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Coi piedi per terra. 345
- Subject: Coi piedi per terra. 345
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 5 Sep 2010 09:19:08 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Numero 345 del 5 settembre
2010 In questo numero:
1. Alcuni estratti dalla "Storia del camminare" di Rebecca
Solnit
2. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DALLA "STORIA DEL CAMMINARE" DI REBECCA
SOLNIT
[Riproponiamo ancora una volta (ripresi dal sito www.tecalibri.it) i seguenti estratti dal
libro di Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori, Milano, 2002
(ed. originale: Wanderlust. A History of Walking, 2000), prefazione di Franco La
Cecla, traduzione di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini.
Rebecca Solnit e' un'intellettuale, scrittrice e attivista pacifista
americana, autrice di diverse opere che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti;
vive a San Francisco e per il suo impegno culturale e politico e' considerata
l'erede di Susan Sontag. Riportiamo anche la scheda biobibliografica in calce a
un'intervista a cura di Marco D'Eramo apparsa sul quotidiano "Il manifesto" e
ripresa in "Coi piedi per terra" n. 133 del 5 novembre 2008: "Rebecca Solnit ha
studiato a Parigi, e' una collaboratrice regolare di "Harper's", ha vinto nel
2004 il National Book Critics Circle Award (il premio nazionale dei critici
americani). Ha scritto finora tredici libri e oltre venti saggi in volumi
collettivi. Il testo di cui si discute nell'intervista, Hope in the Dark, e' del
2004 ed e' stato tradotto in coreano, francese, giapponese, olandese, svedese,
tedesco; in Italia e' uscito nel 2005 presso Fandango libri col titolo Speranza
nel buio, in cui rischia di perdersi il gioco di parole inglese: "in the dark"
significa anche "essere all'oscuro", l'oscurita' di cio' che e' ignoto. Tra i
suoi altri volumi, Savage Dreams: A Journey into the Landscape Wars of the
American West (Sogni selvaggi: un viaggio nelle guerre di paesaggio del West
americano, Sierra Club Books 1994, riedito nel 1995 e 1999), su Yosemity Park e
i test nucleari in Nevada; Wanderlust: A History of Walking (Viking/Penguin
2000), tradotto in italiano presso la Bruno Mondadori (Storia del camminare,
2005); Hollow City: The Siege of San Francisco and the Crisis of American
Urbanism (Citta' vuota: l'assedio di San Francisco e la crisi dell'urbanismo
americano, Verso 2001); As Eve Said to the Serpent. On Landscape, Gender and Art
(Come Eva disse al serpente: su paesaggio, genere e arte, University of Georgia
Press 2001), River of Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild
West (Fiume di ombre: Eadweard Muybridge e il tecnologico selvaggio West, Viking
2003); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics (All'assalto del
paradiso: paesaggi per la politica, UC Press 2007). Il suo testo piu' recente,
cui si fa cenno anche nell'intervista, e' News from Nowhere: Iceland's polite
dystopia, sull'Islanda, uscito nel numero di ottobre 2008 della rivista
"Harper's"". Opere di Rebecca Solnit: Savage Dreams: A Journey Into the
Landscape Wars of the American West (1994); Book of Migrations: Some Passages in
Ireland (1998); (con Susan Schwartzenberg), Hollow City: The Siege of San
Francisco and the Crisis of American Urbanism (2002); Wanderlust: A History of
Walking (2002); River of Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild
West (2003); As Eve Said to the Serpent: On Landscape, Gender, and Art (2003);
Hope in the Dark: Untold Histories, Wild Possibilities (2006); (con Philip L.
Fradkin, Mark Klett, Michael Lundgren), After the Ruins, 1906 and 2006:
Rephotographing the San Francisco Earthquake and Fire (2006); A Field Guide to
Getting Lost (2006); Storming the Gates of Paradise: Landscapes for Politics
(2007). In italiano sono disponibili: Storia del camminare, Bruno Mondadori,
Milano 2002, 2005; Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo, Fandango,
2005]
Indice del volume
Ringraziamenti; Prefazione di Franco La Cecla; I. Il passo dei pensieri.
Introduzione. Ripercorrere un promontorio; La mente a tre miglia all'ora;
Architettura pedonale; La consacrazione del camminare; Camminare e pensare e
camminare; Il soggetto mancante; Alzarsi e cadere: i teorici del bipedismo;
L'ascesa verso la grazia: qualche pellegrinaggio; Labirinti e Cadillac:
camminare nel regno del simbolico; II. Dal giardino all'incolto. Il sentiero
oltre il giardino; Due viandanti e tre cascate; Il cammino del giardino;
L'invenzione del turismo pittoresco; Fango sulla sottoveste; Fuori del cancello;
Le gambe di William Wordsworth; Mille miglia di sentimento convenzionale: la
letteratura del camminare; Il puro; Il semplice; Il lontano; Monte oscurita' e
Monte arrivo; Di club escursionistici e di guerre territoriali; La Sierra
Nevada; Le Alpi; Il Peak District e oltre; III. La vita delle strade. Il
passeggiatore solitario e la citta'; Parigi, o erborare sull'asfalto; Cittadini
delle strade: feste, processioni e rivoluzioni; Camminare dopo la mezzanotte:
donne, sesso e spazio pubblico; IV. Oltre la fine della strada. Sisifo aerobico
e psiche suburbana; I sobborghi residenziali; La mancanza di corporeita' nella
vita quotidiana; Il treadmill; Il camminare come arte; Las Vegas, o la distanza
piu' lunga tra due punti; Note; Fonti; Indice analitico.
