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Coi piedi per terra. 261
- Subject: Coi piedi per terra. 261
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Jun 2010 11:08:44 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 261 del 13 giugno 2010
In questo numero:
1. Oggi a Viterbo un incontro con Riccardo Orioles
2. Jean-Marie Muller: Momenti e metodi dell'azione nonviolenta (parte
prima)
3. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. INCONTRI. OGGI A VITERBO UN INCONTRO CON
RICCARDO ORIOLES
Oggi, domenica 13 giugno 2010 con inizio alle ore
15,30 presso il centro sociale autogestito "Valle Faul" in strada Castel d'Asso
snc a Viterbo si svolgera' un incontro con Riccardo Orioles.
L'incontro si tiene nell'ambito del percorso di
formazione e informazione nonviolenta in corso da alcuni mesi e giunto al
ventottesimo appuntamento.
L'iniziativa e' ovviamente aperta alla
partecipazione di tutte le persone interessate.
*
Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at gmail.com) e'
giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e
intellettuale (e quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i
piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I
Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura in
rete "La Catena di San Libero", un eccellente notiziario che puo' essere
richiesto gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha
formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi
giovani.
Per gli utenti della rete telematica vi e' anche la
possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso
autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra (ora e'
anche il titolo di un suo libro a stampa, una raccolta di suoi scritti a
cura di Francesco Feola e Luca Rossomando, pubblicato dalla casa editrice
Melampo, Milano 2009). Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di
traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e
culturale, giornalistici e letterari.
Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due
libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di
cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999).
2. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: MOMENTI E METODI DELL'AZIONE NONVIOLENTA
(PARTE PRIMA)
[Riproponiamo ancora una volta il testo di un opuscolo edito dal Movimento
Nonviolento che a sua volta riproduceva anastaticamente un capitolo di una piu'
ampia opera. L'opuscolo e': Jean-Marie Muller, Momenti e metodi dell'azione
nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, s. i. l. 1981; il libro e'
Jean-Marie Muller, Strategia dell'azione nonviolenta, Marsilio, Venezia-Padova
1975 (il capitolo e' il settimo, alle pp. 73-99). Noi riproduciamo qui il testo
di Muller senza le note dell'autore e senza la presentazione del traduttore
Matteo Soccio (uno dei maggiori studiosi ed amici della nonviolenza in Italia),
rinviando per la lettura del testo integrale all'acquisto dell'opuscolo,
disponibile presso il Movimento nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente,
ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative
nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi
presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits
(Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo
avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle
armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour
une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader
dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente
armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel
far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato
dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza,
Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977;
Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e
metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico
della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses
Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la
non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005]
In questo capitolo vorremmo precisare quali sono i diversi momenti di una
campagna di azione nonviolenta tipo, e quali sono le modalita' di ognuno di
questi momenti. Anche se non abbiamo intenzione di dare delle ricette che
basterebbe applicare alla lettera in ogni situazione per raggiungere il
successo, non ci sembra inutile riunire gli insegnamenti tratti dalle azioni
compiute in passato e classificarli secondo un ordine che risponde a una certa
logica. Non si rende sterile l'immaginazione se le offriamo uno schema in cui
essa, come ci ha dimostrato l'esperienza, abbia le maggiori possibilita' di
esercitarsi utilmente. Se anche queste indicazioni non ci garantissero il
successo dell'azione, esse almeno dovrebbero evitarci numerosi errori che ci
assicurerebbero il fallimento.
*
1. Analisi della situazione
E' essenziale che prima di decidere l'azione si abbia una conoscenza esatta
della situazione in cui s'inserisce quell'ingiustizia che si vuole denunciare e
combattere. Se i responsabili dell'azione dimostrassero di non essere
sufficientemente a conoscenza dei fatti, cio' discrediterebbe gravemente il
movimento. Inoltre, e' molto importante esprimere sui fatti un giudizio
razionale e coerente che miri alla maggiore obiettivita' possibile. Sappiamo
quanto grande sia la tentazione d'ingigantire i fatti e di esagerarne la
gravita', nella presentazione che ne viene data, fino al punto di rendere
ridicola la posizione dell'avversario. Credere pero' che questo stratagemma
possa avere una qualche efficacia e' un'illusione. Al contrario, sara' allora
facile all'avversario far valere, servendosi di argomenti convincenti, l'aspetto
esagerato delle accuse mosse contro di lui, e dare cosi' l'apparenza di potersi
giustificare totalmente. Invece la conoscenza rigorosa dei fatti e la loro
esatta presentazione costituiscono una carta vincente per la posizione dei
responsabili del movimento. La possibilita' di giustificare ogni volta, con
prove alla mano, le affermazioni addotte e' un elemento di prim'ordine nel
rapporto di forze che si va creando tra gli avversari.
