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Coi piedi per terra. 324
- Subject: Coi piedi per terra. 324
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 15 Aug 2010 12:08:29 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Numero 324 del 15 agosto
2010
In questo numero:
1. Guenther Anders: Comandamenti dell'era atomica
2. La prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly
3. Guenther Anders: Tesi sull'eta' atomica
4. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. REPETITA IUVANT. GUENTHER ANDERS: COMANDAMENTI DELL'ERA ATOMICA
[Nuovamente riproponiamo il seguente testo allegato alla lettera 4 (di
Anders a Eatherly, del 2 luglio 1959), precedentemente apparso nella
"Frankfurter Allgemeine Zeitung" del 13 luglio 1957, che estraiamo dalla
corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima.
Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano
1992, ivi alle pp. 38-50, nella traduzione di Renato Solmi.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non
comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi
negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel
1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro
la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei
maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e
concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle
armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana;
insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri,
certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del
nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino
1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude
Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano
1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale), Bollati
Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea
d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi
figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima
difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si
vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo,
Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare,
ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e' antiquato, Bollati
Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati Boringhieri, Torino 2008. In
rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'",
"Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella
monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su
Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno
scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli
intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo
Cesare Cases e Renato Solmi.
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6
agosto del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal
crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile,
considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Si impegno' nella denuncia
dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e antinucleare. La
corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e il 1961 e' raccolta
nel libro Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino
1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della
propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento Nonviolento del
Piemonte e della Valle d'Aosta. Dal risvolto di copertina del recente volume in
cui sono raccolti taluni dei frutti mggiori del suo magistero riprendiamo la
seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e'
laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso
un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto
Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi.
A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire
i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e
tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa
trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da
tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza
attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha
collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico",
"Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi
Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il
manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni -
oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi,
Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca,
ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy
Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane
Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders,
Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max
Horkheimer e Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980);
Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti
(ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918
(Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente
la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004,
Quodlibet, Macerata 2007] Il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo". Poiche' non devi
cominciare un solo giorno nell'illusione che quello che ti circonda sia un mondo
stabile. Quello che ti circonda e' qualcosa che domani potrebbe essere gia'
semplicemente "stato"; e noi, tu e io e tutti i nostri contemporanei, siamo piu'
"caduchi" di tutti quelli che finora sono stati considerati tali. Poiche' la
nostra caducita' non significa solo il nostro essere "mortali"; e neppure che
ciascuno di noi puo' essere ucciso. Questo era vero anche in passato. Ma
significa che possiamo essere uccisi in blocco, che possiamo essere uccisi come
"umanita'". Dove "umanita'" non e' solo l'umanita' attuale, quella che si
estende e si distribuisce attraverso le regioni terrestri; ma e' anche quella
che si estende attraverso le regioni del tempo: poiche', se l'umanita' attuale
sara' uccisa, si estinguera' con lei anche l'umanita' passata, e anche quella
futura. La porta davanti alla quale ci troviamo reca quindi la scritta: "Nulla
sara' stato", e sull'altro verso le parole: "Il tempo e' stato solo un
interludio". Ma, in questo caso, il tempo non sara' stato un interludio fra due
eternita' (come speravano i nostri antenati), ma un interludio fra due nulla:
fra il nulla di cio' che, nessuno potendolo ricordare, "sara' stato" come se non
fosse mai stato, e il nulla di cio' che non potra' mai essere. E poiche' non ci
sara' nessuno per distinguere i due nulla, essi si confonderanno in un nulla
unico. Ecco quindi la nuova, apocalittica forma di caducita' che e' la nostra, e
accanto alla quale tutto cio' che ha avuto finora questo nome e' diventato
un'inezia. - E perche' questo non ti sfugga, il tuo primo pensiero dopo il
risveglio sia: "Atomo".
*
La possibilita' dell'apocalisse
E questo sia il tuo secondo pensiero dopo il risveglio: "La possibilita'
dell'apocalisse e' opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo". No,
non lo sappiamo; e non lo sanno nemmeno quelli che dispongono e decidono di
essa; poiche' anch'essi sono come noi; anch'essi sono noi; anch'essi sono
radicalmente incompetenti. E' vero che questa incompetenza non e' colpa loro, ma
e' piuttosto l'effetto di una circostanza che non si puo' attribuire a nessuno
di loro ne' di noi: la sproporzione continuamente crescente fra la nostra
facolta' produttiva e la nostra facolta' immaginativa, fra cio' che possiamo
produrre e cio' che possiamo immaginare.
Poiche', nel corso dell'epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra
fantasia e azione si e' rovesciato. Se era naturale, per i nostri antenati,
considerare la fantasia "esorbitante", esuberante, eccessiva, e cioe' tale che
superava e trascendeva l'ambito del reale, oggi i poteri della nostra fantasia
(e i limiti della nostra sensibilita' e della nostra responsabilita') sono
inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si puo' dire che oggi la nostra
fantasia non e' all'altezza degli effetti che possiamo produrre. Non e' solo la
nostra ragione a essere kantianamente limitata e finita, ma anche la nostra
immaginazione e - a maggior ragione - la nostra sensibilita'. Possiamo pentirci,
tutt'al piu', dell'uccisione di un uomo: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla
nostra sensibilita'; possiamo rappresentarci, tutt'al piu', l'uccisione di dieci
uomini: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra immaginazione; ma
ammazzare centomila persone non presenta piu' alcuna difficolta'. E cio' non
solo per ragioni tecniche; e non solo perche' l'azione si e' ridotta a semplice
collaborazione e partecipazione, a un "azionare" che rende invisibile l'effetto,
ma anche e proprio per una ragione di ordine morale: e cioe' perche' la strage
in massa trascende di gran lunga la sfera di quelle azioni che siamo in grado di
rappresentarci concretamente e a cui possiamo reagire sentimentalmente; e la cui
esecuzione potrebbe essere inibita dall'immaginazione o dai sentimenti. - Le tue
verita' successive dovrebbero quindi essere queste: "L'inibizione diminuisce
progressivamente con l'ingrandirsi oltre misura dell'azione"; e "L'uomo e'
minore (piu' piccolo) di se stesso". Questa e' la formula della nostra attuale
schizofrenia, e cioe' del fatto che le nostre varie facolta' operano
separatamente, come entita' isolate e prive di coordinazione che hanno perso il
contatto fra loro.
