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Telegrammi. 200
- Subject: Telegrammi. 200
 - From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
 - Date: Mon, 24 May 2010 00:46:40 +0200
 
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 TELEGRAMMI DELLA 
NONVIOLENZA IN CAMMINO  
Numero 200 
del 24 maggio 2010 
Telegrammi della nonviolenza in cammino 
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche 
della nonviolenza 
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 
1. Per difendere la propria e comune umana dignita' 
2. Giuliano Pontara: Definizione di violenza e nonviolenza nei 
conflitti sociali (1977) (parte seconda e conclusiva) 
3. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento 
4. 
"Azione nonviolenta" 
5. Segnalazioni librarie 6. La "Carta" del Movimento 
Nonviolento 
7. Per saperne di piu' 
1. EDITORIALE. PER DIFENDERE LA PROPRIA E COMUNE UMANA DIGNITA' 
Occorre opporsi alla guerra assassina. 
Occorre opporsi al colpo di stato razzista. 
2. MAESTRI. GIULIANO PONTARA: DEFINIZIONE DI VIOLENZA E 
NONVIOLENZA NEI CONFLITTI SOCIALI (1977) (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) 
[Riproduciamo di seguito la seconda ed ultima parte (pp. 14-23) 
dell'opuscolo di Giuliano Pontara, Il satyagraha. Definizione di violenza e 
nonviolenza nei conflitti sociali, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 
1983; opuscolo che a sua volta riproduce senza alcuna modifica l'intervento di 
Giuliano Pontara dal titolo "Definizione di violenza e nonviolenza nei conflitti 
sociali" alle pp. 59-80 del libro di autori vari: Movimento Nonviolento, 
Marxismo e nonviolenza, Editrice Lanterna, Genova 1977 (volume che raccoglie gli 
atti di un rilevante convegno, e che contiene interventi di Franz Amato, Nicola 
Badaloni, Ernesto Balducci, Lorenzo Barbera, Norberto Bobbio, Maurice Delbrach, 
Antonino Drago, Roger Garaudy, Alberto L'Abate, Vincent Laure, Michele 
Moramarco, Arnaldo Nesti, Pietro Pinna, Giuliano Pontara, Domenico Sereno Regis, 
Leonardo Tomasetta, Umberto Vivarelli). Cogliamo l'occasione per segnalare che 
gli atti di un ulteriore convegno di analogo tema sono stati raccolti nel volume 
a cura della Fondazione "Centro studi Aldo Capitini" e del Movimento 
Nonviolento, Nonviolenza e marxismo, Libreria Feltrinelli, (Milano) 1981 (con 
interventi di Gianni Baget-Bozzo, Lelio Basso, Norberto Bobbio, Giovanni 
Cacioppo, Guido Calogero, Luciano Capuccelli, Antonino Drago, Giovanni Franzoni, 
Alberto L'Abate, Lucio Lombardo Radice, Italo Mancini, Adalberto Minucci, 
Giuliano Pontara, Matteo Soccio, Andrea Vasa, Giacomo Zanga). 
Giuliano Pontara e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello 
internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia' 
apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto 
cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e' 
nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla 
eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia 
dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni 
all'Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 
1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a 
contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, 
Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International 
University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' 
Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a 
Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e' stato coordinatore del Comitato scientifico 
della stessa e direttore dei corsi. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la 
collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' 
membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale 
qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla 
violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in 
Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di 
Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di  Barcellona 1996). 
Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica 
pratica e teorica, metaetica  e filosofia politica. E' stato uno dei primi 
ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del 
pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e 
svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. 
Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett 
stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di 
posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors 
Forlag,  Staffanstorp  1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine 
giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal 
of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e 
giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della 
democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. 
spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in 
Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, 
Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or 
International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, 
Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia 
pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica 
nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, 
Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 
1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, 
disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario 
per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il 
Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49; L'antibarbarie. La concezione 
etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006. E' autore delle voci 
Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in 
Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche 
Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, 
Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de 
France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una 
vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, 
nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero 
etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli 
scritti di Giuliano Pontara aggiornata fino al 1999 (che comprende circa cento 
titoli), gia' apparsa nel n. 380 de "La nonviolenza e' in cammino", abbiamo 
successivamente riprodotto nel n. 121 di "Voci e volti della nonviolenza"] 
5. La nonviolenza positiva 
Occorre ora fare un discorso a parte su di una quarta nozione di 
nonviolenza alla quale, per ragioni che diverranno chiare fra poco, e' opportuno 
riferirsi con il termine di nonviolenza specifica, o nonviolenza ideologica e 
positiva. Essa si differenzia notevolmente dalla tre nozioni sopra delucidate 
alle quali ci si puo' riferire con il termine generale di nonviolenza generica, 
oppure nonviolenza pragmatica e negativa. Le ragioni che giustificano l'uso di 
questi ultimi termini per riferirsi genericamente alle modalita' di lotta non 
militare, incruenta e a-violenta, sono le seguenti. In primo luogo, tutte e tre 
queste nozioni sono caratterizzate esclusivamente in termini negativi: lotta 
nonviolenta sta qui a significare lotta esente da violenza. In secondo luogo, le 
tre nozioni di tecnica nonviolenta sopra distinte sono compatibili con qualsiasi 
ideologia. 
Con cio' si intende affermare che, cosi' come sono state caratterizzate, 
nulla esclude che tecniche esenti da violenza (in questa o quella accezione di 
questo termine), possano essere impiegate da qualsiasi gruppo in vista di 
qualsiasi fine (come appunto e' il caso per quanto riguarda l'impiego di 
tecniche di lotta violenta). Nulla esclude, ad esempio, che persino un gruppo 
fascista in una certa situazione impieghi dei mezzi di lotta non-militari, o 
incruenti, o anche a-violenti, - ma cio', non per una qualche ragione ideologica 
o morale, ma per il semplice fatto che cotali mezzi sono quelli che, nella 
situazione in questione, forniscono, o si crede forniscano, le maggiori garanzie 
di ottenere il successo. Uno dei maggiori studiosi della nonviolenza generica ha 
esplicitamente sottolineato che "non vi e' nulla nell'azione nonviolenta che ne 
precluda l'impiego sia al servizio di cause 'giuste', sia al servizio di cause 
'ingiuste'" (7). 
* 
Quanto ai termini "nonviolenza specifica" o "nonviolenza ideologica e 
positiva", cio' che ne giustifica l'uso sono le seguenti considerazioni. In 
primo luogo, con l'aggettivo "positiva" si intende sottolineare che non si 
tratta, come nel caso della nonviolenza generica o negativa, di una nozione 
delimitata esclusivamente in termini negativi: cioe' l'astensione dalla violenza 
e' una condizione necessaria, ma non sufficiente, di una modalita' di lotta 
nonviolenta positiva (come si vedra', in modo piu' preciso, tra un momento). In 
secondo luogo, l'aggettivo "positiva" sta anche a sottolineare il fatto che non 
si tratta di una forma di lotta identificabile con la resistenza passiva, bensi' 
che si tratta di una modalita' di lotta attiva, "aggressiva" e costruttiva. In 
terzo luogo, l'aggettivo "ideologica" vuo richiamare l'attenzione sul fatto che 
non si tratta, come nel caso della nonviolenza pragmatica, di una modalita' di 
lotta impiegabile da chiunque per il raggiungimento di qualsiasi fine - cioe' 
compatibile con qualsiasi ideologia -, bensi' di una modalita' di lotta alla 
quale sottosta una intera dottrina o ideologia politica e che pertanto e' 
applicabile soltanto da coloro che accettano tale dottrina. La quale si articola 
in tutta una serie di momenti o componenti tra cui spiccano una particolare 
concezione etica, una teoria della natura umana, una filosofia dei conflitti e 
la visione di una societa' in cui il potere e il benessere sono di tutti e che 
favorisce al massimo e in tutti lo sviluppo di una personalita' umana che 
integri profondamente in se' l'idea della uguaglianza con quella del rispetto 
dell'autonomia dell'individuo, e che si apra a sempre maggiori identificazioni 
con le gioie e le pene altrui (invece di identificarsi con i simboli, le 
bandiere, i canti, le istituzioni, le regole, e i ruoli). 