*
Pagina 1
Introduzione. Ripercorrere un promontorio
Da dove si comincia? I muscoli si tendono. Una gamba e' il pilastro che
sostiene il corpo eretto tra cielo e terra. L'altra, un pendolo che oscilla da
dietro. Il tallone tocca terra. Tutto il peso del corpo rolla in avanti
sull'avampiede. L'alluce prende il largo, ed ecco, il peso del corpo, in
delicato equilibrio, si sposta di nuovo. Le gambe si danno il cambio. Si parte
con un passo, poi un altro e un altro ancora che, sommandosi come lievi colpi su
un tamburo, formano un ritmo: il ritmo del camminare. La cosa piu' ovvia e piu'
oscura del mondo e' questo camminare, che si smarrisce cosi' facilmente nella
religione, la filosofia, il paesaggio, la politica urbana, l'anatomia,
l'allegoria e il crepacuore.
La storia del camminare e' una storia non scritta, segreta, i cui frammenti
si possono rintracciare con parole semplici in migliaia di passi di libri come
anche di canzoni, nelle strade e in quasi tutte le avventure di ciascuno di noi.
La storia corporea del camminare e' quella dell'evoluzione del bipedismo e
dell'anatomia umana. Per la maggior parte del tempo camminare e' un atto
puramente pratico, il mezzo locomotorio inconsapevole tra due luoghi.
Trasformarlo in un'indagine, un rituale, una meditazione, e' farne un
particolare sottoinsieme del camminare, fisiologicamente simile, ma
filosoficamente dissimile, al modo in cui il postino porta la posta e
l'impiegato prende il treno. Il che vuol dire che la materia del camminare
riguarda, in un certo senso, il modo in cui attribuiamo significati particolari
ad atti universali. Come il mangiare o il respirare, cosi' il camminare puo'
essere investito di significati culturali completamente diversi, da quelli
erotici a quelli spirituali, da quelli sovversivi a quelli artistici. E' qui che
questa sua storia comincia a fare parte della storia dell'immaginazione e della
cultura, e della storia dei generi di piacere, di liberta' e di significato che
vengono perseguiti in tempi diversi da differenti tipi di camminate e di
camminatori. L'immaginazione ha modellato gli spazi che attraversa, e da questi
e' stata a sua volta modellata. Il camminare ha creato sentieri, strade, rotte
commerciali; ha generato concezioni di spazio locali e transcontinentali; ha
conformato citta', parchi; prodotto mappe, guide, attrezzature e, ancora, una
vasta biblioteca di racconti e di poemi che ci parlano di camminate,
pellegrinaggi, spedizioni alpinistiche, vagabondaggi, e anche di picnic estivi.
I paesaggi, urbani e rurali, sono gestatori di racconti, e i racconti ci
riportano ai luoghi di questa storia.
Questa storia del camminare e' una storia amatoriale, proprio come un atto
amatoriale e' andare a piedi. Per usare una sua metafora, essa invade e percorre
campi altrui - l'anatomia, l'antropologia, l'architettura, il giardinaggio, la
geografia, la storia politica e culturale, la letteratura, la sessualita', gli
studi religiosi - e nel suo lungo tragitto non si arresta in alcuno di essi.
Perche', se un campo di competenza puo' essere immaginato come un terreno reale
- un confine esattamente rettangolare dissodato con cura e producente un
determinato raccolto - allora la materia del camminare assomiglia al camminare
stesso nella sua mancanza di confini. E sebbene la storia del camminare, in
quanto appartenente a tutti questi campi e all'esperienza di ciascuno di noi,
sia virtualmente infinita, la mia storia del camminare puo' essere solo
parziale, un cammino idiosincratico tracciato attraverso tutti questi campi da
un viandante che si guarda attorno e ritorna piu' volte sui propri passi. Nelle
pagine che seguono ho cercato di ricalcare i cammini che hanno condotto la
maggior parte di noi nel mio paese, gli Stati Uniti, nel momento attuale; e' una
storia composta in larga misura su fonti europee, riflessa e sovvertita dalla
scala immensamente varia dello spazio americano, dai secoli di adattamento e di
mutazione in questo paese, e dalle altre tradizioni che in tempi recenti si sono
incontrate con questi cammini, in modo rilevante le tradizioni asiatiche. La
storia del camminare e' la storia di ciascuno di noi, e ogni sua versione
scritta puo' solo sperare di indicare alcuni dei sentieri piu' calpestati nelle
vicinanze di chi la scrive, vale a dire che i sentieri che ho tracciato non sono
gli unici cammini.
