Coi piedi per terra. 346



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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 346 del 6 settembre 2010
 
In questo numero:
1. Alcuni estratti da "Ginocidio" di Daniela Danna (parte prima)
2. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
 
1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "GINOCIDIO" DI DANIELA DANNA (PARTE PRIMA)
[Nuovamente riproponiamo (ripresi dal sito www.tecalibri.it) i seguenti estratti (scelti da Angela Razzini) dal libro di Daniela Danna, Ginocidio. La violenza contro le donne nell'era globale, Eleuthera, Milano 2007.
Daniela Danna (Milano, 1967), ricercatrice, saggista, docente, insegna presso la Facolta' di Sociologia dell'Universita' degli Studi di Milano. Dal sito www.danieladanna.it riprendiamo il seguente profilo: "La mia professione e' quella di ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Sociali della facolta' di Scienze Politiche dell'Universita' degli Studi di Milano, dove tengo un corso di 'Sistemi sociali comparati' e una parte monografica sul concetto di capitalismo in Marx, Weber e altri autori nel corso di 'Storia del pensiero sociologico'. E' la facolta' dove mi sono laureata nel 1991, con una tesi di laurea intitolata 'La teoria della transizione demografica di John Caldwell e il caso della Danimarca', che ho fatto durante un periodo ad Aarhus (la seconda citta' della Danimarca, anche se non e' molto famosa), nel bel mezzo di un gelido inverno. Ancora prima di laurearmi comincio a lavorare a 'Babilonia' con Giovanni Dall'Orto, tenendo le (due) pagine lesbiche, la rubrica di notizie dall'estero, occupandomi sotto la guida di Giovanni degli aspetti pratici della campagna in difesa di don Crema, che era minacciato di 'licenziamento' per le sue posizioni poco vaticane in materia di omosessualita' (teneva una rubrica su 'Babilonia', che dovette abbandonare) e scrivendo articoli su temi vari. Subito dopo la laurea parto per Berlino, dove continuo a scrivere per 'Babilonia', insegno italiano, lavoro in bar e in un ristorante, insomma, mi arrangio a reddito minimo ma con molto tempo libero. Agli archivi lesbici Spinnboden scopro l'esistenza di uno scaffale intero di libri che parlano dell'amore tra donne nella storia, in tedesco, inglese ed altre lingue, e comincio a lavorare a una sintesi dei materiali per farli conoscere alle italiane. Dopo la fine di questa ricerca propongo al mio editore un libro sul riconoscimento giuridico e sociale delle unioni omosessuali. Mondadori accetta, ma poi in un momento di difficolta' economica non pubblica il lavoro (contemporaneamente fa uscire Praticamente normali di Andrew Sullivan sullo stesso tema, quindi non sembra essere una censura sui contenuti). La scoperta di accadimenti fantascientifici, come la pratica di emettere certificati di nascita con i nomi delle co-madri della California, o lo sviluppo dei servizi di inseminazione assistita per lesbiche, mi spinge (per tornare sulla Terra) a intraprendere una ricerca sulla maternita' delle lesbiche in Italia, realizzando interviste in tutta Italia, grazie all'aiuto di molte amiche del movimento, in particolare Giovanna Olivieri. Stanca dell'isolamento (e anche della scarsa considerazione) che la ricerca 'selvatica' ottiene, approdo all'Universita' come dottoranda in sociologia nel 1998, e decido (finalmente! dice il mio palato intellettuale) di cambiare argomento di ricerca, dedicandomi alle politiche sulla prostituzione. Ora si e' chiuso anche questo ciclo, sto preparando il mio corso e studiando autori che occhieggiavano da un po' (magari solo parzialmente letti!) dai miei scaffali: Wallerstein, Arrighi, Boutang, Tobin, Barrington Moore, Diamond, Delphy e molti altri". Pubblicazioni di Daniela Danna: dalla medesima fonte riprendiamo la seguente bibliografia: "a) Pubblicazioni recenti: (a cura di), Prostituzione evita pubblica in quattro capitali europee, Carocci, Roma 2007; Ginocidio. La violenza contro le donne nell'era globale, Eleuthera, Milano 2007. b) Pubblciazioni sulla prostituzione. 1. Saggi: Donne di mondo. Costruzione sociale e realta' della prostituzione e del suo controllo statale, Eleuthera, 2004; Cattivi costumi: Le politiche sulla prostituzione nell'Unione Europea negli anni Novanta, Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, Universita' di Trento, n. 25, 2002; Le politiche sulla prostituzione in Europa negli anni Novanta. Tesi di dottorato di ricerca in Sociologia e ricerca sociale presso l'Universita' degli studi di Trento, 2001. 