Ma non e' per formulare nozioni definitive e fatalmente disfattistiche su
noi stessi che devi formulare queste verita': ma, al contrario, per inorridire
della finitezza e per vedere in essa uno scandalo; per sciogliere e allentare
quei limiti irrigiditi e trasformarli in barriere da superare; per revocare e
abolire la schizofrenia. Naturalmente, finche' ti e' concesso di sopravvivere,
puoi anche metterti a sedere, rinunciare ad ogni speranza e rassegnarti alla tua
schizofrenia. Ma se non sei disposto a questo, devi cercare di raggiungere te
stesso, di portarti alla tua propria altezza. E cio' significa (questo e' il tuo
compito) che devi cercare di colmare l'abisso fra le due facolta': la facolta'
produttiva e la facolta' riproduttiva; che devi livellare la differenza di
altezza che le separa; o, in altri termini, che devi sforzarti di allargare
l'ambito limitato della tua immaginazione (e quello ancora piu' ristretto del
tuo sentimento), finche' sentimento ed immaginazione arrivino ad apprendere e a
concepire l'enormita' che sei stato in grado di produrre; finche' tu possa
accettare o respingere cio' che hai inteso. Insomma, il tuo compito consiste
nell'allargare la tua fantasia morale.
*
Non aver paura di aver paura
Il tuo compito successivo e' quello di allargare il tuo senso del tempo.
Poiche' decisivo per la nostra situazione attuale non e' solo (cio' che ormai
sanno tutti) che lo spazio terrestre si e' contratto, e che tutti i luoghi che
si potevano considerare lontani fino a ieri sono ormai localita' viciniori; ma
che anche lo spazio temporale si e' contratto, e che tutti i punti del nostro
sistema temporale si sono avvicinati; che i futuri che potevano sembrare fino a
ieri a distanza irraggiungibile, confinano ormai direttamente col nostro
presente; che li abbiamo trasformati in comunita' attigue. Cio' vale sia per il
mondo orientale che per quello occidentale. Per il mondo orientale, poiche' il
futuro vi e' pianificato in una misura senza precedenti; e il futuro pianificato
non e' piu' un futuro "in grembo agli dei", ma un prodotto in fabbricazione:
che, per il fatto di essere previsto, e' gia' visto come parte integrante dello
spazio in cui ci si trova. In altri termini: poiche' tutto cio' che si fa, lo si
fa per quel prodotto futuro, esso getta gia' la sua ombra sul presente,
appartiene gia', in un senso pragmatico, al presente stesso. E cio' vale, in
secondo luogo (ed e' il caso che ci riguarda), per gli uomini del mondo
occidentale attuale; poiche' questo, anche senza proporselo direttamente, opera
gia' sui futuri piu' remoti: decidendo, ad esempio, della salute o della
degenerazione, e forse dell'esistenza o dell'inesistenza dei suoi nipoti. E non
importa che esso, o, piuttosto, che noi, si miri consapevolmente a questo
risultato: poiche' cio' che conta, da un punto di vista morale, e' soltanto il
fatto. E dal momento che il fatto - l'"azione a distanza" non pianificata - ci
e' noto, continuando ad agire come se non sapessimo quello che facciamo
commettiamo un delitto colposo.
E il tuo pensiero successivo dopo il risveglio sia: "Non esser vile, abbi
il coraggio di aver paura! Astringiti a fornire quel tanto di paura che
corrisponde alla grandezza del pericolo apocalittico!" Anche e proprio la paura
fa parte dei sentimenti che siamo incapaci o riluttanti a fornire; e dire che
abbiamo gia' paura, che ne abbiamo anche troppa, e che viviamo, anzi,
nell'"epoca della paura", e' una frase priva di senso, che, se non e' diffusa ad
arte col preciso intento di ingannare, e' pur sempre uno strumento ideale per
impedire l'avvento di una paura veramente adeguata all'enormita' del pericolo, e
per renderci indolenti e passivi. - E' vero piuttosto il contrario: che viviamo
in un'epoca refrattaria all'angoscia e assistiamo quindi passivamente
all'evoluzione in corso. Percio' vi e' tutta una serie di ragioni (a prescindere
dai limiti della nostra capacita' di sentire), che non e' possibile enumerare
qui (1). Ma non possiamo fare a meno di menzionarne una, a cui gli eventi del
recente passato conferiscono un'attualita' e un'importanza particolare. Si
tratta della mania delle competenze, e cioe' della persuasione, inculcata in noi
dalla divisione del lavoro, che ogni problema rientri in un determinato ambito
giuridico in cui non abbiamo il diritto di interferire e di dire la nostra.
Cosi', per esempio, il problema atomico rientra nella competenza dei politici e
dei militari. E questo "non aver diritto" si trasforma subito e automaticamente
in "non aver bisogno". In altri termini: non c'e' bisogno che mi occupi dei
problemi di cui non sono tenuto e autorizzato ad occuparmi. E posso fare a meno
di aver paura, poiche' la paura stessa viene "sbrigata" in un altro ressort.
Percio' ripeti dopo il tuo risveglio: "Res nostra agitur". Il che significa due
cose: 1) che la cosa ci riguarda perche' ci puo' colpire; e 2) che la pretesa di
alcuni a una competenza di carattere esclusivo e' infondata, perche' siamo
tutti, in quanto uomini, ugualmente incompetenti. Credere che in puncto "fine
del mondo" possa aver luogo una competenza maggiore o minore, e che quelli che
(in seguito a una divisione casuale del lavoro, delle responsabilita' e dei
compiti) sono diventati politici o militari, e che si occupano della
fabbricazione e dell'"impiego" della bomba piu' attivamente o piu' direttamente
di noi, siano percio' piu' "competenti" di noi, e' una follia pura e semplice.