* 
L'idea, morale, del potere e del benessere di tutti (quella che Capitini 
chiamava "Omnicrazia" (8) e Gandhi "Sarvodaya" (9)) significa qui che ciascuno 
deve avere tanto potere (reale) di influenzare e controllare le decisioni 
politiche che riguardano la sua vita, quanto e' compatibile con un uguale potere 
in ogni altro membro della societa', si' che ciascuno abbia in ogni momento la 
massima possibilita', compatibile con la massima possibilita' di ogni altro, di 
realizzare la miglior vita di cui e' capace. La dottrina della nonviolenza 
positiva sa che questa e' una visione o un ideale che non e' completamente 
realizzabile - se mai lo sara' - che a lunga scadenza. Ma alla coscienza di cio' 
si accompagna l'insistenza sullo sforzo continuo volto a realizzare, hic et 
nunc, una societa' che si avvicini il piu' possibile a quell'ideale. A tal fine 
reputa necessaria la socializzazione (non la nazionalizzazione, si badi) dei 
mezzi di produzione e fa propria l'idea socialista (ma non leninista) della 
decentralizzazione del potere politico che dovra' risiedere - in modo del tutto 
democratico - nei consigli (tutto il potere ai soviet!), quella dell'uguaglianza 
dei salari (bollata da Stalin come "idea piccolo-borghese"!), e considera le 
liberta' democratiche di stampa, di associazione e di riunione, e i principi 
dello stato di diritto, conditio sine qua non del funzionamento umano di tale 
societa' (10). 
In virtu' di tutte queste caratteristiche, cioe' in seguito al fatto che si 
tratta non soltanto di una particolare modalita' di lotta, bensi' anche di una 
articolata dottrina politica che per molti aspetti si avvicina alla concezione 
socialista, la posizione che sin qui ho chiamato nonviolenza ideologica positiva 
o nonviolenza specifica puo' anche essere caratterizzata come una posizione di 
socialismo nonviolento. 
* 
Il piu' originale apporto di questa dottrina agli sviluppi del pensiero e 
della prassi politica consiste senza dubbio in quella particolare modalita' di 
lotta che, usando un neologismo coniato da Gandhi - e per distinguerla dalle 
varie tecniche di lotta nonviolenta generica e negativa sopra distinte -, 
possiamo chiamare modalita' di lotta satyagraha. Ho presentato le 
caratteristiche fondamentali di questo tipo di lotta, con una certa ampiezza, 
nel mio saggio introduttivo alla silloge di scritti gandhiani sopra menzionata 
(11). Rimando pertanto per un piu' ampio discorso ad esso, e mi accontento qui 
di riassumere, per sommi capi, quanto ivi detto. 
Occorre anzitutto che sia ben chiaro che nessun catalogo, per completo che 
sia, delle svariate tecniche di lotta ideate ed impiegate da Gandhi puo' servire 
a fornire una compiuta caratterizzazione della modalita' di lotta satyagraha. Le 
forme che tale modalita' di lotta assume varieranno, ovviamente, da contesto a 
contesto, ed e' chiaro che le tecniche di lotta impiegate da Gandhi nel contesto 
sudafricano e indiano non sono esportabili ad altre situazioni conflittuali 
diverse da quelle in cui si trovo' ad operare il politico indiano. Cio' che qui 
conta sono i principi generali che caratterizzano il satyagraha, le condizioni, 
cioe', cui e' necessario (e forse anche sufficiente) che un gruppo adegui i suoi 
metodi di lotta politica affinche' questi possano essere correttamente 
classificati come metodi di lotta satyagraha. Illustrero' qui brevemente cinque 
condizioni. 
* 
(I) Astensione dalla violenza. Un metodo o una tecnica di lotta politica 
saranno caratterizzabili come satyagraha soltanto ove essi siano esenti da 
violenza o, ove cio' non sia del tutto possibile, la violenza connessa al loro 
impiego sia ridotta ad un minimo di violenta psicologica. Quest'ultima aggiunta 
si spiega con il duplice fatto che qui si assume la terza e piu' lata nozione di 
violenza (per cui si ha violenza anche ove si infliggono intenzionalmente e in 
modo coatto delle sofferenze psicologiche), e che la nonviolenza positiva - in 
quanto comporta una contestazione attiva e permanente di ogni forma di 
ingiustizia, di sfruttamento, di prevaricazione, di indebito privilegio - puo' 
ovviamente causare delle sofferenze psicologiche nello sfruttatore che vede i 
suoi indebiti privilegi messi in questione o aboliti. E' pero' della massima 
importanza aver ben chiaro che la violenza cosi' connessa con la lotta 
satyagraha e' un minimo di violenza psicologica e che essa e' usata da un gruppo 
che imposta tutta la sua lotta adottando tecniche che non comportano ne' la 
minaccia di lesione, ne' la lesione effettiva degli interessi vitali delle 
persone (quelli cioe' su cui ciascuno puo' far valere un diritto uguale a quello 
di ciascun altro - diritto alla propria vita, alla propria integrita' fisica e 
psicologica, a non essere mutilato o ucciso fisicamente o psicologicamente -) in 
quanto distinti da quegli interessi che sono fondati sulla violenza, sui quali 
cioe' non si puo' far valere altro diritto che quello del piu' forte. Chiunque 
potra' convenire che vi e' una differenza enorme fra il costringere un gruppo 
avversario a rinunciare ai privilegi di cui indebitamente gode mediante 
l'impiego di mezzi che comportano l'intenzionale e coatta inflizione di enormi 
sofferenze e lesioni (12), e il costringerlo a cio' in seguito all'impiego di 
mezzi di lotta deliberatamente scelti allo scopo di minimizzare il piu' 
possibile le sofferenze per l'avversario contro cui sono impiegati, e che 
inoltre soddisfano tutte le altre quattro condizioni della lotta satyagraha e, 
per cominciare, la seconda che ora passo brevemente a illustrare. 
