Telegrammi. 366



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 366 del 6 novembre 2010

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Ed e' detto tutto

2. "Azione nonviolenta" di novembre 2010

3. Arianna Marullo presenta Forugh Farrokhzad

4. Si e' svolto il 5 novembre un incontro di studio a Viterbo

5. Alcuni estratti da "Un paradiso all'inferno" di Rebecca Solnit

6. Per sostenere il Movimento Nonviolento

7. "Azione nonviolenta"

8. Segnalazioni librarie

9. La "Carta" del Movimento Nonviolento

10. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. ED E' DETTO TUTTO

 

Opporsi occorre alla guerra assassina ed al colpo di stato razzista.

Opporsi occorre al femminicidio e alla devastazione della biosfera.

La nonviolenza e' questa opposizione alla violenza.

La nonviolenza e' questa lotta in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, incluse le generazioni future.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI NOVEMBRE  2010

[Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]

 

E' uscito il numero di novembre 2010 di "Azione nonviolenta", rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

*

In questo numero: 4 novembre, non festa ma lutto, di Movimento Nonviolento, Beati i costruttori di pace, Associazione PeaceLink; Da Genova al futuro: il convegno internazionale a conclusione del decennio Onu per l'educazione alla nonviolenza ed alla pace per i bambini del mondo, di Sergio Bergami; Scuola di pace o scuola di guerra?, a cura del Consiglio Nazionale Mir; Vicenza citta' cantiere delle forze armate Usa, di Antonio Mazzeo; Assetati di petrolio, con un futuro sempre piu' povero e piu' inquinato, di Giorgio Nebbia; Solo con l'energia locale ci salveremo dal nucleare, di Michele Boato; 4 novembre da trasformare in "Memoria dei caduti di tutte le guerre", di Coordinamento per la pace nel Centopievese; Oscar Romero, la scelta della nonviolenza in una situazione di repressione e di violenza, di Anselmo Palini; Il lavoro per la pace e' apertura ad una nuova socialita' liberata, di Aldo Capitini.

Le rubriche: Economia. La difesa nonviolenta delle ronde cittadine, a cura di Paolo Macina; Educazione. Per una storiografia nonviolenta/2: Historia magistra vitae?, a cura di Pasquale Pugliese; Osservatorio internazionale. Aminatou Haidar e l'indipendenza del popolo Saharawi, a cura di Caterina Bianciardi e Ilaria Nannetti; Per esempio. La creativita' femminile nella vita rurale, a cura di Maria G. Di Rienzo; Cinema. Viaggio in Medioriente in cerca di futuro, a cura di Enrico Pompeo; Musica. Note sul mondo e sotto un unico cielo, a cura di Paolo Predieri; Granello di senape. Cristiani e nonviolenza fra Chiesa e Stato, a cura di Enrico Peyretti; Il calice. Passeggiare nella storia, a cura di Christoph Baker.

In copertina: F-35 Missione di Pace.

In seconda: Indice.

In terza di copertina: Materiale disponibile.

In ultima: L'ultima di Biani, Corpi di Stato.

*

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

3. POESIA E VERITA'. ARIANNA MARULLO PRESENTA FORUGH FARROKHZAD

[Ringraziamo Arianna Marullo (per contatti: ariannamarullo at tiscali.it) per averci messo a disposizione il seguente profilo e la seguente silloge di versi di Forugh Farrokhzad (1935-1967).

Arianna Marullo e' una delle piu' autorevoli collaboratrici del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; dottoressa in beni culturali, lungo un decennio e' stata fondamentale animatrice del centro sociale "Valle Faul", in quel periodo forse la piu' rilevante, appassionante ed innovativa esperienza di solidarieta' concreta, di convivenza delle differenze, e di promozione della dignita' umana che ci sia stata a Viterbo negli ultimi decenni, caratterizzata dalla scelta della nonviolenza; negli ultimi anni lavora a Roma nell'ambito della critica d'arte e dell'attivita' museale, della valorizzazione di esperienze culturali e di artisti sovente negletti, e dell'allestimento di rassegne e mostre, contribuendo anche - con la perizia e l'acribia che le sono proprie - a ricerche e cataloghi; e' tra le promotrici dell'associazione nonviolenta "We have a dream". Si veda anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino", n. 356, e particolarmente la sintetica notizia biografica in essa contenuta che di seguito riportiamo: "Nata a Palermo ma cresciuta a Roma, ho seguito la mia passione infantile per le arti figurative fino alla laurea in Conservazione dei Beni Culturali a Viterbo. Qui ho partecipato all'esperienza del Centro sociale occupato autogestito Valle Faul, molto importante per me anche dal punto di vista personale grazie alle magnifiche persone con cui ho potuto condividerla, uno fra tutti Alfio Pannega. Pur mantenendo forti legami con Viterbo, nel 2001 sono tornata stabilmente a Roma, dove lavoro nel campo della conservazione, della ricerca e della realizzazione di mostre d'arte"]

 

Forugh Farrokhzad nasce a Tehran nel 1935 in una famiglia di ceto medio, studia come disegnatrice di abiti e pittrice, iniziando precocemente a scrivere versi. A 16 anni, contro il parere della famiglia, sposa il cugino trentenne Parviz Shapur, noto caricaturista. Il matrimonio nel giro di tre anni fallisce anche a causa del desiderio di indipendenza di Forugh; secondo la legge coranica con il divorzio, nel 1954, perde la possibilita' di rivedere il suo unico figlio, Kamiar. L'anno successivo ha un esaurimento nervoso e viene ricoverata in una clinica psichiatrica; dopo un mese ne esce e parte per un viaggio di nove mesi in Italia e in Europa. Scrive poesie che esprimono i suoi sentimenti e i suoi pensieri sulla condizione della donna in Iran negli anni '50 e '60 e sulla propria vita, provocando spesso scandalo ma anche grande ammirazione. Nel 1958 incontra Ebrahim Golestan, celebre scrittore e cineasta, e inizia la sua attivita' come montatrice, sceneggiatrice, attrice e regista. Nel 1962 realizza il film La casa e' nera, su un lebbrosario di Tabriz, che vince il primo premio al festival di Oberhauzen in Germania. Nel 1963 recita il ruolo della figliastra nei Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello presso l'Istituto italiano di cultura a Tehran. Nello stesso anno l'Unesco produce un cortometraggio sulla sua vita e Bernardo Bertolucci si reca in Iran per conoscerla e intervistarla. Nel 1966 partecipa al festival del Cinema di Pesaro. Nel 1967, a soli trentadue anni, muore in un incidente d'auto.