Chi cerca di farcelo credere (che si tratti di questi pretesi competenti o di
altri) dimostra solo la sua incompetenza morale. Ma la nostra situazione morale
finisce per diventare intollerabile quando quei pretesi competenti (che sono
incapaci di vedere i problemi se non in termini tattici) pretendono di
insegnarci che non abbiamo nemmeno il diritto di aver paura, e tanto meno di
porci problemi morali: dal momento che la coscienza morale implica una
responsabilita', e la responsabilita' e' affar loro, affare dei competenti; con
la nostra paura, con la nostra angoscia morale, invaderemmo - secondo loro - un
campo di loro competenza. In conclusione: devi rifiutarti di riconoscere un ceto
privilegiato, un "clero dell'apocalisse": un gruppo che si arroghi una
competenza esclusiva per la catastrofe che sarebbe la catastrofe di tutti. Se ci
e' lecito variare il detto rankiano ("ugualmente vicini a Dio"), potremmo dire
che "ognuno di noi e' ugualmente vicino alla fine possibile". E percio' ognuno
di noi ha lo stesso diritto, e lo stesso dovere, di elevare ad alta voce il suo
monito. A cominciare da te.
*
Contro la discussione di carattere tattico
Non solo la nostra immaginazione, la nostra sensibilita' e la nostra
responsabilita' vengono meno di fronte alla "cosa": ma non siamo neppure in
grado di pensarla. Poiche' sotto qualunque categoria cercassimo di sussumerla,
la penseremmo in modo sbagliato: per il semplice fatto di ridurla sotto una
determinata categoria o classe di concetti, ne faremmo un oggetto fra gli altri
e la minimizzeremmo. Anche se puo' esistere in molti esemplari, e' unica nel suo
genere, non appartiene a nessuna specie: e', quindi, un monstrum.
Disgraziatamente e' proprio questa ("mostruosa") inclassificabilita' a portarci
a trascurare la cosa, o a dimenticarla addirittura. Tendiamo a considerare come
inesistente tutto cio' che non siamo in grado di classificare. Ma nella misura
in cui si parla della cosa (cio' che peraltro non avviene ancora nella
conversazione quotidiana fra gli uomini), tendiamo a classificarla (poiche' e'
la soluzione piu' comoda e meno inquietante) come un'arma, o piu' in generale
come un mezzo. Ma essa non e' un mezzo, poiche' e' essenziale alla natura del
mezzo risolversi nello scopo raggiunto e scomparire, come la via nella meta. Il
che non accade in questo caso. Poiche' anzi l'effetto inevitabile (e perfino
l'effetto consapevolmente ricercato) della cosa e' maggiore di ogni scopo
pensabile; poiche' questo, per forza di cose, scompare e si annulla
nell'effetto. Scompare e si annulla insieme al mondo in cui c'erano ancora "fini
e mezzi". Ed e' chiaro che una cosa che distrugge, con la sua sola esistenza, lo
schema "fini e mezzi", non puo' essere un mezzo. Percio' la tua massima
successiva sia: "Nessuno mi fara' credere che la bomba sia un mezzo". E dal
momento che non e' un mezzo come i milioni di mezzi che compongono il nostro
mondo, non puoi tollerare che sia prodotta come se si trattasse di un
frigorifero, di un dentifricio e nemmeno di una pistola, per costruire la quale
nessuno ci interpella. - E come non devi credere a quelli che la chiamano un
"mezzo", non devi credere nemmeno ai persuasori piu' sottili che sostengono che
la cosa serve esclusivamente alla "dissuasione", ed e' prodotta, cioe', solo
allo scopo di non essere usata. Poiche' non si sono mai visti oggetti il cui
impiego si esaurisse nel loro non essere usati; o, tutt'al piu', vi sono stati
oggetti che, in determinati casi, non furono usati (e cioe' quando la minaccia
del loro uso, spesso gia' avvenuto, si era gia' rivelata sufficiente). Del
resto, non dobbiamo mai dimenticare che la cosa e' gia' stata "usata" realmente
(e senza giustificazione adeguata) a Hiroshima e Nagasaki. Infine, non dovresti
permettere che l'oggetto il cui effetto supera ogni immaginazione sia
classificato in modo falso con un'etichetta sciocca e minimizzante. Quando
l'esplosione di una bomba H e' definita ufficialmente "azione Opa" o "azione
nonnino", non e' solo una manifestazione di cattivo gusto, ma anche un inganno
consapevole.
Inoltre devi opporti e ribellarti tutte le volte che la cosa (la cui
semplice presenza e' gia' una forma di uso) e' discussa da un punto di vista
puramente "tattico". Questo tipo di discussione e' assolutamente inadeguato,
poiche' l'idea di potersi servire tatticamente delle armi atomiche presuppone
l'esistenza di una situazione politica indipendente dal fatto stesso della loro
esistenza. Ma questa e' una supposizione affatto irreale, poiche' la situazione
politica (l'espressione "era atomica" e' perfettamente giustificata) e' definita
dal fatto delle armi atomiche. Non sono le armi atomiche a presentarsi, fra le
altre cose, sulla scena politica, ma sono gli avvenimenti politici a svolgersi
all'interno della situazione atomica; e la maggior parte delle azioni politiche
sono passi intrapresi all'interno di questa situazione. I tentativi di
utilizzare la possibilita' della fine del mondo come una pedina sullo scacchiere
della politica internazionale, indipendentemente o meno dalla loro astuzia, sono
segni di accecamento. L'epoca delle astuzie e' finita. Percio' devi farti un
principio di sabotare tutte le analisi in cui i tuoi contemporanei cercano di
esaminare il fatto del pericolo atomico da un punto di vista puramente tattico,
e di portare la discussione sul punto essenziale: sulla minaccia che pesa
sull'umanita' di un'apocalisse provocata da lei stessa; e fallo anche a costo di
essere deriso come persona priva di realismo politico. In realta', ad essere
poco realisti, sono proprio i puri tattici, che vedono le armi atomiche solo
come mezzi, e che non capiscono che i fini che cercano o pretendono di
raggiungere mediante la loro tattica, sono completamente svuotati di significato
dall'uso (anzi, dalla semplice possibilita' dell'uso) di questi mezzi.
