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Coi piedi per terra. 346
- Subject: Coi piedi per terra. 346
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 6 Sep 2010 11:21:54 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Numero 346 del 6 settembre
2010 In questo numero:
1. Alcuni estratti da "Ginocidio" di Daniela Danna (parte
prima)
2. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "GINOCIDIO" DI DANIELA DANNA
(PARTE PRIMA)
[Nuovamente riproponiamo (ripresi dal sito www.tecalibri.it) i seguenti estratti (scelti
da Angela Razzini) dal libro di Daniela Danna, Ginocidio. La violenza contro le
donne nell'era globale, Eleuthera, Milano 2007.
Daniela Danna (Milano, 1967), ricercatrice, saggista, docente, insegna
presso la Facolta' di Sociologia dell'Universita' degli Studi di Milano. Dal
sito www.danieladanna.it riprendiamo il seguente profilo: "La mia professione e'
quella di ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Sociali della facolta' di
Scienze Politiche dell'Universita' degli Studi di Milano, dove tengo un corso di
'Sistemi sociali comparati' e una parte monografica sul concetto di capitalismo
in Marx, Weber e altri autori nel corso di 'Storia del pensiero sociologico'. E'
la facolta' dove mi sono laureata nel 1991, con una tesi di laurea intitolata
'La teoria della transizione demografica di John Caldwell e il caso della
Danimarca', che ho fatto durante un periodo ad Aarhus (la seconda citta' della
Danimarca, anche se non e' molto famosa), nel bel mezzo di un gelido inverno.
Ancora prima di laurearmi comincio a lavorare a 'Babilonia' con Giovanni
Dall'Orto, tenendo le (due) pagine lesbiche, la rubrica di notizie dall'estero,
occupandomi sotto la guida di Giovanni degli aspetti pratici della campagna in
difesa di don Crema, che era minacciato di 'licenziamento' per le sue posizioni
poco vaticane in materia di omosessualita' (teneva una rubrica su 'Babilonia',
che dovette abbandonare) e scrivendo articoli su temi vari. Subito dopo la
laurea parto per Berlino, dove continuo a scrivere per 'Babilonia', insegno
italiano, lavoro in bar e in un ristorante, insomma, mi arrangio a reddito
minimo ma con molto tempo libero. Agli archivi lesbici Spinnboden scopro
l'esistenza di uno scaffale intero di libri che parlano dell'amore tra donne
nella storia, in tedesco, inglese ed altre lingue, e comincio a lavorare a una
sintesi dei materiali per farli conoscere alle italiane. Dopo la fine di questa
ricerca propongo al mio editore un libro sul riconoscimento giuridico e sociale
delle unioni omosessuali. Mondadori accetta, ma poi in un momento di difficolta'
economica non pubblica il lavoro (contemporaneamente fa uscire Praticamente
normali di Andrew Sullivan sullo stesso tema, quindi non sembra essere una
censura sui contenuti). La scoperta di accadimenti fantascientifici, come la
pratica di emettere certificati di nascita con i nomi delle co-madri della
California, o lo sviluppo dei servizi di inseminazione assistita per lesbiche,
mi spinge (per tornare sulla Terra) a intraprendere una ricerca sulla maternita'
delle lesbiche in Italia, realizzando interviste in tutta Italia, grazie
all'aiuto di molte amiche del movimento, in particolare Giovanna Olivieri.
Stanca dell'isolamento (e anche della scarsa considerazione) che la ricerca
'selvatica' ottiene, approdo all'Universita' come dottoranda in sociologia nel
1998, e decido (finalmente! dice il mio palato intellettuale) di cambiare
argomento di ricerca, dedicandomi alle politiche sulla prostituzione. Ora si e'
chiuso anche questo ciclo, sto preparando il mio corso e studiando autori che
occhieggiavano da un po' (magari solo parzialmente letti!) dai miei scaffali:
Wallerstein, Arrighi, Boutang, Tobin, Barrington Moore, Diamond, Delphy e molti
altri". Pubblicazioni di Daniela Danna: dalla medesima fonte riprendiamo la
seguente bibliografia: "a) Pubblicazioni recenti: (a cura di), Prostituzione
evita pubblica in quattro capitali europee, Carocci, Roma 2007; Ginocidio. La
violenza contro le donne nell'era globale, Eleuthera, Milano 2007. b)
Pubblciazioni sulla prostituzione. 1. Saggi: Donne di mondo. Costruzione sociale
e realta' della prostituzione e del suo controllo statale, Eleuthera, 2004;
Cattivi costumi: Le politiche sulla prostituzione nell'Unione Europea negli anni
Novanta, Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, Universita'
di Trento, n. 25, 2002; Le politiche sulla prostituzione in Europa negli anni
Novanta. Tesi di dottorato di ricerca in Sociologia e ricerca sociale presso
l'Universita' degli studi di Trento, 2001. 2. Articoli: La prostituzione di
strada nell'Unione Europea: le stime piu' recenti, in "Polis", n. 2, 2000, pp.