Ha scritto diverse raccolte di versi: La prigioniera (1952), Il muro (1957), Ribellione (1958), Un'altra nascita (1964) e Crediamo nell'inizio della stagione fredda (1964-66).

Da Forugh Farrokhzad, E' solo la voce che resta. Antologia poetica, traduzione di Abbas Effati, Edizioni Thyrus, Arrone 2002, proponiamo una silloge di versi della poetessa iraniana.

 

L'uccello era solamente un uccello

 

"Che profumo, che sole, ah! - disse l'uccello -

e' arrivata la primavera,

ed io alla ricerca della mia compagna andro'".

 

L'uccello dall'orlo della veranda

volo', volo' come un messaggio e ando'

 

l'uccello era piccino

l'uccello non pensava

l'uccello non leggeva i giornali

l'uccello non aveva debiti

l'uccello non conosceva gli uomini

 

L'uccello nell'aria

sopra le luci del pericolo

volava a quota d'ignoranza

e sperimentava follemente

gli istanti azzurri

 

L'uccello, ah, era solamente un uccello.

 

*

 

E' solo la voce che resta

 

Perche' fermarmi, perche'?

Gli uccelli sono andati alla ricerca degli orizzonti azzurri

l'orizzonte e' verticale

l'orizzonte e' verticale e il movimento: zampillante

e ai confini del vedere

ruotano le luminose galassie

la terra ripete la sua altezza

e i pozzi aerei

si trasformano in gallerie del contatto

e il giorno e' di una ampiezza

che non puo' entrare nella povera immaginazione di un verme di giornale

 

Perche' fermarmi?

Il sentiero attraversa i capillari della vita

l'utero della luna

distruggera' le cellule in putrefazione

e nello spazio chimico dopo l'alba

solamente una voce

una voce che sara' attratta dalle particelle del tempo

perche' fermarmi?

Che cosa puo' essere la laguna

se non il luogo della deposizione delle uova degli insetti della decadenza

i cadaveri gonfi scrivono pensieri della camera mortuaria.

Il codardo, nel buio

nascose la sua vilta'

e lo scarafaggio... ah

quando parla lo scarafaggio!

Perche' fermarmi?

E' inutile la collaborazione delle lettere di piombo.

La collaborazione delle lettere di piombo

non salvera' il modesto pensiero

io appartengo alla stirpe degli alberi

mi debilita respirare l'aria consumata

l'uccello perito mi consiglio':

"Ricordati del volo".

 

La fine di tutte le forze e' unirsi, unirsi

nell'abbagliante inizio del sole

e versarsi nell'intelletto della luce.

E' naturale

che i mulini a vento vadano in rovina

perche' fermarmi?

Io porto al mio seno

la spiga ancora verde del grano

e lo allatto

 

La voce, la voce, solamente la voce

la voce del desiderio limpido dell'acqua di scorrere

la voce della colata della luce stellare

sulla parete della femminilita' della terra

la voce della coagulazione del seme del significato

e l'estensione del significato comune dell'amore

la voce, la voce, la voce e' solo la voce che resta

 

Nel paese dei nani

i criteri della misura

avevano sempre viaggiato sull'orbita dello zero

perche' fermarmi?

Io obbedisco ai quattro elementi

e l'edizione dello statuto del mio cuore

non e' compito del locale governo dei ciechi

 

Non mi riguarda il lungo ululato della bestialita'

nell'organo genitale dell'animale

non mi riguarda lo strisciante movimento del verme

dentro il vuoto della carne

la stirpe sanguigna dei fiori mi ha obbligato a vivere

conoscete la stirpe sanguigna dei fiori?

 

*

 

La bambola meccanica

 

Ah! Si', piu' di cosi',

piu' di cosi' si puo' stare in silenzio

 

Per lunghe ore si puo'

con uno sguardo fisso come lo sguardo dei morti

fissare il fumo di una sigaretta

fissare la forma di una tazza

un fiore incolore sul tappeto

una linea immaginaria sul muro

si puo' con esili mani

tirare la tenda da un lato e vedere

 

Nel vicolo piove a dirotto

un bambino con i suoi aquiloni colorati

e' fermo sotto un arco

un carro malandato lascia la piazza deserta

con una fretta tumultuosa

 

Si puo' rimanere al proprio posto

accanto alla tenda, ma cieco, ma sordo

 

Si puo' gridare

con una voce assai falsa e strana:

"Amo"

 

Si puo' essere una bella e pura femmina

tra le forti braccia di un uomo

 

Con un corpo simile ad un telo di cuoio

con due seni grandi e duri

si puo' inquinare la purezza di un amore

nel letto di un ubriaco, di un pazzo, di un vagabondo

si puo' avvilire con la furbizia

ogni enigma prodigioso

dedicandosi solamente a risolvere un cruciverba

ci si puo' accontentare solamente della scoperta di una risposta inutile.