Un giorno di primavera mi sedetti a scrivere del camminare e poi mi rimisi
in piedi, perche' la scrivania non e' un luogo in cui si possa pensare su vasta
scala. In un promontorio subito a nord del Golden Gate Bridge, costellato di
fortificazioni militari abbandonate, uscii a fare una passeggiata su per una
valle e lungo un crinale, e poi giu' fino al Pacifico. La primavera era arrivata
dopo un inverno insolitamente umido e le colline erano diventate di quel verde
sfrenato ed esuberante che dimentico e riscopro ogni anno. Attraverso l'erba
novella sporgeva quella dell'anno precedente, che la pioggia aveva scolorito
dall'oro estivo al grigio cenere, uno spicchio della tavolozza piu' tenue del
resto dell'anno. Henry David Thoreau, che cammino' piu' vigorosamente di me
all'altro capo del continente, scriveva dei suoi dintorni: "Una prospettiva
assolutamente nuova rappresenta una grande felicita', che puo' venire colta in
un qualsiasi pomeriggio. Due o tre ore di camminata mi possono condurre nel
luogo piu' straordinario che mi sia mai accaduto di ammirare. Una fattoria
isolata, mai vista prima, puo' avere lo stesso fascino dei domini del Re del
Dahomey. Ed effettivamente e' possibile scoprire una sorta di armonia tra le
risorse di un paesaggio entro un raggio di dieci miglia, o i limiti di una
passeggiata pomeridiana, e i settant'anni della vita umana. Ne' gli uni ne' gli
altri vi diverranno mai troppo familiari".
Queste strade e questi sentieri congiunti formano un circuito di circa sei
miglia, che cominciai a percorrere a piedi dieci anni fa per fare svaporare,
camminando, l'ansia di un anno difficile. Continuavo a ripercorrere questo
itinerario per concedere una tregua al lavoro, ma anche per alimentarlo,
perche', in una cultura orientata alla produzione, pensare e' generalmente
concepito come fare niente, e il fare niente e' difficile da fare. La via
migliore per realizzarlo e' di mascherarlo nel "fare qualcosa", e cio' che piu'
si avvicina al fare niente e' il camminare. Camminare in se' e' l'atto
volontario piu' vicino ai ritmi involontari del corpo: il respiro e il battito
del cuore. Stabilisce un delicato equilibrio tra il lavorare e l'oziare, tra il
fare e l'essere. E' una fatica fisica che produce nient'altro che pensieri,
esperienze, arrivi. Dopo tutti questi anni di camminate per elaborare altre
cose, aveva un senso tornare a lavorare vicino a casa - il senso indicato da
Thoreau - e li' riflettere sul camminare.
Camminare e', idealmente, uno stato in cui la mente, il corpo e il mondo
sono allineati come se fossero tre personaggi che finiscono per dialogare tra
loro, tre note che improvvisamente formano un accordo. Camminare ci permette di
essere nel nostro corpo e nel mondo senza esserne sopraffatti. Ci lascia liberi
di pensare senza perderci totalmente nei pensieri. Non sapevo con precisione se
ero troppo in anticipo o troppo in ritardo per il lupino purpureo che in questi
promontori puo' essere cosi' spettacolare, ma le milkmaids (o Stellarie
holostee) crescevano sul lato in ombra della strada che portava al sentiero, e
mi ricordavano i pendii della mia infanzia che fiorivano per primi ogni anno con
un prodigo sbocciare di questi fiori bianchi. Nere farfalle mi svolazzavano
attorno, sospinte dal vento e dal battito delle ali, e mi rimandavano a un'altra
epoca del mio passato. Muoversi a piedi sembra rendere piu' facile muoversi nel
tempo; la mente vaga dai progetti ai ricordi e alle osservazioni.
Il ritmo del passo genera una specie di ritmo del pensiero, e il tragitto
attraverso un paesaggio echeggia o stimola il tragitto attraverso un corso di
pensieri. Il che crea tra percorso interno e percorso esterno una strana
consonanza che suggerisce come la mente sia essa stessa un paesaggio di generi e
che il camminare sia un mezzo per attraversarlo. Un pensiero nuovo somiglia
spesso a un aspetto del paesaggio sempre esistito, come se pensare fosse
viaggiare invece che fare. Pertanto, un aspetto della storia del camminare e' la
storia del pensare concretizzata, perche' i moti della mente non possono essere
tracciati, mentre quelli dei piedi sono riconoscibili. Possiamo immaginare il
camminare anche come un'attivita' visiva, ogni passeggiata un viaggio in cui ci
concediamo sufficiente agio per vedere e per riflettere sulle vedute, per
assimilare il nuovo al noto. E' da qui, forse, che nasce per i pensatori la
peculiare utilita' del camminare. Le sorprese, gli affrancamenti e le
chiarificazioni del viaggio possono talvolta essere spigolati facendo il giro
dell'isolato come anche del mondo, viaggiando a piedi vicino e lontano. O forse
il camminare dovrebbe essere chiamato movimento, non viaggio, perche' si puo'
camminare in cerchio o viaggiare attraverso il mondo immobilizzati su una sedia,
e una certa smania di vagabondaggio puo' essere lenita solo dagli atti del corpo
in moto, non gia' dal movimento dell'automobile, della barca o dell'aeroplano.
Potremmo dire che e' il movimento, come anche le vedute che scorrono davanti ai
nostri occhi, a fare accadere le cose nella nostra mente, ed e' questo che rende
il camminare ambiguo e infinitamente fertile: e' il mezzo e il fine, e' il
viaggio e la meta.
*
Pagina 11
Il moltiplicarsi delle tecnologie in nome dell'efficienza, consentendo di
massimizzare il tempo e lo spazio della produzione e di minimizzare il tempo non
strutturato del viaggio tra i due, sta di fatto sradicando il tempo libero.
