori, lo divengano sul serio, riconvertendo le loro fabbriche a produzioni civili.

Si facciano sentire le persone che amano la pace.

Per adesioni: francesco.denotaris at virgilio.it

 

4. MEMORIA. UNA COMMEMORAZIONE DI ALFIO PANNEGA

[Riproponiamo il seguente testo. Ricostruita a memoria, questa e' la trama delle principali riflessioni svolte a braccio nella commemorazione di Alfio Pannega in occasione della prima festa popolare del quartiere del Carmine a Viterbo il 24 luglio 2010.

Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i  motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi fa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti. Alcuni interventi commemorativi della sua persona sono raccolti nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265]

 

1. Provo sempre un profondo imbarazzo quando mi si chiede di ricordare persone che ho conosciuto e che non sono piu' in vita. Poiche' so che l'altrui ricordo non puo' riuscire a rendere loro giustizia: perche' la memoria col tempo si affievolisce e si offusca, il ricordo per progressive rielaborazioni si semplifica e riduce, e quel che si narra gia' non e' piu' il ricordo sorgivo, ma via via sempre piu' il ricordo di cio' che si e' gia' narrato; e nel racconto si perde sovente l'essenziale di quel volto, di quella voce, di quell'incontro, di quella vicenda, di quel cammino. Cosi' accade che quella persona che abbiamo conosciuto vitale, sfaccettata, ricca di mille tratti cangianti e fin contraddittori, nel descriverla si finisce con l'intagliarla e ridurla a una maschera mortuaria, irrigidendola in un monumento di pietra sia pure dal gesto nobile e il volto olimpico, ma quella persona non era cosi', era anche infiniti altri gesti e parole e posture ed espressioni e relazioni e smarrimenti, in un rapporto col mondo che era mobile e vario, fluido e mutevole sempre.

Eppure non conosco altro modo per rendere omaggio a un vecchio amico e compagno di lotte e di ragionamenti che tenerne vivo il ricordo parlandone cosi', alla buona, con altri amici che lo conobbero - per lungo tratto di vita o in un breve incontro - e con tanti che non potranno conoscerlo piu' se non attraverso il racconto di chi resta.

E mi commuove che in questa prima festa popolare del quartiere del Carmine, promossa dal centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di cui Alfio e' stato l'anima, il nostro incontro che e' insieme di convivialita' e di riflessione si apra nel ricordo di Alfio Pannega, che molte persone che qui vivono conoscevano e amavano, e che sanno che per tutte loro Alfio aveva una parola amichevole, un motto frizzante, una solidarieta' sincera, un'amista' che neppure la morte cancella.

*

2. Mi e' capitato, come capita a tutti nella vita, di incontrare persone che mi hanno lasciato un dono impegnativo, che mi hanno recato un messaggio ineludibile; che mi hanno fatto sapere, capire qualcosa di decisivo, qualcosa che riguardava la mia stessa vita, qualcosa che mi ha aiutato a capire il mondo, a volere il bene e a lottare contro il male.

E poiche' sono ormai invecchiato anch'io, gia' molti di questi messaggeri il cui messaggio ho ascoltato e ha parlato al mio cuore sono morti. E per cosi' dire la loro morte mi impegna ad essere ora io stesso un testimone di quel loro messaggio, a tramandarne l'eco, il riverbero che ne ho trattenuto.

Se mi volgo indietro ricordo con infinita gratitudine tra questi messaggeri del bene che mi hanno parlato Primo Levi e Vittorio Emanuele Giuntella, che resistettero nel lager; ricordo Achille Poleggi e Sauro Sorbini, che sono la storia della Viterbo migliore, popolare e antifascista, repubblicana, socialista e libertaria, che hanno saputo combattere la menzogna e l'ingiustizia quando tanti, troppi altri cedevano; Alfio Pannega e' stato uno di questi messaggeri del bene, di questi messaggeri della verita', di questi testimoni della dignita' umana, di questi combattenti della buona battaglia.

*

3. Ho raccontato in altre circostanze alcuni aspetti della sua persona, ed alcuni episodi della nostra amicizia, che nel rimembrarli sempre mi commuovono; ma oggi non vorrei raccontare episodi solenni o patetici, aneddoti e detti esemplari.