301-321; Paradossi della prostituzione, in "Polis", n. 1, 2001, pp. 5-12; La
prostituzione come issue politica: l'abolizionismo della legge italiana e le
proposte di cambiamento, in "Polis", 1, 2001, pp. 55-75; Danish legislation on
prostitution in the context of the policy models in the E. U., in Kvinder, koen
og forskning, n. 3, 2001, pp. 34-47. Lo sfruttamento della prostituzione, in La
criminalita' in Italia, a cura di Marzio Barbagli e Ubaldo Gatti, Il Mulino
2002, pp. 149-158; Le politiche prostituzionali in Europa, in On the road:
Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada, Milano, Franco
Angeli 2003; Italy, the never-ending debate in The Politics of Prostitution:
Women's Movements, Democratic States, and the Globalisation of Sex Commerce, a
cura di Joyce Outshoorn, Cambridge University Press, in corso di pubblicazione.
3. Convegni. Organizzazione della Giornata di studi sulla prostituzione in
Italia dell'Istituto Cattaneo (Bologna, 15.9.2000) e partecipazione con il paper
La prostituzione di strada nell'Unione Europa: le stime piu' recenti; The
position of the prostitutes in E. U. countries law and practice al workshop Ties
that Bind: the Law, Economics and the Labour Market della IV Conferenza europea
di ricerca femminista (Bologna, 28.9-1.10.2000), vedi in
www.women.it/cyberarchive ; Organisations active in the field of prostitution in
a comparative Western European perspective. Prostitution and trafficking as
political issues Joint sessions dell'Ecpr (14-19 aprile 2000Copenaghen), vedi in
www.essex.ac.uk/ecpr/; Models of policies about prostitution in the E. U. member
states. Lezione tenuta al College di Vassar 23 aprile 2001; Danish legislation
in a E. U. perspective. Sex til salg (28 settembre 2001 Copenaghen); Modelli di
regolazione della prostituzione nell'Unione Europea.Rompere il silenzio sulle
nuove schiavitu' della strada (17 maggio 2002 Cremona) in corso di pubblicazione
negli Atti; Street prostitution and public policies in Milan, Italy. Sex work
and public health Conference (18-20 gennaio 2002 Milton Keynes, UK); Trafficking
and prostitution of foreigners in the context of the E. U. countries' policy
about prostitution. Newr Workshop on Trafficking (25-26 aprile 2003 Amsterdam);
Uno sguardo all'Europa. Convegno Nazionale Oltre le terre di mezzo. Ipotesi per
nuove politiche sulla prostituzione (22-23 settembre 2003 San Benedetto del
Tronto). c) Pubblicazioni sul lesbismo: 1. Saggi: Amiche, compagne, amanti.
Storia dell'amore tra donne, Mondadori, Milano 1994 (ristampato nella collana
Oscar, 1996). Pubblicato in edizione integrale e aggiornata da Editrice Uni
Service, 2003; Matrimonio omosessuale, Erre Emme Edizioni, Roma 1997 (poi
Massari Editore, Bolsena); "Io ho una bella figlia..." Le madri lesbiche
raccontano, Zoe Edizioni, Forli', 1998. 2. Articoli: "Bisogna difendere la
famiglia" Suggerimenti per un dibattito sulla destra al governo e le lesbiche:
perche' non ci vogliono bene? Introduzione al dibattito in occasione della
Giornata dell'orgoglio gay e lesbico a Milano, giugno 2002; Pregiudizio e
orgoglio: gli effetti italiani del world pride, Incontro annuale
dell'Associazione Americana di Italianistica, Filadelfia 2001; Cronache recenti
di lesbiche in movimento, in "Quaderni viola", n. 4, 1996, pp. 6-17; Italy, in
Lesbian motherhood in Europe, a cura di Kate Griffin e Lisa A. Mulholland,
London, Cassell 1997, pp. 141-147; Lesbiche in movimento, in Pro/posizioni.
Interventi alla prima universita' gay e lesbica d'estate, a cura di Gigi
Malaroda e Massimo Piccione, Livorno, 24-30 agosto 1997. Universita' gay e
lesbica d'estate, Livorno, 2000, pp. 50-56; The Beauty and the Beast. Lesbian
characters in the turn-of-the-century Italian literature, in Queer Italia:
Same-Sex Desire in Italian Literature & Film, a cura di Gary P. Cestaro,
Palgrave MacMillan, 2004. 3 Convegni: Lesbian mothers in contemporary Italy,
alla sezione "GenDerations" convegno internazionale "Women's Worlds '99"
(Tromsoe 20-26.6.1999), vedi in www.skk.uit.no/WW99 ; Le modele italien: 20 ans
de luttes lesbiennes organisees, in "Espace lesbien. Rencontre et revue d'etudes
lesbiennes", n. 2, 2001 (Actes du colloque europeen d'etudes lesbiennes,
Toulouse 13-16.4.01), pp.179-194, intervento al convegno "La grande dissidence
et le grand effroi. Colloque europeen d'etudes lesbiennes"; Effetti italiani del
World Pride al convegno annuale dell'American Association for Italian Studies
(Filadelfia 19-22.4); Bisogna difendere la famiglia La destra al governo e le
lesbiche. Perche' non ci vogliono bene? Giornata del Pride Glbt (21 giugno 2002
Cdm Milano); Non osava esprimere il suo desiderio: Gertrude Stein anno 1903,
intervento al convegno "Dalle grandi madri alle grandi figlie. Storia della
letteratura lesbica dal Novecento ad oggi", Roma 26-28.6.02, in corso di
pubblicazione negli Atti"]
Indice del libro
Introduzione; I. Violenza ginocida e globalizzazione; II. Societa' senza
violenza; III. Gli stupri; IV. I maltrattamenti su mogli e figli; V. Gli omicidi
e i ginocidi; VI. Violenza culturale, istituzionale, economica; VII. Uno sguardo
comparativo; VIII. Italia: l'amore che uccide; IX. Scandinavia: gente senza
onore; X. Americhe: padroni e schiave del mondo; XI. Europa dell'Est: il
rinascimento del patriarcato; XII. Il mondo musulmano: "E l'onore, l'avete poi
salvato?", Conclusioni.