Si tratta percio' di fare un'inchiesta e di preparare un dossier sui fatti
per essere sicuri della fondatezza di tutte le informazioni ricevute sui motivi
delle lamentele sollevate e tener conto solo di quelle che hanno potuto essere
verificate. In questo lavoro, non e' sufficiente limitarsi ai fatti: e'
importante capirli al fine di sapere come e perche' l'ingiustizia si e'
manifestata e si e' mantenuta. Conviene in particolare conoscere quali sono le
forze sociali, politiche ed economiche implicate nella situazione, quali sono
gli atteggiamenti pratici delle parti in gioco e quali le giustificazioni
teoriche che ne vengono date. E' importante analizzare la struttura di potere
che predomina nelle relazioni tra le diverse parti allo scopo di individuare chi
detiene il potere di decisione. Inoltre, e' opportuno sapere cosa dice la legge
a proposito delle controversie che oppongono le parti in causa. A questo
proposito non si potra' fare a meno di consultare un giurista competente.
Quest'analisi deve permetterci di fare con cognizione di causa una scelta
politica con cui si potra' decidere quali saranno i nostri alleati e quali i
nostri avversari nel conflitto in corso.
*
2. Scelta dell'obiettivo
In base all'analisi della situazione, si dovra' scegliere l'obiettivo da
raggiungere attraverso l'azione. La scelta dell'obiettivo e' essenziale poiche'
da essa soltanto puo' dipendere la riuscita o l'insuccesso del movimento.
Converra' scegliere un obiettivo preciso, limitato e possibile. Nella scelta di
questo obiettivo bisognera' tenere conto dei diritti dell'avversario e fare in
modo - per quanto e' possibile - che egli non debba perdere la faccia
nell'accettare le rivendicazioni che gli sono state fatte. L'obiettivo deve
essere determinato in modo tale da iscriversi in una prospettiva futura che
permetta se non proprio una reale riconciliazione - questa, secondo ogni
verosimiglianza, non potra' raggiungersi che piu' tardi -, per lo meno una
coesistenza pacifica tra le due parti. L'obiettivo deve apparire allora come un
contributo positivo per l'avvenire di tutta la comunita'.
Le rivendicazioni del movimento devono essere realistiche e suscettibili di
essere accettate dall'avversario. Conviene percio' distinguere cio' che sarebbe
auspicabile da cio' che e' possibile. Il successo di un'azione e' raggiunto solo
quando si sia ottenuto cio' che si e' rivendicato; chiedere l'impossibile
significa inevitabilmente andare incontro al fallimento. Una sola campagna di
azioni non bastera' a sopprimere un'ingiustizia profondamente radicata nelle
strutture e nelle mentalita'. Saranno necessarie in seguito altre campagne con
obiettivi via via piu' ambiziosi. E' importante, nel momento iniziale, che la
campagna d'azione non si trovi ridotta a una campagna di proteste a causa di un
obiettivo sproporzionato rispetto ai mezzi di cui dispone il movimento. E'
essenziale per questo movimento vincere il confronto, soprattutto per poter dare
piena coscienza della loro forza e piena fiducia a quelli che fino a quel
momento sono stati le vittime rassegnate dell'ingiustizia. E' opportuno quindi
stabilire cio' che deve essere preteso in modo che non si debba fare alcuna
concessione nel corso dei futuri negoziati. La strategia della nonviolenza non
e' una strategia di mutue concessioni. Il piu' delle volte, si pretende piu' di
quanto si vuole, per essere certi di raggiungere cio' che si vuole. In questo
caso invece ci si sforza di fissare sin dall'inizio cio' che deve e puo' essere
richiesto, e si resta fermi su questa posizione per tutta la durata della lotta,
senza fare concessioni. Nella lotta nonviolenta, sottolinea Gandhi, "il minimo
e' anche il massimo, e siccome e' un minimo irriducibile, non si puo' parlare di
ritirata. Il solo movimento possibile e' un avanzamento". Qui pertanto, non si
tratta di esigere l'impossibile per ottenere il possibile ma si tratta di
esigere il possibile e di attenersi ad esso senza mai transigere, a meno che non
si debbano riconoscere e soddisfare certe eventuali rivendicazioni
dell'avversario che, durante il conflitto, fossero comprese come giuste.