Nuove tecnologie salvatempo rendono piu' produttiva la gran parte dei
lavoratori, ma non piu' libera in un mondo che sembra muoversi piu' veloce
attorno a loro. Inoltre, la retorica dell'efficienza che circonda tali
tecnologie suggerisce che tutto cio' che non puo' essere quantificato non puo'
nemmeno essere valutato, che l'ampia gamma di piaceri che rientra nella
categoria del far niente di particolare, del distrarsi, del fantasticare, del
vagabondare e del guardare le vetrine, non e' che un vuoto da riempire con
qualcosa di piu' definito, piu' produttivo o piu' veloce. Persino
nell'itinerario su questo promontorio che non conduce in alcun luogo utile, su
questo cammino che puo' essere percorso solo per diletto, la gente ha tracciato
scorciatoie tra i tornanti, come se l'efficienza fosse un'abitudine di cui non
ci si puo' liberare. L'indeterminatezza di un'escursione senza meta, in cui c'e'
molto da scoprire, viene sostituita dalla distanza definita piu' breve da
coprire alla maggiore velocita' possibile, e anche dalle trasmissioni
elettroniche che restringono la necessita' del viaggio reale. Facendo parte
della categoria dei lavoratori indipendenti, il cui tempo economizzato dalla
tecnologia puo' essere colmato di vagabondaggi e di sogni a occhi aperti, so che
queste cose hanno una loro utilita', e io stessa le utilizzo (un camioncino, un
computer, un modem), ma temo al tempo stesso la loro falsa urgenza, il richiamo
alla velocita', l'istanza che il viaggio sia meno importante dell'arrivo. A me
piace camminare perche' e' lento, e sospetto che la mente, come i piedi, possa
lavorare alla velocita' di circa tre miglia all'ora. Se cosi' fosse, allora la
vita moderna si muove piu' rapidamente della velocita' del pensiero, o della
riflessione.
Il camminare riguarda l'essere all'aperto, in un luogo pubblico, e anche
nelle citta' piu' antiche lo spazio pubblico e' abbandonato ed eroso, eclissato
dalle tecnologie e dai servizi che non ci chiedono di uscire di casa, e in molti
luoghi e' oscurato dalla paura (i luoghi sconosciuti incutono sempre piu' timore
di quelli noti, cosi' che, meno si vaga per la grande citta', piu' essa ci
appare allarmante, e la' dove vi sono meno passanti, le vie diventano
effettivamente piu' solitarie e pericolose). Intanto, in molte localita'
recenti, lo spazio pubblico non e' nemmeno programmato: quello che un tempo era
spazio pubblico ora e' destinato a dare accoglienza e protezione alle
automobili, i centri commerciali sostituiscono le vie principali, le strade non
hanno marciapiede; negli edifici si entra dal garage; i municipi non hanno una
piazza; e ovunque muri, barriere, cancelli. La paura ha generato uno stile di
architettura e di disegno urbano, specialmente nella California meridionale,
dove essere un pedone in molte ripartizioni e "comunita'" cintate, vuol dire
essere una persona sospetta. Contemporaneamente, il terreno rurale e le
periferie un tempo invitanti delle piccole citta' sono stati inghiottiti da
lottizzazioni destinate ai pendolari dell'automobile o altrimenti sequestrati.
In alcuni luoghi non e' piu' possibile uscire in pubblico, una crisi sia delle
epifanie private del passante solitario, sia delle funzioni democratiche dello
spazio pubblico. Era a questa frammentazione di vite e di paesaggi che
resistevamo tempo fa negli spazi dilatati del deserto che, per l'occasione,
diventavano pubblici come piazze urbane.
E quando lo spazio pubblico scompare, altrettanto avviene del corpo visto,
secondo la felice espressione di Sono, come mezzo adeguato per portarci in giro.
Sono e io parlavamo della scoperta che i nostri dintorni - tra i piu' temuti
della Bay Area - non sono poi cosi' ostili (anche se non tanto sicuri da farci
dimenticare del tutto una certa prudenza). Sono stata minacciata e derubata per
strada, tempo fa, ma migliaia di volte mi sono imbattuta in amici di passaggio,
in una vetrina che esponeva un libro a lungo cercato, in complimenti e saluti
dei miei loquaci vicini, in gioielli architettonici, in manifesti per eventi
musicali e in ironici commenti politici scritti sui muri e sui pali del
telefono, in indovini, nella luna che spuntava tra gli edifici, in brevi visioni
di vite e di case altrui, e in alberi di strada chiassosi del cinguettio degli
uccelli. L'aleatorio, il non riparato, ci permette di trovare quello che non si
sa di cercare, e non si conosce un luogo finche' questo non ci sorprende.
Muoversi a piedi e' un modo per conservare un baluardo contro questa erosione
della mente, del corpo, del paesaggio e della citta', e ogni persona che cammina
e' una guardia di pattuglia a protezione dell'ineffabile.
*
Pagina 14
La sorpresa ci venne allora dal serpente, un serpente giarrettiera, cosi'
chiamato per le strisce giallognole che gli corrono lungo tutto il corpo nero,
un animale minuscolo e affascinante che si contorceva ondeggiando attraverso il
sentiero ed entrava poi nel terreno erboso al suo lato. Piu' che allarmarmi mi
rese vigile. Improvvisamente mi scossi dai miei pensieri e notai quello che mi
circondava: gli amenti dei salici, lo sciabordio dell'acqua, i disegni frondosi
delle ombre sul sentiero. E poi me stessa, che camminavo con l'allineamento che
viene solo dopo miglia, il ritmo diagonale sciolto delle braccia che oscillano
in sincronia con le gambe in un corpo che si sente allungato e disteso, quasi
altrettanto sinuoso quanto quello del serpente. Il mio circuito era quasi
concluso, e al suo termine conoscevo il mio soggetto e il modo di affrontarlo
che mi era ancora sconosciuto solo sei miglia prima. Vi ero arrivata non in
un'improvvisa epifania, ma con graduale certezza, un senso di significato affine
a un senso di luogo. Quando ci concediamo ai luoghi, essi ci restituiscono a noi
stessi e, piu' arriviamo a conoscerli, piu' vi seminiamo l'invisibile messe
delle memorie e delle associazioni che saranno li' ad aspettarci quando vi
ritorneremo, mentre luoghi nuovi ci offriranno pensieri nuovi e nuove
opportunita'. Esplorare il mondo e' uno dei modi migliori per indagare la mente,
e il camminare percorre entrambi i terreni.
