Coi piedi per terra. 385



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 385 del 15 ottobre 2010

 

In questo numero:

1. Silvia Vegetti Finzi: Evocare le passioni

2. Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Sergio Albesano

3. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo

 

1. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: EVOCARE LE PASSIONI

[Da Silvia Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Mondadori, Milano 005, 2007, pp. 7-8.

Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005; Nuovi nonni per nuovi nipoti, Mondadori, Milano 2008; La stanza del dialogo, Casagrande, Bellinzona 2009]

 

Mi rendo conto che evocare le passioni e' quanto mai inattuale in una cultura dove dominano la fretta, l'efficienza, la superficialita', l'autarchia individualistica degli affetti. Sospetto pero' che molti stati depressivi altro non siano che passioni negate, cronicizzazioni di tensioni mai giunte a crisi, per cui riaprire il teatro della societa' e della mente alle loro rappresentazioni potrebbe produrre effetti catartici.

 

2. LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA. PAOLO ARENA E MARCO GRAZIOTTI INTERVISTANO SERGIO ALBESANO

[Ringraziamo Paolo Arena (per contatti: paoloarena at fastwebnet.it) e Marco Graziotti (per contatti: graziottimarco at gmail.com) per averci messo a disposizione questa intervista a Sergio Albesano.

Paolo Arena e Marco Graziotti fanno parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Sergio Albesano e' impegnato nei movimenti di pace, di solidarieta' e per la nonviolenza, cura una rubrica di storia e una di libri su "Azione nonviolenta". Opere di Sergio Albesano: Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, Treviso 1993; con Bruno Segre e Mao Valpiana ha coordinato la realizzazione del volume di AA. VV., Le periferie della memoria. Profili di testimoni di pace, coedizione Anppia e Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999]

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come e' avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

- Sergio Albesano: Una persona importante per la mia formazione nonviolenta e' stata mia mamma, che fin da piccolo mi ha insegnato la repulsione verso la guerra, sia attraverso le sue parole sia non comprandomi armi giocattolo (e spiegandomi il perche' di questa scelta). Crescendo ho incontrato persone di area cattolica, in particolare il sacerdote don Gabriele Camisassa, che mi hanno insegnato l'importanza dell'impegno politico come gesto concreto di vivere la propria fede; impegno politico che io ho vissuto soprattutto nell'area nonviolenta. Infine, proprio nel mondo della nonviolenza, ho incontrato persone che sono state per me maestri, come Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza per motivi politici, e fratelli maggiori, come Piercarlo Racca del Movimento Nonviolento, che mi hanno aiutato a maturare una scelta convinta verso la nonviolenza.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalita' della nonviolenza hanno contato di piu' per lei, e perche'?

- Sergio Albesano: In parte ho gia' risposto nella domanda precedente. Credo che abbiano contato molto Aldo Capitini, a livello teorico, e Pietro Pinna, a livello di militanza. Inoltre e' stata fondamentale la vicinanza di Piercarlo Racca e di Massimo Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta". E ovviamente la figura di Gandhi.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

- Sergio Albesano: A un giovane consiglierei senza dubbio Le tecniche della nonviolenza di Aldo Capitini, che, a dispetto del titolo fuorviante, non e' un manuale sulle tecniche, ma un testo di approfondimento sulle tematiche nonviolente, che poi parla anche di tecniche.

Sono molti i libri che sarebbe opportuno che le biblioteche pubbliche e scolastiche avessero. Tra tutti ne segnalo uno, anche se mi imbarazza perche' l'ho scritto io. Si tratta della Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, un testo storico che sarebbe utile i giovani leggessero affinche' potessero conoscere la storia di coloro che erano giovani alcuni decenni fa e che preferirono andare in galera piuttosto che imparare a uccidere.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con piu' impegno?

- Sergio Albesano: Penso che, al di la' del tipo di iniziative, la maggior parte delle quali sono valide e degne di essere sostenute con maggior impegno, ci sia uno strumento che debba essere ulteriormente valorizzato dagli amici della nonviolenza, che e' Internet. E' stato addirittura candidato al Nobel per la pace. Non ho ancora le idee chiare sulla validita' di questa candidatura, ma e' estremamente interessante che, una volta tanto, uno strumento nato come oggetto militare (Arpanet) si sia trasformato in un veicolo di pace. Infatti riesce a mettere in contatto persone che altrimenti non si conoscerebbero mai. Ad esempio senza Internet avremmo saputo poco o nulla delle manifestazioni iraniane. Non per niente la censura cinese e' particolarmente attenta a controllare e a manipolare le informazioni che corrono sulla rete e ha creato un gruppo nutrito di impiegati che hanno il compito di pubblicare messaggi a favore delle attivita' governative. Ottimo, mi pare, il lavoro di un sito come Avaaz, che raccoglie per le sue petizioni centinaia di migliaia di firme, raggiungendo persone che altrimenti, senza la rete, non sarebbe possibile coinvolgere.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene piu' necessario e urgente un impegno nonviolento?
- Sergio Albesano: Penso che sia necessario e urgente un impegno del mondo nonviolento contro la mafia. Infatti si tratta di un cancro che ormai ha innumerevoli metastasi. Esiste ancora una societa' civile che puo' ribellarsi a questa imposizione criminale, e la reazione alla mafia, visto che i mezzi militari dello Stato hanno fallito, e' solo quella della diffusione di una cultura alternativa, che a poco a poco tolga terreno a mafia, 'ndrangheta, sacra corona unita, stidda e camorra. In questo settore finora il mondo nonviolento non ha fatto granche'. Ci sono state iniziative, certo, ma c'e' bisogno di un lavoro molto piu' intensificato, tenendo conto che l'avversario e' armato e cattivo. Insomma, si tratta di un campo molto pericoloso nel quale impegnarsi e quindi capisco che non tutti abbiano voglia di rischiare personalmente. Eppure questo e' un campo concreto e doveroso nel quale impegnarsi.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