 

Si'! Una risposta inutile di cinque o sei lettere

 

Si puo' mettere in ginocchio una vita

chinare il capo ai piedi di un freddo santuario

 

Si puo' vedere il dio dentro una tomba sconosciuta

si puo' trovare la fede con una misera moneta

si puo' sfiorire nelle celle di una moschea

come un vecchio predicatore

 

Si puo' avere un risultato sempre uguale allo zero

nella sottrazione, nell'addizione e nella moltiplicazione

 

Si possono immaginare i tuoi occhi dentro il bozzolo della loro rabbia,

bottone incolore di una vecchia scarpa

ci si puo' prosciugare come l'acqua nella propria fossa

 

Si puo' nascondere con il pudore la bellezza di un attimo

come una buffa e istantanea foto nera

sul fondo di un cassettone

si puo' appendere alla cornice svuotata di un giorno

l'immagine di un condannato o di uno sconosciuto o di un crocifisso

si puo' coprire la crepa di un muro con manifesti

si puo' confluire con le figure vane

 

Si puo' essere come una bambola meccanica

vedere il proprio mondo con due occhi di vetro

si puo' riposare per anni dentro una scatola di feltro

con un corpo pieno di paglia

tra pizzi e lustrini

si puo' gridare senza motivo

ad ogni stretta lasciva di mano e dire:

"Ah, io sono molto felice".

 

*

 

La conquista del giardino

 

Quella cornacchia che volo'

sulla nostra testa

e penetro' nel pensiero confuso di una nuvola vagabonda

e la sua voce, come una lancetta, attraverso l'ampiezza dell'orizzonte

portera' con se' notizie di noi in citta'

 

Tutti sanno

tutti sanno

che io e te da quello spiraglio austero e impassibile

vedemmo il giardino

e da quel lontano ramo recitante

raccogliemmo la mela

 

Tutti temono

tutti temono, ma io e te

ci riunimmo con la luce, con l'acqua e con lo specchio

e non avemmo paura

 

Non parlo dell'unione fragile di due nomi

e di un amoreggiamento nei vecchi fogli di un registro

parlo della felicita' dei miei capelli

con i papaveri bruciati del tuo bacio

 

E la sincerita' dei nostri corpi nell'inganno

e lo splendore dei nostri corpi nudi

come le squame dei pesci nell'acqua

parlo della vita argentata di un canto

che la piccola fontana gorgheggia all'alba

noi in quella fluida foresta verde

in una notte di conigli selvatici

e in quell'indifferente mare ansioso

perlato di madreperle

e in quella solitaria montagna trionfante

di giovani aquile chiedemmo:

Che bisogna fare?

 

Tutti sanno

tutti sanno che noi abbiamo accesso al rigido e silenzioso sonno delle Fenici

noi abbiamo trovato la verita' nel piccolo giardino

dentro lo sguardo pudico di un fiore ignoto

e l'esistenza di un infinito istante

quando i due Soli si sono fissati gli sguardi

 

Non parlo di un impaurito sussurro nell'oscurita'

parlo del giorno e delle finestre aperte

e dell'aria fresca

e di un focolare dove inutilmente bruciano le cose

e di un terreno che e' fertile di una nuova cultura

e della nascita e del crescere e dell'orgoglio

parlo delle nostre innamorate mani

che costruiranno un ponte di parole, di profumo, di luce e di brezza

al di sopra delle notti

 

Vieni al prato

alla prateria

e dietro i respiri del fiore della seta chiamami

come quando la cerva chiama il suo compagno

 

Le tele sono colme di un rancore nascosto

e le colombe innocenti

dall'alto della loro torre bianca

osservano la terra.

 

4. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 5 NOVEMBRE UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO

 

Venerdi' 5 novembre 2010 a Viterbo, presso la sede del "Centro di ricerca per la pace", si e' svolto un incontro di studio sul tema "Emergenze ambientali nell'Alto Lazio: tra Civitavecchia, Montalto, Viterbo e il lago di Vico".

*

Nel corso dell'incontro sono state esaminate alcune delle piu' gravi emergenze ambientali dell'area altolaziale; particolare attenzione e' stata dedicata alle iniziative in corso in difesa dell'ambiente e per il diritto alla salute della popolazione, con specifico riferimento alla mobilitazione "no coke" tra Civitavecchia e Tarquinia, a quella contro il mega-aeroporto a Viterbo, a quella per la tutela e il risanamento dell'ecosistema del lago di Vico. Una riflessione approfondita e' stata dedicata anche alla mobilitazione antinucleare degli anni Settanta-Ottanta e alla necessita' di prepararsi a resistere alla decisione governativa di riproporre l'insensata e scellerata scelta nucleare.

*

Il responsabile del "Centro di ricerca per la pace", Peppe Sini, ha concluso l'incontro sostenendo che quando i cittadini si mobilitano con la forza della verita' e la scelta della nonviolenza e' ben possibile riuscire a difendere l'ambiente casa comune e i diritti di tutti dalle aggressioni dei potentati economici, delle camarille politiche e dei poteri criminali che vogliono attentare al pubblico bene. Con la forza della verita', della legalita', della democrazia, della partecipazione cosciente e responsabile, e' ben possibile contrastare e sconfiggere gli speculatori, i devastatori, gli usurpatori e i saccheggiatori. Con la scelta della nonviolenza e' ben possibile difendere l'umanita' presente e le generazioni future, difendere la biosfera e con essa la civilta' e la stessa esistenza umana. Occorre solo decidersi all'impegno nonviolento dalla parte dell'umanita'.

*

Al termine dell'incontro sono state programmate alcune prossime iniziative di riflessione, di informazione e coscientizzazione, di interlocuzione con le istituzioni, di mobilitazione dei cittadini in difesa dei diritti di tutti e dei beni comuni.