2. Articoli: La prostituzione di strada nell'Unione Europea: le stime piu' recenti, in "Polis", n. 2, 2000, pp. 301-321; Paradossi della prostituzione, in "Polis", n. 1, 2001, pp. 5-12; La prostituzione come issue politica: l'abolizionismo della legge italiana e le proposte di cambiamento, in "Polis", 1, 2001, pp. 55-75; Danish legislation on prostitution in the context of the policy models in the E. U., in Kvinder, koen og forskning, n. 3, 2001, pp. 34-47. Lo sfruttamento della prostituzione, in La criminalita' in Italia, a cura di Marzio Barbagli e Ubaldo Gatti, Il Mulino 2002, pp. 149-158; Le politiche prostituzionali in Europa, in On the road: Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada, Milano, Franco Angeli 2003; Italy, the never-ending debate in The Politics of Prostitution: Women's Movements, Democratic States, and the Globalisation of Sex Commerce, a cura di Joyce Outshoorn, Cambridge University Press, in corso di pubblicazione. 3. Convegni. Organizzazione della Giornata di studi sulla prostituzione in Italia dell'Istituto Cattaneo (Bologna, 15.9.2000) e partecipazione con il paper La prostituzione di strada nell'Unione Europa: le stime piu' recenti; The position of the prostitutes in E. U. countries law and practice al workshop Ties that Bind: the Law, Economics and the Labour Market della IV Conferenza europea di ricerca femminista (Bologna, 28.9-1.10.2000), vedi in www.women.it/cyberarchive ; Organisations active in the field of prostitution in a comparative Western European perspective. Prostitution and trafficking as political issues Joint sessions dell'Ecpr (14-19 aprile 2000Copenaghen), vedi in www.essex.ac.uk/ecpr/; Models of policies about prostitution in the E. U. member states. Lezione tenuta al College di Vassar 23 aprile 2001; Danish legislation in a E. U. perspective. Sex til salg (28 settembre 2001 Copenaghen); Modelli di regolazione della prostituzione nell'Unione Europea.Rompere il silenzio sulle nuove schiavitu' della strada (17 maggio 2002 Cremona) in corso di pubblicazione negli Atti; Street prostitution and public policies in Milan, Italy. Sex work and public health Conference (18-20 gennaio 2002 Milton Keynes, UK); Trafficking and prostitution of foreigners in the context of the E. U. countries' policy about prostitution. Newr Workshop on Trafficking (25-26 aprile 2003 Amsterdam); Uno sguardo all'Europa. Convegno Nazionale Oltre le terre di mezzo. Ipotesi per nuove politiche sulla prostituzione (22-23 settembre 2003 San Benedetto del Tronto). c) Pubblicazioni sul lesbismo: 1. Saggi: Amiche, compagne, amanti. Storia dell'amore tra donne, Mondadori, Milano 1994 (ristampato nella collana Oscar, 1996). Pubblicato in edizione integrale e aggiornata da Editrice Uni Service, 2003; Matrimonio omosessuale, Erre Emme Edizioni, Roma 1997 (poi Massari Editore, Bolsena); "Io ho una bella figlia..." Le madri lesbiche raccontano, Zoe Edizioni, Forli', 1998. 2. Articoli: "Bisogna difendere la famiglia" Suggerimenti per un dibattito sulla destra al governo e le lesbiche: perche' non ci vogliono bene? Introduzione al dibattito in occasione della Giornata dell'orgoglio gay e lesbico a Milano, giugno 2002; Pregiudizio e orgoglio: gli effetti italiani del world pride, Incontro annuale dell'Associazione Americana di Italianistica, Filadelfia 2001; Cronache recenti di lesbiche in movimento, in "Quaderni viola", n. 4, 1996, pp. 6-17; Italy, in Lesbian motherhood in Europe, a cura di Kate Griffin e Lisa A. Mulholland, London, Cassell 1997, pp. 141-147; Lesbiche in movimento, in Pro/posizioni. Interventi alla prima universita' gay e lesbica d'estate, a cura di Gigi Malaroda e Massimo Piccione, Livorno, 24-30 agosto 1997. Universita' gay e lesbica d'estate, Livorno, 2000, pp. 50-56; The Beauty and the Beast. Lesbian characters in the turn-of-the-century Italian literature, in Queer Italia: Same-Sex Desire in Italian Literature & Film, a cura di Gary P. Cestaro, Palgrave MacMillan, 2004. 3 Convegni: Lesbian mothers in contemporary Italy, alla sezione "GenDerations" convegno internazionale "Women's Worlds '99" (Tromsoe 20-26.6.1999), vedi in www.skk.uit.no/WW99 ; Le modele italien: 20 ans de luttes lesbiennes organisees, in "Espace lesbien. Rencontre et revue d'etudes lesbiennes", n. 2, 2001 (Actes du colloque europeen d'etudes lesbiennes, Toulouse 13-16.4.01), pp.179-194, intervento al convegno "La grande dissidence et le grand effroi. Colloque europeen d'etudes lesbiennes"; Effetti italiani del World Pride al convegno annuale dell'American Association for Italian Studies (Filadelfia 19-22.4); Bisogna difendere la famiglia La destra al governo e le lesbiche. Perche' non ci vogliono bene? Giornata del Pride Glbt (21 giugno 2002 Cdm Milano); Non osava esprimere il suo desiderio: Gertrude Stein anno 1903, intervento al convegno "Dalle grandi madri alle grandi figlie. Storia della letteratura lesbica dal Novecento ad oggi", Roma 26-28.6.02, in corso di pubblicazione negli Atti"]
 
Indice del libro
Introduzione; I. Violenza ginocida e globalizzazione; II. Societa' senza violenza; III. Gli stupri; IV. I maltrattamenti su mogli e figli; V. Gli omicidi e i ginocidi; VI. Violenza culturale, istituzionale, economica; VII. Uno sguardo comparativo; VIII. Italia: l'amore che uccide; IX. Scandinavia: gente senza onore; X. Americhe: padroni e schiave del mondo; XI. Europa dell'Est: il rinascimento del patriarcato; XII. Il mondo musulmano: "E l'onore, l'avete poi salvato?", Conclusioni.