*
3. Primi negoziati
Conviene entrare al piu' presto possibile in contatto diretto con
l'avversario, prima di portare la controversia sulla pubblica piazza, allo scopo
di tentare tutto cio' che e' possibile per risolvere il conflitto senza dover
ricorrere alla prova di forza. Si tratta allora di far conoscere ai
rappresentanti della parte avversa le conclusioni a cui l'analisi della
situazione ha condotto e di far valere le rivendicazioni del movimento
precisando l'obiettivo che questo ha deciso di raggiungere. Sin da questo
momento e' importante dar prova della piu' rigorosa cortesia nei confronti
dell'avversario. In particolare e' opportuno evitare di far pesare sui propri
interlocutori minacce destinate a "incutere paura". Conviene invece sforzarsi di
far capire che il cambiamento della situazione cosi' com'e' ricercato e', tutto
sommato, meno minaccioso per l'avversario del mantenimento dello status quo. Il
clima che si istaurera' durante questi primi negoziati determinera' in buona
parte il clima di tutto il conflitto. E' percio' essenziale impegnarsi a crearlo
in modo tale che disponga l'avversario non ad inasprire gli antagonismi, ma a
ridurli. Questi primi negoziati devono permettere alle due parti di conoscersi
meglio. Conviene a questo proposito osservare attentamente le reazioni dei
propri interlocutori e gli argomenti che adducono in risposta alle accuse
mosse.
Nel momento stesso in cui si da' prova della piu' stretta cortesia e'
importante anche dare prova della massima fermezza e della massima
determinazione. Le manifestazioni di "comprensione", le assicurazioni "di
studiare seriamente il dossier" e magari le promesse di fare "tutto cio' che e'
possibile", che possono essere formulate dall'avversario nel corso di questi
negoziati e' opportuno siano accolte senza processi alle intenzioni. Nessuna
necessita' strategica obbliga a sospettare di malafede queste manifestazioni di
"buona volonta'". La fermezza e il rifiuto di transigere non guadagnano affatto
in forza puntando sulla sistematica diffidenza nei confronti dell'avversario. Ma
deve essere chiaro che il movimento non si accontenta in nessun momento di
promesse, ma che aspetta invece delle decisioni. Esso accettera' di sospendere
la sua azione solo quando sara' raggiunto un accordo definitivo che metta fine
al conflitto.
Cosi', nel corso dei negoziati tra i neri e i bianchi, durante il
boicottaggio degli autobus di Montgomery, "alcuni membri del comitato bianco ci
suggerirono di ritornare a servirci degli autobus e di rimandare la discussione
per un possibile accordo a dopo le feste natalizie, assicurando che la comunita'
avrebbe accolto con maggior simpatia le nostre richieste, se la protesta fosse
stata intanto sospesa. La nostra risposta fu ancora una volta negativa. Tutti i
nostri sforzi, infatti, sarebbero stati vani, se avessimo sospeso la protesta in
seguito ad una vaga promessa di futuri accordi" (M. L. King).
E' raro che un accordo possa concludersi gia' con i primi negoziati.
Questi, quando si trovano ad un punto morto, devono essere sospesi ma non rotti
definitivamente, perche' e' proprio fine dell'azione diretta la ripresa dei
negoziati. Conviene pertanto, nei limiti del possibile, mantenere continui
contatti con l'avversario per tutta la durata dei conflitto.
Secondo un principio fondamentale della strategia, il tempo dei negoziati
deve essere pure il tempo della preparazione alla prova di forza. I negoziati
devono essere leali, e d'altronde e' interesse del movimento che essi riescano.
Ma si tratta anche di prevedere l'avvenire e di prepararsi.