*
Pagina 79
La poetessa Marianne Moore ha coniato un'immagine felice: "rospi veri in
giardini immaginari"; il labirinto ci offre la possibilita' di essere creature
reali in uno spazio simbolico. Camminando pensavo a una fiaba infantile, e i
libri per bambini che amavo di piu' erano pieni di personaggi che cadevano
dentro i libri, di illustrazioni che diventavano vere, di passeggiate in
giardini in cui le statue prendevano vita e la cosa piu' meravigliosa era che si
poteva passare dall'altra parte dello specchio (e incontrare pezzi degli
scacchi, fiori e animali vivi e capricciosi). Quei libri facevano pensare che la
linea di demarcazione tra la realta' e la rappresentazione non sia netta e che
la magia si manifesti quando si attraversa quella linea. In uno spazio come
quello del labirinto la linea viene attraversata: si viaggia davvero, ma la
destinazione e' puramente simbolica. E' un registro completamente diverso dal
semplice pensiero di un viaggio che si vorrebbe fare o dall'osservazione delle
immagini del posto in cui si vorrebbe andare. Perche', in questo contesto, la
realta' e' solamente cio' che abitiamo con il corpo. Il labirinto e' un viaggio
simbolico o una mappa della via della salvezza, ma poiche' si tratta di una
mappa su cui si puo' camminare realmente, la differenza tra la mappa e il mondo
sbiadisce. Se il corpo e' il registro della realta', leggere con i piedi e'
reale in un modo in cui leggere solo con gli occhi non lo e'. E qualche volta la
mappa e' il territorio.
*
Pagina 81
Come le stazioni della Croce, il labirinto e il dedalo offrono storie in
cui possiamo camminare per dimorarvi con il corpo, storie che seguiamo con i
piedi come con gli occhi. Si puo' vedere una somiglianza non solo tra queste due
strutture simboliche, ma anche tra ogni percorso e ogni storia. Almeno in parte,
la caratteristica che rende le strade, le piste e i sentieri unici in quanto
strutture costruite e' che un osservatore sedentario non li puo' percepire
immediatamente nella loro interezza. Essi si dipanano nel tempo a mano a mano
che li si percorre, esattamente come una storia si dipana a mano a mano che la
si ascolta o la si legge, e una curva secca corrisponde a uno scarto nella
trama; una salita ripida alla costruzione della suspense fino al panorama che si
apre in cima; un bivio all'introduzione di una nuova linea narrativa e l'arrivo
alla fine del racconto. Come la scrittura consente la lettura delle parole di
chi non c'e', le strade consentono di seguire l'itinerario di chi e' assente. Le
strade sono racconti di coloro che le hanno percorse prima e seguirle significa
seguire persone che non ci sono piu' (non piu' santi o dei, ma pastori,
cacciatori, ingegneri, emigranti, contadini diretti al mercato o semplici
pendolari). Strutture simboliche come i labirinti richiamano l'attenzione sulla
natura di tutti i sentieri, di tutti i viaggi.
Questo e' cio' che si nasconde dietro il rapporto peculiare che lega il
racconto al viaggio, ed e' forse per questo che la scrittura narrativa e'
collegata cosi' strettamente con il camminare. Scrivere significa scavare nella
fantasia un sentiero nuovo o indicare configurazioni nuove in un itinerario
noto. Leggere vuol dire viaggiare su quello stesso terreno con la guida
dell'autore, con il quale si puo' anche non essere sempre d'accordo o nel quale
si puo' anche non avere fiducia, ma su cui si puo' contare almeno perche' ci
porti da qualche parte. Ho spesso desiderato di scrivere le mie frasi su una
sola riga che si perda nella distanza in modo che si capisse chiaramente che una
frase somiglia a una strada e che leggere vuol dire viaggiare (una volta feci un
po' di calcoli e scoprii che se il testo di uno dei miei libri, invece di essere
impaginato, fosse stato composto in una sola riga formata da tutte le parole e
arrotolato come un filo su un rocchetto, avrebbe coperto uno spazio di quattro
miglia). Forse i rotoli cinesi, che bisogna srotolare per poterli leggere,
conservano almeno in parte questo senso. Le linee di canto degli aborigeni
australiani sono gli esempi piu' famosi di fusione di paesaggio e narrazione. Le
linee di canto sono strumenti di navigazione nel deserto profondo, mentre il
paesaggio e' un dispositivo mnemonico per ricordare le storie: in altre parole,
la storia e' la mappa, il paesaggio la narrazione.