- Sergio Albesano: Ci sono molti gruppi seri che lavorano su iniziative importanti. Io mi sentirei di indirizzare un giovane verso il Movimento Nonviolento, sia perche' e' un'organizzazione che ha una sua storia e che quindi non e' un'esperienza improvvisata da qualche persona entusiasta ma con poca esperienza, sia perche', conoscendolo bene e personalmente, posso garantire che e' composto da persone concrete, che hanno fatto della nonviolenza uno stile di vita e che riescono a unire idealismo con razionalita' nelle loro scelte politiche. Ne e' testimonianza, fra le molte attivita' del Movimento, la sua rivista "Azione nonviolenta", che esce puntualmente ogni mese dal 1964!

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

- Sergio Albesano: Ci sono definizioni precise, politiche, sociologiche, psicologiche e quant'altro per spiegare che cos'e' la nonviolenza. A me piace definirla come "la tenerezza della storia". Cioe' se immaginiamo la storia umana come se fosse il carattere di una persona, la nonviolenza e' l'aspetto della tenerezza, della compassione, della gentilezza. Certo, la nonviolenza non e' solo questo. E' anche passione, decisione e, spesso, durezza. Aldo Capitini diceva che dobbiamo essere duri come pietre contro la guerra. E questo e' senz'altro vero. Ma non dobbiamo dimenticarci che anche questa durezza non e' mai fine a se stessa; e' solo l'irremovibile convinzione nella nostra idea. E' una durezza che non vede nell'altro un nemico, ma un avversario non da combattere ma da portare, con la forza del nostro convincimento, dalla nostra parte. Con un ossimoro, potremmo dire che e' una durezza tenera. E quindi, proprio per questo, la nonviolenza e' la tenerezza della storia.

Per dichiarare poi quali sono le caratteristiche fondamentali della nonviolenza non basterebbe di certo la mia risposta, necessariamente concisa, a un'intervista e quindi, per non generalizzare e banalizzare, rimando a testi specifici, ad esempio Le tecniche della nonviolenza di Aldo Capitini citato piu' sopra.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

- Sergio Albesano: Bisogna chiarire che cosa si intende per femminismo, in quanto, a mio avviso, non esiste un unico concetto di femminismo, ma diversi femminismi. Se dunque per femminismo intendiamo il movimento delle donne volto a far conquistare al mondo femminile gli stessi diritti acquisiti dall'universo maschile, il collegamento con la nonviolenza e' forte, in quanto gli amici della nonviolenza lottano contro ogni forma di oppressione e quindi di conseguenza anche contro quella verso le donne. Mi pare, d'altronde, che anche le donne, partecipi di questo femminismo, abbiano sempre utilizzato strumenti nonviolenti.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?

- Sergio Albesano: Ci sono evidentemente rapporti molto stretti, in quanto la nonviolenza e' contro ogni forma di violenza, quindi anche contro quella che e' volta verso la natura, che poi si ritorce contro l'umanita'.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?

- Sergio Albesano: Anche in questo caso i rapporti sono molto stretti, in quanto la nonviolenza lotta contro tutte le forme di discriminazione. Ne sono una testimonianza, fra l'altro, le campagne avviate tempo fa contro l'apartheid in Sudafrica, con le lotte nonviolente contro le banche che finanziavano il governo razzista. Quando la Coca Cola e altre grandi aziende iniziarono ad andarsene dal paese, la situazione prima economica e poi politica del paese traballo' e, grazie alla concomitanza con altre positive situazioni, il paese pote' uscire dal regime e diventare democratico senza il bagno di sangue che sembrava inevitabile. Questo e' un caso in cui la nonviolenza ha avuto successo.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?

- Sergio Albesano: Anzitutto, anziche' di mafia, dovremmo parlare di mafie, intendendo con questo termine tutte le associazioni criminose quali camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita. Come ho scritto piu' sopra, la lotta contro la mafia e' un terreno sul quale la nonviolenza, a mio avviso, non si e' ancora impegnata abbastanza. Ci sono, senza dubbio, persone e movimenti che con metodi nonviolenti si oppongono alle mafie, ma si tratta di manifestazioni isolate. Non esiste ancora un movimento largo, di massa, che coinvolga tutte le regioni italiane, contro le mafie. Consideriamo che, anche se alcune regioni sono piu' coinvolte, non si tratta piu' di un fenomeno legato unicamente a certe zone del paese, perche' ormai queste associazioni criminali si sono sviluppate in tutta Italia. Non mi riferisco alla mafia del Brenta, storicamente localizzata in Veneto, ma alla diaspora che le mafie meridionali hanno avuto in tutta Italia, complice anche la pena del confino che, invece di isolare i mafiosi, ha dato loro l'opportunita' di espandersi in tutto il paese. I recenti arresti in Lombardia ne sono una testimonianza. Inoltre ci sono anche mafie estere che qui da noi hanno trovato terreno fertile su cui svilupparsi: pensiamo alle triadi, la mafia cinese, o alla mafia russa. Insomma, si tratta di un campo estremamente pericoloso nel quale gli amici della nonviolenza devono impegnarsi in modo organizzato, programmato e politico.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?