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Introduzione (p. 7 e sgg.)
Forse c'e' stato un tempo in cui uomini e donne hanno vissuto in armonia. Forse quando gli esseri umani veneravano la dea madre come simbolo di fertilita', di continuita' della vita, questa devozione costituiva la trasposizione sul piano ideale e rituale del rispetto esistente nelle relazioni tra i sessi: il linguaggio della dea (Gimbutas 1990). Purtroppo lo ignoriamo: di quell'epoca di caccia e raccolta restano pitture rupestri, incisioni e statuette, troppo poco per non dover ricorrere a mere supposizioni, a fantasie molto piu' rivelatrici del mondo culturale di chi le propone che della vita sociale di quell'epoca preistorica. Nel nostro tempo invece i luoghi in cui le regole sociali prescrivono il rispetto e la reciproca stima tra il sesso maschile e quello femminile sono scarsi, limitati, circoscritti. Le pessimiste dicono: inesistenti, o comunque in via di estinzione, come piccole comunita' delle foreste dell'India o degli altipiani della Nuova Guinea. Nella maggior parte delle culture, a chi appartiene al gruppo degli uomini si insegna la superiorita' su chi appartiene al gruppo delle donne e su quei maschi che assumono sembianze o comportamenti etichettati come "femminili". Viceversa, a chi appartiene al sesso femminile si insegnano sottomissione, docilita' e regole molteplici, poi interiorizzate, che impongono di controllarsi, di modificarsi per apparire desiderabili e innocue, e soprattutto di badare alla propria castita'. Mentre al maschio tutto e' dovuto, la femmina non ha diritto a nulla.
Questa rigida separazione tra i sessi con la prescrizione della subordinazione del sesso femminile a quello maschile e' la radice della violenza che vogliamo chiamare ginocida. E' la violenza rivolta contro il femminile allo scopo di affermare la superiorita' maschile, e' lo stupro che collega al piacere sessuale un'aggressione intima contro la vittima che viene "posseduta", e' l'annichilimento della volonta' della partner nei maltrattamenti familiari, e' l'omicidio per gelosia, per "passione", in cui la pretesa di amare la vittima nasconde la manifestazione suprema del possesso: la distruzione. Tale violenza e' presente, oltre che negli atti individuali di aggressione, anche nelle norme sociali che giustificano questi atti, ad esempio dandone la colpa alla "scarsa moralita'" della vittima, punendola per non aver adempiuto al ruolo femminile, e in quelle che prescrivono violenze espressamente mirate al sesso femminile, come l'uccisione per adulterio, le mutilazioni genitali (che hanno proprio lo scopo di costruire la versione socialmente accettata del sesso femminile), la sistematica denutrizione e discriminazione delle figlie femmine. Ed e' il risultato di un'educazione maschile che esalta l'aggressivita', di un ideale di virilita' violenta in cui vengono cresciuti i maschi. La violenza ginocida e' una categoria che comprende anche la violenza che i maschi scatenano contro quegli uomini, adolescenti, bambini che non adempiono il loro ruolo maschile e vengono giudicati deboli, perdenti, simili alle donne, ovvero effeminati - forse ancora piu' degradati delle donne stesse, poiche' hanno perso la loro posizione dominante mentre le femmine, per definizione, non possono raggiungerla.
Le parole "ginocidio", "femicidio", "femminicidio" sono state coniate dal femminismo negli anni Settanta - Jane Caputi, Mary Daly (2005), Andrea Dworkin, Antoinette Fouque (1989), Diana Russell e molte altre - per indicare non solo gli assassinii di donne ma anche tutta la violenza che si rivolge contro l'essere donna, contro il femminile, a causa del disprezzo sociale e della brama di controllo sui corpi femminili da parte del sistema di potere maschile, il patriarcato. E dunque gli esecutori di questa violenza, che certo puo' spingersi anche fino all'omicidio, possono essere uomini ma anche donne (un esempio sono le anziane che eseguono le mutilazioni genitali sulle bambine).