*
4. Appello all'opinione pubblica
In seguito al fallimento dei primi negoziati, bisognera' sforzarsi di fare
esplodere l'ingiustizia di fronte all'opinione pubblica con tutti i mezzi di
informazione di cui puo' disporre il movimento. Si tratta di ricercare il
massimo di "pubblicita'" nel senso tecnico della parola, e cioe' di raggiungere
il pubblico per fargli conoscere le ragioni e gli obiettivi dei movimento. E'
molto importante mantenere l'iniziativa dell'informazione e di vigilare
affinche' il senso dell'azione non venga ne' deformato ne' falsificato. Certo la
pubblicita' nasconde tranelli da cui bisognera' guardarsi, ma non per questo
essa, in quanto strumento di comunicazione con il pubblico, e' meno
indispensabile. Facciamo notare che si tratta di mettere l'opinione pubblica di
fronte alle proprie responsabilita', ma non si tratta di colpevolizzare. Si
tratta di farle prendere coscienza dell'ingiustizia e non invece di attribuirle
cattiva coscienza di fronte ad essa. La cattiva coscienza paralizza piu' di
quanto non mobiliti.
Bisognera' cercare di creare un "fatto di cronaca" e redigere a tal fine
comunicati nei quali verranno esposte le ragioni e gli obiettivi dei movimento.
Si trattera' quindi di informare i partiti, i movimenti, le organizzazioni e le
personalita' suscettibili di dare il loro sostegno all'azione progettata. Si
potra' organizzare una distribuzione di volantini e potra' essere molto efficace
"far parlare i muri" per mezzo di scritte e di manifesti che espongono in poche
parole i dati della situazione e le soluzioni previste per porvi rimedio.
Sara' opportuno, per dare forza a questa affermazione, organizzare delle
manifestazioni che sono un confronto diretto con il pubblico, allo scopo di
informarlo e di farlo reagire di fronte agli argomenti sostenuti dai
manifestanti. Queste manifestazioni dovrebbero, inoltre, permettere a quelli che
sono disposti a partecipare all'azione, di contarsi, di conoscersi e di
organizzarsi. E' essenziale che quelli che sono vittime dirette dell'ingiustizia
denunciata possano partecipare a queste manifestazioni. Questa dovrebbe essere
per loro l'occasione di prendere coscienza della propria forza, di vincere la
paura e di sviluppare la volonta' di resistenza.
Questo confronto del pubblico con le posizioni sostenute dal movimento deve
permettere di correggere cio' che deve essere corretto e di individuare meglio
gli argomenti sui quali e' piu' opportuno insistere. Percio' e' importante
osservare attentamente e registrare le reazioni degli spettatori. Queste sono
delle preziose indicazioni che devono permettere di capire meglio i rapporti di
forza esistenti tra il movimento e la popolazione, e di orientare meglio
l'evoluzione del conflitto.
Nel corso di tutte queste manifestazioni pubbliche, la scelta degli slogan
deve essere compiuta anticipatamente dai responsabili del movimento. Gli slogan
non devono essere numerosi. I partecipanti devono sottomettersi rigorosamente
alla scelta che sara' stata effettuata e in nessun caso dovranno introdurre
nella manifestazione altri slogan di loro scelta. Nella scelta degli slogan e'
un'esigenza strategica quella di cercare la parola giusta che nomini e
qualifichi le situazioni che si cerca di correggere. L'impatto della parola
deriva dalla sua giustezza e non dalla sua violenza. A questo proposito Danilo
Dolci rievoca un fatto tanto minuscolo quanto significativo. Con un gruppo
eterogeneo di giovani, egli aveva promosso una marcia da Milano a Roma, per
manifestare soprattutto la loro opposizione alla guerra nel Vietnam. Nel
raccontare questa marcia, Dolci scrive: "Poiche' alcuni gruppetti di ragazzi a
tratti scandiscono "Johnson torna alle tue vacche" molti contadini dei borghi
che attraversiamo, soprattutto in Emilia, non sembrano affatto persuasi; sono
come offesi: "le vacche non sono forse importanti?", mormorano. I ragazzi
cominciano a comprendere chilometro dopo chilometro la distinzione tra sfogo
rabbioso e capacita' di penetrare nelle popolazioni affinche' ciascuno si muova
ad assumere una posizione cosciente ed esplicita di fronte alla guerra". Cosi',
quando giungeranno a Roma, gli slogan scelti si riveleranno piu' incisivi e piu'
efficaci.
Conviene sottolineare l'importanza, nel corso di queste manifestazioni
pubbliche, dell'atteggiamento esteriore dei manifestanti che e' un mezzo
essenziale di espressione e di comunicazione. "Al di la' delle parole scritte e
pronunciate, il corpo umano e' impiegato per testimoniare in modo drammatico i
fatti e le verita' legati al problema in questione" (Hildegard Gos-Mayr).