- Sergio Albesano: I metodi di lotta dei lavoratori sono quasi sempre stati nonviolenti: volantinaggi, assemblee, scioperi. Cio' che a mio parere manca al movimento operaio (se si puo' ancora usare questa espressione) e' il collegamento delle loro lotte di categoria con un piu' ampio campo di lotte di emancipazione delle classi sociali sfruttate e per la qualita' della vita di tutti. Ad esempio, come conciliare la conservazione del posto di lavoro e il rifiuto di lavorare nelle fabbriche che producono armi? Come conciliare la conservazione del posto di lavoro e il rifiuto di prestare la propria opera nelle aziende che inquinano il territorio? Terribile la frase pronunciata da una donna al riguardo dell'Acna di Cengio: "Odio questa fabbrica che ha ucciso mio marito e che non assume mio figlio"! O la frase pronunciata da un dipendente dell'Aeritalia: "Spero che scoppi una guerra in Medio Oriente, perche' ho il mutuo da pagare"! Dunque il movimento dei lavoratori deve inquadrare le proprie lotte in un quadro piu' ampio, occupandosi anche dei grandi problemi che come persone i lavoratori devono affrontare. In particolare dovrebbe occuparsi della riconversione delle fabbriche belliche in produzione civile.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?

- Sergio Albesano: Molti popoli oppressi hanno cercato di liberarsi attraverso lotte violente. Spesso pero' questi popoli sono stati strumentalizzati per fini di alta politica internazionale da altri Stati che li hanno usati per i loro fini. Vedi le lotte di liberazione della seconda meta' del secolo scorso sponsorizzate dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica. Molti conflitti locali sono stati un modo con il quale le due superpotenze hanno potuto confrontarsi militarmente per procura, non esponendosi direttamente ma utilizzando paesi terzi che foraggiavano con forniture di armi e di consiglieri militari. Il costo di queste guerre e' stato altissimo in termini di vite umane perse e di devastazioni. Ma verso la fine del XX secolo ci sono stati nazioni che si sono liberate utilizzando metodi nonviolenti. Pensiamo ad esempio ai paesi dell'ex cortina di ferro e ad Haiti. Queste rivoluzioni hanno permesso di liberarsi dal giogo straniero o dall'imposizione di una dittatura senza ricorrere ai bagni di sangue che prima nella storia sembravano inevitabili. Una novita' che contraddice coloro che sostengono che la guerra c'e' sempre stata e sempre ci sara' e un buon esempio che altri popoli possono seguire.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?

- Sergio Albesano: Bisogna immediatamente chiarire che nonviolenza e pacifismo non sono sinonimi. Il pacifismo e' un generico sentimento bonario che porta le persone a mobilitarsi a favore della pace, specie quando questa e' gia' compromessa. La nonviolenza invece e' una precisa scelta politica di avversione a ogni forma di violenza e di rifiuto integrale della guerra, che agisce non solo quando il conflitto militare e' gia' in atto, ma prima che esso esploda, al fine di evitarlo. Inoltre e' uno stile di vita che copre molti aspetti dell'esistenza, quali quello del rapporto con la natura, delle relazioni interpersonali, di un nuovo modo di concepire l'economia. Il pacifismo e' un bel valore, che pero' arriva solo fino a un certo punto e che quindi presenta piu' di un limite. La nonviolenza e' l'adesione persuasa a un nuovo modello di vita.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e antimilitarismo?

- Sergio Albesano: L'antimilitarismo e' un aspetto della nonviolenza, nel senso che gli amici della nonviolenza sono certamente contrari all'esistenza dell'esercito e, ovviamente, al suo utilizzo. E' solo un aspetto, pero', in quanto quella militare e' solo la forma piu' appariscente e piu' becera di violenza, mentre esistono forme di violenza piu' subdole ma drammatiche, come quella economica, quella psicologica, quella nelle relazioni, alle quali gli amici della nonviolenza si oppongono in toto.

Chiariamo pero' che l'antimilitarismo non e' una prerogativa esclusiva della nonviolenza. Anzi si puo' essere contemporaneamente violenti e antimilitaristi. Ad esempio i partiti della sinistra hanno sempre vissuto un'antimilitarismo selettivo, cioe' si ponevano contro il militarismo imperialista capitalista ma appoggiavano quello degli eserciti da loro considerati popolari e di liberazione. Come scriveva "Il manifesto" nel 1972: "La parodia di azienda organizzata dal Pentagono - gerarchica, costrittiva, mercenaria, razzista - e' una cosa, un'altra il piccolo esercito di liberazione dei Vietcong, popolare, volon­tario, egualitario". E, andando piu' indietro nella storia, nel 1919 il Partito Socialista Italiano (Psi) mostro' appieno il suo carattere contemporaneamente violento e antimilitarista. Esso, mentre si opponeva alla violenza istituzionale dell'esercito, teorizzava la violenza delle masse proletarie. Ad esempio nel dicembre 1918 una mozione della Direzione del partito proponeva, tra gli altri punti, l'"abolizione della coscrizione militare e (il) disarmo universale in seguito all'unione di tutte le repubbliche proletarie socialiste". E un articolo dell'"Avanti!", pubblicato dopo la vittoria alle elezioni del 16 novembre 1919, indicava tra gli obiettivi da raggiungere da parte del Psi "una politica militare che faccia scomparire tutte le tracce del militarismo mandando i soldati alle loro case, trasformando le caserme in edifici destinati a servizi di pubblica utilita', come case operaie, scuole, collegi per i figli dei lavoratori, ecc.". Quasi contemporaneamente, pero', nel Congresso tenuto a Bologna dal 5 all'8 ottobre 1919, la mozione massimalista, che ottenne la maggioranza dei voti, affermava: "Premesso poi che nessuna classe dominante ha rinunciato finora al proprio dispotismo se non costrettavi dalla violenza e che la classe sfruttatrice fa ad essa ricorso per la difesa dei propri privilegi e per il soffocamento dei tentativi della classe oppressa; il Congresso e' convinto che il proletariato dovra' ricorrere all'uso della violenza per la difesa contro le violenze borghesi, per la conquista dei poteri e per il consolidamento delle conquiste rivoluzionarie". E' questa una forma di antimilitarismo che non puo' interessare l'amico della nonviolenza.