Oggi vorrei semplicemente, sobriamente, in poche parole, condividere con voi la rievocazione di alcuni tratti del suo carattere di cui non sempre si sottolinea adeguatamente la fecondita' e la pregnanza.

E vorrei anche dire di una mia preoccupazione.

Ed infine vorrei altresi' esprimere un fermo mio convincimento, un'intima persuasione: che Alfio sia ancora segno di contraddizione ed appello alla lotta, testimonianza vivente del dovere di ogni essere umano di essere di aiuto all'umanita' intera, con il braccio e con il cuor - per dirla con il linguaggio dei libretti d'opera.

*

4. Innanzitutto vorrei ricordare questo tratto luminoso del suo carattere, che incantava chiunque lo incontrava sia pur per un attimo solo: la sua inesausta gioia di vivere.

Alfio Pannega era una persona felice, e non solo felice, ma allegra, a cui piaceva fare festa, giocare, ballare, godere di ogni innocente piacere. Sapeva scherzare e sapeva ridere anche di se stesso. Anche quando giocava il ruolo del burbero benefico sempre nelle sue uscite sentivi l'autoironia della persona che molte esperienze aveva attraversato e sa che tutte le persone hanno bisogno di tenerezza ed hanno diritto alla misericordia.

E cosi' non solo nelle amicizie era fedele fino all'abnegazione, ma nei confronti di chiunque - di chiunque, anche il viandante sconosciuto, anche l'ospite oscuro, e finanche la persona di cui a buon diritto si poteva diffidare o da cui si eran subiti torti - sapeva essere generoso, generoso di una generosita' incondizionata, felice dell'altrui felicita'.

Sapeva che la sua generosita' migliorava le altre persone, migliorava il mondo. Ed anche nei confronti di coloro che gli avevano fatto del male sapeva essere compassionevole: combatteva il male, e cercava di salvare le persone, di indurle ad elevarsi, a liberarsi dalla cattiveria, dalla cattivita'.

Era intransigente nel contrastare il potente che opprime, poiche' era fermo come una torre e duro come la pietra nell'opporsi al male, ma verso l'essere umano sempre sapeva trovare il modo di interloquire, con gentilezza soave.

Amava la vita ed era felice della sua vita, che non era stata una vita facile, una vita comoda, al contrario; ma era stata una vita nobile, una vita degna, una vita luminosa: era stata una vita di poverta', di lavori umili e faticosi, di duro sfruttamento subito, anche di indicibili stenti - per molti anni con la madre amatissima aveva abitato in una grotta -; ed anche di profonda ed amarissima incomprensione da pare di tanti che pur pretendevano di conoscerlo e di spacciarsi per suoi amici ed invece con i loro pregiudizi lo riducevano ad uno stereotipo astratto, a una maschera vuota, e ne sfruttavano la bonta' senza conoscerne e quindi senza riconoscerne i meriti e le virtu' grandi.

Ma questa sua vita di poverta' lui aveva saputo colmarla di mlle tesori: l'aveva colmata di amore, di generosita', di dignita' splendente, di morale e civile virtu'; di antifascismo come scelta e modo di vita, di resistenza ad ogni ideologia della menzogna e ad ogni prassi dell'oppressione; di "ironia che resiste e contesa che dura" per dirla con le parole del poeta della Verifica dei poteri.

Era una vita spoglia, essenziale, ed insieme ricca, preziosa. Una vita orgogliosamente proletaria, orgogliosamente antifascista, orgogliosamente nonviolenta.

La vita di un essere umano cosi' come l'umanita' dovrebbe essere.

*

5. E insieme al suo amore per la vita vorrei ricordare il suo inesauribile amore per il mondo: tutto il mondo, tutta la vita, tutte le persone, tutte le creature viventi. In un atteggiamento di appassionata meraviglia, di franca gratitudine, di intimo dialogo.

In primo luogo, un inesauribile amore per la bellezza della natura. Che conosceva cosi' intimamente per esperienza concreta e per meditazione profonda, per studi condotti sui libri e soprattutto per studo condotto nella relazione vitale, a tu per tu, col gran libro dell'universo. Ed e' indimenticabile la sua profonda, vibratile empatia, oltre che con le persone, con gli animali, e con le piante.