Soltanto un atteggiamento calmo e disciplinato da parte dei manifestanti potra'
dare alla manifestazione un carattere di nobilta' e di dignita' che le dara' una
maggiore forza. Al contrario, un atteggiamento rilassato e disordinato dei
manifestanti non potrebbe non incidere negativamente sugli spettatori.
Queste prime manifestazioni pubbliche devono essere innanzitutto strumenti
di persuasione capaci di far valere la giustezza della causa sostenuta, ma esse
costituiscono gia' dei mezzi di pressione che preparano la messa in opera dei
mezzi di costrizione.
Senza pretendere di essere esaurienti, citiamo alcuni metodi di
manifestazione pubblica:
- Comunicati. La presa di posizione pubblica di diverse personalita'
attraverso un comunicato rilasciato alla stampa puo' fornire una preziosa
garanzia a questa o a quella rivendicazione. Tuttavia un tale metodo e' efficace
solo se il testo dei comunicato e' sufficientemente forte e preciso in modo che
il fatto di sottoscriverlo sia gia' di per se stesso un impegno. Purtroppo cio'
non e' il caso della maggior parte dei comunicati a cui siamo abituati,
soprattutto in Francia. Troppi intellettuali e artisti "di sinistra" - in
pratica sempre gli stessi - si accontentano di firmare regolarmente comunicati
che protestano per principio contro questo o quell'attentato alla democrazia,
senza che cio' abbia in genere la minima incidenza sul fatto in questione.
Precisiamo tuttavia che non si deve rimproverare a questa elite di fare questo,
ma le si deve rimproverare di far soltanto questo.
- Petizioni. Promuovere una petizione significa raccogliere il maggior
numero di firme in fondo a un testo che denunci una certa ingiustizia e richieda
una certa soluzione appropriata. Questo testo verra' successivamente spedito, o
consegnato direttamente da una delegazione, a quelli che hanno il potere di
decidere in merito al problema posto. Questa procedura puo' rivelarsi efficace
nel caso in cui sia possibile raccogliere un numero rilevante di firme. Tuttavia
la facilita' con cui si firma un testo rischia di ridurre la portata di una tale
iniziativa.
Facciamo notare a questo punto che le due prime azioni politiche di Gandhi
furono appunto la redazione e l'invio di due petizioni. Infatti, nel 1894 quando
Gandhi, su proposta dei compatrioti residenti nel Sud-Africa, accetto' di
rinviare il suo ritorno in India per condurre sul posto la lotta contro il
razzismo che gravava sulla comunita' indiana, la prima decisione che egli prende
e' di redigere una petizione, rivolta all'Assemblea legislativa del Natal, per
chiedere di respingere il progetto di legge che privava gli indiani del diritto
di voto. "I giornali - ricorda Gandhi nella sua autobiografia - la riportarono
con commenti favorevoli, impressiono' anche l'assemblea, fu discussa alla
Camera. (...) Pero' la legge fu approvata". Questa prima petizione fu dunque un
insuccesso. Ma essa permise agli indiani, fino allora rassegnati e passivi, di
mobilitarsi in difesa dei loro diritti. "Questa petizione - scrive Gandhi - fu
la prima ad essere mai stata spedita dagli Indiani ai legislatori sudafricani.
Era il primo tentativo da parte degli indiani di usare una tale procedura e
un'ondata di entusiasmo attraverso' tutta la comunita'".
Allora Gandhi non si scoraggio' e decise di far giungere al governo inglese
"una petizione fiume". Bisogna tuttavia sottolineare che Gandhi decise "di non
accettare una sola firma se il firmatario non avesse prima capito a pieno il
significato esatto della petizione". In quindici giorni furono raccolte
diecimila firme: un successo considerevole. La petizione fu spedita a Lord
Ripon, allora segretario di Stato alle Colonie. Inoltre, "ne erano state
stampate un migliaio di copie per farle circolare e per distribuirle; era la
prima volta che si informava la popolazione indiana di quali fossero le sue
condizioni nel Natal. Inviai copie a tutti i pubblicisti di mia conoscenza. "The
Times of India", in un articolo di fondo sulla petizione, difendeva a spada
tratta le richieste indiane. Furono inviate copie anche ai periodici e
pubblicisti di diversi partiti in Inghilterra: il "Times" di Londra si dichiaro'
favorevole alle nostre rivendicazioni e cominciammo a sperare che alla legge
fosse posto il veto". Infatti il governo di Londra, impressionato dalla campagna
di Gandhi, oppose il veto al progetto di legge ritenendo che esso stabiliva una
discriminazione razziale nei confronti di una minoranza dell'Impero. Gandhi
otteneva cosi' il suo primo successo. Tuttavia questo non fu che parziale,
perche', alla fine, i bianchi del Natal seppero aggirare l'ostacolo che Londra
aveva messo sulla loro strada: essi formularono la loro legge in termini che non
potevano piu' essere qualificati come razzisti. Questo progetto di legge, cosi'
emendato, ma che portava agli stessi risultati pratici, fu approvato e votato.