Le storie dunque sono viaggi e i viaggi sono storie. E' perche' immaginiamo
la vita come un viaggio che queste camminate simboliche, e in realta' tutte le
camminate, hanno tanta risonanza. E' difficile immaginare l'opera
dell'intelletto e dello spirito, come e' difficile immaginare la natura del
tempo; per questo tendiamo a metaforizzare tutti gli oggetti intangibili come
oggetti fisici collocati nello spazio. In questo modo il nostro rapporto con
essi diventa fisico e spaziale: ci muoviamo verso di essi o ci allontaniamo da
essi. E se il tempo e' diventato spazio, lo scorrere del tempo che costituisce
un'esistenza diventa anch'esso un viaggio, che ci si muova molto o poco
attraverso lo spazio. Camminare e viaggiare sono diventati metafore cosi'
centrali del pensiero e della parola che quasi non ce ne accorgiamo.
*
Pagina 87
Come l'intelletto e il tempo, la memoria e' inimmaginabile senza dimensioni
fisiche; immaginarla come un luogo fisico vuol dire inserirla in un paesaggio in
cui sono collocati i suoi contenuti, e cio' che ha una collocazione puo' essere
avvicinato.
Questo significa che, se si immagina la memoria come uno spazio reale - una
piazza, un teatro, una biblioteca - l'atto del ricordare viene immaginato come
un atto reale, cioe' un atto fisico: come camminare. Gli studiosi sottolineano
sempre in modo particolare il dispositivo del palazzo immaginario, in cui le
informazioni sono collocate stanza per stanza, oggetto per oggetto, ma per
recuperare le immagini immagazzinate bisognava camminare attraverso le stanze
come quando si visita un museo, ricollocando gli oggetti nella coscienza.
Ripercorrere lo stesso itinerario puo' voler dire ripensare gli stessi pensieri,
come se in realta' pensieri e idee fossero oggetti collocati in un paesaggio che
basta conoscere per poterci viaggiare. In questo modo camminare e' leggere,
anche quando camminare e leggere sono immaginari, e il paesaggio della memoria
diventa un testo stabile quanto quello che si trova in un giardino, in un
labirinto o nelle stazioni della Croce. Ma se il libro, in quanto deposito di
informazioni, ha messo in ombra il palazzo della memoria, ne ha pero' conservato
in parte il modello. In altre parole, se ci sono passeggiate che somigliano a
libri, ci sono anche libri che somigliano a passeggiate e utilizzano l'attivita'
"leggente" del camminare per descrivere un mondo. L'esempio piu' alto e' la
Divina commedia di Dante, in cui l'autore, guidato da Virgilio, esplora i tre
regni dell'anima dopo la morte. E' il resoconto di un viaggio ultraterreno sui
generis, che si muove diligentemente tra visioni e personaggi, conservando
sempre l'andatura di un giro turistico. La sua geografia e' talmente
particolareggiata che molte edizioni riportano cartine, tanto che Yates ha
avanzato l'ipotesi che, in realta', il capolavoro fosse un palazzo della memoria
sui generis. Come molte altre storie precedenti e successive, e' un racconto di
viaggio in cui il movimento della narrazione e' riecheggiato dal movimento dei
personaggi in un paesaggio immaginario.
*
Pagina 156
Come i labirinti e altre strutture edificate, le montagne svolgono la
funzione di spazi metaforici e simbolici. Non esiste equivalente geografico piu'
chiaro dell'idea dell'arrivo e del trionfo della vetta piu' alta oltre la quale
non c'e' altro luogo in cui andare (anche se nell'Himalaya molti pellegrini
girano intorno alle montagne perche' credono che salire in vetta sia sacrilego).
Dopo avere conquistato il Cervino, Edward Whymper, uno scalatore vittoriano
atleticamente molto dotato e mosso da una grande ambizione, disse: "Piu' in alto
non c'e' nulla da vedere; sta tutto sotto", con un'efficace mistura di
linguaggio letterale e figurato. "In un certo senso, la' in cima ci si trova
nella condizione di chi ha realizzato tutti i desideri e non ha piu' nulla cui
aspirare". Puo' darsi anche che il fascino delle ascensioni sulle vette montane
sia dovuto a una serie di metafore linguistiche. L'inglese e varie altre lingue
associano l'altitudine, l'ascesa e l'altezza al potere, alla virtu' e allo stato
sociale. Percio' si dice essere sulla cima del mondo o nel punto piu' elevato
nel proprio campo professionale, essere al culmine delle proprie capacita',
essere in ascesa; si dice esperienza di punta e l'apice della carriera, ergersi
nel mondo e avanzare verso l'alto, per non parlare di arrampicatori sociali, di
mobilita' verso l'alto, di santi dotati di sentimenti elevati e di bassa
plebaglia e, ovviamente, di classi alte e basse. Nella cosmologia cristiana il
paradiso e' in alto e l'inferno in basso, e Dante rappresenta il Purgatorio come
una montagna a forma di cono su cui il poeta si arrampica a fatica fondendo il
viaggio spirituale con il viaggio geografico (e la scalata inizia attraverso un
passaggio che oggi gli scalatori chiamerebbero camino: "Noi salivam per entro 'l
sasso rotto, / e d'ogne lato ne stringea lo stremo, / e piedi e man volea il
suol di sotto"). Una camminata in salita attraversa questi territori metafisici;
una passeggiata senza meta per la stessa montagna si muove invece attraverso una
metafisica del tutto diversa.