*
Introduzione (p. 7 e sgg.)
Forse c'e' stato un tempo in cui uomini e donne hanno vissuto in armonia.
Forse quando gli esseri umani veneravano la dea madre come simbolo di
fertilita', di continuita' della vita, questa devozione costituiva la
trasposizione sul piano ideale e rituale del rispetto esistente nelle relazioni
tra i sessi: il linguaggio della dea (Gimbutas 1990). Purtroppo lo ignoriamo: di
quell'epoca di caccia e raccolta restano pitture rupestri, incisioni e
statuette, troppo poco per non dover ricorrere a mere supposizioni, a fantasie
molto piu' rivelatrici del mondo culturale di chi le propone che della vita
sociale di quell'epoca preistorica. Nel nostro tempo invece i luoghi in cui le
regole sociali prescrivono il rispetto e la reciproca stima tra il sesso
maschile e quello femminile sono scarsi, limitati, circoscritti. Le pessimiste
dicono: inesistenti, o comunque in via di estinzione, come piccole comunita'
delle foreste dell'India o degli altipiani della Nuova Guinea. Nella maggior
parte delle culture, a chi appartiene al gruppo degli uomini si insegna la
superiorita' su chi appartiene al gruppo delle donne e su quei maschi che
assumono sembianze o comportamenti etichettati come "femminili". Viceversa, a
chi appartiene al sesso femminile si insegnano sottomissione, docilita' e regole
molteplici, poi interiorizzate, che impongono di controllarsi, di modificarsi
per apparire desiderabili e innocue, e soprattutto di badare alla propria
castita'. Mentre al maschio tutto e' dovuto, la femmina non ha diritto a
nulla.
Questa rigida separazione tra i sessi con la prescrizione della
subordinazione del sesso femminile a quello maschile e' la radice della violenza
che vogliamo chiamare ginocida. E' la violenza rivolta contro il femminile allo
scopo di affermare la superiorita' maschile, e' lo stupro che collega al piacere
sessuale un'aggressione intima contro la vittima che viene "posseduta", e'
l'annichilimento della volonta' della partner nei maltrattamenti familiari, e'
l'omicidio per gelosia, per "passione", in cui la pretesa di amare la vittima
nasconde la manifestazione suprema del possesso: la distruzione. Tale violenza
e' presente, oltre che negli atti individuali di aggressione, anche nelle norme
sociali che giustificano questi atti, ad esempio dandone la colpa alla "scarsa
moralita'" della vittima, punendola per non aver adempiuto al ruolo femminile, e
in quelle che prescrivono violenze espressamente mirate al sesso femminile, come
l'uccisione per adulterio, le mutilazioni genitali (che hanno proprio lo scopo
di costruire la versione socialmente accettata del sesso femminile), la
sistematica denutrizione e discriminazione delle figlie femmine. Ed e' il
risultato di un'educazione maschile che esalta l'aggressivita', di un ideale di
virilita' violenta in cui vengono cresciuti i maschi. La violenza ginocida e'
una categoria che comprende anche la violenza che i maschi scatenano contro
quegli uomini, adolescenti, bambini che non adempiono il loro ruolo maschile e
vengono giudicati deboli, perdenti, simili alle donne, ovvero effeminati - forse
ancora piu' degradati delle donne stesse, poiche' hanno perso la loro posizione
dominante mentre le femmine, per definizione, non possono raggiungerla.
Le parole "ginocidio", "femicidio", "femminicidio" sono state coniate dal
femminismo negli anni Settanta - Jane Caputi, Mary Daly (2005), Andrea Dworkin,
Antoinette Fouque (1989), Diana Russell e molte altre - per indicare non solo
gli assassinii di donne ma anche tutta la violenza che si rivolge contro
l'essere donna, contro il femminile, a causa del disprezzo sociale e della brama
di controllo sui corpi femminili da parte del sistema di potere maschile, il
patriarcato. E dunque gli esecutori di questa violenza, che certo puo' spingersi
anche fino all'omicidio, possono essere uomini ma anche donne (un esempio sono
le anziane che eseguono le mutilazioni genitali sulle bambine).