* 
(II) La disposizione al sacrificio. Questa condizione della modalita' di 
lotta satyagraha richiede che il gruppo coinvolto in essa sia disposto a 
sottoporsi a tutti quei sacrifici che sono necessari a far avanzare la propria 
causa e a minimizzare (come richiede la precedente condizione) le sofferenze per 
l'avversario. E' questa la condizione su cui in genere si appuntano le maggiori 
critiche degli avversar! del satyagraha. Spesso si tratta di critiche avventate, 
che tradiscono una conoscenza del tutto superficiale di questa modalita' di 
lotta, oppure si fondano sulla forma del tutto particolare che questa condizione 
del satyagraha assume in Gandhi. Cosi' A. I. Titarenko, uno dei filosofi 
ufficiali dell'Unione Sovietica (e' professore di etica nel dipartimento di 
filosofia nell'universita' di Mosca), in un suo recente libro in cui affronta la 
scottante questione dei rapporti fra morale e politica, trattando brevemente 
della nonviolenza gandhiana scrive, con chiaro riferimento alla presente 
condizione della lotta satyagraha, che la nonviolenza di Gandhi "deve essere 
moralmente condannata in quanto impone l'intero onere delle sofferenze sulle 
spalle degli oppressi, mentre assolve gli oppressori". E aggiunge che "l'idea 
reazionaria della umilta' e della acccttazione delle sofferenze e' uno degli 
elementi chiave nel principio gandhiano della nonviolenza" (13). A cio' va 
risposto: 
a) Ne' la nonviolenza piu' specificatamente gandhiana, ne' la nonviolenza 
positiva (che fa tesoro della prassi e del pensiero di Gandhi, ma non si 
identifica ovviamente in tutto con la concezione gandhiana), comportano affatto 
che si "assolvano gli oppressori", ne' che si "imponga l'intero onere delle 
sofferenze sulle spalle degli oppressi", ne' che si debba, umilmente, chinare la 
testa e passivamente accettare lo status quo. Quanto detto nelle pagine 
precedenti dovrebbe togliere ogni dubbio su questo punto. 
b) La disposizione a sottoporsi anche ai sacrifici piu' gravi, e' connessa 
con ogni tipo di lotta contro l'oppressione, in modo particolare con la lotta 
violenta, dato che, specialmente oggi, chi si affida ad essa deve 
realisticamente accettare il fatto che oltre che poter comportare sofferenze e 
morte per lui stesso, essa comporta effettivamente enormi sofferenze e morte per 
un numero sempre crescente di membri del gruppo cui esso appartiene e assieme ai 
quali, o per i quali, lotta (si pensi per esempio all'enorme numero di vittime e 
alla enormita' di sofferenza che la lotta violenta e' costata al popolo algerino 
e al popolo vietnamita). 
c) Le sofferenze cui il gruppo satyagraha dovra' realmente sottoporsi 
saranno di regola minori di quelle che - specie oggi - una lotta violenta 
comporta, in quanto il metodo di lotta satyagraha tende a bloccare la violenza 
dell'avversario. 
d) La disposizione a soffrire e' nella lotta satyagraha di particolare 
importanza come testimonianza della serieta' con cui si abbraccia la propria 
causa; non potendo dimostrare la propria fermezza mediante l'uso delle armi, il 
gruppo satyagraha la dimostra mostrando che e' disposto a soffrire per essa 
almeno quanto e' disposto chi si batte per una causa giusta in modo 
violento. 