*
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Esistevano altre organizzazioni alle quali i giovani potevano aderire:
gruppi religiosi e il Movimento protestante giovanile e, dopo il 1909, una
versione tedesca dei Boy Scout, mentre i giovani delle classi lavoratrici
potevano entrare a far parte dei circoli giovanili comunisti e socialisti. I Boy
Scout, come il Wandervogel e tanti altri aspetti della storia del camminare,
sollevano un problema: quando camminare si trasforma in marciare? Quasi tutti i
circoli escursionistici erano gruppi intesi a celebrare e proteggere
l'esperienza individuale e privata; ma alcuni abbracciarono l'autoritarismo.
Marciare subordina al gruppo e all'autorita' il ritmo proprio dei singoli corpi
e ogni gruppo che marcia, marcia verso il militarismo, quando non ci e' gia'
arrivato. Il movimento scout nacque dall'adattamento delle idee di sir
Baden-Powell, veterano della guerra dei boeri, e di quelle che lo stesso
Baden-Powell plagio' dall'anglo-canadese Ernest Thompson Seton. L'intento di
Seton era di introdurre i giovani alla vita all'aria aperta, con
un'accentuazione particolare sulle competenze e sui valori dei nativi americani,
tanto che qualche volta e' stato accusato di avere invece dato vita a un revival
pagano tra gli adulti. Baden-Powell conferi' all'idea della vita nei boschi una
sensibilita' piu' militaresca e conservatrice. Ancora oggi sembra che ciascun
gruppo scout abbia il proprio stile: alcuni insegnano tecniche di vita all'aria
aperta, altri addestrano i ragazzi come soldatini. Dopo la prima guerra
mondiale, il Wandervogel si frantumo', mentre i Boy Scout tedeschi, detti
giovani esploratori, si ribellarono ai propri capi adulti e soppiantarono in
larga misura il movimento originario.
*
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Ma altri individui hanno condotto battaglie per la conquista degli spazi:
sebbene qui abbia parlato soprattutto di spazi selvaggi e rurali, e' molto
interessante anche lo sviluppo dei parchi urbani quali per esempio il Central
Park, un progetto democratico e romantico inteso a offrire le virtu' rurali ai
cittadini che non dispongono delle risorse necessarie per uscire dalla citta'.
Il corpo non impedito e' una questione piu' complessa. I primi tempi del Sierra
Club, quando donne non accompagnate potevano dormire su giacigli di rami di pino
e scalare montagne vestite di pantaloni alle caviglie o di gonnelline corte,
inducono a ritenere che in California la liberazione della donna - o una forma
moderata di essa - ne sia stato un sottoprodotto, dal momento che
l'abbigliamento vittoriano imprigionava le donne nel decoro di respiri brevi,
piccoli passi, equilibrio precario. Il nudismo delle prime associazioni
naturistiche tedesche e austriache suggerisce che per qualcuno andare in collina
facesse parte di un progetto piu' ampio di comunione con la natura, una natura
che per definizione comprendeva pure l'erotismo, e anche per chi restava
vestito, gli abiti consistevano in calzoncini informali che lasciavano scoperto
il corpo. E lo stesso valeva anche per i lavoratori britannici: basta leggere La
situazione delle classi lavoratrici in Inghilterra di Engels sugli orrori della
vita e delle condizioni di lavoro che deformavano e facevano ammalare il corpo
degli operai per capire perche' molti furono disposti a lottare per la liberta'
di camminare a gran passi in spazi aperti e sotto cieli puliti. Il camminare nel
paesaggio fu una risposta ai mutamenti della societa' che rendevano i corpi
degli appartenenti alla classe media anacronismi rinserrati nelle case e negli
uffici e i corpi degli operai pezzi di macchinari industriali.
Rousseau e Wordsworth, i poeti che stanno all'inizio di questa storia del
camminare nel paesaggio, hanno ipotizzato un collegamento tra la liberazione
sociale e la passione per la natura (benche', fortunatamente, nessuno dei due
avrebbe mai potuto immaginare i Boy Scout, le industrie delle attrezzature per
le attivita' all'aria aperta e altri effetti a lungo termine della cultura del
camminare). Le associazioni escursionistiche hanno avvicinato molta gente
qualunque all'immagine poetica del camminatore ideale che si muove liberamente
nel paesaggio.
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Discendenti della stoa e del peripato greci, le strade porticate attenuano
il confine tra dentro e fuori e pagano un tributo architettonico alla vita
pedonale che vi si svolge. Rudofsky individua i famosi "portici" di Bologna, la
via porticata lunga circa sei chilometri che dalla piazza centrale porta in
campagna; la Galleria di Milano, che svolge funzioni meno strettamente
commerciali dei centri commerciali esclusivi che l'hanno presa a modello e ne
hanno assunto il nome; le stradine tortuose di Perugia; le vie pedonalizzate di
Siena; e i portici pubblici sopraelevati di Brisighella. Tratta con appassionato
entusiasmo della "passeggiata" serale degli italiani, per la quale molte citta'
chiudono le strade principali al traffico motorizzato, e la contrappone all'ora
del cocktail americana. Per gli italiani, scrive, la strada e' lo spazio sociale
cardine per l'incontro, la discussione, il corteggiamento, l'acquisto e la
vendita.