La creazione di una particolare categoria di "violenza ginocida" e'
importante perche' le statistiche mostrano una prevalenza di vittime maschili di
omicidio e di aggressioni: se ne dovrebbe concludere che sia il sesso femminile
a godere di vantaggi e protezione. Ma questa "protezione" del genere femminile
e' semplicemente la limitazione del movimento delle femmine negli spazi pubblici
da parte di norme sociali oppressive o semplicemente della paura degli
uomini.
Infatti, cosi' come la violenza sugli uomini viene esercitata in massima
parte da altri uomini, anche le donne vittime di violenza lo sono per mano
maschile. Gli stessi "protettori" delle donne, i loro compagni, familiari e
amici maschi, sono coloro che perpetrano la maggioranza delle violenze ginocide.
Le femmine vengono rinchiuse nelle case per proteggerle (o per proteggerne "la
virtu'"), ma per loro e' la casa il luogo piu pericoloso.
E' importante sottolineare il fatto che analizzeremo ruoli sociali, cioe'
norme generali prescritte nelle relazioni tra i sessi, e che il cambiamento e'
in atto: nel corso della storia la posizione delle donne e' piu' volte mutata,
le norme e le sanzioni relative alla trasgressione sono in continuo mutamento
aprendo o chiudendo spazi di liberta'.
Nel primo capitolo presenteremo il dibattito tra i due schieramenti
politico-intellettuali contrapposti. Se alcuni ritengono che l'approfondimento
dei legami economici e culturali tra le diverse aree del mondo, la
globalizzazione degli ultimi 20-30 anni, abbia portato benefici alle donne,
altri sono invece convinti che essa abbia peggiorato la situazione in cui vivono
gran parte delle donne del mondo. Il tentativo di suffragare l'una o l'altra
ipotesi attraverso prove empiriche sara' il filo rosso che attraversa questo
libro.
Ancora oggi esistono, in alcune parti del mondo poco popolate e
relativamente isolate, gruppi umani che mantengono modi di vita tradizionali che
discendono dalle societa' senza scrittura e nei quali non esiste violenza
ginocida: ce ne occuperemo in dettaglio nel secondo capitolo. Proprio questa
variabilita' nella posizione sociale delle donne, e nelle circostanze in cui la
violenza ginocida e' perpetrata, permette di individuare in quali situazioni la
violenza diminuisce, quali fattori possono tenerla a freno. Questo sara' il tema
dei quattro capitoli che seguono, su stupri, maltrattamenti, omicidi e violenza
culturale. istituzionale ed economica, in cui esporremo le ricerche
sull'incidenza e sulle motivazioni di ciascuno di questi misfatti.
Dopo aver parlato di societa' senza violenza e delle forme della violenza
ginocida con un approccio tematico, nella seconda parte del libro passeremo a un
approccio geografico e presenteremo alcuni indicatori tratti da ricerche
internazionali comparate, per poi approfondire l'indagine su alcune aree del
mondo: l'Italia, la Scandinavia, le Americhe, l'Europa dell'Est, il mondo
musulmano, cercando i dati sulla violenza contro le donne (un'approssimazione
empirica del concetto analitico di violenza ginocida) per formulare un giudizio
sul miglioramento o il peggioramento della condizione delle donne nella
globalizzazione.
*
Violenza ginocida e globalizzazione (p. 11 e sgg.)
La violenza degli uomini contro le donne - violenza psicologica, fisica e
sessuale sia su donne adulte che su ragazze e bambine - ha tre importanti
dimensioni: 1) le circostanze in cui e' perpetrata; 2) i luoghi; 3) la sua
legittimita' o illegittimita'. Le circostanze del ginocidio si suddividono
analiticamente in situazioni di pace o di guerra. I diversi luoghi in cui puo'
avvenire sono il chiuso delle case, in strada, oppure i luoghi di lavoro, dove
la violenza varia in gravita' dai ricatti e dalle molestie sessuali fino allo
stupro e persino all'omicidio. E' una favola che i luoghi pubblici siano i piu'
pericolosi per le donne, mentre e' proprio nel privato che si consumano piu'
atti di violenza.
L'ultima dimensione analitica e' il contrasto tra la prescrizione culturale
o viceversa la punibilita' giuridica della violenza: l'obiettivo politico delle
donne e' quello di rendere la violenza ginocida illegale. Tra le situazioni in
cui le vittime sono designate come tali dall'intera societa', che incoraggia o
addirittura impone la violenza, vi sono i delitti d'onore, i matrimoni imposti,
il potere correzionale attribuito al marito. Soprattutto in questi casi e'
evidente come il fine della violenza sia la legittimazione del dominio dell'uomo
sulla propria donna, giustificato dal concetto di onore e dal sentimento, cui
non si vogliono porre freni o limiti, della gelosia.