Anche nei confronti dell'obiezione di coscienza la sinistra ha sempre avuto un atteggiamento di sufficienza, se non addirittura di fastidio. Le ragioni di questo atteggiamento risiedono nella cultura marxista e nella storia del movimento operaio. La sinistra e' sempre stata antimilitarista, ma ha in­dividuato nel militarismo soprattutto il naturale prolunga­mento del dominio capitalista e l'inesorabile preludio delle mire imperialiste. Pertanto la lotta contro il militarismo e' stata valutata parte della battaglia politica generale, da sviluppare ed estendere con la mobilitazione popolare, in fab­brica come nelle caserme. L'obiezione di coscienza e' stata considerata un gesto significativo nella sua opposizione radi­cale, ma al tempo stesso soltanto simbolico e di portata individuale e dunque scarsamente generalizzabile. Inoltre esisteva una ragione profonda che portava il pensiero marxista, e di conseguenza i partiti che se ne facevano portatori, a rifiu­tare la pratica dell'obiezione di coscienza e cioe' la possibi­lita' del ricorso all'uso della violenza. Infatti l'obiettivo rivoluzionario, l'abbattimento del potere borghese e poi la difesa del nuovo ordine, era configurato come un atto di forza (l'insurrezione o la guerra civile) attraverso cui il proleta­riato armato conquistava il potere politico. Tutto cio' e' molto distante dalla nonviolenza. Lenin, nel pieno dell'Ottobre, scriveva che "i socialisti non possono essere contrari ad ogni guerra senza cessare di essere socialisti" e che "chi ammette la lotta di classe non puo' fare a meno di ammettere anche le guerre civili, che rappresentano in ogni societa' di classi un'estensione, uno sviluppo ed un'acutizzazione naturale, in determinate circostanze, della lotta di classe". Solo al com­pletamento della fase rivoluzionaria, dopo l'assestamento de­finitivo del potere proletario e con il comunismo ormai rea­lizzato non ci sarebbe stato piu' motivo di ricorrere alla forza. "Soltanto dopo che noi avremo abbattuto, debellato to­talmente e spodestato la borghesia in tutto il mondo e non solo in un unico paese", scriveva ancora Lenin "soltanto al­lora le guerre saranno impossibili". In ogni caso, al di la' dei principi dottrinari e dei dogmi, le forze del movimento operaio hanno sempre rifuggito l'obiezione di coscienza anche nella pratica. L'antimilitarismo marxista ha privilegiato l'intervento politico e possibilmente di massa direttamente all'interno delle forze armate, sia nei periodi di pace sia, soprattutto, in guerra. L'esempio piu' luminoso al riguardo e' quello della rivoluzione bolscevica e cioe' il rovesciamento, grazie all'insubordinazione dei soldati, della guerra zarista in guerra rivoluzionaria. In altre parole la pratica antimili­tarista delle forze marxiste per avere successo aveva bisogno dei soldati, che rappresentavano il terminale di classe attra­verso il quale organizzare l'opposizione al potere militare. Si trattava dell'applicazione dello schema di classe alle ge­rarchie nell'esercito. La truppa era identificata con il pro­letariato ed il soldato diventava il "proletario in divisa". La pratica politica nelle caserme poggiava pertanto sul pre­supposto irrinunciabile della natura popolare delle forze ar­mate, cioe' sulla leva di massa, che fu la grande riforma della rivoluzione francese. La difesa della coscrizione obbligato­ria, che nel secondo dopoguerra fu salvaguardata come un im­portante patrimonio della sinistra, rispose all'esigenza di contenere nei ranghi militari quei naturali anticorpi democra­tici ed antimilitaristi che sono considerati i giovani soldati di leva, i figli del popolo. L'obiezione di coscienza teorica­mente riduce tale garanzia ed anzi, lasciando prevalentemente l'esercito ai soli professionisti, favorisce la trasformazione delle forze armate in un'istituzione ulteriormente separata dalla societa' e fuori dal controllo democratico. E' questa la ragione piu' concreta per cui le forze del movimento operaio non hanno mai favorito l'obiezione di coscienza ed anzi l'hanno addirittura ostacolata.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?