La creazione di una particolare categoria di "violenza ginocida" e' importante perche' le statistiche mostrano una prevalenza di vittime maschili di omicidio e di aggressioni: se ne dovrebbe concludere che sia il sesso femminile a godere di vantaggi e protezione. Ma questa "protezione" del genere femminile e' semplicemente la limitazione del movimento delle femmine negli spazi pubblici da parte di norme sociali oppressive o semplicemente della paura degli uomini.
Infatti, cosi' come la violenza sugli uomini viene esercitata in massima parte da altri uomini, anche le donne vittime di violenza lo sono per mano maschile. Gli stessi "protettori" delle donne, i loro compagni, familiari e amici maschi, sono coloro che perpetrano la maggioranza delle violenze ginocide. Le femmine vengono rinchiuse nelle case per proteggerle (o per proteggerne "la virtu'"), ma per loro e' la casa il luogo piu pericoloso.
E' importante sottolineare il fatto che analizzeremo ruoli sociali, cioe' norme generali prescritte nelle relazioni tra i sessi, e che il cambiamento e' in atto: nel corso della storia la posizione delle donne e' piu' volte mutata, le norme e le sanzioni relative alla trasgressione sono in continuo mutamento aprendo o chiudendo spazi di liberta'.
Nel primo capitolo presenteremo il dibattito tra i due schieramenti politico-intellettuali contrapposti. Se alcuni ritengono che l'approfondimento dei legami economici e culturali tra le diverse aree del mondo, la globalizzazione degli ultimi 20-30 anni, abbia portato benefici alle donne, altri sono invece convinti che essa abbia peggiorato la situazione in cui vivono gran parte delle donne del mondo. Il tentativo di suffragare l'una o l'altra ipotesi attraverso prove empiriche sara' il filo rosso che attraversa questo libro.
Ancora oggi esistono, in alcune parti del mondo poco popolate e relativamente isolate, gruppi umani che mantengono modi di vita tradizionali che discendono dalle societa' senza scrittura e nei quali non esiste violenza ginocida: ce ne occuperemo in dettaglio nel secondo capitolo. Proprio questa variabilita' nella posizione sociale delle donne, e nelle circostanze in cui la violenza ginocida e' perpetrata, permette di individuare in quali situazioni la violenza diminuisce, quali fattori possono tenerla a freno. Questo sara' il tema dei quattro capitoli che seguono, su stupri, maltrattamenti, omicidi e violenza culturale. istituzionale ed economica, in cui esporremo le ricerche sull'incidenza e sulle motivazioni di ciascuno di questi misfatti.
Dopo aver parlato di societa' senza violenza e delle forme della violenza ginocida con un approccio tematico, nella seconda parte del libro passeremo a un approccio geografico e presenteremo alcuni indicatori tratti da ricerche internazionali comparate, per poi approfondire l'indagine su alcune aree del mondo: l'Italia, la Scandinavia, le Americhe, l'Europa dell'Est, il mondo musulmano, cercando i dati sulla violenza contro le donne (un'approssimazione empirica del concetto analitico di violenza ginocida) per formulare un giudizio sul miglioramento o il peggioramento della condizione delle donne nella globalizzazione.
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Violenza ginocida e globalizzazione (p. 11 e sgg.)
La violenza degli uomini contro le donne - violenza psicologica, fisica e sessuale sia su donne adulte che su ragazze e bambine - ha tre importanti dimensioni: 1) le circostanze in cui e' perpetrata; 2) i luoghi; 3) la sua legittimita' o illegittimita'. Le circostanze del ginocidio si suddividono analiticamente in situazioni di pace o di guerra. I diversi luoghi in cui puo' avvenire sono il chiuso delle case, in strada, oppure i luoghi di lavoro, dove la violenza varia in gravita' dai ricatti e dalle molestie sessuali fino allo stupro e persino all'omicidio. E' una favola che i luoghi pubblici siano i piu' pericolosi per le donne, mentre e' proprio nel privato che si consumano piu' atti di violenza.
L'ultima dimensione analitica e' il contrasto tra la prescrizione culturale o viceversa la punibilita' giuridica della violenza: l'obiettivo politico delle donne e' quello di rendere la violenza ginocida illegale. Tra le situazioni in cui le vittime sono designate come tali dall'intera societa', che incoraggia o addirittura impone la violenza, vi sono i delitti d'onore, i matrimoni imposti, il potere correzionale attribuito al marito. Soprattutto in questi casi e' evidente come il fine della violenza sia la legittimazione del dominio dell'uomo sulla propria donna, giustificato dal concetto di onore e dal sentimento, cui non si vogliono porre freni o limiti, della gelosia.