Prima della rivoluzione cinese, le famiglie ricche - poi sempre piu' anche
quelle degli strati sociali piu' bassi - deformavano i piedi delle proprie
bambine: "Per evitare che le donne corrano da un uomo all'altro in modo
vergognoso"; la clitoride viene mutilata perche' e' la principale sede del
piacere femminile e la radice degli impulsi sessuali (considerati indecenti
nelle femmine), e anche perche' rappresenta un "principio maschile" da cui
purificarle, ritenendolo velenoso e letale per l'uomo durante il rapporto
sessuale o per il bambino durante il parto; le mutilazioni sessuali vengono
eseguite anche su neonati di paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna...): sui
maschi "micropenici" e le femmine "iperclitoridee", nonche' sugli ermafroditi,
questa volta per confermare l'idea dell'esistenza di solo due sessi ben distinti
tra di loro e dunque gerarchizzabili (Poidimani 2006, 54); il burka o il chador,
che riducono le donne a un ammasso informe e provocano non solo problemi
psicologici ma anche fisici alla vista, ai capelli, alla pelle che non riceve
mai la luce del sole, sono imposti per non indurre gli uomini in tentazione; tra
le prescrizioni che le donne turche devono rispettare - perche' l'onore di un
uomo e' nelle loro mani di mogli, madri, sorelle, figlie (e se lo insozzano
verranno uccise da lui o da un altro congiunto di sesso maschile) - non vi e'
solo la castita' ma anche la modestia nei comportamenti: non stare troppo tempo
affacciate alla finestra, non salutare gli uomini, non camminare mai davanti al
marito. E un altro bersaglio della violenza ginocida sono coloro che deviano
dall'obbligo sociale all'eterosessualita' da viversi solo nel matrimonio: sono
chiamate puttane e lesbiche, inferiori tra le inferiori.
Vi e' inoltre la violenza legata alla procreazione, che colpisce
direttamente la capacita' riproduttiva femminile: la sterilizzazione forzata,
l'imposizione dell'aborto o la costrizione a portare a termine la gravidanza. le
proibizioni legali poste alla contraccezione e all'interruzione di gravidanza,
l'imposizione di rapporti sessuali in cui vi e' il rischio di gravidanze non
desiderate. Siccome in molte culture una prole numerosa aumenta il prestigio
virile, i mariti proibiscono alle mogli l'uso di contraccettivi - e le
maltrattano se scoprono che li usano lo stesso. Le stesse leggi che proibiscono
di abortire negli ospedali o di ricorrere a metodi chimici esercitano violenza
esponendo le donne ai rischi dell'aborto clandestino, tra cui quello di una
morte orribile per emorragia. Violenza e' anche l'ignoranza sul proprio corpo,
sulle conseguenze della sessualita': non sapere come vengono concepiti i
bambini, non sapere quali sono i modi di trasmissione delle malattie veneree,
non sapere che una vergine non sempre ha l'imene chiuso, che non sempre durante
il primo coito esso si lacera sanguinando, e' un'ignoranza che puo' avere
conseguenze terribili.
La violenza apertamente esercitata e' comunque un indicatore molto
imperfetto della condizione femminile, che e' quello che realmente importa. La'
dove vi e' sottomissione assoluta, la' dove la donna non ha possibilita' di vita
se non si assoggetta, la' dove si identifica pienamente nel ruolo subordinato
socialmente imposto, la rassegnazione evita minacce e percosse. Tale assenza
esteriore di violenza ha lo stesso significato della violenza piu' estrema: qui
la schiavitu' e' la piu' assoluta.
Riflettere sulla sottomissione e sulla rassegnazione pone quindi il
problema della soggettivita' della definizione di violenza (come del resto della
definizione di tutti i fenomeni umani): la violenza e' importante solo se
soggettivamente percepita? Se osservatrice e osservata hanno parametri di
giudizio diversi, a chi dar credito? Puo' esistere una definizione oggettiva di
violenza?
Un atto di violenza e' un atto finalizzato, attraverso il dolore fisico o
psicologico, a piegare la volonta' di una persona, a sottometterla al proprio
volere. Non importa quanto il perpetratore o la vittima siano convinti della sua
rispondenza a norme sociali: per l'osservatore che vede i fatti e le loro
conseguenze, questo atto e' senza dubbio un'azione violenta.
Se la violenza subita e' ritenuta legittima, se e' l'unico modo di
interazione sperimentato (come accade ai figli di un padre violento), essa non
sara' per questo priva di conseguenze sul benessere non solo fisico ma anche e
soprattutto psicologico di chi la subisce, e questo anche nel caso in cui la
vittima la accetti, non se ne lamenti, non cerchi neppure una via di uscita
proprio perche' ritiene che sia questa la normalita'.
Per valutare la posizione delle donne con un metro oggettivo, senza farsi
trarre in inganno dall'acquiescenza di coloro che sono talmente schiacciate da
un potere maschile e tradizionale da aver rinunciato persino a desiderare una
condizione migliore, la filosofa statunitense Martha Nussbaum ha applicato ai
rapporti tra i sessi l'approccio basato sulle "capacita'" dell'economista
indiano Amartya Sen. Sen riconosce il problema dell'adattivita' delle
preferenze, cioe' del fatto che normalmente si esercita la facolta' di scelta
solo tra gli obiettivi che sono effettivamente raggiungibili, e dunque la scelta
non e' un buon criterio per giudicare la volontarieta' di un'azione. Scrive
Nussbaum: "Se qualcuno che non ha diritti di proprieta' legalmente riconosciuti,
che non ha istruzione formale, che non ha diritto al divorzio, che sara'
probabilmente picchiata se cerca impiego fuori casa, dice di condividere le
tradizioni di pudore, castita' e sacrificio personale, si puo' dubitare che
queste siano le ultime parole al riguardo" (Nussbaum 2001, 63).