Gandhi doveva riprendere la lotta ma era sicuro, questa volta, di poter contare
sulla determinazione dei suoi compatrioti che avevano preso coscienza della loro
forza e vinto la loro paura.
- Sfilata. Si parla di sfilata quando i manifestanti formano un corteo e
percorrono a piedi la citta' da un punto all'altro. Cartelli e slogans informano
gli spettatori sulle ragioni obiettive della manifestazione. La sfilata e' il
metodo piu' classico della manifestazione pubblica. Cosi', quando viene
annunciato che il tal partito, il tal sindacato o il tale movimento invita la
popolazione a partecipare ad una manifestazione, si tratta generalmente di una
sfilata.
Facciamo solo presente che, dal punto di vista della strategia della
nonviolenza, l'organizzazione di una sfilata deve soddisfare le esigenze
caratteristiche dell'azione nonviolenta. Si puo' ragionevolmente pensare che
queste esigenze non saranno soddisfatte se non sara' in precedenza deciso che
debbano esserlo, e se non vengano prese precauzioni particolari perche' lo siano
effettivamente. Pensiamo in particolare alla scelta degli slogan e
all'atteggiamento dei manifestanti nei confronti delle forze di polizia.
- Marcia. Si parlera' di marcia quando i manifestanti percorrono a piedi
lunghe distanze da una citta' all'altra attraverso uno o piu' paesi. Il fine e'
di sensibilizzare la popolazione delle regioni attraversate sull'ingiustizia che
si vuole denunciare. Cartelli e striscioni con qualche semplice scritta e
volantini che diano maggiori spiegazioni devono permettere agli spettatori di
essere informati sulle ragioni e sugli obiettivi della marcia. In ciascuna
citta'-tappa si possono organizzare delle riunioni pubbliche per informare gli
abitanti e per provocare un dibattito pubblico sul problema in questione. Sara'
utile stabilire dei contatti con le personalita' e i movimenti capaci di
prendere posizione in favore dei manifestanti e di promuovere a loro volta delle
manifestazioni. Delegazioni possono chiedere di essere ricevute dalle autorita'
locali per far valere nei loro confronti il punto di vista dei
manifestanti.
La marcia puo' avere il fine preciso di richiamare l'attenzione dei
pubblico su un'azione che avverra' al termine di essa. Un esempio particolare e'
dato dalla famosa "marcia del sale" intrapresa da Gandhi allo scopo di preparare
il popolo indiano a violare la legge con la quale il governo faceva pagare ad
ogni indiano una forte tassa per ogni acquisto di sale. Dopo aver percorso a
piedi 380 chilometri attraverso l'India prendendo la parola in ogni villaggio
attraversato per invitare la popolazione alla resistenza contro la legge
ingiusta, giunse in riva al mare e compi' il gesto simbolico di raccogliere un
po' di sale. Da quel momento Gandhi diventava ribelle dell'impero britannico.
Per effetto della marcia, tutta l'India aveva gli occhi puntati su di lui ed era
pronta a ribellarsi.
Nel 1971 venne promossa, dal leader nonviolento spagnolo Gonzalo Arias e da
numerosi suoi compatrioti, una "marcia sul carcere", da Ginevra a Madrid, allo
scopo di esprimere la propria solidarieta' con l'obiettore Jose' Beunza detenuto
allora a Valenzia, e di far pressione sul governo perche' venisse riconosciuto
uno statuto legale a lui e agli altri obiettori. La marcia, a cui partecipavano
pure manifestanti di diversi paesi, dovette interrompersi al posto di frontiera
di Bourg-Madame dove gli spagnoli furono arrestati e gli altri marciatori
respinti verso la Francia. Ma la stampa riferi' abbondantemente dell'avvenimento
e il fine dell'azione, che era innanzitutto quello di informare l'opinione
pubblica sulla situazione degli obiettori spagnoli, fu raggiunto.