- Sergio Albesano: Anche il disarmo e' un aspetto, molto importante, della nonviolenza. Precisiamo che parliamo soprattutto di disarmo unilaterale. Infatti il modo di pensare: "Se tu disarmi, allora disarmero' anch'io", attendendo cioe' che sia l'altro a fare il primo passo, non funziona. Un po' funziona il modo di operare del disarmo reciproco, cioe' mettersi d'accordo per eliminare contemporaneamente le proprie armi. Lo dimostrano i vari trattati Salt che hanno eliminato molte armi termonucleari. Ma non basta e la dimostrazione e' il fatto che, nonstante i succitanti trattati, l'umanita' continua a essere piena di armi atomiche che potrebbero in qualunque momento distruggere per sempre la vita umana sul pianeta. Il passo coraggioso, necessario e decisivo e' quello del disarmo unilaterale, cioe' la volonta' di una singola parte di rinunciare alle proprie armi a prescindere da ciò che intende fare l'altra parte. Il disarmo unilaterale nucleare e' il primo livello, per poi passare a quello relativo alle armi biologiche, chimiche e infine convenzionali. Ricordiamoci che le trattative fra Urss e Usa per la distruzione parziale dei loro arsenali nucleari presero l'avvio solo dopo che Gorbaciov decise, unilateralmente, di rinunciare almeno in parte al proprio arsenale nucleare.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?

- Sergio Albesano: Come abbiamo detto piu' sopra, la nonviolenza non si oppone soltanto alla violenza militare ma a tutte le forme di violenza. La mancanza di diritto alla salute e all'assistenza e' anch'essa una forma di violenza e quindi, ovviamente, la nonviolenza si oppone a questa forma di oppressione. "Non c'e' pace senza giustizia". Esistono diversi concetti di pace, anche quella silenziosa dei cimiteri causati dai disastri militari. Ma la pace che ricercano gli amici della nonviolenza e' quella in cui ognuno abbia le medesime opportunita' di sviluppo e di assistenza, sanitaria e culturale.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?

- Sergio Albesano: Non ho le competenze per rispondere in maniera degna a questa domanda.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?

- Sergio Albesano: Esiste un legame molto stretto tra nonviolenza e informazione. Non dimentichiamoci che Gandhi era un giornalista, ma un giornalista molto diverso dalla maggior parte di quelli che siamo abituati a conoscere oggi in Italia. Al riguardo rimando al numero monografico di gennaio-febbraio 2008 di "Azione nonviolenta", reperibile anche in formato pdf sul sito del Movimento Nonviolento www.nonviolenti.org, che affronta il tema in maniera molto piu' approfondita e organica di quanto potrei fare io in queste poche righe.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?

- Sergio Albesano: Mi mancano le competenze per rispondere a questa domanda. Evidenzio pero' che Aldo Capitini e' stato un filosofo, anche se questa parte della sua opera e' per me quella piu' ostica.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?

- Sergio Albesano: Le religioni in genere soffrono una grande contraddizione nei confonti della nonviolenza, in quanto nella teoria sono tutte contrarie alla violenza ma nella prassi spesso generano violenze inaudite, dalle crociate alla guerra santa. Con una battuta si puo' dire che un ateo almeno non causera' mai una guerra di religione! Ma cio' non risponde precisamente alla domanda, che chiede che cosa apporta la nonviolenza alla rifessione delle religioni e alla riflessione sulle religioni. Al riguardo sarebbe opportuno sentire Enrico Peyretti, che e' da tutta la vita che continua ad approfondire queste tematiche.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?

- Sergio Albesano: L'apporto della nonviolenza all'educazione potrebbe essere determinante per la formazione dell'individuo. In una societa' ideale vedrei bene insegnamenti di nonviolenza fin dalle scuole primarie per impostare la coscienza dei cittadini ai valori della collaborazione e della solidarieta', rifiutando la possibilita' di scelte violente nei rapporti sociali. Una persona piu' esperta di me su queste tematiche e' Pasquale Pugliese...

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?

- Sergio Albesano: La riflessione sulll'economia e' fondamentale in una scelta di vita nonviolenta, in quanto moltissime violenze vengono effettuate per scopi di sopraffazione economica, e la stessa sperequazione che porta la maggior parte dell'umanita' a non avere il necessario per vivere o comunque a vivere sotto il livello di poverta' mentre una minoranza ha troppo e' chiaramente una violenza da eliminare. Al riguardo uno dei migliori esperti sull'argomento e' Paolo Macina...

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?

- Sergio Albesano: La nonviolenza, soprattutto attraverso l'obiezione di coscienza, da' un grande apporto al miglioramento del diritto, anche se puo' sembrare una contraddizione il fatto che l'aiuto venga dato attraverso il contravvenire a una legge! Si tratta di una disobbedienza dichiarata, resa pubblica, per la quale si e' disposti a pagare il pegno delle proprie scelte. Ad esempio, quando in Italia prima del 1972 gli obiettori al servizio militare rifiutavano di vestire la divisa, essi contravvenivano a una legge dello Stato; lo facevano pubblicamente (ben diversa la situazione di coloro che con sotterfugi si sottraevano individualmente all'obbligo prescritto) e ne pagavano le conseguenze con il carcere. Contravvenivano alla legge, ma facevano un servizio al diritto dello Stato italiano perche' stimolavano il legislatore a modificare una legge che era sbagliata e anacronistica. Il loro era un comportamento antigiuridico ma non antisociale. Iil loro comportamento spingeva a un elevamento del livello etico del diritto italiano. Detto questo, devo aggiungere pero' che non sono esperto sull'argomento e che per ottenere una risposta piu' completa dovreste rivolgervi a qualche altra persona che abbia sviluppato il tema del rapporto fra nonviolenza e diritto.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?