Prima della rivoluzione cinese, le famiglie ricche - poi sempre piu' anche quelle degli strati sociali piu' bassi - deformavano i piedi delle proprie bambine: "Per evitare che le donne corrano da un uomo all'altro in modo vergognoso"; la clitoride viene mutilata perche' e' la principale sede del piacere femminile e la radice degli impulsi sessuali (considerati indecenti nelle femmine), e anche perche' rappresenta un "principio maschile" da cui purificarle, ritenendolo velenoso e letale per l'uomo durante il rapporto sessuale o per il bambino durante il parto; le mutilazioni sessuali vengono eseguite anche su neonati di paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna...): sui maschi "micropenici" e le femmine "iperclitoridee", nonche' sugli ermafroditi, questa volta per confermare l'idea dell'esistenza di solo due sessi ben distinti tra di loro e dunque gerarchizzabili (Poidimani 2006, 54); il burka o il chador, che riducono le donne a un ammasso informe e provocano non solo problemi psicologici ma anche fisici alla vista, ai capelli, alla pelle che non riceve mai la luce del sole, sono imposti per non indurre gli uomini in tentazione; tra le prescrizioni che le donne turche devono rispettare - perche' l'onore di un uomo e' nelle loro mani di mogli, madri, sorelle, figlie (e se lo insozzano verranno uccise da lui o da un altro congiunto di sesso maschile) - non vi e' solo la castita' ma anche la modestia nei comportamenti: non stare troppo tempo affacciate alla finestra, non salutare gli uomini, non camminare mai davanti al marito. E un altro bersaglio della violenza ginocida sono coloro che deviano dall'obbligo sociale all'eterosessualita' da viversi solo nel matrimonio: sono chiamate puttane e lesbiche, inferiori tra le inferiori.
Vi e' inoltre la violenza legata alla procreazione, che colpisce direttamente la capacita' riproduttiva femminile: la sterilizzazione forzata, l'imposizione dell'aborto o la costrizione a portare a termine la gravidanza. le proibizioni legali poste alla contraccezione e all'interruzione di gravidanza, l'imposizione di rapporti sessuali in cui vi e' il rischio di gravidanze non desiderate. Siccome in molte culture una prole numerosa aumenta il prestigio virile, i mariti proibiscono alle mogli l'uso di contraccettivi - e le maltrattano se scoprono che li usano lo stesso. Le stesse leggi che proibiscono di abortire negli ospedali o di ricorrere a metodi chimici esercitano violenza esponendo le donne ai rischi dell'aborto clandestino, tra cui quello di una morte orribile per emorragia. Violenza e' anche l'ignoranza sul proprio corpo, sulle conseguenze della sessualita': non sapere come vengono concepiti i bambini, non sapere quali sono i modi di trasmissione delle malattie veneree, non sapere che una vergine non sempre ha l'imene chiuso, che non sempre durante il primo coito esso si lacera sanguinando, e' un'ignoranza che puo' avere conseguenze terribili.
La violenza apertamente esercitata e' comunque un indicatore molto imperfetto della condizione femminile, che e' quello che realmente importa. La' dove vi e' sottomissione assoluta, la' dove la donna non ha possibilita' di vita se non si assoggetta, la' dove si identifica pienamente nel ruolo subordinato socialmente imposto, la rassegnazione evita minacce e percosse. Tale assenza esteriore di violenza ha lo stesso significato della violenza piu' estrema: qui la schiavitu' e' la piu' assoluta.
Riflettere sulla sottomissione e sulla rassegnazione pone quindi il problema della soggettivita' della definizione di violenza (come del resto della definizione di tutti i fenomeni umani): la violenza e' importante solo se soggettivamente percepita? Se osservatrice e osservata hanno parametri di giudizio diversi, a chi dar credito? Puo' esistere una definizione oggettiva di violenza?
Un atto di violenza e' un atto finalizzato, attraverso il dolore fisico o psicologico, a piegare la volonta' di una persona, a sottometterla al proprio volere. Non importa quanto il perpetratore o la vittima siano convinti della sua rispondenza a norme sociali: per l'osservatore che vede i fatti e le loro conseguenze, questo atto e' senza dubbio un'azione violenta.
Se la violenza subita e' ritenuta legittima, se e' l'unico modo di interazione sperimentato (come accade ai figli di un padre violento), essa non sara' per questo priva di conseguenze sul benessere non solo fisico ma anche e soprattutto psicologico di chi la subisce, e questo anche nel caso in cui la vittima la accetti, non se ne lamenti, non cerchi neppure una via di uscita proprio perche' ritiene che sia questa la normalita'.
Per valutare la posizione delle donne con un metro oggettivo, senza farsi trarre in inganno dall'acquiescenza di coloro che sono talmente schiacciate da un potere maschile e tradizionale da aver rinunciato persino a desiderare una condizione migliore, la filosofa statunitense Martha Nussbaum ha applicato ai rapporti tra i sessi l'approccio basato sulle "capacita'" dell'economista indiano Amartya Sen. Sen riconosce il problema dell'adattivita' delle preferenze, cioe' del fatto che normalmente si esercita la facolta' di scelta solo tra gli obiettivi che sono effettivamente raggiungibili, e dunque la scelta non e' un buon criterio per giudicare la volontarieta' di un'azione. Scrive Nussbaum: "Se qualcuno che non ha diritti di proprieta' legalmente riconosciuti, che non ha istruzione formale, che non ha diritto al divorzio, che sara' probabilmente picchiata se cerca impiego fuori casa, dice di condividere le tradizioni di pudore, castita' e sacrificio personale, si puo' dubitare che queste siano le ultime parole al riguardo" (Nussbaum 2001, 63).