e) La disposizione, in certe situazioni, a sopportare anche notevoli 
sofferenze al fine di minimizzare il piu' possibile le sofferenze per 
l'oppositore, si fonda su due assunti: il primo, di natura prettamente morale, 
e' il principio, gia' formulato da Platone (14), per cui e' moralmente migliore 
subire delle sofferenze ingiustamente inflitteci, che non infliggere ad altri 
delle sofferenze; il secondo assunto, di natura empirica, e' che un 
comportamento informato alla condizione che qui si discute ha buone 
possibilita', oltre che di bloccare o comunque diminuire nell'avversario il 
ricorso alla violenza, anche di portarlo al tavolo della ragione e delle 
trattative. 
Si tratta di due assunti che qui non sono che accennati e la trattazione 
esaustiva dei quali richiederebbe uno spazio che qui non ho a disposizione. Un 
serio esame di essi potra' anche giungere alla conclusione che si tratta di 
assunti assai dubbi. Ma Titarenko (e con lui molti altri critici della 
nonviolenza positiva) non li ha discussi e quindi la sua conclusione, che la 
posizione nonviolenta che si fonda su di essi e' una posizione moralmente 
condannabile e "reazionaria", e' un ulteriore esempio di quell'atteggiamento 
dogmatico che e' del tutto estraneo alla posizione nonviolenta, proprio perche' 
essa pone, come terza condizione di una lotta satyagraha, che ci si attenga alla 
verita'. 
* 
(III) II rispetto per la verita'. Tale condizione si articola in tutta una 
serie di richieste motivate, come tutte le altre condizioni, in parte da ragioni 
di ordine morale, in parte da ragioni di ordine empirico, tattico. Rimandando 
per un piu' compiuto esame di questa condizione al mio saggio introduttivo alla 
silloge di scritti gandhiani sopra menzionato (15), noto qui, in tutta brevita', 
che tale condizione comporta che si rispetti la massima obiettivita' e 
imparzialita' in ogni fase della lotta, che non si pongano obiettivi che non 
sono compatibili con l'idea del potere e del benessere di tutti e con le altre 
idee morali che caratterizzano la posizione nonviolenta positiva, che non si 
operi nella clandestinita', che si sia disposti ad essere persuasi, attraverso 
una seria argomentazione, a modificare la propria posizione, ecc. 
* 
(IV) L'impegno costruttivo. L'impegno in un lavoro costruttivo, volto a 
realizzare, hic et nunc, nella maggiore misura possibile il tipo di societa' che 
si mira a porre in essere (organizzazione di consigli nelle fabbriche, nelle 
scuole, negli ospedali, ecc.; programmi educativi dal basso; costituzione di 
istituzioni parallele), rappresenta forse la piu' profonda esigenza della 
nonviolenza positiva per questo aspetto molto vicina alle idee di rivoluzionari 
come Mao e "Che" Guevara. La differenza tra la posizione di questi ultimi e 
quella della nonviolenza positiva consiste nel fatto che la nonviolenza positiva 
auspica l'individuazione di programmi costruttivi da cui anche il gruppo 
avversario possa trarre dei benefici o addirittura che possano attivamente 
coinvolgere membri del gruppo avversario. Non si tratta di sminuire o 
minimizzare o ignorare l'acutezza di certi conflitti di interessi o di classe, 
bensi' soltanto di indagare - al di la' delle dichiarazioni teoriche, dogmatiche 
e demagogiche di una totale e irriducibile opposizione di interessi fra le 
classi - di volta in volta se non vi siano interessi comuni o fini sovraordinati 
che permettano quel minimo di comunicazione fra i membri dei gruppi in conflitto 
che e' condizione necessaria di un efficace funzionamento della tecnica di lotta 
satyagraha (16). 
* 
(V) La gradualita' dei mezzi. Quest'ultima condizione necessaria della 
modalita' di lotta satyagraha esige che non si ricorra alle forme piu' radicali 
di lotta nonviolenta senza aver prima individuato un programma costruttivo su 
cui far convergere gli sforzi e senza aver tentato tutte le varie tecniche di 
persuasione, non escluso il compromesso inteso come tentativo di addivenire ad 
una soluzione del conflitto onorevole e accettabile a tutte le parti. Ove va 
pero' sottolineato che il compromesso, nella concezione della nonviolenza 
positiva, e' possibile soltanto per quanto riguarda gli obiettivi non 
essenziali, mentre su quelli considerati essenziali non e' possibile compromesso 
alcuno. 