- Sciopero della fame limitato. Quando lo sciopero della fame si iscrive
nella strategia dell'azione nonviolenta ripugna chiamarlo con il suo nome: si
preferisce allora parlare di digiuno. Ma pensiamo che cio' sia un errore. Ci
sembra importante distinguere il digiuno intrapreso per motivi di ordine
religioso o terapeutico dallo sciopero della fame intrapreso per motivi di
ordine politico. Di conseguenza, il digiuno e' un'azione privata, mentre lo
sciopero della fame e' un'azione pubblica.
Lo sciopero della fame limitato a qualche giorno, tra i 3 e i 20 giorni,
mira a denunciare pubblicamente un'ingiustizia e ad informare l'opinione
pubblica su di essa. Si tratta di un'azione di protesta che di per se stessa non
potra' generalmente pretendere di sopprimere l'ingiustizia. Ma essa puo' avere
un effetto considerevole sull'opinione pubblica e cio' in particolare se la
personalita' di chi la compie e' importante. Facciamo pero' notare che il
moltiplicarsi sconsiderato degli scioperi della fame rischia di stancare
l'opinione pubblica e di screditare questo mezzo. Percio' e' opportuno
ricorrervi con molta cautela.
Al termine di queste manifestazioni, converra' ripresentare all'avversario
delle proposte precise in vista di un regolamento negoziato dei conflitto. E'
possibile che la pressione esercitata dall'opinione pubblica sia abbastanza
forte da costringere l'avversario a non portare avanti uno scontro di cui puo'
temere che torni a suo svantaggio. In un regime democratico (certo, tutto e'
relativo, e si potrebbe avanzare che nessun regime e' veramente democratico, ma
diversi confronti che si impongono permettono di dire che certi lo sono e certi
non lo sono affatto), la "forza dell'opinione pubblica" e' reale e puo' far
maturare certi problemi fino a che le soluzioni desiderabili diventino
possibili. Ci sembra pero' che molti liberali, a cui ripugna per temperamento il
ricorso all'azione diretta, tendano a sopravvalutare questa forza. Quando si
tratta di opporsi a una decisione del governo, non basta il piu' delle volte che
l'opinione pubblica si esprima perche' la pressione esercitata su di esso sia
abbastanza forte per costringerlo a cedere. Sara' allora necessario ricorrere
all'azione diretta, o almeno lasciar capire chiaramente che si e' decisi a
farlo.
*
5. Invio di un ultimatum
Di fronte al fallimento degli ultimi tentativi di negoziato, diventa
necessario fissare all'avversario un ultimo termine al di la' del quale saranno
date disposizioni di ricorrere all'azione diretta. L'ultimatum, che ricorda le
ragioni e gli obiettivi dei movimento, i tentativi precedenti di negoziare e i
loro fallimenti, puo' essere considerato come l'ultimo passo in vista di un
accordo negoziato. Effettivamente, la prova di forza incomincia con l'ultimatum.
Questo in effetti e' piu' un mezzo di costrizione che un mezzo di persuasione.
E' d'altronde verosimile che l'avversario si rifiuti di cedere di fronte a cio'
che bisogna pur chiamare una minaccia e che egli considerera' un "inammissibile
ricatto". Egli rifiutera' l'ultimatum sostenendo di non temere la prova di
forza. Inoltre, l'ultimatum e' un appello all'opinione pubblica per invitarla a
mobilitarsi in vista dell'azione. Conviene percio' rendere pubblico il testo
dell'ultimatum e, a questo scopo, farlo pervenire alla stampa, ai movimenti e
alle personalita' suscettibili di solidarizzare con quelli che sono decisi ad
agire.