 

5. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "UN PARADISO ALL'INFERNO" DI REBECCA SOLNIT

[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti da Rebecca Solnit, Un paradiso all'inferno, Fandango, Roma 2009 (titolo originale A Paradise Built in Hell (2009), traduzione di Andrea Spila, Andrea Grechi, Melani Traini.

Rebecca Solnit e' un'intellettuale, scrittrice e attivista pacifista americana, autrice di diverse opere che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti; vive a San Francisco e per il suo impegno culturale e politico e' considerata l'erede di Susan Sontag. Riportiamo anche la scheda biobibliografica in calce a un'intervista a cura di Marco D'Eramo apparsa sul quotidiano "Il manifesto" e ripresa in "Coi piedi per terra" n. 133 del 5 novembre 2008: "Rebecca Solnit ha studiato a Parigi, e' una collaboratrice regolare di "Harper's", ha vinto nel 2004 il National Book Critics Circle Award (il premio nazionale dei critici americani). Ha scritto finora tredici libri e oltre venti saggi in volumi collettivi. Il testo di cui si discute nell'intervista, Hope in the Dark, e' del 2004 ed e' stato tradotto in coreano, francese, giapponese, olandese, svedese, tedesco; in Italia e' uscito nel 2005 presso Fandango libri col titolo Speranza nel buio, in cui rischia di perdersi il gioco di parole inglese: "in the dark" significa anche "essere all'oscuro", l'oscurita' di cio' che e' ignoto. Tra i suoi altri volumi, Savage Dreams: A Journey into the Landscape Wars of the American West (Sogni selvaggi: un viaggio nelle guerre di paesaggio del West americano, Sierra Club Books 1994, riedito nel 1995 e 1999), su Yosemity Park e i test nucleari in Nevada; Wanderlust: A History of Walking (Viking/Penguin 2000), tradotto in italiano presso la Bruno Mondadori (Storia del camminare, 2005); Hollow City: The Siege of San Francisco and the Crisis of American Urbanism (Citta' vuota: l'assedio di San Francisco e la crisi dell'urbanismo americano, Verso 2001); As Eve Said to the Serpent. On Landscape, Gender and Art (Come Eva disse al serpente: su paesaggio, genere e arte, University of Georgia Press 2001), River of Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild West (Fiume di ombre: Eadweard Muybridge e il tecnologico selvaggio West, Viking 2003); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics (All'assalto del paradiso: paesaggi per la politica, UC Press 2007). Il suo testo piu' recente, cui si fa cenno anche nell'intervista, e' News from Nowhere: Iceland's polite dystopia, sull'Islanda, uscito nel numero di ottobre 2008 della rivista "Harper's"". Opere di Rebecca Solnit: Savage Dreams: A Journey Into the Landscape Wars of the American West (1994); Book of Migrations: Some Passages in Ireland (1998); (con Susan Schwartzenberg), Hollow City: The Siege of San Francisco and the Crisis of American Urbanism (2002); Wanderlust: A History of Walking (2002); River of Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild West (2003); As Eve Said to the Serpent: On Landscape, Gender, and Art (2003); Hope in the Dark: Untold Histories, Wild Possibilities (2006); (con Philip L. Fradkin, Mark Klett, Michael Lundgren), After the Ruins, 1906 and 2006: Rephotographing the San Francisco Earthquake and Fire (2006); A Field Guide to Getting Lost (2006); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics (2007); A Paradise Built in Hell (2009). In italiano sono disponibili: Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano 2002, 2005; Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo, Fandango, 2005; Un paradiso all'inferno, Fandango, Roma 2009]

 

Da p. 7

Preludio: cadere insieme

Chi siete voi? Chi siamo noi? In tempi di crisi queste domande sono questioni di vita e di morte. Migliaia di persone sopravvissero all'uragano Katrina perche' nipoti o zie, vicini di casa o persone del tutto estranee soccorsero chiunque avesse bisogno di aiuto su tutta la costa del golfo del Messico e grazie al fatto che alcuni proprietari di barche di ogni dimensione, dai centri piu' vicini e persino da luoghi lontani come il Texas, raggiunsero New Orleans per trarre in salvo quelli in difficolta'. Centinaia di persone morirono invece subito dopo Katrina perche' altri, tra cui la polizia, le ronde di volontari, gli alti funzionari del governo e i media, decisero che gli abitanti di New Orleans erano troppo un pericolo per consentire loro di fuggire dalla citta' in balia delle acque e delle malattie o per andarli a salvare, persino negli ospedali. Alcune delle persone che tentavano di scappare vennero respinte sotto la minaccia delle armi e alcune vennero uccise. Circolavano voci di stupri e omicidi di massa e di un caos dilagante, voci che si rivelarono poi del tutto infondate, anche se i media nazionali e il capo della polizia di New Orleans diedero loro credito e le diffusero proprio in quei giorni cruciali in cui le persone morivano sui tetti e sulle strade sopraelevate della citta', oppure in rifugi e ospedali sovraffollati nel caldo infernale, senza scorte d'acqua potabile, senza cibo, senza farmaci e cure mediche. Furono quelle voci a indurre i soldati e gli altri soccorritori a considerare le vittime come nemici. Le convinzioni contano, anche se ci sono molte persone che agiscono con generosita', piu' di quanto si creda.