* 
Ho piu' volte sottolineato che la distinzione fra violenza e nonviolenza, 
affinche' risulti interessante e adeguata, deve essere tracciata, almeno nel 
presente contesto, in base ad un criterio morale, per cui cio' che viene 
caratterizzato come modalita' di lotta nonviolenta dovra' esibire una chiara 
superiorita' morale sulla modalita' di lotta che viene caratterizzata come 
violenta. Orbene, e come ho gia' sopra osservato, penso che chiunque converra' 
che vi e' una profonda differenza, proprio da un punto di vista morale, tra 
l'impiegare un metodo di lotta (come e' qui per definizione quello violento) che 
comporta la deliberata e coatta inflizione di sofferenze e lesioni su vasta 
scala, e l'impiegare un metodo di lotta che soddisfi a tutte e cinque le 
condizioni della modalita' di lotta satyagraha sopra passate in rassegna, anche 
se queste condizioni non sono soddisfatte al cento per cento. 
E' questa differenza di natura morale fra i due tipi o metodi di lotta che 
rende particolarmente interessante il problema concernente l'efficacia e la 
possibilita' di una lotta rivoluzionaria satyagraha a livello di massa, cioe' la 
possibilita' che il satyagraha ha di porsi come una valida alternativa all'uso 
della violenza nella lotta per una piu' giusta ed umana societa'. 
* 
Cio' non esclude, si badi, che sia anche importante indagare sulla 
possibilita' ed efficacia (relativamente a tal fine) di quelle forme di lotta 
nonviolenta generica che ho sopra chiamato lotta non militare, lotta incruenta e 
lotta a-violenta. E' importante indagare sulle prime due modalita' di lotta 
perche' pur non essendo, come sopra si e' visto, necessariamente esenti da 
violenza (nella accezione che sopra si e' visto essere la piu' adeguata di 
questo termine), anche ove comportino una certa misura di violenza si trattera', 
di regola, di una misura assai minore di quella che si verifica nella modalita' 
di lotta militare. Ed e' ovviamente importante indagare sulle possibilita' di 
passare dalla societa' capitalista a quella socialista mediante l'uso di mezzi 
a-violenti, cioe' pacifici, come sono il voto e le varie tecniche parlamentari, 
con le quali, come e' noto, Marx ed Engels stimavano possibile il passaggio al 
socialismo nell'Inghilterra, negli Stati Uniti, nell'Olanda e, piu' tardi, nella 
Germania del loro tempo. 
Bisogna pero' da ultimo di nuovo sottolineare che in tutti e tre i casi di 
lotta nonviolenta generica si tratta pur sempre e soltanto di mere tecniche di 
lotta cui, come tali, non soggiace alcuna dottrina o particolare atteggiamento 
nei confronti della violenza, e il cui impiego, pertanto, in una situazione 
giudicata favorevole ad un loro uso, non esclude affatto che in altra situazione 
si ricorra alla violenza piu' massiccia, ne' che in quella stessa situazione si 
impieghi anche la violenza militare o se ne minacci o comunque prepari l'uso 
(17). 
* 
Completamente diverso e' invece il caso della modalita' di lotta satyagraha 
ove l'uso, la minaccia e la preparazione della violenza (ferma restando la 
possibilita' di un minimo di violenza psicologica, sopra accennata) sono 
sistematicamente banditi in ogni tipo di situazione conflittuale, e cio' in base 
a tre ordini di considerazioni. In primo luogo, perche' la violenza e' 
considerata un male (anche se non assoluto); in secondo luogo, perche' si 
reputa, in base a tutta una serie di argomenti abbastanza convincenti, che, 
soprattutto oggi, l'impiego della violenza tende a condurre a risultati del 
tutto diversi da quelli che caratterizzano una societa' socialista; e in terzo 
luogo, perche' si reputa, di nuovo in base ad argomenti abbastanza convincenti, 
che e' soltanto ove ci si astenga sistematicamente dall'uso, dalla minaccia e 
dalla preparazione (che di per se' e' gia' minaccia) della violenza - e per il 
resto si soddisfino le altre quattro condizioni del satyagraha - che si danno le 
migliori garanzie di tenere sotto controllo la risposta violenta dell'avversario 
contro cui si lotta, di umanizzarlo (invece di deumanizzarlo come avviene nel 
caso della lotta violenta), e di condurre i conflitti in modo tale che essi alla 
fine non sbocchino nella "comune rovina delle classi in lotta". 