*
La decisione e' gia' stata presa
Non lasciarti ingannare da chi sostiene che ci troveremmo ancora (e ci
troveremo forse sempre) nello stadio sperimentale, nello stadio delle esperienze
di laboratorio. Poiche' questa e' solo una frase. E non solo perche' abbiamo
gia' gettato delle bombe (cio' che molti stranamente dimenticano), e l'epoca "in
cui si fa sul serio" e' quindi gia' cominciata da un pezzo; ma anche perche' (ed
e' la ragione piu' importante) non e' possibile parlare, in questo caso, di
esperimenti. La tua ultima massima sara', quindi, questa: "Per quanto felice
possa essere l'esito degli esperimenti, e' lo sperimentare stesso che fallisce".
E fallisce perche' si puo' parlare di esperimenti solo dove l'evento
sperimentale non esce e non spezza l'ambito isolato e circoscritto del
laboratorio; condizione che non si ritrova in questo caso. Poiche' fa proprio
parte dell'essenza della cosa, e dell'effetto ricercato della maggior parte
degli esperimenti attuali, accrescere il piu' possibile la forza esplosiva e il
fall-out radioattivo dell'arma; e cioe', per quanto contraddittoria possa essere
la formula, provare fino a che punto si possa superare ogni limite sperimentale.
Cio' che e' prodotto dai cosiddetti "esperimenti" non rientra piu', quindi,
nella classe degli effetti sperimentali, ma nello spazio reale, nell'ambito
della storia (dove si trovano, ad esempio, i pescatori giapponesi contagiati dal
fall-out) e perfino della storia futura, poiche' e' il futuro stesso ad essere
investito (ad esempio la salute delle prossime generazioni), e si puo' quindi
dire che il futuro, secondo la formula filosofica del libro di Jungk, "e' gia'
cominciato". E' quindi del tutto illusoria e ingannevole l'affermazione a cui si
ricorre cosi' volentieri, che l'impiego della cosa non e' stato ancora deciso. -
E' vero, invece, che la decisione e' gia' avvenuta attraverso i cosiddetti
esperimenti. Fa quindi parte dei tuoi doveri denunciare e distruggere
l'apparenza che noi si viva ancora nella "preistoria" atomica: e chiamare per
nome cio' che e'.
*
Siamo manipolati dai nostri apparecchi
Ma tutti questi postulati e questi divieti si possono condensare in un solo
comandamento: "Abbi solo quelle cose le cui massime potrebbero diventare le tue
massime e quindi le massime di una legislazione universale".
E' un postulato che puo' lasciare interdetti: l'espressione "massime delle
cose" puo' sembrare, a tutta prima, paradossale. Ma solo perche' strano e
paradossale e' il fatto stesso designato dall'espressione. Cio' che vogliamo
dire e' solo che, vivendo in un mondo di apparecchi, siamo soggetti al
trattamento dei nostri apparecchi (e sempre in un modo determinato dalla natura
degli apparecchi). Ma poiche', d'altra parte, siamo gli utenti di questi
apparecchi, e trattiamo il nostro prossimo per mezzo di essi, finiamo per
trattare il nostro prossimo, anziche' secondo i nostri principi, secondo i modi
di operare degli apparecchi, e cioe', in certo qual modo, secondo le loro
massime. Il postulato esige che ci rendiamo conto di queste massime come se
fossero le nostre (dal momento che lo sono effettivamente e di fatto); che la
nostra coscienza morale, anziche' dedicarsi all'esame di se stessa (che e' ormai
un lusso privo di conseguenze), si dedichi a quello degli "impulsi nascosti" e
dei "principi" dei nostri apparecchi. Esaminando scrupolosamente la propria
anima alla maniera tradizionale, un ministro atomico non vi troverebbe,
probabilmente, nulla di particolarmente peccaminoso; ma esaminando la "vita
intima" dei suoi aggeggi, vi troverebbe niente meno che l'erostratismo, e un
erostratismo su scala cosmica; poiche' erostratico e' il modo in cui le armi
atomiche trattano l'umanita'. Solo quando ci saremo abituati a questa nuova
forma di azione morale ("l'analisi del cuore degli apparecchi"), avremo qualche
motivo di sperare che, dovendo decidere del nostro essere o non-essere, sapremo
decidere per la conservazione del nostro essere.
*
Impossibilita' di non-potere
Il tuo principio successivo sia: "Non credere che quando saremo riusciti a
compiere il primo passo, la cessazione dei cosiddetti esperimenti, il pericolo
si possa considerare passato, e che noi si possa dormire sugli allori". Poiche'
la fine degli esperimenti non significa ancora quella della produzione di bombe
e tanto meno la distruzione delle bombe e dei tipi che sono gia' stati
sperimentati e che sono pronti per l'uso. Vi possono essere varie ragioni per
una cessazione degli esperimenti: uno stato vi si puo' risolvere, ad esempio,
perche' ogni ulteriore esperimento sarebbe superfluo, dal momento che la
produzione dei tipi sperimentati o la riserva di bombe esistenti bastano gia'
per ogni eventualita'; insomma, perche' sarebbe assurdo e antieconomico uccidere
l'umanita' piu' di una volta.
Non credere nemmeno che avremmo diritto di stare tranquilli una volta che
fossimo riusciti ad eseguire il secondo passo (l'arresto della produzione di
bombe A e H), o che potremmo metterci a sedere dopo il terzo passo (la
distruzione di tutte le riserve). Anche in un mondo completamente "pulito" (e
cioe' in un mondo dove non ci fossero piu' bombe A o H, e dove quindi,
apparentemente, non "avremmo" bombe), continueremmo, tuttavia, ad averle,
poiche' sapremmo come fare per produrle. Nella nostra epoca contrassegnata dalla
riproduzione meccanica non si puo' dire che un oggetto possibile non esista,
poiche' cio' che conta non sono gli oggetti fisici reali, ma i loro tipi, i loro
"modelli". Anche dopo aver eliminato tutti gli oggetti fisici che hanno a che
fare con la produzione delle bombe A o H, l'umanita' potrebbe cadere vittima dei
loro disegni. Si potrebbe concludere, allora, che bisogna distruggere questi
ultimi. Ma anche questo e' impossibile, poiche' i modelli sono indistruttibili
come le idee di Platone; in un certo senso sono addirittura la loro
realizzazione diabolica. Insomma, anche se ci riuscisse di distruggere
fisicamente i fatali apparecchi e i loro "modelli", e di salvare cosi' la nostra
generazione: anche questa sarebbe solo una pausa, sarebbe solo una dilazione. La
produzione potrebbe essere ripresa ogni giorno, il terrore rimane, e dovrebbe
restare, quindi, anche la tua paura. D'ora in poi l'umanita' dovra' vivere, per
tutta l'eternita', sotto l'ombra minacciosa del mostro. Il pericolo apocalittico
non si lascia eliminare una volta per tutte, con un atto solo, ma solo con una
serie indefinita di atti quotidiani. Dobbiamo comprendere, insomma (e questa
comprensione finisce di mostrarci il carattere fatale della nostra situazione),
che la nostra lotta contro la permanenza fisica degli ordigni e la loro
costruzione, sperimentazione ed accumulazione rimane, in definitiva,
insufficiente. Poiche' la meta che dobbiamo raggiungere non puo' consistere nel
non-avere la cosa, ma solo nel non adoperarla mai, anche se non possiamo fare in
modo di non averla; nel non adoperarla mai, anche se non ci sara' mai un giorno
in cui non potremmo adoperarla.