Katrina e' stata una versione estrema di cio' che avviene in molti disastri in cui il nostro comportamento dipende da come vediamo la realta': se crediamo, cioe', che i nostri vicini o i nostri concittadini rappresentino una minaccia peggiore della distruzione causata da un disastro o se riteniamo che siano un bene piu' prezioso degli oggetti e delle merci che si trovano nelle case e nei negozi intorno a noi. (In questo libro uso la parola cittadino per indicare i membri di una citta' o di una comunita' e non chi possiede legalmente la cittadinanza in una nazione). Le nostre convinzioni determinano il modo in cui agiamo. Il nostro modo di agire puo' essere causa di vita o di morte, per noi stessi come per gli altri, cosi' come avviene nella vita di tutti i giorni, ma in modo piu' esasperato. In occasione dell'uragano Katrina, come avviene per gran parte dei disastri, ci furono anche molti atti di altruismo: i giovani che si impegnarono a fornire acqua, cibo, pannolini e protezione agli estranei che come loro si trovavano in difficolta'; le persone che salvarono i propri vicini o offrirono loro riparo; centinaia di migliaia di volontari che presero la barca - spesso con le armi in mano, ma carichi anche di compassione - per trovare i dispersi tra le acque stagnanti e portarli al sicuro; le duecentomila e piu' persone che (tramite il sito web HurricaneHousing.org nelle settimane seguenti) si offrirono disponibili ad accogliere gente a loro del tutto estranea, per lo piu' nelle proprie case, convinte piu' dalle immagini di sofferenza che dalle voci di comportamenti mostruosi; i tantissimi volontari, decine di migliaia di persone che raggiunsero le coste del golfo del Messico per contribuire alla ricostruzione e al ripristino.

Subito dopo un terremoto, un bombardamento o un uragano gran parte delle persone si dimostrano altruiste e si curano immediatamente di se stesse e di coloro che li circondano, degli estranei e dei vicini cosi' come dei propri cari e degli amici. L'immagine dell'essere umano egoista, che viene preso dal panico o che regredisce allo stato selvaggio, non corrisponde alla realta': decenni di meticolose ricerche sociologiche sul comportamento umano in occasione di eventi catastrofici, dai bombardamenti della seconda guerra mondiale ad alluvioni, trombe d'aria e bufere in ogni parte del mondo lo dimostrano. Ma le convinzioni sono dure da abbattere e spesso il comportamento peggiore dopo una calamita' e' proprio di chi crede che gli altri si comporteranno in modo selvaggio ed e' certo che i propri provvedimenti serviranno a difendersi dalla barbarie. Dopo il terremoto di San Francisco del 1906, cosi' come dopo l'alluvione di New Orleans del 2005, persero la vita tanti innocenti, uccisi da chi credeva o sosteneva che quelle stesse vittime fossero i veri criminali mentre essi erano i protettori dell'ordine destabilizzato. Le convinzioni contano.

"Ancora oggi Caino sta uccidendo suo fratello", proclama una scritta sbiadita su una chiesa nel Lower Ninth Ward di New Orleans, una delle aree piu' colpite a causa del cedimento degli argini fatti costruire dal governo. Il Libro della Genesi ci presenta, in rapida successione, la creazione dell'universo, l'acquisizione della conoscenza, l'espulsione dal paradiso e l'uccisione di Abele per mano di Caino, una seconda caduta dalla grazia nella gelosia, nella rivalita', nell'alienazione e nella violenza. Quando Dio chiede a Caino dove si trova suo fratello, Caino gli chiede a sua volta: "Sono forse il guardiano di mio fratello?". Si rifiuta di dire cio' che Dio sa gia', ossia che il sangue versato di Abele grida dalla terra che lo ha assorbito. E allo stesso tempo solleva una delle domande sociali di tutti i tempi: abbiamo degli obblighi reciproci, siamo tenuti a occuparci gli uni degli altri oppure ogni essere umano e' un'isola a se' stante?

La maggior parte delle societa' tradizionali prevede impegni e legami profondi tra singoli individui, famiglie e gruppi. Il concetto stesso di societa' si basa sull'idea di reti di affinita' e amore e l'individuo isolato e', il piu' delle volte, un emarginato o un esule. Le moderne societa' mobili e individualistiche hanno abbandonato alcuni di questi antichi legami ed esitano ad assumerne di nuovi, soprattutto quando si tratta di vincoli espressi attraverso accordi di natura economica, come le misure per gli anziani e le persone vulnerabili, per ridurre poverta' e disperazione, ossia per la custodia dei propri fratelli e sorelle. Gli argomenti che vengono portati contro tali misure prendono spesso la forma di affermazioni che riguardano la natura stessa dell'uomo: siamo essenzialmente egoisti e, dal momento che tu non ti occuperai di me, io non posso occuparmi di te. Non ti nutriro' perche' devo accumulare cibo per non morire di fame, perche' anch'io non posso contare sugli altri. Non solo: mi impossessero' delle tue ricchezze e le aggiungero' alle mie, se credo che il mio benessere sia indipendente dal tuo o contrapposto al tuo, e giustifichero' la mia condotta come se fosse una legge della natura. Se non sono il guardiano di mio fratello vuol dire che siamo stati cacciati dal paradiso, un paradiso di solidarieta' non corrotte.

Cosi' la vita di tutti i giorni diventa un disastro sociale. A volte un disastro intensifica questo stato di cose e a volte ci offre un sorprendente sollievo, portandoci a scoprire un altro mondo per l'altra parte di noi stessi. Quando tutti gli spartiacque e gli schemi ordinari vengono infranti le persone si fanno avanti - non tutti ma una parte preponderante - per diventare guardiani dei propri fratelli. E questo senso di partecipazione e di legame e' fonte di gioia anche in mezzo alla morte, al caos, alla paura e alla perdita. Se fossimo consapevoli di questa realta' e ci credessimo, le nostre convinzioni sulle possibilita' che ci si presentano in ogni momento della nostra esistenza potrebbero cambiare. Parliamo di profezie che si autoavverano ma dimentichiamo che ogni convinzione che mettiamo in pratica crea il mondo a propria immagine. Le convinzioni contano. Cosi' come contano i fatti che le accompagnano. Il sorprendente divario esistente tra le convinzioni correnti sui comportamenti in caso di disastro e la realta' di tali comportamenti limita le possibilita', e il semplice incrinarsi delle nostre convinzioni puo' portare a cambiamenti assai piu' importanti. Pur nel suo orrore, un disastro puo' a volte rivelarsi una porta per fare ritorno in paradiso, o perlomeno in quel paradiso in cui siamo cio' che speriamo di essere, in cui facciamo il lavoro che amiamo e in cui ognuno di noi e' guardiano delle proprie sorelle e dei propri fratelli.