Il metro di giudizio e' dunque verificare quali alternative sono concretamente alla portata di quella donna, di quel gruppo femminile, con un approccio che e' detto "delle capacita'" perche' vuole garantire a tutte e a tutti lo sviluppo di capacita' umane fondamentali mediante la garanzia della soddisfazione dei bisogni essenziali alla vita umana, nonche' dell'accesso all'istruzione, della parita' giuridica e di una pari considerazione sociale delle donne rispetto agli uomini. Infatti, e' solo nel momento in cui si intravede un'alternativa che il comportamento violento, fino ad allora subito, diventa inaccettabile e viene finalmente nominato come tale. A volte e' sufficiente una pausa di riflessione, un confronto con persone che provengono da un ambiente diverso, una convalida della propria percezione di ingiustizia: "Mio marito mi picchia, viene a letto con me quando non voglio e io devo obbedire. Prima di venire intervistata non ci pensavo veramente. Pensavo che fosse naturale. Per un marito questo e' il giusto modo di comportarsi", ha dichiarato una donna bengalese nell'ambito di un'inchiesta sulla violenza dell'Organizzazione mondiale per la sanita' (Krug et al. 2002. 10).
Ampliare le capacita' delle donne non e' cosa facile: implica azioni culturali, ma ancora di piu' mutamenti materiali. Il femminismo si e' ribellato soprattutto culturalmente al sistema di potere maschile, che ha definito prima patriarcato poi fratriarcato, sottolineando come oggi l'autorita' del pater familias sia terminata, mentre sono i fratelli (in senso sociale) a essersi uniti in un nuovo patto per il dominio sulle donne. E il femminismo e' stato anche definito una rivoluzione riuscita, dal momento che le sue richieste di mutamento sociale si sono in una certa misura avverate, ad esempio la crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro in tutti i ruoli, o la concezione giuridica della donna come persona, come individuo, o meglio individua che sta alla pari con l'uomo di fronte alla legge, legge che deve tenere conto della sua volonta' e delle sue scelte al pari di quelle degli uomini. Questa concezione generale ha avuto alcuni capisaldi legislativi concreti: il voto naturalmente e il divieto di discriminazione in base al sesso, ma altrettanto importanti sono state l'emancipazione delle donne sposate dall'autorita' maritale e l'introduzione della parita' tra i coniugi perche' si abbandonasse la concezione della famiglia come soggetto collettivo rappresentato dalla volonta' del suo capo - s'intende maschio.
Un'altra vittoria culturale del femminismo e' che e' cambiata la considerazione sociale della sessualita' femminile: era un bene custodito dalla famiglia, di cui il futuro marito si sarebbe appropriato, e a questa concezione facevano da corollari la comprensione e giustificazione per il delitto d'onore e l'impossibilita' di denunciare uno stupro se il colpevole era lo stesso marito. La sessualita' oggi vuole invece essere uno scambio basato sull'idea e sull'espressione del consenso, e la facolta' di esprimerlo o negarlo non viene meno per il fatto di essere stati uniti in matrimonio. Inoltre, le norme giuridiche che permettono di sciogliere il matrimonio rendono ora piu' facile separarsi da un marito violento (anche se la variabile cruciale rimane la possibilita' di guadagnarsi la vita autonomamente da lui).
In tutto il mondo, infine, vi e' ormai la consapevolezza della violenza maschile ai danni delle donne, e ad essa ci si oppone in molti modi: dal sorgere, a partire dagli anni Settanta, di centri di ascolto e di case di fuga che proprio il movimento femminista comincio' a organizzare in modo autonomo per poi chiederne il pubblico riconoscimento e supporto, all'organizzazione di momenti pubblici di dibattito e riflessione sulle varie forme del ginocidio, alla formazione delle forze di polizia e dell'apparato giudiziario, alle nuove leggi in materia approvate anche in seguito alla firma della Convenzione per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, ratificata a partire dal 1979 da 180 Stati.
E' una rivoluzione lunga, difficile, faticosa. E sara' vero che continua ad avanzare? La condizione delle donne sta ancora migliorando o ha cessato di farlo? E' regredita? Che cosa accade nei paesi sviluppati e che cosa accade in quelli poveri? A queste domande non e' sicuramente possibile rispondere con un unico libro. La dimensione della violenza maschile contro le donne e' un indicatore molto importante della condizione femminile, ma e' solo un indicatore, a sua volta basato su stime e non su dati certi. Quello che possiamo e vogliamo fare e' esplorare le conoscenze attualmente raccolte sulla violenza ginocida alla luce di queste domande, e cercare risposte parziali. L'avvento del neoliberismo sulla scena mondiale dall'inizio degli anni Ottanta e' il nostro punto di partenza. Questo periodo viene chiamato "globalizzazione", una fase storica di intensificazione dei contatti internazionali in molteplici ambiti: economico, culturale, ambientale. Dominano le forze del capitale privato che aprono i mercati di un crescente numero di paesi ai flussi di capitale e merci, mentre i flussi migratori sono giuridicamente ostacolati, creando una sottocasta di lavoratrici e lavoratori che non hanno neppure il diritto di rimanere nel paese dove prestano la propria opera.