Ecco quindi il tuo compito: far capire all'umanita' che nessuna misura
fisica, nessuna distruzione di oggetti materiali potra' mai rappresentare una
garanzia assoluta e definitiva, e che dobbiamo, invece, essere fermamente decisi
a non compiere mai quel passo, anche se sara', in un certo senso, sempre
possibile. Se non riusciamo - si', tu, tu ed io - a infondere questa coscienza e
questa convinzione nell'umanita', siamo perduti.
*
Note
1. Cfr. Guenther Anders, Die Antiquierheit des Menschen, C. H. Beksche
Verlagsbuchhandlung, pp. 264 sgg.
2. REPETITA IUVANT. LA PRIMA LETTERA DI GUENTHER ANDERS A CLAUDE EATHERLY
[Riproponiamo ancora una volta il testo della prima lettera di Guenther
Anders a Claude Eatherly, del 3 giugno 1959, riprendendola dalla corrispondenza
tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la
coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (ivi
alle pp. 27-34), nella classica traduzione di Renato Solmi]
Al signor Claude R. Eatherly
ex maggiore della A. F.
Veterans' Administration Hospital
Waco, Texas
3 giugno 1959
Caro signor Eatherly,
Lei non conosce chi scrive queste righe. Mentre Lei e' noto a noi, ai miei
amici e a me. Il modo in cui Lei verra' (o non verra') a capo della Sua
sventura, e' seguito da tutti noi (che si viva a New York, a Tokio o a Vienna)
col cuore in sospeso. E non per curiosita', o perche' il Suo caso ci interessi
dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici ne' psicologi. Ma
perche' ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a capo dei problemi
morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. La tecnicizzazione
dell'esistenza: il fatto che, indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di
una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli
effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti, non potremmo approvare - questo
fatto ha trasformato la situazione morale di tutti noi. La tecnica ha fatto si'
che si possa diventare "incolpevolmente colpevoli", in un modo che era ancora
ignoto al mondo tecnicamente meno avanzato dei nostri padri.
Lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiche' Lei e' uno dei primi
che si e' invischiato in questa colpa di nuovo tipo, una colpa in cui potrebbe
incorrere - oggi o domani - ciascuno di noi. A Lei e' capitato cio' che potrebbe
capitare domani a noi tutti. E' per questo che Lei ha per noi la funzione di un
esempio tipico: la funzione di un precursore.
Probabilmente tutto questo non Le piace. Vuole stare tranquillo, your life
is your business. Possiamo assicurarLe che l'indiscrezione piace cosi' poco a
noi come a Lei, e La preghiamo di scusarci. Ma in questo caso, per la ragione
che ho appena detto, l'indiscrezione e' - purtroppo - inevitabile, anzi
doverosa. La Sua vita e' diventata anche il nostro business. Poiche' il caso (o
comunque vogliamo chiamare il fatto innegabile) ha voluto fare di Lei, il
privato cittadino Claude Eatherly, un simbolo del futuro, Lei non ha piu'
diritto di protestare per la nostra indiscrezione. Che proprio Lei, e non un
altro dei due o tre miliardi di Suoi contemporanei, sia stato condannato a
questa funzione di simbolo, non e' colpa Sua, ed e' certamente spaventoso. Ma
cosi' e', ormai.
E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. Poiche'
tutti noi dobbiamo vivere in quest'epoca, in cui potremmo incorrere in una colpa
del genere: e come Lei non ha scelto la sua triste funzione, cosi' anche noi non
abbiamo scelto quest'epoca infausta. In questo senso siamo quindi, come direste
voi americani, "on the same boat", nella stessa barca, anzi siamo i figli di una
stessa famiglia. E questa comunita', questa parentela, determina il nostro
rapporto verso di Lei. Se ci occupiamo delle Sue sofferenze, lo facciamo come
fratelli, come se Lei fosse un fratello a cui e' capitata la disgrazia di fare
realmente cio' che ciascuno di noi potrebbe essere costretto a fare domani; come
fratelli che sperano di poter evitare quella sciagura, come Lei oggi spera,
tremendamente invano, di averla potuta evitare allora.
Ma allora cio' non era possibile: il meccanismo dei comandi funziono'
perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque lo ha
fatto. Ma poiche' lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da Lei,
che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se fossimo
al Suo posto. Vede che Lei ci e' estremamente prezioso, anzi indispensabile. Lei
e', in qualche modo, il nostro maestro.
Naturalmente Lei rifiutera' questo titolo. "Tutt'altro, dira', poiche' io
non riesco a venire a capo del mio stato".
*
Si stupira', ma e' proprio questo "non" a far pencolare (per noi) la
bilancia. Ad essere, anzi, perfino consolante. Capisco che questa affermazione
deve suonare, sulle prime, assurda. Percio' qualche parola di spiegazione.