*

Da p. 14

Che cosa è questo sentimento che si presenta durante tanti disastri? Dopo il terremoto di Loma Prieta cominciai a pensarci. Dopo l'11 settembre iniziai a comprendere la singolarita' di questo fenomeno e allo stesso tempo la sua importanza. Dopo aver incontrato l'uomo di Halifax, il cui volto si illuminava di gioia quando parlava del grande uragano che li aveva colpiti, iniziai a studiarlo. Dopo aver iniziato a scrivere del terremoto del 1906 in occasione del centesimo anniversario del sisma, cominciai ad accorgermi della frequenza con cui questo particolare sentimento si esprime e del suo peso nel trasformare la realta' dei disastri. Dopo che l'uragano Katrina ebbe devastato la costa del golfo del Messico iniziai a comprendere i limiti e le opportunita' che accompagnano le calamita'. Questo libro racconta quell'emozione, tanto importante quanto sorprendente, e le circostanze che portano alla sua nascita, cosi' come quelle che essa genera. Sono questioni che contano, in un'epoca di catastrofi sempre piu' numerose e intense. Ma soprattutto contano adesso, in un momento storico in cui si affacciano nuovamente gli interrogativi che riguardano le possibilita' sociali e la natura umana nella vita di tutti i giorni, interrogativi che hanno spesso caratterizzato le epoche piu' turbolente.

Quando chiedo alle persone di raccontarmi i disastri che hanno vissuto, scopro su molti dei loro volti la beatitudine che provano ricordando le storie di tormente di neve in Canada, di nevicate nel Midwest, di blackout newyorchesi, di ondate di caldo opprimenti nell'India meridionale, di incendi nel New Mexico, del grande terremoto di Citta' del Messico, di precedenti uragani in Louisiana, del collasso economico in Argentina, di terremoti in California e Messico, e quell'insolito piacere che ha accompagnato queste esperienze. Cio' che mi sorprende e' la gioia che colgo sui loro volti. E se invece di parlare ho scambiato con loro una corrispondenza, e' la gioia che leggo nelle loro parole a stupirmi. Non dovrebbe essere cosi', e cosi' non e' nella versione che siamo abituati ad ascoltare sulle conseguenze di un disastro, eppure e' li' e nasce dalle rovine, dal ghiaccio, dal fuoco, dalle tempeste e dalle inondazioni. La gioia conta perche' ci aiuta a misurare desideri altrimenti negletti, il desiderio della vita pubblica e della societa' civile, il desiderio di inclusione, partecipazione e potere.

I disastri sono fondamentalmente eventi terribili, tragici e dolorosi e, quali che siano gli effetti collaterali e le opportunita' positive che producono, non sono auspicabili. Ma allo stesso modo non dobbiamo ignorare quegli effetti collaterali solo perche' nascono in un contesto di devastazione. I desideri e le opportunita' che vengono risvegliati sono talmente potenti da splendere persino nella rovina, nella carneficina e tra le ceneri. Cio' che accade qui e' importante in altre situazioni. E il punto non e' quello di apprezzare i disastri: non e' loro il merito di creare questi doni, ma sono dei percorsi possibili attraverso i quali i doni si manifestano. I disastri offrono una straordinaria finestra su desideri e possibilita' sociali e cio' che si manifesta in occasione di questi eventi conta in altri momenti, nelle situazioni ordinarie cosi' come in quelle extra-ordinarie.

Gran parte dei cambiamenti sociali sono scelti da noi: vogliamo far parte di una cooperativa, crediamo nelle iniziative per migliorare la sicurezza sociale o nell'agricoltura sostenuta dalla comunita' locale. Ma il disastro non ci sceglie in base alle nostre preferenze, ci trascina invece nelle emergenze che richiedono un'azione altruista, coraggio e iniziativa per permetterci di sopravvivere o di salvare i vicini, quali che siano le nostre scelte politiche o indipendentemente da cio' che facciamo per vivere.

Le emozioni positive che nascono in queste circostanze poco promettenti dimostrano che i legami sociali e il lavoro utile sono realta' profondamente desiderate, rapidamente improvvisate e intensamente gratificanti. La struttura stessa della nostra economia e della nostra societa' impedisce il raggiungimento di questi obiettivi. E' una struttura anche ideologica, una filosofia che serve soprattutto gli interessi dei ricchi e dei potenti ma che condiziona la vita di noi tutti e che viene suffragata dal buon senso dai media, nei notiziari come nei film catastrofisti. Le diverse sfaccettature di quest'ideologia hanno preso il nome di individualismo, capitalismo e darwinismo sociale e sono apparse nella filosofia politica di pensatori come Thomas Hobbes e Thomas Malthus, oltre che nelle opere della maggior parte degli economisti tradizionali contemporanei, i quali ritengono che inseguiamo il guadagno personale per motivi razionali e non si preoccupano dei modi in cui un sistema cosi' distorto danneggia molti altri aspetti, necessari alla nostra sopravvivenza e desiderabili per il nostro benessere. I disastri lo dimostrano perche' tra i fattori che stabiliscono se vivremo o moriremo ci sono il benessere della collettivita' che ci circonda e l'equita' della nostra societa'. Abbiamo bisogno di legami ma questi, oltre al senso di partecipazione, di immediatezza e di capacita' ci regalano anche la gioia, quella gioia sorprendente e intensa che ho ritrovato nei resoconti di chi e' sopravvissuto a un disastro. Questi racconti dimostrano che i cittadini che sarebbero necessari in un qualsiasi paradiso - persone sufficientemente coraggiose, intraprendenti e generose - esistono gia'. La possibilita' del paradiso e' sempre sul punto di realizzarsi, proprio per questo sono necessarie forze potenti che tengano a bada quel paradiso. E se il paradiso nasce all'inferno e' solo perche', grazie alla sospensione dell'ordine abituale e al fallimento della maggior parte dei sistemi, saremo liberi di vivere e agire in un altro modo.