In secondo luogo, un inesauribile amore per il lavoro umano, per la perizia, l'arte dell'artigiano, il mestiere di chi sa fare le cose e delle cose e del mondo sa prendersi cura. E conosceva tutti i mestieri e si era cimentato in tutte le prove: aveva la sapienza del contadino, dell'operaio e dell'artigiano, di chi sapeva seminare e accudire le piante e parimenti sapeva riciclare tutti gli scarti della societa' dei consumi.

In terzo luogo, un inesauribile amore per il sapere come esito prezioso di tutte le esperienze di tutti gli esseri umani della storia del mondo.

Ed in quarto luogo e conclusivamente vorrei ricordare il suo inesauribile amore per la poesia, che sapeva cogliere ovunque.

Il giorno della sua scomparsa, quando al culmine del dolore e dello smarrimento gli amici piu' stretti ci incontrammo al centro sociale per le tristi incombenze dei funerali, nell'annuncio mortuario poi affisso per le vie della citta' a caratterizzarlo queste due parole volemmo fossero scritte insieme al suo nome: compagno e poeta.

*

6. Quest'uomo e' stato, per me e per molti, un maestro di verita' e di virtu'. E tale resta, anzi confido che nel corso del tempo sempre piu' la citta' si rendera' conto di questo suo magistero esercitato nell'umilta' e nella condivisione, nella poverta' e nell'ospitalita', senza cattedre e senza prosopopea. Senza opprimere nessuno, ed anzi a tutti recando soccorso ogni volte che ne ebbe la possibilita'.

Alfio Pannega e' stato maestro di un'etica della resistenza, della responsabilita' e del prendersi cura degli altri.

Maestro di un'etica, una pratica dell'ospitalita' e della generosita'.

Maestro di un'etica, una pratica dell'opposizione nitida e intransigente all'ingiustizia.

Maestro di un'etica, una pratica della solidarieta' egualitaria.

Maestro di un'etica, una pratica della compassione attiva e degnificante.

E tutto cio' nella piu' limpida semplicita', esercitando nell'essenzialita' che e' propria dei poveri una benevolenza, una compassione senza limiti. Che molti frutti continuera' a dare ancora.

*

7. Accennavo all'inizio, e voglio ora dirlo in modo piu' ampio e articolato, che certo si corre il rischio di mummificare Alfio, di irrigidirlo in una maschera, in un monumento muto, in una immaginetta devozionale; il rischio di pietrificarlo, di raggelarlo, e quindi di spegnerlo ed imprigionarlo in una posa, lui che volle sempre essere libero come il vento.

E poiche' per tutta la sua vita ha dovuto subire questa pretesa di ridurlo a bozzetto strapaesano, a figurina oleografica, almeno noi quel medesimo errore, sia pure con intenti e in direzione opposti, non dobbiamo commetterlo.

E ad esempio trovo che non gli renda giustizia monumentalizzarlo, impagliarlo nel ruolo di "poeta" facendo riferimento solamente ai versi che ci ha lasciato, alle improvvisazioni a braccio (con l'arte dei poeti popolari delle nostre campagne - Alfio era uno di loro -, che cantano ottave perfette nel metro, nella lingua e alla scuola dei poemi cavallereschi quattro-cinquecenteschi), alle declamazioni dei classici che piu' amava - Dante su tutti -: certi tratti legnosi, meccanici, del suo declamare i classici che amava e del suo improvvisare a voce o scrivere versi, non gli rendono giustizia; la poesia di Alfio e' stata molto piu' che nelle sue liriche (alcuni tratti delle quali io trovo sublimi) nelle sue scelte di vita, nell'esempio che ha dato costante; certo, ora ci restano quelle poche poesie (la maggior parte delle quali raccolte anni fa in un ciclostilato e quest'anno in un volume a stampa che molto lo rese felice negli ultimi mesi di vita), qualche intervista e qualche registrazione - perlopiu' casuale - di sue declamazioni e suoi interventi a iniziative diverse; ma io credo che un piu' fedele ritratto di Alfio e della sua prassi poetica - e della sua azione educativa e civilizzatrice - lo avremo quando le persone che hanno vissuto con lui in questi diciassette anni di centro sociale occupato autogestito avranno composto il mosaico delle loro testimonianze in forma di autoanalisi popolare (la formula di Danilo Dolci, il grande combattente e maieuta nonviolento) restituendo ognuna l'immagine di Alfio che ha colto e condiviso, a formare collettivamente un piu' adeguato ritratto dell'uomo, del compagno di lotte, del poeta integrale.