Il metro di giudizio e' dunque verificare quali alternative sono
concretamente alla portata di quella donna, di quel gruppo femminile, con un
approccio che e' detto "delle capacita'" perche' vuole garantire a tutte e a
tutti lo sviluppo di capacita' umane fondamentali mediante la garanzia della
soddisfazione dei bisogni essenziali alla vita umana, nonche' dell'accesso
all'istruzione, della parita' giuridica e di una pari considerazione sociale
delle donne rispetto agli uomini. Infatti, e' solo nel momento in cui si
intravede un'alternativa che il comportamento violento, fino ad allora subito,
diventa inaccettabile e viene finalmente nominato come tale. A volte e'
sufficiente una pausa di riflessione, un confronto con persone che provengono da
un ambiente diverso, una convalida della propria percezione di ingiustizia: "Mio
marito mi picchia, viene a letto con me quando non voglio e io devo obbedire.
Prima di venire intervistata non ci pensavo veramente. Pensavo che fosse
naturale. Per un marito questo e' il giusto modo di comportarsi", ha dichiarato
una donna bengalese nell'ambito di un'inchiesta sulla violenza
dell'Organizzazione mondiale per la sanita' (Krug et al. 2002. 10).
Ampliare le capacita' delle donne non e' cosa facile: implica azioni
culturali, ma ancora di piu' mutamenti materiali. Il femminismo si e' ribellato
soprattutto culturalmente al sistema di potere maschile, che ha definito prima
patriarcato poi fratriarcato, sottolineando come oggi l'autorita' del pater
familias sia terminata, mentre sono i fratelli (in senso sociale) a essersi
uniti in un nuovo patto per il dominio sulle donne. E il femminismo e' stato
anche definito una rivoluzione riuscita, dal momento che le sue richieste di
mutamento sociale si sono in una certa misura avverate, ad esempio la crescente
partecipazione delle donne al mercato del lavoro in tutti i ruoli, o la
concezione giuridica della donna come persona, come individuo, o meglio
individua che sta alla pari con l'uomo di fronte alla legge, legge che deve
tenere conto della sua volonta' e delle sue scelte al pari di quelle degli
uomini. Questa concezione generale ha avuto alcuni capisaldi legislativi
concreti: il voto naturalmente e il divieto di discriminazione in base al sesso,
ma altrettanto importanti sono state l'emancipazione delle donne sposate
dall'autorita' maritale e l'introduzione della parita' tra i coniugi perche' si
abbandonasse la concezione della famiglia come soggetto collettivo rappresentato
dalla volonta' del suo capo - s'intende maschio.
Un'altra vittoria culturale del femminismo e' che e' cambiata la
considerazione sociale della sessualita' femminile: era un bene custodito dalla
famiglia, di cui il futuro marito si sarebbe appropriato, e a questa concezione
facevano da corollari la comprensione e giustificazione per il delitto d'onore e
l'impossibilita' di denunciare uno stupro se il colpevole era lo stesso marito.
La sessualita' oggi vuole invece essere uno scambio basato sull'idea e
sull'espressione del consenso, e la facolta' di esprimerlo o negarlo non viene
meno per il fatto di essere stati uniti in matrimonio. Inoltre, le norme
giuridiche che permettono di sciogliere il matrimonio rendono ora piu' facile
separarsi da un marito violento (anche se la variabile cruciale rimane la
possibilita' di guadagnarsi la vita autonomamente da lui).
In tutto il mondo, infine, vi e' ormai la consapevolezza della violenza
maschile ai danni delle donne, e ad essa ci si oppone in molti modi: dal
sorgere, a partire dagli anni Settanta, di centri di ascolto e di case di fuga
che proprio il movimento femminista comincio' a organizzare in modo autonomo per
poi chiederne il pubblico riconoscimento e supporto, all'organizzazione di
momenti pubblici di dibattito e riflessione sulle varie forme del ginocidio,
alla formazione delle forze di polizia e dell'apparato giudiziario, alle nuove
leggi in materia approvate anche in seguito alla firma della Convenzione per
l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, ratificata a partire dal
1979 da 180 Stati.
E' una rivoluzione lunga, difficile, faticosa. E sara' vero che continua ad
avanzare? La condizione delle donne sta ancora migliorando o ha cessato di
farlo? E' regredita? Che cosa accade nei paesi sviluppati e che cosa accade in
quelli poveri? A queste domande non e' sicuramente possibile rispondere con un
unico libro. La dimensione della violenza maschile contro le donne e' un
indicatore molto importante della condizione femminile, ma e' solo un
indicatore, a sua volta basato su stime e non su dati certi. Quello che possiamo
e vogliamo fare e' esplorare le conoscenze attualmente raccolte sulla violenza
ginocida alla luce di queste domande, e cercare risposte parziali. L'avvento del
neoliberismo sulla scena mondiale dall'inizio degli anni Ottanta e' il nostro
punto di partenza. Questo periodo viene chiamato "globalizzazione", una fase
storica di intensificazione dei contatti internazionali in molteplici ambiti:
economico, culturale, ambientale. Dominano le forze del capitale privato che
aprono i mercati di un crescente numero di paesi ai flussi di capitale e merci,
mentre i flussi migratori sono giuridicamente ostacolati, creando una sottocasta
di lavoratrici e lavoratori che non hanno neppure il diritto di rimanere nel
paese dove prestano la propria opera.