Alla domanda se le donne stiano migliorando o peggiorando la propria condizione dopo l'esplosione del femminismo degli anni Settanta i due schieramenti politici pro e contro la globalizzazione danno risposte opposte. La prima, il miglioramento della condizione femminile nell'ambito delle "magnifiche sorti e progressive", e' fornita da coloro che stanno diffondendo nell'intero globo la fede nel mercato come risolutore dei problemi sociali, sulla scorta delle teorie neoliberiste di Milton Friedman e della sua scuola economica di Chicago. La seconda, il peggioramento, e' quella dei movimenti contro l'attuale forma di globalizzazione neoliberista che attribuiscono a queste politiche l'aumento di tutte le diseguaglianze, inclusa quella tra i sessi.
Gli apologeti del neoliberismo vedono la parita' tra i sessi come una conquista realizzata e indiscussa del mondo occidentale, che i processi di modernizzazione (a volte aiutati dalla maieutica delle armi...) diffondono nel resto del mondo. L'emancipazione delle donne e' conseguenza dello sviluppo economico, della partecipazione al mercato mondiale di libero scambio e del lasciar le mani libere al capitale privato senza troppi vincoli sindacali, ambientali, fiscali, grazie a deregolamentazioni e privatizzazioni: il diffondersi del benessere economico assicurera' anche il miglioramento di status di coloro che stanno al fondo della scala sociale, come le donne.
L'economista Jagdish Bhagwati, che rivendica la palma di "primo liberoscambista al mondo", ritiene che aziende e paesi che discriminano le donne dovranno cedere alla concorrenza, la quale utilizzera' al meglio le risorse in suo possesso impiegando le donne secondo le loro reali capacita'. Il quadro e' tracciato in un capitolo intitolato proprio "La situazione femminile: e' penalizzata o favorita?": "Le donne, intese come classe, non sono penalizzate dal progresso piu' di altri gruppi" (Bhagwati 2005, 121). Non vi sarebbero infatti prove sufficienti a corroborare le critiche che esprimono molte Ong femministe. Bhagwati rileva solo tre aspetti negativi, i quali pero' sono collegati solo indirettamente alla globalizzazione: 1) Le donne che si recano all'estero come collaboratrici domestiche - spesso nel Medio Oriente, dove la popolazione femminile locale vive tipicamente nel medioevo e sotto la legge islamica, che in paesi come l'Arabia Saudita e' interpretata da leader religiosi illetterati e conservatori ñ sono soggette ad abusi e necessitano di protezione. 2) In paesi come la Thailandia la crescita del turismo e' inevitabilmente accompagnata da un aumento della prostituzione femminile e anche maschile. 3) Il traffico di donne e' cresciuto, specialmente in seguito allo sconvolgimento economico che ha accompagnato tentativi di transizione in paesi come la Russia e alle crisi economiche dei paesi asiatici (Bhagwati 2005, 123-124).
Un esempio, anche se argomentato meno esplicitamente, della medesima lettura dei meccanismi di causa-effetto che la globalizzazione ha sulla condizione femminile e' proprio la premessa di un testo contro la violenza ginocida di Amnesty International: "La moderna globalizzazione e le nuove prospettive di comunicazione e di scambio hanno portato innanzi tutto a una nuova consapevolezza nel campo delle lotte delle donne per i propri diritti (Amnesty International 2005, 27)".
Le pecche di questo sistema, per Amnesty e per la maggior parte dei politici e degli uomini di governo, sono individuate essenzialmente nella criminalita' organizzata, che si avvantaggia anch'essa della maggiore facilita' di movimento internazionale: "Purtroppo la globalizzazione ha pero' anche un lato oscuro, un nuovo tipo di violenza contro le donne, non piu' legata al territorio, allo Stato, alla nazione o alla comunita'", ovvero il traffico di esseri umani, cui per Amnesty si aggiunge il problema della mancanza di diritti per i migranti.
Un discorso piu' radicale di quello di Amnesty International lo fa la Commissione per i diritti umani dell'Onu nei suoi agghiaccianti rapporti sulla violenza contro le donne nel mondo. Radhika Coomaraswamy, la prima incaricata, si colloca sul versante antiglobalizzazione, denunciando in particolare l'attacco neoliberista alla sopravvivenza collettiva con lo smantellamento delle reti del welfare state e la privatizzazione della sanita' (Coomaraswamy 2000, 3). Gli aspetti economici delle politiche neoliberiste di globalizzazione peggiorano la situazione di grandi masse di persone, e se questi sviluppi appaiono essere neutri, cioe' non rivolti specificamente contro le donne, in realta' vi e' anche qui una grave asimmetria di genere: sono maschili le elites del pianeta che si arricchiscono sempre piu' (Chiesa e Villari 2003), mentre sono le donne ad affondare sempre piu' in basso nella scala sociale.