Cosi' come non gli rende giustizia, ma anzi a me sembra lo umili se proposto come totalizzante e decontestualizzato, lo stereotipo del linguaggio colorito e il repertorio delle frasi celebri. Certo, Alfio aveva anche un linguaggio colorito, e certe sue frasi lapidarie agevolmente, agilmente s'incidevano nella memoria degli interlocutori e - passando di bocca in bocca - nella memoria collettiva e nell'immaginario mitico della citta'. Ma quel linguaggio colorito era solo il prestito espressivo dell'ambiente in cui aveva vissuto; nella sua anima e nelle sue amicizie e nei suoi gesti e nelle sue scelte parlava anche e innanzitutto una lingua raffinata e sobria, nitida e rigorosa, quella di Dante, e attraverso Dante la lingua di Francesca e di Farinata e di Ulisse e di Ugolino come Dante ce li ha consegnati: una lingua volta a volta dolce e dolente, e solenne ed eroica, la lingua che nel suo stesso dirsi esorta alla virtu' e alla conoscenza, ed amorevolmente si piega a confortare tutti i feriti dalla vita, e ad indicare la venusta' del mondo e di ogni persona che in esso e' vissuta, vive e vivra'.

*

8. E adesso vorrei dire di quella che per me e' la chiave interpretativa privilegiata per cogliere il miracolo della vita e dell'opera di questa persona, e rivelare quello che sovente mi accade di percepire essere un segreto inaspettato per tante persone che pur credevano di conoscerlo questo uomo buono e schivo, generoso e modesto nel suo fare il bene: la sua consapevolezza politica.

La sua consapevolezza politica, e la sua acutezza politica, la sua capacita' di comprensione politica del mondo e dei compiti dell'ora, dei doveri di ogni persona decente.

So che molti stentano a crederlo quando lo dico (e magari sospettano che io inconsciamente o strumentalmente proietti in lui qualcosa di mio, che e' nel mio essere e sentire piuttosto che nella persona al cui ascolto mi collocai, con cui interloquii da pari, e di cui qui parlo), ma Alfio Pannega e' stato un militante politico straordinariamente consapevole. Certo, a modo suo e nelle forme in cui le sue scelte di vita e le condizioni in cui ha vissuto glielo hanno consentito.

Or mi sovviene, e qui vorrei narrare, un'antica conversazione, credo degli anni '70 o '80, quando scoprii quale Alfio Pannega autentico si celasse sotto la scorza dell'Alfio Pannega della vulgata e dell'immaginario collettivo. Mi capito' di poterci parlare a quattr'occhi per ore una volta, la prima volta, e mi si squaderno' la ricchezza e la complessita' di idee e la finezza di comprensione e di interpretazione dell'uomo.

Ci conoscevamo gia', ma per me allora lui era solo quel personaggio storico della Viterbo popolare cosi' come veniva rappresentato nello stereotipato discorso comune: un personaggio commovente nella sua profonda umanita', ma cui non si prestava ascolto a lungo; ed io ero all'epoca un militante e - chiedo venia - dirigente politico della sinistra, non solo autorevole per rigore morale e capacita' organizzative e di leadership, ma cui si riconosceva - come dire - grande cultura e un temibile acume.

Ebbi allora la fortuna e l'intelligenza di voler lungamente parlare con Alfio, di volerlo ascoltare davvero e davvero discuterci; non per sentirmi ripetere l'aneddotica di cui solitamente veniva richiesto, ma per ragionare con lui - come si dice - "della vita e della morte", del senso e dei fini del nostro politico agire di militanti egualitari, solidali, accudenti, rivoluzionari quindi.