Di questi tre tipi di considerazioni, il primo e' stato sviluppato nel 
corso di questo scritto. Sviluppare gli altri due, cioe' sviluppare e discutere 
gli argomenti in base ai quali si fa valere l'inefficacia della violenza e 
l'efficacia del satyagraha come modalita' di lotta rivoluzionaria per il 
socialismo, porterebbe assai lontano. Su di essi mi riprometto di tornare in 
altra occasione. 
* 
Note 
7. Cfr. G. Sharp, The Politics of Nonviolent Action, cit., p. 71. 
8. Cfr. Aldo Capitini, II potere e' di tutti, La Nuova Italia, 1969, 
specialmente le pp. 59-182. 
9. Gandhi ha sviluppato l'idea di Sarvodaya in molti scritti, alcuni dei 
quali sono raccolti nel libretto Sarvodaya, Navajivan Publising House, 
Ahmedabad, 1951. Sulla concezione gandhiana di una societa' o "stato 
nonviolento" si veda G. Dhawan, The Political Philosophy of Mahatma Gandhi, 
Ahmedabad, terza edizione riveduta, 1957, cap. XI "The' Structure of the 
Non-violent State", pp. 279-336; sulle idee sociali e politiche di Gandhi mi 
sono intrattenuto nel terzo capitolo del saggio introduttivo che ho preposto 
alla silloge di scritti gandhiani da me curata per Einaudi: cfr. M. K. Gandhi, 
Teoria e pratica della nonviolenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. 
Pontara, Torino, 1973, pp. LXXX-XCII. 
10. Nella difesa di tali liberta' la nonviolenza positiva trova un possente 
alleato in Rosa Luxemburg la quale, come e' noto, polemizzando con Lenin e 
Trotckij all'indomani della rivoluzione russa, ribadiva, con la fermezza di 
sempre, che "senza una liberta' illimitata di stampa, senza un libero esercizio 
dei diritti di associazione e di riunione, e' del tutto impossibile concepire il 
dominio delle grandi masse popolari" e che "la liberta' riservata ai partigiani 
del governo, ai soli membri di un unico partito - siano pure numerosi quanto si 
vuole - non e' liberta'. La liberta' e' sempre e soltanto liberta' di chi pensa 
diversamente". Cfr. R. Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti politici, a 
cura di Leiio Basso, Editori Riuniti, 1970, pp. 588 e 599. 
11. Cfr. M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., pp. 
XCIII-CXXIII. 
12. E' il caso, in modo particolare, della lotta violenta militare che si 
fonda sul principio, enunciato da Clausewitz, per cui "la guerra e' un atto di 
forza, all'impiego del quale non esistono limiti: i belligeranti si impongono 
legge mutualmente; ne risulta un'azione reciproca che logicamente deve condurre 
all'estremo". (Cfr. K. von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, 1970, 1. I, cap. 
I, p. 22). Poco prima (op. cit., p. 21) Clausewitz aveva scritto: "Gli spiriti 
umani potrebbero immaginare che esistano metodi tecnici per disarmare o 
abbattere l'avversario senza infliggergli troppe ferite e che sia questa la 
finalita' autentica dell'arte militare. Per quanto seducente ne sia l'apparenza 
occorre distruggere tale errore (...)". Gli fanno eco non pochi rivoluzionar! 
violenti. "La guerra e' sempre una lotta in cui i contendenti cercano di 
annientarsi a vicenda" scrive Ernesto "Che" Guevara ne La guerra di guerriglia 
(Feltrinelli, 1967, p. 17), e Lin Piao dice espressamente che "il principio 
fondamentale che presiede alle nostre operazioni militari e' la guerra di 
annientamento" ("Sull'applicazione della strategia e delle dottrine tattiche 
della guerra di popolo"), cit. da C. Milanese, Principi generali della guerra 
rivoluzionaria, Feltrinelli, 1970, p. 20. Milanese, a sua volta, sottolinea come 
anche il guerrigliero sia "il combattente (...) che si propone di infliggere al 
nemico, di volta in volta, il massimo di distruzione" che i mezzi di cui dispone 
gli consentono (op. cit., p. 99). 
13. Cfr. A. J. Titarenko, Morality and Politics, Progress Publisher, Mosca, 
1972, p. 174. 
14. Tra i vari luoghi delle sue opere in cui Platone ha formulato tale 
principio cfr. ad esempio il Gorgia, XXIV. 