Nel racconto della lotta condotta nel Sudafrica, Gandhi spiega a lungo in
quali condizioni, nel 1908, egli spedi' un ultimatum al generale Smuts. L'azione
che stava conducendo allora era diretta contro l'Atto asiatico, detto anche
l'"Atto Nero", che rendeva obbligatorio a tutti gli indiani di iscriversi nei
registri del governo. Questa legge stabiliva che "quasi in ogni momento o luogo,
gli indiani potevano essere invitati ad esibire il certificato di registrazione;
gli esperti di polizia potevano entrare nelle case degli Indiani per esaminare i
permessi". Gandhi giudico' questa legge contraria alla dignita' degli indiani e
invito' i suoi compatrioti a combatterla fino a che non fosse abolita. Dopo una
prima prova di forza, durante la quale gli indiani si erano rifiutati di farsi
registrare, Gandhi accetto' il compromesso un po' paradossale propostogli dal
generale Smuts a nome del governo. Questo permetteva di abolire l'Atto asiatico
se gli indiani si fossero impegnati a iscriversi volontariamente. Gandhi ci
tenne a iscriversi per primo e chiese ai suoi compatrioti di fare altrettanto in
conformita' agli impegni presi. Gandhi aveva pero' commesso l'errore di
accettare un accordo sospendendo l'azione diretta davanti ad una semplice
promessa: infatti il generale Smuts non mantenne il suo impegno e rifiuto'
ostinatamente di abolire l'"Atto Nero". A quel punto Gandhi si trovo' costretto
a riprendere l'offensiva rilanciando l'azione diretta. Egli si decise allora a
spedire un ultimatum al generale Smuts. "Infine - riferisce nel suo racconto -
fu spedito un ultimatum al governo. Non adoperammo la parola "ultimatum", ma fu
cosi' che il generale Smuts chiamo' la lettera che gli spedimmo in cui veniva
espressa la determinazione della comunita'". Il testo dell'ultimatum ricordava
l'accordo raggiunto precedentemente e precisava: "La comunita' ha spedito
numerosi comunicati al generale Smuts e preso tutte le iniziative legali
possibili per ottenere giustizia, ma esse finora non hanno portato ad alcun
risultato. Siamo spiacenti di dover affermare che se l'Atto asiatico non verra'
abolito in conformita' all'accordo, e se la decisione del governo a riguardo non
sara' comunicata agli indiani entro una data stabilita (la data fu fissata per
il 16 agosto), i certificati ritirati dagli indiani verranno bruciati e gli
stessi ne sopporteranno le conseguenze umilmente ma con fierezza".
Gandhi e i suoi esitarono molto prima di spedire questo ultimatum: "Ci
furono molte discussioni - egli racconta - quando fu spedito l'ultimatum. La
richiesta di una risposta entro un termine stabilito non sarebbe stata
considerata insolente? Non avrebbero avuto l'effetto di irrigidire il governo e
di portarlo a respingere i nostri termini che altrimenti avrebbe potuto
accettare?". Ma alla fine tutti gli indiani della comunita' africana decisero di
spedire l'ultimatum: "Dovemmo - continua Gandhi - correre il rischio di essere
accusati di mancanza di cortesia, e pure quello di vedere il governo rifiutare,
per risentimento, cio' che altrimenti avrebbe potuto accordare. (...) Dovemmo
adottare un atteggiamento diretto senza esitazione. (...) Il linguaggio
dell'ultimatum si inseriva in una progressione naturale e appropriata".
Per il giorno in cui doveva scadere l'ultimatum, Gandhi organizzo' una
manifestazione per bruciare i certificati nel caso in cui il governo si fosse
ostinato a rinnegare l'impegno che aveva assunto. Smuts respinse l'ultimatum con
disprezzo: "Quelli - egli disse allora - che hanno rivolto una simile minaccia
al governo non si rendono conto della sua potenza. Mi dispiace che qualche
agitatore stia tentando di eccitare dei poveri indiani, che si troveranno sul
lastrico se soccomberanno ai loro incitamenti". Quando la manifestazione stava
per incominciare, Gandhi ricevette un telegramma nel quale era detto che "il
governo si doleva della decisione della comunita' indiana, ma non poteva
cambiare la propria linea di condotta". La manifestazione incomincio' e Gandhi
insistette sulle gravi conseguenze che potevano derivare dal fatto di bruciare
il proprio certificato e chiese ai presenti di calcolare i rischi che stavano
per assumersi. Ma i partecipanti furono unanimi nel decidere di passare ai fatti
e piu' di duemila certificati furono bruciati. Infine, dopo molte altre
peripezie, l'"Atto Nero" venne annullato.
(Parte prima - continua)
3. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO
DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di
Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail:
info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa
Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
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COI PIEDI PER TERRA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 261 del 13 giugno 2010
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