Seppi da allora e non dimenticai piu' che l'approccio paternalistico con cui molti gli si accostavano era un errore e un oltraggio, che quell'uomo era non solo un militante consapevole del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita', ma che le sue stesse scelte di vita, pur cosi' fortemente condizionate dalle condizioni oggettive di oppressione di classe, erano altresi' scelte reali, ovvero volizioni autentiche: scelte di resistenza, antifascismo in atto, rivoluzione socialista e libertaria che comincia, spirito dell'utopia e principio speranza che si fa ortopedia del camminare eretti - per usare le formule di Ernst Bloch -, la speranza egualitaria e liberatrice cosi' come l'avevano pensata e praticata Spartaco e Rosa Luxemburg e Franco Basaglia. E, last but not least, che la qualita' della sua riflessione politica era di un elevato livello morale ed intellettuale, assai al di sopra delle formule pappagallescamente ripetute all'epoca da tanti che s'impancavano a guide e profeti e poi si e' visto che fine hanno fatto nel gran teatro del mondo e nella palude della societa' dello spettacolo e del generalizzato asservimento.

Io so che Alfio Pannega, quali che fossero i suoi limiti esperienziali ed espressivi, e' stato un militante del movimento operaio di una profondita' di sguardo e di una saldezza di giudizio che coloro che pretendevano di rappresentarlo neppure si sognavano.

*

9. Ma detto questo ancora una cosa mi resta da dire, ed e' quella che per me conta di piu', e che ho gia' ripetuto cosi' tante volte che forse per molte persone che mi ascoltano oggi sara' noiosa: e' accaduto ad Alfio un miracolo che non a tutti capita: di aver vissuto per cosi' dire due vite; a un certo punto, gia' anziano, la sua vita ha avuto l'occasione di un mutamento radicale: quando pareva gia' condannato a una vecchiaia di stenti e di solitudine, di malanni crescenti e di crescente vuoto e di incombente istituzionalizzazione, avvenne che di colpo si trovo' intorno tante persone con cui condivise gli ultimi due decenni di vita in un rapporto di straordinaria vicinanza e intensita'.

Non si tratto' di una metamorfosi nel suo modo di essere, poiche' resto' vieppiu' se stesso, ma di un'intensificazione profonda e di una vasta apertura relazionale si', poiche' ebbe finalmente modo di esprimersi in un contesto capace di comprenderlo, di riconoscerlo, e di porsi alla sua scuola. Senza paternalismi, senza subalternita', in eguaglianza di dignita' e di diritti, e proprio per questo naturalmente riconoscendo ad Alfio un magistero, una saggezza, una sapienza, un'autorevolezza che precedentemente gli era stata tenacemente negata da una citta' sorda e stordita.

Era l'11 luglio 1993, e con l'occupazione dell'ex-gazometro nella Valle di Faul, un'area abbandonata confinante con la minuscola casa di Alfio, Alfio entro' trionfalmente nella vita dei giovani e meno giovani occupanti, e loro entrarono nella sua.

Alfio divenne il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" ed il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" divenne Alfio. Non fu un processo ovvio, ne' lineare, ma sempre piu' l'esperienza di un uomo d'eta' e d'infinite odissiache e qoheletiche vicissitudini a lungo emarginato, e l'esperienza di un gruppo di giovani fiduciosi e ribelli, divennero una cosa sola: un'esperienza di solidarieta' e di lotta per i diritti che da allora ad oggi e' stata e resta - tra mille difficolta', limiti e contraddizioni, certo - una delle cose piu' appassionanti di questa citta'.

E non c'e' bisogno che io qui ricordi adesso le sue ultime lotte per i diritti di tutti: sono lotte che la gente del Carmine conosce bene, perche' sono le stesse che ogni giorno chi vive in questo quartiere popolare deve combattere: per un ambiente vivibile, per il diritto al lavoro, alla casa, all'assistenza, alla salute, al sapere, al rispetto della dignita' propria e di tutti. Sono le lotte della gente del Carmine, sono le lotte del centro sociale, sono le lotte dell'umanita' intera.

*

10. E questo discorso non si conclude quindi in tono elegiaco e dimesso, nello smorzarsi della voce, acquietandosi, e per cosi' dire consegnando Alfio al silenzio. Al contrario, questo discorso si conclude in forma di rivendicazione e di appello, di enunciazione di una contraddizione - che e' sociale e politica - e di invito all'arduo operare per il bene comune, alla lotta contro l'iniquita' e le strutture di dominio in cui essa si deposita e cristallizza a gravare sulla vita degli esseri umani.

Alfio Pannega e' ancora segno di contraddizione, spina nella carne, appello alla lotta.