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Camminare dopo la mezzanotte: donne, sesso e spazio pubblico
Caroline Wyburgh, diciannove anni d'eta', "usci' a passeggiare" con un
marinaio a Chatham, in Inghilterra. Era il 1870 e gia' da tempo il passeggio era
una componente ufficiale del corteggiamento. Non costava nulla e dava agli
innamorati uno spazio semiprivato dove farsi la corte, vuoi un parco, una piazza
centrale, un viale cittadino, vuoi anche una strada fuori mano (e quegli aspetti
di paesaggio rustico come i vicoli degli innamorati offrivano uno spazio privato
in cui osare di piu'). Forse, nello stesso modo in cui la marcia collettiva
afferma e genera la solidarieta' di gruppo, l'atto delicato di procedere al
ritmo congiunto dei propri passi pone due persone sulla stessa linea in senso
sia emotivo sia corporeo; forse, mentre si cammina insieme nella sera, nella
strada, nel mondo, per la prima volta ci si sente una coppia. Passeggiare
insieme, in quanto modo di fare quel qualcosa che piu' somiglia al non fare
niente, permette di crogiolarsi l'uno nella presenza dell'altra, senza sentirsi
obbligati a conversare continuamente o a compiere l'atto ben piu' impegnativo di
evitare di parlarsi. E in Inghilterra l'espressione "uscire insieme" poteva
assumere un'implicazione esplicitamente sessuale, ma piu' sovente rendeva
manifesto che si era instaurata una relazione continuativa, qualcosa di simile
al "fare coppia fissa" dei giorni nostri. Nel racconto di James Joyce I morti,
il marito, avendo appreso che in gioventu' la moglie ha avuto un pretendente, le
chiede se ami ancora quel ragazzo ormai morto e ne riceve questa devastante
risposta: "Facevamo spesso delle passeggiate insieme".
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Sisifo aerobico e psiche suburbana
La liberta' di camminare vale ben poco se non si ha un luogo dove andare.
Camminare ha avuto una sua eta' dell'oro che, iniziata nel tardo XVIII secolo,
si spense, temo, qualche decennio fa. Fu un'eta' imperfetta, piu' aurea per
alcuni che per altri, eppure eccezionale perche' ha creato luoghi appositi e
dato valore alla camminata per diporto. Visse il suo apice attorno al giro di
boa del XIX secolo, quando nordamericani ed europei si davano appuntamento per
uscire insieme tanto per una passeggiata quanto per un aperitivo o un invito a
cena; andare a piedi aveva spesso una sua sacralita', era anche uno svago di
routine, e fiorivano le associazioni escursionistiche. A quei tempi, le
innovazioni urbane del XIX secolo, come i marciapiedi e le fogne, rendevano piu'
vivibile la citta' non ancora minacciata dalle accelerazioni del secolo
successivo, e gli spazi e le attivita' extraurbane, come i parchi nazionali e
l'alpinismo, erano in crescita e nel primo rigoglio. Poiche' la storia del
camminare si dipana tra le grandi citta' e le campagne, con occasionali
estensioni alle piccole citta' e a qualche montagna, questo libro ha fin qui
indagato la vita pedonale negli spazi urbani e in quelli rurali. Ma se volessimo
apporre una pietra tombale sull'eta' dell'oro del camminare, dovremmo forse
incidervi la data del 1970, l'anno in cui l'ufficio del censimento degli Stati
Uniti provo' che, per la prima volta nella vita di una nazione, la maggior parte
degli abitanti era suburbana. I sobborghi residenziali sono deprivati delle
glorie naturali e delle gioie civiche degli spazi abitativi di storia piu'
antica, e la suburbanizzazione ha cambiato radicalmente la dimensione e il
tessuto della vita quotidiana, quasi sempre in modi ostili al pedone. Questa
trasformazione ha influenzato tanto l'ambiente quanto il pensiero. Di norma,
oggi gli americani percepiscono, apprezzano e usano a tempo, lo spazio e il
proprio corpo con modalita' affatto diverse da quelle del passato. La camminata
copre ancora lo spazio tra i veicoli e gli edifici e la breve distanza che
separa un edificio da un altro, ma e' sempre meno un'attivita' culturale, uno
svago, un viaggio o un modo di muoversi; con il declino, viene anche a mancare
il rapporto consolidato e profondo che si instaura tra il corpo, il mondo e
l'immaginazione. Facendo ricorso a un termine ecologista, sarebbe forse piu'
adeguato pensare al camminare come a una "specie indicatrice" che ha la funzione
di tutelare la salute di un ecosistema, dal momento che la compromissione o il
decremento delle specie possono rappresentare un segnale d'allarme tempestivo
dell'insorgere di un problema sistemico. In tale contesto, il camminare e' una
specie indicatrice di diversi tipi di liberta' e di piaceri: il tempo libero,
uno spazio libero e allettante, un corpo non impedito.
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Camminare e' una delle costellazioni del cielo stellato della cultura
umana, una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo
aperto, e sebbene ciascuna di esse abbia un'esistenza indipendente, sono le
linee tracciate tra di esse - tracciate dall'atto del camminare con scopi
culturali - a farne una costellazione. Le costellazioni non sono fenomeni
naturali, ma imposizioni culturali; le linee tracciate tra le stelle sono come
sentieri consumati dall'immaginazione di coloro che li hanno calcati in
precedenza. La costellazione chiamata "camminare" ha una storia, la storia
percorsa da tutti quei poeti e quei filosofi e quei rivoluzionari, da pedoni
distratti, da passeggiatrici, da pellegrini, turisti, escursionisti, alpinisti,
ma il suo futuro dipende dal fatto che quei sentieri di collegamento vengano
percorsi ancora.
2. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO
DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone
al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo,
in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti:
e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 345 del 5 settembre
2010
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