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Coi piedi per terra. 273
- Subject: Coi piedi per terra. 273
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 25 Jun 2010 12:33:19 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 273 del 25 giugno 2010
In questo numero:
1. Segnalazioni librarie
2. Guenther Anders: Tesi sull'eta' atomica
3. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Adriana Cavarero, Franco Restaino, Le filosofie femministe, Paravia,
Torino 1999, Bruno Mondadori, Milano 2002, 2009, pp. VI + 266.
- Pieranna Garavaso, Nicla Vassallo, Filosofia delle donne, Laterza,
Roma-Bari 2007, pp. VIII + 170.
- Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001,
pp. 272.
- Chiara Zamboni, La filosofia donna, Demetra, Colognola ai colli (Verona)
1997, pp. 160.
2. TESTI. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA'
ATOMICA
[Ancora una volta ripubblichiamo questo breve ma capitale testo di Guenther
Anders. Riprendiamo il testo dall'appendice all'edizione italiana del libro di
Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und Nagasaki,
apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino 1961, nella
traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che cogliamo
l'occasione per salutare e ringraziare ancora una volta). Come li' si specifica,
queste Tesi sull’eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un
dibattito sui problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di
studenti dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell’ottobre 1960 nella
rivista 'Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur' - nota del
traduttore".
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non
comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi
negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel
1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro
la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei
maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e
concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle
armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana;
insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri,
certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del
nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino
1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude
Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano
1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale), Bollati
Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea
d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi
figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima
difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si
vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo,
Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare,
ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e' antiquato, Bollati
Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati Boringhieri, Torino 2008. In
rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'",
"Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella
monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su
Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno
scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli
intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo
Cesare Cases e Renato Solmi.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della
propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento Nonviolento del
Piemonte e della Valle d'Aosta. Dal risvolto di copertina del recente volume in
cui sono raccolti taluni dei frutti mggiori del suo magistero riprendiamo la
seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e'
laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso
un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto
Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi.
A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire
i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e
tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa
trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da
tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza
attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha
collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico",
"Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi
Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il
manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni -
oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi,
Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca,
ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy
Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane
Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders,
Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max
Horkheimer e Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980);
Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti
(ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918
(Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente
la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004,
Quodlibet, Macerata 2007]
Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento
ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel giorno siamo
onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, cio'
significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente
dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e' l'ultima: poiche' la sua
differenza specifica, la possibilita' dell'autodistruzione del genere umano, non
puo' aver fine - che con la fine stessa.
*
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato il
problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi che
viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo che l'eta'
finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei tempi, non abbia
mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo". Poiche' crediamo alla
possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci apocalittici; ma poiche'
lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata, siamo (e' un tipo che non
c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi atomici, ma
la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di tutti gli
uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici dovrebbero allearsi
contro la minaccia comune. Organizzazioni e manifestazioni pacifiche da cui sono
esclusi proprio quelli con cui si tratta di creare la pace, si risolvono in
ipocrisia, presunzione compiaciuta e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata solo
con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non regge. 1) La
bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui non c'era affatto
il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un potere totalitario. 2)
L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio atomico; oggi e' un argomento
suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto da una situazione politica, che
non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma continuera' a cambiare; mentre la
guerra atomica esclude ogni possibilita' di trasformazione. 4) La minaccia della
guerra atomica, della distruzione totale, e' totalitaria per sua natura: poiche'
vive del ricatto e trasforma la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare,
nel preteso interesse della liberta', l’assoluta privazione della stessa, e' il
non plus ultra dell'ipocrisia.
*
Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi',
nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale, ma
morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci
riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con
l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che
diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
*
Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e'
solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma anche
quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le esplosioni
sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano nell'ambito
del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui, presso di noi,
poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle generazioni", a cui
appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri vicini nel tempo. Se
diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si appicca anche al futuro, e con
la nostra cadono anche le case non ancora costruite di quelli che non sono
ancora nati. E anche i nostri antenati appartengono a questa "internazionale":
poiche' con la nostra fine perirebbero anch'essi, per la seconda volta (se cosi'
si puo' dire) e definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa
seconda morte sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati alla
sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe. Raffigurarci il
non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e' gia' di per se'
abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al compito che dobbiamo
assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo nostro compito non
consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di qualcosa di particolare, in un
contesto universale supposto stabile e permanente, ma nel supporre inesistente
questo contesto, e cioe' il mondo stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa
"astrazione totale" (che corrisponderebbe, sul piano del pensiero e
dell'immaginazione, alla nostra capacita' di distruzione totale) trascende le
forze della nostra immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma
poiche', come homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre
il nulla totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra
"ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di rappresentarci
anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra
epoca: "Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine
di cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a
rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi non
sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
*
Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che
divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra il
dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la nostra
capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
*
Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione. Si
puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita',
dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto", tanto
piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone premendo un
tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola persona. Al
"subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo per provocare
gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che e' troppo grande
per provocare ancora una reazione (per esempio un meccanismo inibitorio).
*
La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro
orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti) e
l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo della
verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa testimone":
molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la filosofia greca.
Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e limitata e il suo orizzonte
assurdamente ristretto. La terra promessa degli "escapisti" di oggi non e' la
fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici in
senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in contrasto
con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si
identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma si
realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado della
nostra angoscia. - Nulla di piu' falso della frase cara alle persone di mezza
cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa tesi ci e'
inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che noi si possa
realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi viviamo piuttosto
nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine all'angoscia. L'imperativo
di allargare la nostra immaginazione significa quindi in concreto che dobbiamo
estendere e allargare la nostra paura. Postulato: "Non aver paura della paura,
abbi coraggio di aver paura. E anche quello di far paura. Fa' paura al tuo
vicino come a te stesso". Va da se' che questa nostra angoscia deve essere di un
tipo affatto speciale: 1) Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di
quelli che potrebbero schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante,
poiche' invece di rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3)
Un'angoscia amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio' che
possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente irrealizzabile. Non e'
nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di fare qualche passo in
avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci spaventare; il fallimento
ripetuto non depone contro la ripetizione del tentativo. Anzi, ogni nuovo
insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in guardia contro il pericolo di
continuare a produrre cio' che non possiamo immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine
delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si puo'
fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze spaziali e
temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione e' stata pagata
a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella, che diventa ogni
giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di immaginare cio' che si
produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui possiamo
assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che possiamo utilizzare
sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la nostra offerta superano
spesso la nostra domanda (e ci costringono a produrre appositamente nuovi
bisogni e richieste); ma la nostra offerta trascende addirittura il nostro
bisogno, consiste di cose di cui non possiamo avere bisogno: cose troppo grandi
in senso assoluto. Cosi' ci siamo messi nella situazione paradossale di dover
addomesticare i nostri stessi prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo
addomesticato finora le forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi
cosiddette "pulite", sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi
cerchiamo di migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro
effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione, che
continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e dimostrano
che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa hanno
prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della concorrenza - ha
perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile diventare. Distruggere
meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori
dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di noi
all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne siano
affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo incompetenti nel
"campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a non "immischiarci".
L'uso di questi termini e' addirittura la prova della loro incompetenza morale:
poiche' in tal modo essi mostrano di credere che la loro posizione dia loro il
monopolio e la competenza per decidere del "to be or not to be" dell'umanita'; e
di considerare l’apocalissi come un "ramo specifico". E' vero che molti di loro
si appellano alla "competenza" solo per mascherare il carattere antidemocratico
del loro monopolio. Se la parola "democrazia" ha un senso, e' proprio quello che
abbiamo il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni che concernono la
"res publica", che vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale
e non ci riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non
si puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come cittadini
e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi siamo la "res
publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione sulla nostra
sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai. Rinunciando a
"immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere democratico.
*
Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare
come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E'
giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E
cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come tale
dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal lavorare; 2)
dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di non
aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo "lavorare"
intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella fase attuale della
rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane invisibile per chi lo
esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne' deve piu' riguardarlo.
Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta moralmente neutrale: "non
olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo lavoro puo' macchiare chi lo
esegue. A questo tipo dominante di prestazione sono oggi assimilate quasi tutte
le azioni affidate agli uomini. Lavoro come mimetizzamento. Questo
mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di sentirsi colpevole, poiche' non
solo non occorre rispondere del lavoro che si fa, ma esso - in teoria - non puo'
rendere colpevoli. Stando cosi' le cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale
("ogni agire e' lavorare") nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e'
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal modo
pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e' piu' un
lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si fa nulla
(anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e l'annientamento).
L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora necessario) non si accorge
piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo dell'azione e quello che la
subisce non coincidono piu', poiche' la causa e l'effetto sono dissociati, non
puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in analogia a "schizofrenia". E' chiaro
che solo chi arriva a immaginare l'effetto ha la possibilita' della verita'; la
percezione non serve a nulla. Questo genere di mimetizzamento e' senza
precedenti: mentre prima i mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima
designata dell'azione, e cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a
proteggere gli autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire
all'autore di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una
vittima; in questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne non
hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie"). La loro
astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento davanti a cui
non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di menzogne; e cio'
perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni. Mentre le menzogne,
finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora si camuffano in altre
guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno gia' in
se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l’espressione "armi
atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende, poiche' da' per
scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo al punto
che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni,
presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose'
irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure
all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche' lavori
"coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza del
mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si
traveste ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se
non sa che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia' accaduto.
Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito all'agire degli
uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella dei prodotti. Essi
sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba atomica (per il semplice
fatto di esistere) e' un ricatto costante: e nessuno potra' negare che il
ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha trovato la sua forma piu' menzognera:
non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani pulite, non c'entriamo. Assurdita' della
situazione: nell'atto stesso in cui siamo capaci dell'azione piu' enorme - la
distruzione del mondo - l'"agire", in apparenza, e' completamente scomparso.
Poiche' la semplice esistenza dei nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda
consueta: che cosa dobbiamo "fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo
usarli solo come "deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in
quanto omette che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre
agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione
"reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire,
"agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e'
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del fatto
che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai prodotti:
i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere, diventano
pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto
nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un
esame di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti potremmo
rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e nell'avere solo
quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che potremmo assumerci come
agire personale.
*
Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che
la subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo
dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire subire
senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita', peraltro
affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai
vista. Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la
vittima non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla
di piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore
positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima, e'
quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara'
quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei" di
ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare veramente
occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non potra' entrare
minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e proprie: e la
schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che odiare e colpire
saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della catastrofe,
si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore degli uomini, la
massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa? Continuiamo come se non
lo fossimo!". 3. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO
DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di
Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail:
info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa
Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
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COI PIEDI PER TERRA
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Numero 273 del 25 giugno 2010
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