- Sergio Albesano: Etica e bioetica, a parte l'affinita' lessicale, sono due argomenti diversi fra loro. Non ho assolutamente le competenze necessarie per rispondere alla parte di domanda relativa alla bioetica. Per quanto riguarda invece il rapporto con l'etica, considero la nonviolenza non solo un mezzo efficace per la risoluzione dei conflitti, ma uno stile di vita e quindi da cio' consegue che il rapporto fra nonviolenza ed etica e' per me strettissimo. Ma anche su questa tematica non sono esperto e quindi evito di parlare.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?

- Sergio Albesano: C'e' un largo settore di persone nel mondo della nonviolenza che vede nella tecnologia un male da rifuggire poiche' allontana le persone da un modo di vivere naturale. Io sono di opinione profondamente diversa. Anzitutto considero la tecnologia uno strumento e quindi cio' che conta e' il modo in cui viene utilizzata, ne' piu' ne' meno come un martello che puo' servire per costruire una casa o per sfondare il cranio a un nemico. Ma, andando piu' in profondita', la tecnologia e' ormai una via che l'umanita' ha imboccato e dalla quale non torneremo piu' indietro. Quindi le velleita' arcadiche di chi vorrebbe ritornare al solo uso del cucchiaio perche' la forchetta e' gia' troppo innovativa (non si tratta di una mia battuta; esistono comunita' che vivono persino queste regole!) e' una via perdente. Altrimenti perderemo il treno, rimanendo un ristretto gruppo di amish nel centro di una metropoli a coltivare un sogno retrogrado che ci isolera' e che oltretutto non fara' progredire il mondo verso mete piu' nonviolente. Mitizzare i tempi passati e' stupido, perche' nel passato c'era piu' violenza di quella del mondo attuale. Anche nelle tribu' primitive, dove la guerra era un fatto naturale, che nessuno contestava, un evento della vita come tanti altri. Ora, per lo meno, esiste una consapevolezza che porta molti a rifiutare la guerra e tante violenze. Questa consapevolezza e' cresciuta con il tempo; si e' trattato di uno sviluppo culturale, che una volta non c'era. Il discorso sarebbe lunghissimo e non si puo' certo esaurire nel rispondere a una domanda di un'intervista. Pensiamo solo, tra tutte le innovazioni tecnologiche, a Internet, che tra l'altro e' stato proposto a ricevere il Nobel per la pace. E' grazie a questo strumento che abbiamo saputo in tempo reale delle contestazioni a Teheran, che la lapidazione di Sakineh e' stata rimandata, che possiamo mettere le nostre idee a disposizione di tutti per costruire un mondo meno violento. Negare questa realta', oltre a essere stupido, e' perdente.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Che cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?

- Sergio Albesano: La storia e' sempre stata insegnata come racconti di guerre, intervallati da trattati di pace. Esiste pero' una storia, vissuta da tante persone sconosciute, in cui la nonviolenza, come scelta spontanea anche se non ancora ideologica del rifiuto della violenza, e' presente. Dunque esiste un paradigma della nonviolenza per interpretare la storia ed e' compito degli storici della nonviolenza utilizzare questo paradigma ed estrarre i relativi eventi dalle periferie della memoria dove sono confinati prima che scompaiano definitivamente nelle nebbie del tempo dove nessuno potra' piu' recuperarli. Un'analisi piu' completa di questo argomento si puo' leggere nella rubrica "Storia" pubblicata sui numeri della rivista "Azione nonviolenta" dal numero di gennaio-febbraio a quello di giugno del 2001, che si possono reperire sul sito www.nonviolenti.org

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?

- Sergio Albesano: Il metodo del consenso ha lo scopo di arrivare a una decisione che non sia semplicemente la scelta della maggioranza, ma condivisa possibilmente da tutti. Per attuare una simile metodologia e' necessario piu' tempo rispetto a una semplice votazione per alzata di mano. Il vantaggio e' che alla fine le persone coinvolte accettano consapevolmente le decisioni prese e non le subiscono. Lo svantaggio e' che sono necessari tempi piu' lunghi. Quindi e' un metodo adatto per scelte di grande importanza o quando si ha comunque il tempo necessario per avviare un dibattito che puo' essere anche lungo. Non e' adatto quando invece bisogna prendere decisioni veloci.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene piu' importanti, e perche'?

- Sergio Albesano: Il dialogo. Puo' sembrare una banalita', ma nella gestione di un conflitto, secondo me, l'aspetto basilare e' il confronto dialettico fatto con la mente e il cuore aperti per comprendere le ragioni dell'altro. Poi certamente ci sono tecniche importanti e determinanti. Ma se non parte tutto almeno da un tentativo di dialogo, c'e' subito contrapposizione. Anche nei conflitti dobbiamo cercare, per quanto possibile, di superare i concetti contrapposti di "noi" e "voi" per costruire un unico "noi", cioe' un gruppo di persone che collaborano per arrivare a una soluzione condivisa.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?

- Sergio Albesano: A mio avviso la scelta migliore sarebbe quella di inserire l'insegnamento della nonviolenza fin dai primi anni di vita di ogni cittadino. Quindi sarebbe opportuno che nelle medie ci fossero un paio di ore alla settimana di formazione alla nonviolenza, cosi' come un tempo c'era l'educazione civica. Anche nelle elementari sarebbe opportuno che i maestri fossero formati per educare i bambini alla nonviolenza. E ancora piu' indietro pure le maestre degli asili nido della scuola materna dovrebbero seguire corsi per trasmettere nei nidi e nelle scuole materne messaggi di convivenza nonviolenta, ovviamente nel modo in cui i piccoli possano comprenderli. A qualcuno questo sforzo educativo potra' sembrare esagerato, ma se il nostro desiderio e' quello di costruire un societa' nonviolenta, in cui i rapporti di tutti i tipi, dal micro al macro, non contemplino il ricorso alla violenza, la societa' deve impegnarsi per far crescere cittadini che fin dai primi approcci di socializzazione siano indirizzati verso scelte di pace. Bisognerebbe pero' stare attenti che questi momenti formativi siano gestiti da persone a loro volta formate sull'argomento e che non diventino solo un momento in cui non si fa nulla, com'era appunto ai miei tempi l'ora di educazione civica.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?