La sua memoria convoca e scuote. La sua figura interpella al giudizio e all'azione collettiva solidale e liberatrice.

A chi vorrebbe inchiodarlo nel silenzio dei trapassati, noi diciamo che Alfio ha vissuto ed e' morto da persona felice perche' giammai arresa alla menzogna e all'ingiustizia, da persona generosa e quindi non riconciliata, costruttrice di pace e quindi non pacificata. Una persona mai rassegnata, mai silenziata. Un resistente.

La memoria di Alfio e' la memoria di un combattente nonviolento contro l'oppressione di classe, contro il razzismo, contro la devastazione della biosfera.

Non permettiamo che sia dimenticato, e non permettiamo che la sua memoria sia sfigurata.

Se permettessimo che la sua testimonianza e la sua lotta finissero con la sua scomparsa, allora e solo allora sarebbe morto per sempre, e il senso e l'impegno e la speranza della sua vita e della sua lotta e del suo insegnamento sarebbero per sempre annichiliti.

Queste cose in questa piazza in questa giornata di convivialita' metteva conto che fossero dette, perche' questa festa popolare, come Alfio l'avrebbe voluta e come i suoi compagni del centro sociale l'hanno organizzata insieme a tante persone del quartiere alle quali anch'io esprimo la mia gratitudine, non e' una festa dell'oblio e dello stordimento, ma una festa della coscienza e della conoscenza, del riconoscimento e della riconoscenza.

Alfio e' ancora un nostro maestro. Alfio e' ancora un nostro compagno. Alfio e' ancora vivo finche' tu resisti.

 

5. LIBRI. RISTAMPATI I "RACCONTI SICILIANI" Di DANILO DOLCI

[Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Recentissimo e' il volume che pubblica il rilevante carteggio Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. i dvd di Alberto Castiglione: Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004, e Verso un mondo nuovo, 2006. Tra i vari siti che contengono molti utili materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.it, danilo1970.interfree.it, www.danilodolci.toscana.it, www.inventareilfuturo.com, www.cesie.org, www.nonviolenti.org, www.fondodanilodolci.it]

 

Danilo Dolci, Racconti siciliani, Einaudi, Torino 1963, Sellerio, Palermo 2008, 2010, pp. 428, euro 14. Con uno scritto di Carlo Levi e una postfazione di Giuseppe Barone. Resta uno dei libri piu' belli della letteratura, della cultura popolare, della ricerca sociale, della presa di coscienza politica italiana del Novecento.

 

6. MEMORIA. CANTATA PER DANILO

[Riproponiamo il seguente testo gia' piu' volte apparso sul nostro notiziario]

 

Giunse Danilo da molto lontano

in questo paese senza speranza

ma la speranza c'era, solo mancava

Danilo per trovarcela nel cuore.

 

Giunse Danilo armato di niente

per vincere i signori potentissimi

ma non cosi' potenti erano poi,

solo occorreva che venisse Danilo.

 

Giunse Danilo e volle essere uno

di noi, come noi, senza apparecchi

ma ci voleva di essere Danilo

per averne la tenacia, che rompe la pietra.

 

Giunse Danilo e le conobbe tutte

le nostre sventure, la fame e la galera.

Ma fu cosi' che Danilo ci raggiunse

e resuscito' in noi la nostra forza.

 

Giunse Danilo inventando cose nuove

che erano quelle che sempre erano nostre:

il digiuno, la pazienza, l'ascolto per consiglio

e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare.

 

Giunse Danilo, e piu' non se ne ando'.

Quando mori' resto' con noi per sempre.

 

7. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

8. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Franco Ferrarotti, Una sociologia alternativa, De Donato, Bari 1972, pp. 264.

- Franco Ferrarotti (a cura di), La sociologia del potere, Laterza, Roma-Bari 1972, 1977, pp. XXXVI + 444.

- Franco Ferrarotti, La sociologia, Garzanti, Milano 1974, 1976, pp. 272.

- Franco Ferrarotti, Societa', Isedi, 1977, Mondadori, Milano 1980, pp. X + 300.

- Franco Ferrarotti, Guida alla nuova sociologia, Newton Compton, Roma 2003, pp. 128.

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 401 dell'11 dicembre 2010

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

 

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it