Alla domanda se le donne stiano migliorando o peggiorando la propria
condizione dopo l'esplosione del femminismo degli anni Settanta i due
schieramenti politici pro e contro la globalizzazione danno risposte opposte. La
prima, il miglioramento della condizione femminile nell'ambito delle "magnifiche
sorti e progressive", e' fornita da coloro che stanno diffondendo nell'intero
globo la fede nel mercato come risolutore dei problemi sociali, sulla scorta
delle teorie neoliberiste di Milton Friedman e della sua scuola economica di
Chicago. La seconda, il peggioramento, e' quella dei movimenti contro l'attuale
forma di globalizzazione neoliberista che attribuiscono a queste politiche
l'aumento di tutte le diseguaglianze, inclusa quella tra i sessi.
Gli apologeti del neoliberismo vedono la parita' tra i sessi come una
conquista realizzata e indiscussa del mondo occidentale, che i processi di
modernizzazione (a volte aiutati dalla maieutica delle armi...) diffondono nel
resto del mondo. L'emancipazione delle donne e' conseguenza dello sviluppo
economico, della partecipazione al mercato mondiale di libero scambio e del
lasciar le mani libere al capitale privato senza troppi vincoli sindacali,
ambientali, fiscali, grazie a deregolamentazioni e privatizzazioni: il
diffondersi del benessere economico assicurera' anche il miglioramento di status
di coloro che stanno al fondo della scala sociale, come le donne.
L'economista Jagdish Bhagwati, che rivendica la palma di "primo
liberoscambista al mondo", ritiene che aziende e paesi che discriminano le donne
dovranno cedere alla concorrenza, la quale utilizzera' al meglio le risorse in
suo possesso impiegando le donne secondo le loro reali capacita'. Il quadro e'
tracciato in un capitolo intitolato proprio "La situazione femminile: e'
penalizzata o favorita?": "Le donne, intese come classe, non sono penalizzate
dal progresso piu' di altri gruppi" (Bhagwati 2005, 121). Non vi sarebbero
infatti prove sufficienti a corroborare le critiche che esprimono molte Ong
femministe. Bhagwati rileva solo tre aspetti negativi, i quali pero' sono
collegati solo indirettamente alla globalizzazione: 1) Le donne che si recano
all'estero come collaboratrici domestiche - spesso nel Medio Oriente, dove la
popolazione femminile locale vive tipicamente nel medioevo e sotto la legge
islamica, che in paesi come l'Arabia Saudita e' interpretata da leader religiosi
illetterati e conservatori ñ sono soggette ad abusi e necessitano di protezione.
2) In paesi come la Thailandia la crescita del turismo e' inevitabilmente
accompagnata da un aumento della prostituzione femminile e anche maschile. 3) Il
traffico di donne e' cresciuto, specialmente in seguito allo sconvolgimento
economico che ha accompagnato tentativi di transizione in paesi come la Russia e
alle crisi economiche dei paesi asiatici (Bhagwati 2005, 123-124).
Un esempio, anche se argomentato meno esplicitamente, della medesima
lettura dei meccanismi di causa-effetto che la globalizzazione ha sulla
condizione femminile e' proprio la premessa di un testo contro la violenza
ginocida di Amnesty International: "La moderna globalizzazione e le nuove
prospettive di comunicazione e di scambio hanno portato innanzi tutto a una
nuova consapevolezza nel campo delle lotte delle donne per i propri diritti
(Amnesty International 2005, 27)".
Le pecche di questo sistema, per Amnesty e per la maggior parte dei
politici e degli uomini di governo, sono individuate essenzialmente nella
criminalita' organizzata, che si avvantaggia anch'essa della maggiore facilita'
di movimento internazionale: "Purtroppo la globalizzazione ha pero' anche un
lato oscuro, un nuovo tipo di violenza contro le donne, non piu' legata al
territorio, allo Stato, alla nazione o alla comunita'", ovvero il traffico di
esseri umani, cui per Amnesty si aggiunge il problema della mancanza di diritti
per i migranti.
Un discorso piu' radicale di quello di Amnesty International lo fa la
Commissione per i diritti umani dell'Onu nei suoi agghiaccianti rapporti sulla
violenza contro le donne nel mondo. Radhika Coomaraswamy, la prima incaricata,
si colloca sul versante antiglobalizzazione, denunciando in particolare
l'attacco neoliberista alla sopravvivenza collettiva con lo smantellamento delle
reti del welfare state e la privatizzazione della sanita' (Coomaraswamy 2000,
3). Gli aspetti economici delle politiche neoliberiste di globalizzazione
peggiorano la situazione di grandi masse di persone, e se questi sviluppi
appaiono essere neutri, cioe' non rivolti specificamente contro le donne, in
realta' vi e' anche qui una grave asimmetria di genere: sono maschili le elites
del pianeta che si arricchiscono sempre piu' (Chiesa e Villari 2003), mentre
sono le donne ad affondare sempre piu' in basso nella scala sociale.