Non dico "consolante per Lei". Non ho nessuna intenzione di volerLa
consolare. Chi vuol consolare dice, infatti, sempre: "La cosa non e' poi cosi
grave"; cerca, insomma, di impicciolire l'accaduto (dolore o colpa) o di farlo
sparire con le parole. E' proprio quello che cercano di fare, per esempio, i
Suoi medici. Non e' difficile scoprire perche' agiscano cosi'. In fin dei conti
sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la condanna morale di
un'azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a cui, anzi, non deve
neppure venire in mente la possibilita' di questa condanna; e che percio' devono
difendere in ogni caso l'irreprensibilita' di un'azione che Lei sente, a
ragione, come una colpa. Ecco perche' i Suoi medici affermano: "Hiroshima in
itself is not enough to explain your behaviour", cio' che in un linguaggio meno
lambiccato significa: "Hiroshima e' meno terribile di quanto sembra"; ecco
perche' si limitano a criticare, invece dell'azione stessa (o "dello stato del
mondo" che l'ha resa possibile), la Sua reazione ad essa; ecco perche' devono
chiamare il Suo dolore e la Sua attesa di un castigo una "malattia" ("classical
guilt complex"); ed ecco perche' devono considerare e trattare la Sua azione
come un "self-imagined wrong", un delitto inventato da Lei. C'e' da stupirsi che
uomini costretti dal loro conformismo e dalla loro schiavitu' morale a sostenere
l'irreprensibilita' della Sua azione, e a considerare quindi patologico il Suo
stato di coscienza, che uomini che muovono da premesse cosi' bugiarde ottengano
dalle loro cure risultati cosi' poco brillanti? Posso immaginare (e La prego di
correggermi se sbaglio) con quanta incredulita' e diffidenza, con quanta
repulsione Lei consideri quegli uomini, che prendono sul serio solo la Sua
reazione, e non la Sua azione. Hiroshima-self-imagined!
Non c'e' dubbio: Lei la sa piu' lunga di loro. Non e' senza ragione che le
grida dei feriti assordano i Suoi giorni, che le ombre dei morti affollano i
Suoi sogni. Lei sa che l'accaduto e' accaduto veramente, e, non e'
un'immaginazione. Lei non si lascia illudere da costoro. E nemmeno noi ci
lasciamo illudere. Nemmeno noi sappiamo che farci di queste
"consolazioni".
No, io dicevo per noi. Per noi il fatto che Lei non riesce a "venire a
capo" dell'accaduto, e' consolante. E questo perche' ci mostra che Lei cerca di
far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire) della
Sua azione; e perche' questo tentativo, anche se dovesse fallire, prova che Lei
ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una
rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando
viva la Sua coscienza ha mostrato che questo e' possibile, e che dev'essere
possibile anche per noi. E sapere questo (e noi lo sappiamo grazie a Lei) e',
per noi, consolante.
"Anche se dovesse fallire", ho detto. Ma il Suo tentativo deve
necessariamente fallire. E precisamente per questo.
Gia' quando si e' fatto torto a una persona singola (e non parlo di
uccidere), anche se l'azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti, e'
tutt'altro che semplice "venirne a capo". Ma qui si tratta di ben altro. Lei ha
la sventura di aver lasciato dietro di se' duecentomila morti. E come sarebbe
possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come sarebbe
possibile pentirsi di 200.000 vittime?
Non solo Lei non lo puo', non solo noi non lo possiamo: non e' possibile
per nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento
restano inadeguati. L'inutilita' dei Suoi sforzi non e' quindi colpa Sua,
Eatherly: ma e' una conseguenza di cio' che ho definito prima come la novita'
decisiva della nostra situazione: del fatto, cioe', che siamo in grado di
produrre piu' di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli effetti
provocati dagli attrezzi che costruiamo sono cosi' enormi che non siamo piu'
attrezzati per concepirli. Al di la', cioe', di cio' che possiamo dominare
interiormente, e di cui possiamo "venire a capo". Non si faccia rimproveri per
il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. Ci mancherebbe altro! Il pentimento
non puo' riuscire. Ma il fallimento stesso dei Suoi sforzi e' la Sua esperienza
e passione di ogni giorno; poiche' al di fuori di questa esperienza non c'e'
nulla che possa sostituire il pentimento, e che possa impedirci di commettere di
nuovo azioni cosi tremende. Che, di fronte a questo fallimento, la Sua reazione
sia caotica e disordinata, e' quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire
che e' un segno della Sua salute morale. Poiche' la Sua reazione attesta la
vitalita' della Sua coscienza.
*
Il metodo usuale per venire a capo di cose troppo grandi e' una semplice
manovra di occultamento: si continua a vivere come se niente fosse; si cancella
l'accaduto dalla lavagna della vita, si fa come se la colpa troppo grave non
fosse nemmeno una colpa. Vale a dire che, per venirne a capo, si rinuncia
affatto a venirne a capo. Come fa il Suo compagno e compatriota Joe Stiborik, ex
radarista sull'Enola Gay, che Le presentano volentieri ad esempio perche'
continua a vivere magnificamente e ha dichiarato, con la miglior cera di questo
mondo, che "e' stata solo una bomba un po' piu' grossa delle altre". E questo
metodo e' esemplificato, meglio ancora, dal presidente che ha dato il "via" a
Lei come Lei lo ha dato al pilota dell'apparecchio bombardiere; e che quindi, a
ben vedere, si trova nella Sua stessa situazione, se non in una situazione
ancora peggiore. Ma egli ha omesso di fare cio' che Lei ha fatto. Tant'e' che
alcuni anni fa, rovesciando ingenuamente ogni morale (non so se sia venuto a
saperlo), ha dichiarato, in un'intervista destinata al pubblico, di non sentire
i minimi "pangs of conscience", che sarebbe una prova lampante della sua
innocenza; e quando poco fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno,
ha tirato le somme della sua vita, ha citato, come sola mancanza degna di
rimorso, il fatto di essersi sposato dopo i trenta. Mi pare difficile che Lei
possa invidiare questo "clean sheet". Ma sono certo che non accetterebbe mai, da
un criminale comune, come una prova d'innocenza, la dichiarazione di non provare
il minimo rimorso. Non e' un personaggio ridicolo, un uomo che fugge cosi'
davanti a se stesso? Lei non ha agito cosi', Eatherly; Lei non e' un personaggio
ridicolo. Lei fa, pur senza riuscirci, quanto e' umanamente possibile: cerca di
continuare a vivere come la stessa persona che ha compiuto l'azione. Ed e'
questo che ci consola. Anche se Lei, proprio perche' e' rimasto identico con la
Sua azione, si e' trasformato in seguito ad essa.