I critici del neoliberismo affermano con decisione che, se la situazione delle donne sta peggiorando, e' proprio a causa delle politiche di deregolamentazione e privatizzazione promosse dagli interessi forti in tutto il pianeta: "La globalizzazione rafforza un sistema sessista, escludente e patriarcale. Incrementa la femminilizzazione della poverta' ed esacerba tutte le forme di violenza contro le donne". L'ecofemminista Maria Mies (1998) scrive le stesse cose a proposito del capitalismo moderno in generale, al quale imputa una concezione del dominio dell'uomo sulla natura quale femmina da sottomettere. Una posizione simile e' quella di Ivan Illich (1984): ha effetti negativi sulla condizione femminile la "misura unica" per i due sessi che il modo di produzione capitalista ha introdotto, sostituendo le due sfere "separate ed eguali" delle competenze maschili e femminili tradizionali con la divisione tra lavoro femminile domestico e lavoro maschile salariato, cioe' una gerarchia a tutti gli effetti.
L'analisi delle societa' precapitalistiche pero' non suffraga questa posizione. La stessa rigida divisione del lavoro in base al sesso significa solitamente gia' di per se' una perdita di potere sociale da parte delle donne, benche' come al solito si cerchi di mascherare il dominio maschile con un doppio standard di valutazione delle attivita' delle donne rispetto a quelle degli uomini. La divisione del lavoro tra i sessi invece legittima lo sfruttamento della forza lavoro delle donne, costrette ai compiti piu' lunghi e piu' faticosi, e costituisce probabilmente il primo esproprio dei frutti del lavoro dei produttori. Infatti, in buona parte delle societa' precapitalistiche le donne lavorano piu' degli uomini (come del resto fanno in quelle capitalistiche) e non hanno la disponibilita' di cio' che producono ne' la facolta' di possedere gli strumenti di produzione - anche se e' vero che in alcuni luoghi, come in America Latina, la Conquista europea peggioro' notevolmente la condizione femminile relativamente a quella maschile.
E' un fatto che il sistema capitalistico e di economia di mercato ha avuto storicamente il merito di permettere alle donne di liberarsi dal controllo della famiglia di origine. Esso ha sostituito un modo di produzione agricolo, basato principalmente sul clan familiare, con un modo di produzione in cui vi e' la necessita' di mettere in vendita la propria forza lavoro su un mercato piu' impersonale rispetto ai rapporti tra famiglie. L'individualismo di cui e' portatrice la societa' capitalistica moderna e' correlato indubbiamente a un avanzamento della posizione sociale delle donne, dal momento che queste hanno raggiunto lo status di persone formalmente indipendenti e non piu' di beni di cui un'altra persona, il padre o il marito, puo' disporre.
Tra le due posizioni che vedono un miglioramento o un peggioramento assoluti della posizione sociale delle donne (potremo dire della nostra liberta') vi e' una possibilita' intermedia: differenziare il ruolo dell'espansione dell'economia di mercato a seconda delle sue diverse fasi, allo stesso modo in cui Karl Marx riconosceva alla borghesia una funzione progressista in India: gli inglesi con il loro sfruttamento brutale stavano spingendola in una modernita' tecnologica e sociale che l'avrebbe infine strappata alla poverta', alla stagnazione e all'ingiustizia del sistema delle caste. Le due tesi dunque potrebbero descrivere fasi susseguenti: la prima di peggioramento delle condizioni delle donne, seguita da un miglioramento e infine da un superamento della condizione iniziale - come e' avvenuto nei paesi del capitalismo avanzato a mano a mano che i lavoratori si sono organizzati e autodifesi per riuscire a godere della riduzione della fatica e del miglioramento dello standard di vita materiale offerti dal progresso tecnologico. Oppure, quarta possibilita', questo non si sta verificando ne' si verifichera', dal momento che, secondo la teoria della dipendenza e l'analisi del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein, la prosperita' del centro e' interamente dovuta allo sfruttamento della periferia: lo stesso varrebbe per la situazione delle donne al di qua e al di la' della divisione centro-periferia. La liberazione femminile dunque poggerebbe interamente sullo sfruttamento dei paesi del Sud del mondo e in particolare delle donne che vi sono nate.
E, se invece di fasi, queste possibilita' rappresentassero le forze diverse che spingono il mondo attuale in direzioni contrastanti? Cominciamo subito a verificare in che modo la ricerca sociale sulla violenza contro le donne puo' suffragare o smentire queste diverse ipotesi teoriche e affermazioni politiche.
(parte prima - segue)
 
2. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
 
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Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
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Numero 346 del 6 settembre 2010
 
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