I critici del neoliberismo affermano con decisione che, se la situazione
delle donne sta peggiorando, e' proprio a causa delle politiche di
deregolamentazione e privatizzazione promosse dagli interessi forti in tutto il
pianeta: "La globalizzazione rafforza un sistema sessista, escludente e
patriarcale. Incrementa la femminilizzazione della poverta' ed esacerba tutte le
forme di violenza contro le donne". L'ecofemminista Maria Mies (1998) scrive le
stesse cose a proposito del capitalismo moderno in generale, al quale imputa una
concezione del dominio dell'uomo sulla natura quale femmina da sottomettere. Una
posizione simile e' quella di Ivan Illich (1984): ha effetti negativi sulla
condizione femminile la "misura unica" per i due sessi che il modo di produzione
capitalista ha introdotto, sostituendo le due sfere "separate ed eguali" delle
competenze maschili e femminili tradizionali con la divisione tra lavoro
femminile domestico e lavoro maschile salariato, cioe' una gerarchia a tutti gli
effetti.
L'analisi delle societa' precapitalistiche pero' non suffraga questa
posizione. La stessa rigida divisione del lavoro in base al sesso significa
solitamente gia' di per se' una perdita di potere sociale da parte delle donne,
benche' come al solito si cerchi di mascherare il dominio maschile con un doppio
standard di valutazione delle attivita' delle donne rispetto a quelle degli
uomini. La divisione del lavoro tra i sessi invece legittima lo sfruttamento
della forza lavoro delle donne, costrette ai compiti piu' lunghi e piu'
faticosi, e costituisce probabilmente il primo esproprio dei frutti del lavoro
dei produttori. Infatti, in buona parte delle societa' precapitalistiche le
donne lavorano piu' degli uomini (come del resto fanno in quelle capitalistiche)
e non hanno la disponibilita' di cio' che producono ne' la facolta' di possedere
gli strumenti di produzione - anche se e' vero che in alcuni luoghi, come in
America Latina, la Conquista europea peggioro' notevolmente la condizione
femminile relativamente a quella maschile.
E' un fatto che il sistema capitalistico e di economia di mercato ha avuto
storicamente il merito di permettere alle donne di liberarsi dal controllo della
famiglia di origine. Esso ha sostituito un modo di produzione agricolo, basato
principalmente sul clan familiare, con un modo di produzione in cui vi e' la
necessita' di mettere in vendita la propria forza lavoro su un mercato piu'
impersonale rispetto ai rapporti tra famiglie. L'individualismo di cui e'
portatrice la societa' capitalistica moderna e' correlato indubbiamente a un
avanzamento della posizione sociale delle donne, dal momento che queste hanno
raggiunto lo status di persone formalmente indipendenti e non piu' di beni di
cui un'altra persona, il padre o il marito, puo' disporre.
Tra le due posizioni che vedono un miglioramento o un peggioramento
assoluti della posizione sociale delle donne (potremo dire della nostra
liberta') vi e' una possibilita' intermedia: differenziare il ruolo
dell'espansione dell'economia di mercato a seconda delle sue diverse fasi, allo
stesso modo in cui Karl Marx riconosceva alla borghesia una funzione
progressista in India: gli inglesi con il loro sfruttamento brutale stavano
spingendola in una modernita' tecnologica e sociale che l'avrebbe infine
strappata alla poverta', alla stagnazione e all'ingiustizia del sistema delle
caste. Le due tesi dunque potrebbero descrivere fasi susseguenti: la prima di
peggioramento delle condizioni delle donne, seguita da un miglioramento e infine
da un superamento della condizione iniziale - come e' avvenuto nei paesi del
capitalismo avanzato a mano a mano che i lavoratori si sono organizzati e
autodifesi per riuscire a godere della riduzione della fatica e del
miglioramento dello standard di vita materiale offerti dal progresso
tecnologico. Oppure, quarta possibilita', questo non si sta verificando ne' si
verifichera', dal momento che, secondo la teoria della dipendenza e l'analisi
del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein, la prosperita' del centro e'
interamente dovuta allo sfruttamento della periferia: lo stesso varrebbe per la
situazione delle donne al di qua e al di la' della divisione centro-periferia.
La liberazione femminile dunque poggerebbe interamente sullo sfruttamento dei
paesi del Sud del mondo e in particolare delle donne che vi sono nate.
E, se invece di fasi, queste possibilita' rappresentassero le forze diverse
che spingono il mondo attuale in direzioni contrastanti? Cominciamo subito a
verificare in che modo la ricerca sociale sulla violenza contro le donne puo'
suffragare o smentire queste diverse ipotesi teoriche e affermazioni
politiche.
(parte prima - segue)
2. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO
DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone
al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo,
in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti:
e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 346 del 6 settembre
2010
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