Capisce che alludo alle Sue violazioni di domicilio, falsi e non so quali
altri reati che ha commesso. E al fatto che e' o passa per demoralizzato e
depresso. Non pensi che io sia un anarchico e favorevole ai falsi e alle rapine,
o che dia scarso peso a queste cose. Ma nel Suo caso questi reati non sono
affatto "comuni": sono gesti di disperazione. Poiche' essere colpevole come Lei
lo e' ed essere esaltati, proprio per la propria colpa, come "eroi sorridenti",
dev'essere una condizione intollerabile per un uomo onesto; per porre termine
alla quale si puo' anche commettere qualche scorrettezza. Poiche' l'enormita'
che pesava e pesa su di Lei non era capita, non poteva essere capita e non
poteva essere fatta capire nel mondo a cui Lei appartiene, Lei doveva cercare di
parlare ed agire nel linguaggio intelligibile costi', nel piccolo linguaggio
della petty o della big larceny nei termini della societa' stessa. Cosi' Lei ha
cercato di provare la Sua colpa con atti che fossero riconosciuti come reati. Ma
anche questo non Le e' riuscito.
E' sempre condannato a passare per malato, anziche' per colpevole. E
proprio per questo, perche' - per cosi' dire - non Le si concede la Sua colpa
Lei e' e rimane un uomo infelice.
*
E ora, per finire, un suggerimento.
L'anno scorso ho visitato Hiroshima; e ho parlato con quelli che sono
rimasti vivi dopo il Suo passaggio. Si rassicuri: non c'e' nessuno di quegli
uomini che voglia perseguitare una vite nell'ingranaggio di una macchina
militare (cio' che Lei era, quando, a ventisei anni, esegui' la Sua "missione");
non c'e' nessuno che La odi.
Ma ora Lei ha mostrato che, anche dopo essere stato adoperato come una
vite, e' rimasto, a differenza degli altri, un uomo; o di esserlo ridiventato.
Ed ecco la mia proposta, su cui Lei avra' modo di riflettere.
Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrera', come tutti gli
anni, il giorno in cui "e' avvenuto". A quegli uomini Lei potrebbe inviare un
messaggio, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei
dicesse da uomo a quegli uomini: "Allora non sapevo quel che facevo; ma ora lo
so. E so che una cosa simile non dovra' piu' accadere; e che nessuno puo'
chiedere a un altro di compierla"; e: "La vostra lotta contro il ripetersi di
un'azione simile e' anche la mia lotta, e il vostro 'no more Hiroshima' e' anche
il mio 'no more Hiroshima`, o qualcosa di simile puo' essere certo che con
questo messaggio farebbe una gioia immensa ai sopravvissuti di Hiroshima e che
sarebbe considerato da quegli uomini come un amico, come uno di loro. E che cio'
accadrebbe a ragione, poiche' anche Lei, Eatherly, e' una vittima di Hiroshima.
E cio' sarebbe forse anche per Lei, se non una consolazione, almeno una
gioia.
Col sentimento che provo per ognuna di quelle vittime, La saluto
Guenther Anders
3. REPETITA IUVANT. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA' ATOMICA
[Ancora una volta ripubblichiamo questo breve ma capitale testo di Guenther
Anders. Riprendiamo il testo dall'appendice all'edizione italiana del libro di
Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und Nagasaki,
apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino 1961, nella
traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che cogliamo
l'occasione per salutare e ringraziare ancora una volta). Come li' si specifica,
queste Tesi sull’eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un
dibattito sui problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di
studenti dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell’ottobre 1960 nella
rivista 'Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur' - nota del
traduttore"]
Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento
ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel giorno siamo
onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, cio'
significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente
dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e' l'ultima: poiche' la sua
differenza specifica, la possibilita' dell'autodistruzione del genere umano, non
puo' aver fine - che con la fine stessa.
*
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato il
problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi che
viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo che l'eta'
finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei tempi, non abbia
mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo". Poiche' crediamo alla
possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci apocalittici; ma poiche'
lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata, siamo (e' un tipo che non
c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi atomici, ma
la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di tutti gli
uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici dovrebbero allearsi
contro la minaccia comune. Organizzazioni e manifestazioni pacifiche da cui sono
esclusi proprio quelli con cui si tratta di creare la pace, si risolvono in
ipocrisia, presunzione compiaciuta e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata solo
con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non regge. 1) La
bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui non c'era affatto
il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un potere totalitario. 2)
L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio atomico; oggi e' un argomento
suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto da una situazione politica, che
non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma continuera' a cambiare; mentre la
guerra atomica esclude ogni possibilita' di trasformazione. 4) La minaccia della
guerra atomica, della distruzione totale, e' totalitaria per sua natura: poiche'
vive del ricatto e trasforma la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare,
nel preteso interesse della liberta', l’assoluta privazione della stessa, e' il
non plus ultra dell'ipocrisia.
*
Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi',
nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale, ma
morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci
riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con
l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che
diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
*
Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e'
solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma anche
quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le esplosioni
sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano nell'ambito
del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui, presso di noi,
poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle generazioni", a cui
appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri vicini nel tempo. Se
diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si appicca anche al futuro, e con
la nostra cadono anche le case non ancora costruite di quelli che non sono
ancora nati. E anche i nostri antenati appartengono a questa "internazionale":
poiche' con la nostra fine perirebbero anch'essi, per la seconda volta (se cosi'
si puo' dire) e definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa
seconda morte sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati alla
sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe. Raffigurarci il
non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e' gia' di per se'
abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al compito che dobbiamo
assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo nostro compito non
consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di qualcosa di particolare, in un
contesto universale supposto stabile e permanente, ma nel supporre inesistente
questo contesto, e cioe' il mondo stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa
"astrazione totale" (che corrisponderebbe, sul piano del pensiero e
dell'immaginazione, alla nostra capacita' di distruzione totale) trascende le
forze della nostra immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma
poiche', come homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre
il nulla totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra
"ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di rappresentarci
anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra
epoca: "Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine
di cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a
rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi non
sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
*
Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che
divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra il
dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la nostra
capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
*
Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione. Si
puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita',
dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto", tanto
piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone premendo un
tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola persona. Al
"subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo per provocare
gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che e' troppo grande
per provocare ancora una reazione (per esempio un meccanismo inibitorio).