- Sergio Albesano: E' un tema delicato. Le persone che devono affrontare situazioni difficili e pericolose, come ad esempio coloro che si frappongono fra i gruppi contendenti nelle zone di conflitto, e' necessario che ricevano una formazione e un addestramento affinche' siano in grado di agire anche in situazioni estreme. Certo che poi l'addestramento e' una cosa e la realta' e' un'altra. Ma di sicuro certe manifestazioni, se si vuole che si mantengano nonviolente, non possono essere improvvisate. I militari, prima di avviare una campagna, vi si preparano seriamente. Altrettanto devono fare gli amici della nonviolenza, essendo pronti, per quanto possibile, a gestire le emergenze.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che piu' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

- Sergio Albesano: Certamente "Azione nonviolenta", la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini, che dal 1964 esce puntualmente tutti i mesi informando e formando sulle tematiche afferenti la nonviolenza in Italia e nel mondo. E' un ottimo giornale e meriterebbe una piu' ampia diffusione. Cio' che secondo me manca in Italia e' una casa editrice espressamente dedicata alla nonviolenza. Ci sono case editrici che si occupano anche di nonviolenza, ma spesso le scelte sui testi da pubblicare seguono piu' le logiche di mercato che non quelle di opportunita' di pubblicazione. Talvolta anche con clamorosi errori, come quando le Edizioni Gruppo Abele rifiutarono il mio "Storia dell'obiezione di coscienza in Italia", che poi, accettato da una piccola casa editrice di Treviso che non si occupa di nonviolenza, vendette tremila copie, solo per gli sforzi miei e dell'editore. Una casa editrice come quella del Gruppo Abele, meglio introdotta nell'ambiente della nonviolenza italiana, avrebbe potuto venderne ancora di piu', con una conseguente migliore diffusione delle tematiche nonviolente e anche con un buon ritorno economico per la casa editrice.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico e universitario le sembra che piu' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

- Sergio Albesano: Sugli insegnamenti nelle scuole elementari e medie ho gia' risposto piu' sopra. Per quanto riguarda l'universita' sarebbe opportuno avviare corsi sulla pace nelle facolta' storiche e giuridiche e anche indirizzi appositi che servano a creare nuove figure professionali (insegnanti di queste tematiche, operatori sociali, ecc.). Insomma, bisognerebbe investire nella formazione e nell'educazione delle giovani generazioni anche in ambito scolastico.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalita', ininfluenza, inadeguatezza; e' cosi'? Perche' accade? Come potrebbero migliorare la qualita', la percezione e l'efficacia della loro azione?

- Sergio Albesano: L'impressione di marginalita' e di scarsa influenza corrisponde alla realta'. L'inadeguatezza e' invece un'altra cosa. Siamo marginali perche' non abbiamo un seguito di massa. Un grosso esponente del Pd parlando del Movimento Nonviolento ci chiese quanti eravamo e aggiunse: "Se aveste diecimila iscritti, non contereste nulla, perche' dal punto di vista elettorale risultereste comunque ininfluenti". Noi non siamo diecimila, ma duecento (tanti sono gli iscritti ufficiali al Movimento Nonviolento, anche se l'area dei simpatizzanti e' piu' vasta). Dunque, se queste sono le logiche per contare, cioe' quanti voti puoi spostare, e' evidente qual e' il motivo per cui i movimenti nonviolenti italiani risultano marginali. Quindi il punto non e' migliorare la qualita' del lavoro, che e' gia' eccellente tenendo conto delle poche forze a disposizione. Per aumentare la percezione della loro presenza i movimenti nonviolenti italiani dovrebbero ingigantirsi. Cio' porterebbe pero' il rischio di deteriorarsi, facendo entrare anche forze non proprio persuase dell'efficiacia della nonviolenza. Il voler apparire a tutti i costi e' una malattia e conduce spesso a tradire gli ideali da cui si e' partiti. Come i partiti verdi, alcuni dei quali sono molto distanti nella prassi dalle enunciazioni di partenza. Altri partiti hanno utilizzato le immagini di Gandhi per biechi motivi pubblicitari, come il Partito Radicale, che nella realta' e' abissalmente lontano dalla nonviolenza. Quindi penso che i movimenti nonviolenti italiani debbano continuare a produrre un lavoro di qualita', come hanno fatto fino a ora, senza preoccuparsi dei numeri, dei voti, delle apparizioni televisive. La testimonianza e la persuasione negli ideali nonviolenti sono il comportamento giusto da adottare per persuadere altri.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se si', come?