Questo libro analizza cinque disastri, dal terremoto di San Francisco del 1906 all'uragano e all'alluvione che hanno colpito New Orleans novantanove anni piu' tardi. Tra queste due catastrofi troviamo l'esplosione di Halifax del 1917, lo straordinario terremoto di Citta' del Messico che fece un enorme numero di vittime e causo' grandi trasformazioni, e i racconti poco noti del modo in cui i comuni cittadini di New York risposero alla calamita' che colpi' la loro citta' l'11 settembre 2001. Attorno a questi eventi principali si dipanano le storie del bombardamento nazista di Londra, dei terremoti in Cina e Argentina, dell'incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, dell'ondata di caldo che si abbatte' su Chicago nel 1995, del terremoto che colpi' la citta' di Managua, in Nicaragua, contribuendo alla caduta di un regime, di un'epidemia di vaiolo a New York e di un'eruzione vulcanica in Islanda. Anche se i peggiori disastri naturali degli ultimi anni hanno avuto luogo in Asia - lo tsunami nell'oceano Indiano nel 2004, il terremoto in Pakistan nel 2005, il terremoto in Cina e il tifone in Birmania nel 2008 - non ho dedicato loro delle pagine. Sono eventi di un'importanza immensa ma la lingua e la distanza, cosi' come la cultura non mi permettono di avvicinarmi e di analizzarli come vorrei.

Da quando il postmodernismo ha impresso una nuova forma al paesaggio intellettuale e' diventato problematico persino utilizzare il termine "natura umana", che implica una essenza stabile e universale. Lo studio dei disastri evidenzia come ci siano nature eterogenee e contingenti, ma nel contesto delle calamita' quella umana dimostra prevalentemente di essere flessibile, intraprendente, generosa, empatica e coraggiosa. Il linguaggio terapeutico parla quasi esclusivamente del trauma come conseguenza del disastro, alludendo cosi' a un'umanita' che e' insopportabilmente fragile, a individualita' che non agiscono ma che lasciano che altri agiscano per loro, la ricetta piu' elementare per creare una vittima. I film catastrofisti e i media continuano a ritrarre le persone comuni come individui che si rivelano isterici e pericolosi quando affrontano una calamita'. Crediamo a quello che ci raccontano che siamo vittime o bruti invece di affidarci alla nostra esperienza. La maggior parte delle persone conoscono quest'altra natura umana in base al proprio vissuto, anche se non ci sono praticamente conferme di tipo ufficiale o tradizionale. Questo libro racconta la nostra capacita' di risorgere dalle rovine, la risposta normale che gli esseri umani esprimono di fronte a un disastro, e il significato che tale rinascita puo' avere in altri contesti, un argomento che fatica a trovare espressione nella nostra lingua per descrivere chi siamo quando tutto va male.

Ma per comprendere questa rinascita e cio' che la ostacola o la nasconde, ci sono altri due argomenti importanti da tenere presenti. Da una parte il comportamento della minoranza al potere, persone che spesso agiscono in modo selvaggio in occasione di un disastro. Dall'altra le convinzioni e le rappresentazioni mediatiche, le persone che ci offrono uno specchio deformante in cui e' praticamente impossibile riconoscere questi paradisi e le nostre possibilita'. Le convinzioni contano e, quando le convinzioni dei media e delle elite coincidono, possono portare a una seconda ondata catastrofica, proprio come e' accaduto dopo l'uragano Katrina. Questi tre argomenti sono intrecciati tra loro in quasi tutti i disastri e quando scopriamo quello piu' importante - la fugace apparizione del paradiso - siamo in grado di comprendere le forze che oscurano, si oppongono e a volte cancellano del tutto questa possibilita'.

Questa alternativa e questo desiderio di societa' si oppongono alla trama delle storie dominanti negli ultimi decenni. E' possibile leggere la storia recente come una storia di privatizzazione non solo dell'economia ma anche della societa', una storia in cui il marketing e i media spingono sempre piu' l'immaginazione verso la vita privata e la soddisfazione individuale, in cui i cittadini vengono etichettati come consumatori, in cui la partecipazione pubblica vacilla trascinando nella sua caduta ogni possibilita' di esprimere un proprio potere politico, individualmente o collettivamente, in cui lo stesso linguaggio usato per esprimere le emozioni e le soddisfazioni collettive si inaridisce. Il denaro e' assente nella cosiddetta libera associazione mentre media e pubblicita' ci incoraggiano ad aver timore gli uni degli altri e a considerare la vita pubblica come qualcosa di pericoloso e fastidioso, a vivere in spazi protetti, a comunicare tramite mezzi elettronici e ad acquisire le informazioni dai media invece che gli uni dagli altri. Eppure, in occasione di un disastro, le persone si riuniscono e anche se qualcuno ha paura di questi raduni considerandoli adunanze sediziose, molti applaudono a esperienze in cui la societa' civile si avvicina in qualche modo al paradiso. In termini contemporanei, la privatizzazione e' soprattutto un termine economico che indica l'affidamento di giurisdizioni, beni, servizi e poteri - ferrovie, diritto all'acqua, mantenimento dell'ordine pubblico, istruzione - al settore privato e ai capricci del mercato. Ma questa privatizzazione economica non si puo' realizzare senza la privatizzazione del desiderio e dell'immaginazione che ci dice che non siamo guardiani dei nostri simili. I disastri riportano chi li patisce alla vita pubblica e collettiva e in tal modo disfano parte di questa privatizzazione, che e' di per se' un disastro piu' lento e insidioso. In una societa' in cui la partecipazione, la capacita' di agire, l'iniziativa personale e la liberta' fossero tutti adeguatamente presenti, un disastro non sarebbe nient'altro che un disastro.