*
La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro
orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti) e
l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo della
verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa testimone":
molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la filosofia greca.
Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e limitata e il suo orizzonte
assurdamente ristretto. La terra promessa degli "escapisti" di oggi non e' la
fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici in
senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in contrasto
con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si
identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma si
realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado della
nostra angoscia. - Nulla di piu' falso della frase cara alle persone di mezza
cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa tesi ci e'
inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che noi si possa
realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi viviamo piuttosto
nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine all'angoscia. L'imperativo
di allargare la nostra immaginazione significa quindi in concreto che dobbiamo
estendere e allargare la nostra paura. Postulato: "Non aver paura della paura,
abbi coraggio di aver paura. E anche quello di far paura. Fa' paura al tuo
vicino come a te stesso". Va da se' che questa nostra angoscia deve essere di un
tipo affatto speciale: 1) Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di
quelli che potrebbero schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante,
poiche' invece di rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3)
Un'angoscia amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio' che
possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente irrealizzabile. Non e'
nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di fare qualche passo in
avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci spaventare; il fallimento
ripetuto non depone contro la ripetizione del tentativo. Anzi, ogni nuovo
insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in guardia contro il pericolo di
continuare a produrre cio' che non possiamo immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine
delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si puo'
fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze spaziali e
temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione e' stata pagata
a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella, che diventa ogni
giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di immaginare cio' che si
produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui possiamo
assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che possiamo utilizzare
sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la nostra offerta superano
spesso la nostra domanda (e ci costringono a produrre appositamente nuovi
bisogni e richieste); ma la nostra offerta trascende addirittura il nostro
bisogno, consiste di cose di cui non possiamo avere bisogno: cose troppo grandi
in senso assoluto. Cosi' ci siamo messi nella situazione paradossale di dover
addomesticare i nostri stessi prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo
addomesticato finora le forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi
cosiddette "pulite", sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi
cerchiamo di migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro
effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione, che
continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e dimostrano
che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa hanno
prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della concorrenza - ha
perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile diventare. Distruggere
meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori
dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di noi
all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne siano
affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo incompetenti nel
"campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a non "immischiarci".
L'uso di questi termini e' addirittura la prova della loro incompetenza morale:
poiche' in tal modo essi mostrano di credere che la loro posizione dia loro il
monopolio e la competenza per decidere del "to be or not to be" dell'umanita'; e
di considerare l’apocalissi come un "ramo specifico". E' vero che molti di loro
si appellano alla "competenza" solo per mascherare il carattere antidemocratico
del loro monopolio. Se la parola "democrazia" ha un senso, e' proprio quello che
abbiamo il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni che concernono la
"res publica", che vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale
e non ci riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non
si puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come cittadini
e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi siamo la "res
publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione sulla nostra
sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai. Rinunciando a
"immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere democratico.
*
Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare
come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E'
giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E
cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come tale
dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal lavorare; 2)
dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di non
aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo "lavorare"
intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella fase attuale della
rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane invisibile per chi lo
esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne' deve piu' riguardarlo.
Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta moralmente neutrale: "non
olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo lavoro puo' macchiare chi lo
esegue. A questo tipo dominante di prestazione sono oggi assimilate quasi tutte
le azioni affidate agli uomini. Lavoro come mimetizzamento. Questo
mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di sentirsi colpevole, poiche' non
solo non occorre rispondere del lavoro che si fa, ma esso - in teoria - non puo'
rendere colpevoli. Stando cosi' le cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale
("ogni agire e' lavorare") nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e'
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal modo
pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e' piu' un
lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si fa nulla
(anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e l'annientamento).
L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora necessario) non si accorge
piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo dell'azione e quello che la
subisce non coincidono piu', poiche' la causa e l'effetto sono dissociati, non
puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in analogia a "schizofrenia". E' chiaro
che solo chi arriva a immaginare l'effetto ha la possibilita' della verita'; la
percezione non serve a nulla. Questo genere di mimetizzamento e' senza
precedenti: mentre prima i mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima
designata dell'azione, e cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a
proteggere gli autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire
all'autore di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una
vittima; in questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne non
hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie"). La loro
astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento davanti a cui
non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di menzogne; e cio'
perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni. Mentre le menzogne,
finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora si camuffano in altre
guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno gia' in
se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l’espressione "armi
atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende, poiche' da' per
scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo al punto
che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni,
presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose'
irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure
all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche' lavori
"coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza del
mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si
traveste ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se
non sa che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia' accaduto.
Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito all'agire degli
uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella dei prodotti. Essi
sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba atomica (per il semplice
fatto di esistere) e' un ricatto costante: e nessuno potra' negare che il
ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha trovato la sua forma piu' menzognera:
non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani pulite, non c'entriamo. Assurdita' della
situazione: nell'atto stesso in cui siamo capaci dell'azione piu' enorme - la
distruzione del mondo - l'"agire", in apparenza, e' completamente scomparso.
Poiche' la semplice esistenza dei nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda
consueta: che cosa dobbiamo "fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo
usarli solo come "deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in
quanto omette che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre
agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione
"reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire,
"agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e'
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del fatto
che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai prodotti:
i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere, diventano
pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto
nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un
esame di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti potremmo
rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e nell'avere solo
quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che potremmo assumerci come
agire personale.
*
Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che
la subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo
dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire subire
senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita', peraltro
affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai
vista. Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la
vittima non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla
di piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore
positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima, e'
quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara'
quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei" di
ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare veramente
occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non potra' entrare
minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e proprie: e la
schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che odiare e colpire
saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della catastrofe,
si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore degli uomini, la
massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa? Continuiamo come se non
lo fossimo!". 4. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI
OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO
AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone
al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo,
in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti:
e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in
cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 324 del 15 agosto
2010
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