- Sergio Albesano: E' un discorso vecchissimo, che ogni tanto si ripresenta: il vasto arcipelago di associazioni e gruppi che si prodigano per la pace disperdono le (poche) forze? Si dovrebbero unire in un'unica formazione, che, essendo piu' grossa poiche' somma di tutte le iniziative sparse, avrebbe piu' forza contrattuale? Ogni tanto a qualcuno viene l'idea di creare una superformazione, che riunisca le altre disperse; cosi' si crea quello che nelle intenzioni dovrebbe divenire un supergruppo. Ma poi per tanti motivi (ognuno e' affezionato al suo orticello, ci sono sfumature diverse nel modo di concepire la nonviolenza, gli interessi non sempre sono simili, ecc.) inevitabilmente il supergruppo non parte e alla fine... si ha solo un altro gruppo in piu'! Pertanto il mio parere e' di continuare cosi', con questo mare di associazioni che si spendono per la nonviolenza. Il pluralismo delle iniziative non mi spaventa e anzi lo considero una ricchezza per il panorama della pace in Italia. Cio' che conta e' che queste associazioni sappiano collaborare una con l'altra per il comune ideale. Un esempio e' la federazione avvenuta ormai da anni in Piemonte e Valle d'Aosta fra Movimento Nonviolento e Movimento Internazionale della Riconciliazione. Ognuno dei due movimenti ha mantenuto la sua specificita', ma si collabora per le comuni iniziative, come ad esempio la realizzazione dei campi estivi.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?

- Sergio Albesano: Non penso che i movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori stumenti di comunicazione. Dovrebbero invece sviluppare gli strumenti che gia' hanno. Ad esempio "Azione nonviolenta" potrebbe essere potenziata con l'apporto di altri movimenti nonviolenti e, pur restando l'organo ufficiale del Movimento Nonviolento, potrebbere divenire il veicolo di comunicazione piu' autorevole di tutta l'area nonviolenta italiana. Anche i siti Internet (cito fra tutti quello del Movimento Nonviolento, nonviolenti.org, e quello di Peacelink) potrebbero essere potenziati, divenendo non solo archivi e punti di raccolta di informazioni, quali gia' sono, ma anche agora', luoghi di dialogo e di confronto.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?

- Sergio Albesano: Non ho competenze per rispondere a questa domanda.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?

- Sergio Albesano: Le istituzioni sono influenzate dal partito che le occupa e quindi le scelte a favore o contro la nonviolenza dipendono soprattutto dal colore politico di chi le rappresenta in un dato momento. In ogni caso, che si tratti di sinistra, di centro o di destra, l'attenzione per la nonviolenza da parte delle istituzioni non mi pare essere una loro priorita'. Talvolta finanziano qualche progetto, ma si tratta di interventi una tantum, senza una strategia articolata. I gruppi nonviolenti non possono far altro che stimolare le istituzioni su questo tema, essendo consapevoli che devono essere loro a trascinare le istituzioni e non queste a trascinare la societa' civile.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?

- Sergio Albesano: La cultura ha un'importanza determinante nella diffusione della nonviolenza, poiche' la prima battaglia contro la violenza secondo me non e' quella politica, quella legislativa o quella giudiziaria, ma proprio quella culturale. Le altre seguono a traino. Nel senso che prima bisogna creare una diffusa cultura di pace e poi, come conseguenza, nasceranno anche le iniziative politiche o legislative. E' raro il caso contrario. Pensiamo ad esempio alla legge che permette l'obiezione di coscienza in Italia. Il legislatore arrivo' alla promulgazione di questa legge solo nel 1972, quando nell'opinione pubblica si era diffusa la convinzione che tale legge fosse necessaria. Il legislatore non fece altro che sancire ufficialmente cio' che le persone gia' sentivano. Anche la lotta contro la mafia deve essere anzitutto una lotta culturale, per togliere alla mafia il consenso che ancora ha fra la popolazione. Solo a questo punto le altre iniziative, poliziesche e giudiziarie, potranno essere efficaci o, nella migliore delle previsioni, non avranno neppure piu' ragione di essere.

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?

- Sergio Albesano: E' un rapporto critico. Ho gia' evidenziato piu' sopra come la nonviolenza non faccia parte del dna di nessuno dei partiti esistenti, che siano di destra, di centro o di sinistra. Il Partito Radicale ha sposato alcune battaglie nonviolente, ma per altre motivazioni. Ad esempio ha dato un grande contributo alla lotta per l'obiezione di coscienza, ma a mio avviso non tanto per motivazioni nonviolente, quanto per il suo obiettivo di far diminuire l'ingerenza dello Stato nella vita privata del cittadino. In tale ottica si possono leggere le battaglie del Pr a favore del divorzio, dell'aborto, contro la censura e, appunto, a favore dell'obiezione di coscienza. Il Partito Socialista Italiano e' l'unico partito che ha una tradizione antimilitarista (ricordiamo la frase di Andrea Costa, uno dei fondatori del partito, "Ne' un uomo ne' un soldo per la guerra"), ma da allora e' passato piu' di un secolo e nella prassi (ricordiamo ad esempio l'installazione dei missili a Comiso accettata da Craxi) tanta acqua e' passata sotto i ponti. I verdi si sono dichiarati interessati alla nonviolenza, ma molti di loro hanno dimostrato in pratica di essere piu' interessati al seggio in Parlamento. Rifondazione Comunista ha fatto una precisa svolta verso la nonviolenza, ma per il momento non e' altro che una dichiarazione d'intenti. Questo, a mio avviso, il desolante panorama dei rapporti fra nonviolenza e partiti politici italiani. Diciamo, per essere ottimisti, che ci sono ampi spazi di miglioramento!

 

3. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO

 

Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org

Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com

Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it

 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 385 del 15 ottobre 2010

 

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