Pochi oggi parlano di paradiso, e quando lo fanno si riferiscono a qualcosa di talmente remoto da risultare impossibile. Le societa' ideali di cui sentiamo parlare sono per lo piu' lontane nel tempo o nello spazio o entrambe le cose e trovano posto in qualche societa' primordiale antecedente alla Caduta o in un regno spirituale nelle remote vastita' dell'Himalaya. L'implicazione e' che noi, qui e ora, siamo del tutto incapaci di vivere tali ideali. E se invece il paradiso balenasse in mezzo a noi in alcuni momenti, in quelli peggiori? E se riuscissimo ad averne una fugace visione mentre ci troviamo tra le fiamme dell'inferno? Queste brevi apparizioni ci offrono, a differenza delle societa' lontane nel tempo e nello spazio, uno scorcio di cio' che potremmo essere e di cio' che le nostre societa' potrebbero diventare. E' un paradiso in cui siamo all'altezza della situazione e che ci fa comprendere per contrasto come in altri momenti la maggior parte di noi non riesce a sostenere la vertigine delle possibilita' e precipita in una vita individuale senza ambizioni e in una vita sociale senza luce. Oggi molti non sperano neanche piu' in una societa' migliore ma la riconoscono quando la incontrano e questa scoperta riesce a illuminare anche un'esperienza che rimane senza nome. Altri la riconoscono, la comprendono e ne fanno qualcosa: cosi' dalle rovine nascono trasformazioni sociali e politiche che durano nel tempo, a volte buone e a volte cattive. La porta dei paradisi potenziali di questa nostra epoca si trova all'inferno.

La parola emergenza viene da emergere, ossia salire alla superficie, il contrario di mergere, ossia immergere, affondare in un liquido. Un'emergenza e' una separazione da cio' che ci e' familiare, un'improvvisa emersione in una nuova atmosfera, in cui spesso ci viene richiesto di essere all'altezza della situazione. Catastrofe deriva dal greco kata', ossia giu', e streifen, o ribaltamento. Indica uno sconvolgimento delle nostre attese e originariamente si riferiva a un colpo di scena in una trama. Emergere nell'inaspettato non e' sempre un'esperienza terribile anche se l'evoluzione di queste parole suggerisce la sfortuna. La parola disastro proviene dal composto latino tra dis, senza o lontano, e aster, stella o pianeta, ossia letteralmente senza stella. Originariamente suggeriva la sfortuna causata da una cattiva stella, proprio come nel classico blues di Albert King, Born under a Bad Sign.

In alcuni dei disastri del XX secolo - i grandi blackout nella regione nord-orientale degli Stati Uniti nel 1965 e 2003, il terremoto di Loma Prieta nel 1989 nell'area della baia di San Francisco, l'uragano Katrina nel golfo del Messico nel 2005 - la mancanza di energia elettrica fece svanire l'inquinamento luminoso che nascondeva il cielo notturno. In queste citta' colpite dal disastro le persone si ritrovarono improvvisamente sotto la volta stellata che possiamo tutt'ora ammirare in alcuni luoghi piccoli e remoti. Nella calda notte del 15 agosto 2003 a New York fu possibile vedere la Via lattea, un prezioso dono celeste che non si poteva ammirare da tanto tempo e che il blackout che colpi' il Nord-Est quel pomeriggio restitui' agli occhi della gente. Possiamo immaginare che l'attuale ordine sociale sia qualcosa di simile a questa luce artificiale: un altro tipo di potere che non funziona in occasione dei disastri. Al suo posto troviamo il ritorno a una societa' improvvisata, collaborativa, cooperativa e locale. Per quanto belle siano le stelle di un cielo notturno che finalmente si svela ai nostri occhi, solo pochi di noi saprebbero oggi orientarsi in base a esse. Ma le costellazioni della solidarieta', dell'altruismo e dell'improvvisazione fanno parte della maggior parte di noi e in questi momenti riappaiono. Le persone sanno cosa fare quando c'e' un disastro. La perdita di potere, il disastro in senso moderno, e' una calamita' ma il riapparire di questi antichi paradisi e' il suo contrario. Questo e' il paradiso a cui possiamo accedere passando per l'inferno.

 

6. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere finanziariamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

7. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Pema Chodron, Senza via di scampo, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1995, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 158, euro 7,50.

- Pema Chodron, Consigli a un guerriero compassionevole, Mondadori, Milano 2005, pp. 168, euro 9,80.

- Pema Chodron, La liberta' illimitata, Mondadori, Milano 2006, pp. XVI + 128, euro 9,80.

- Pema Chodron, Praticare la pace in tempo di guerra, Mondadori, Milano 2007, pp. XVI + 80, euro 7,40.

*

Riletture

- Friedrich Engels, Antiduehring, Editori Riuniti, Roma 1950, 1971, pp. XL + 352.

- Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 152.

- Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello stato, Editori Riuniti, Roma 1963, 1976, pp. 224.

- Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma 1950, 1976, pp. 96.

 

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

10. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 366 del 6 novembre 2010

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

 

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it