15. Cfr. M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, pp. 
CII-CVI. 
16. Nel linguaggio di Mao, cio' puo' essere espresso dicendo che si tratta 
di fare uno sforzo continuo per trasformare le contraddizioni o i conflitti 
antagonistici in contraddizioni o conflitti non antagonistici, i quali ultimi, 
secondo la concezione di Mao, sono contraddizioni o conflitti risolvibili senza 
l'uso della violenza in quanto le parti in conflitto hanno degli interessi 
comuni facendo appello ai quali e' possibile risolvere la contraddizione in modo 
costruttivo e nonviolento. E' qui della massima importanza l'accenno, che Mao fa 
all'inizio del suo saggio Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al 
popolo, alla possibilita' che certe contraddizioni o conflitti antagonistici 
(cioe', secondo la concezione di Mao, risolvibili di regola soltanto mediante 
l'impiego della violenza), se "trattati in modo opportuno" possono, in certe 
situazioni, essere "trasformati in contraddizioni non antagonistiche ed essere 
risolti in modo pacifico". Peccato che in Mao non vi sia che questo accenno e 
che non risulti chiaro in che modo un conflitto antagonistico debba essere 
trattato per poter essere trasformato in un conflitto non antagonistico. 
17. Tale e' generalmente l'atteggiamento nel marxismo rivoluzionario; si 
favorisce l'impiego di varie tecniche di lotta non militare (scioperi, sciopero 
generale, non-collaborazione, ecc. ecc.) in una prima fase della lotta 
rivoluzionaria la quale dovra' pero' pur sempre concludersi e decidersi in uno 
scontro armato fra le classi. Si veda, ad esempio, il programma della 
Internazionale comunista del 1928 ove si legge che la conquista del potere da 
parte del proletariato significa "il rovesciamento violento del potere borghese, 
la distruzione dell'apparato dello stato capitalista", fini che vanno realizzati 
mediante "la propaganda (...) e l'azione di massa (...)", la quale "include 
(...) da ultimo lo sciopero generale congiunto con la insurrezione armata ". 
"Quest^ultima forma (...) che e' la forma suprema, deve essere condotta secondo 
le regole della guerra". Cit. da K. Popper, The Open Society and Its Enemies, 
quarta edizione riveduta, 1962, voi. II, p. 158. 
Anche Rosa Luxemburg, che per molti aspetti e' cosi' vicina alla 
nonviolenza positiva, e cosi' contraria al terrore e agli spargimenti di sangue, 
pur vedendo in una tecnica di lotta non militare come lo sciopero generale una 
nuova forma di lotta che "civilizza" e "mitiga" la lotta di classe, non esclude 
lo scontro armato finale: "L'avvento dello sciopero di massa rivoluzionario 
(...) certamente non rimpiazza in modo assoluto e non rende superflua la nuda 
brutale lotta di strada". Cfr. R. Luxemburg, "Sciopero generale, partito e 
sindacati", in Scritti politici, a cura di Lelio Basso, cit., p. 
350. 
3. APPELLI. 
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO 
Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4. 
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"  
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata 
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle 
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. 
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: 
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo 
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto 
"copia di 'Azione nonviolenta'". 
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE 
Letture 
- Angelo Bianchetti, Marco Trabucchi, Alzheimer, Il Mulino, Bologna 2010, 
pp. 128, euro 9,80. 
- Attilio Bolzoni, Faq mafia, Bompiani - Rcs Libri, Milano 2010, pp. 252, 
euro 12. 
- Filippo La Porta, Giuseppe Leonelli, Dizionario della critica militante. 
Letteratura e mondo contemporaneo, Bompiani - Rcs Libri, Milano 2007, pp. 272, 
euro 11. 
* 
Riletture 
- Moliere, Tartufo, Einaudi, Torino 1974, 1980, pp. XVIII + 190. 
* Riedizioni 
- Konrad Lorenz, L'altra faccia dello specchio. Gli otto peccati capitali 
della nostra civilta', Adelphi, Milano 1974, Mondadori, Milano 2010, pp. 568, 
euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). 
- Friedrich von Wieser, Opere, Utet, Torino 1975, 2005, De Agostini - Il 
sole 24 ore, Novara-Milano 2010, pp. 868, euro 12,90. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale 
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e 
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento 
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della 
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo 
di ciascuno in armonia con il bene di tutti. 
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it 
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO 
Numero 200 del 24 maggio 2010 
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca 
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza 
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: 
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