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Telegrammi. 200
- Subject: Telegrammi. 200
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 24 May 2010 00:46:40 +0200
TELEGRAMMI DELLA
NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 200
del 24 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche
della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Per difendere la propria e comune umana dignita'
2. Giuliano Pontara: Definizione di violenza e nonviolenza nei
conflitti sociali (1977) (parte seconda e conclusiva)
3. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
4.
"Azione nonviolenta"
5. Segnalazioni librarie 6. La "Carta" del Movimento
Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PER DIFENDERE LA PROPRIA E COMUNE UMANA DIGNITA'
Occorre opporsi alla guerra assassina.
Occorre opporsi al colpo di stato razzista.
2. MAESTRI. GIULIANO PONTARA: DEFINIZIONE DI VIOLENZA E
NONVIOLENZA NEI CONFLITTI SOCIALI (1977) (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Riproduciamo di seguito la seconda ed ultima parte (pp. 14-23)
dell'opuscolo di Giuliano Pontara, Il satyagraha. Definizione di violenza e
nonviolenza nei conflitti sociali, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia
1983; opuscolo che a sua volta riproduce senza alcuna modifica l'intervento di
Giuliano Pontara dal titolo "Definizione di violenza e nonviolenza nei conflitti
sociali" alle pp. 59-80 del libro di autori vari: Movimento Nonviolento,
Marxismo e nonviolenza, Editrice Lanterna, Genova 1977 (volume che raccoglie gli
atti di un rilevante convegno, e che contiene interventi di Franz Amato, Nicola
Badaloni, Ernesto Balducci, Lorenzo Barbera, Norberto Bobbio, Maurice Delbrach,
Antonino Drago, Roger Garaudy, Alberto L'Abate, Vincent Laure, Michele
Moramarco, Arnaldo Nesti, Pietro Pinna, Giuliano Pontara, Domenico Sereno Regis,
Leonardo Tomasetta, Umberto Vivarelli). Cogliamo l'occasione per segnalare che
gli atti di un ulteriore convegno di analogo tema sono stati raccolti nel volume
a cura della Fondazione "Centro studi Aldo Capitini" e del Movimento
Nonviolento, Nonviolenza e marxismo, Libreria Feltrinelli, (Milano) 1981 (con
interventi di Gianni Baget-Bozzo, Lelio Basso, Norberto Bobbio, Giovanni
Cacioppo, Guido Calogero, Luciano Capuccelli, Antonino Drago, Giovanni Franzoni,
Alberto L'Abate, Lucio Lombardo Radice, Italo Mancini, Adalberto Minucci,
Giuliano Pontara, Matteo Soccio, Andrea Vasa, Giacomo Zanga).
Giuliano Pontara e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello
internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia'
apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto
cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e'
nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla
eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia
dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni
all'Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal
1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a
contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova,
Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International
University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita'
Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a
Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e' stato coordinatore del Comitato scientifico
della stessa e direttore dei corsi. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la
collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E'
membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale
qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla
violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in
Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di
Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996).
Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica
pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E' stato uno dei primi
ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del
pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e
svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese.
Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett
stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di
posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors
Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine
giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal
of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e
giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della
democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr.
spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in
Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson,
Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or
International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury,
Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia
pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica
nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future,
Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona
1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre,
disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario
per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il
Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49; L'antibarbarie. La concezione
etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006. E' autore delle voci
Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in
Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche
Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence,
Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de
France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una
vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi,
nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero
etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli
scritti di Giuliano Pontara aggiornata fino al 1999 (che comprende circa cento
titoli), gia' apparsa nel n. 380 de "La nonviolenza e' in cammino", abbiamo
successivamente riprodotto nel n. 121 di "Voci e volti della nonviolenza"]
5. La nonviolenza positiva
Occorre ora fare un discorso a parte su di una quarta nozione di
nonviolenza alla quale, per ragioni che diverranno chiare fra poco, e' opportuno
riferirsi con il termine di nonviolenza specifica, o nonviolenza ideologica e
positiva. Essa si differenzia notevolmente dalla tre nozioni sopra delucidate
alle quali ci si puo' riferire con il termine generale di nonviolenza generica,
oppure nonviolenza pragmatica e negativa. Le ragioni che giustificano l'uso di
questi ultimi termini per riferirsi genericamente alle modalita' di lotta non
militare, incruenta e a-violenta, sono le seguenti. In primo luogo, tutte e tre
queste nozioni sono caratterizzate esclusivamente in termini negativi: lotta
nonviolenta sta qui a significare lotta esente da violenza. In secondo luogo, le
tre nozioni di tecnica nonviolenta sopra distinte sono compatibili con qualsiasi
ideologia.
Con cio' si intende affermare che, cosi' come sono state caratterizzate,
nulla esclude che tecniche esenti da violenza (in questa o quella accezione di
questo termine), possano essere impiegate da qualsiasi gruppo in vista di
qualsiasi fine (come appunto e' il caso per quanto riguarda l'impiego di
tecniche di lotta violenta). Nulla esclude, ad esempio, che persino un gruppo
fascista in una certa situazione impieghi dei mezzi di lotta non-militari, o
incruenti, o anche a-violenti, - ma cio', non per una qualche ragione ideologica
o morale, ma per il semplice fatto che cotali mezzi sono quelli che, nella
situazione in questione, forniscono, o si crede forniscano, le maggiori garanzie
di ottenere il successo. Uno dei maggiori studiosi della nonviolenza generica ha
esplicitamente sottolineato che "non vi e' nulla nell'azione nonviolenta che ne
precluda l'impiego sia al servizio di cause 'giuste', sia al servizio di cause
'ingiuste'" (7).
*
Quanto ai termini "nonviolenza specifica" o "nonviolenza ideologica e
positiva", cio' che ne giustifica l'uso sono le seguenti considerazioni. In
primo luogo, con l'aggettivo "positiva" si intende sottolineare che non si
tratta, come nel caso della nonviolenza generica o negativa, di una nozione
delimitata esclusivamente in termini negativi: cioe' l'astensione dalla violenza
e' una condizione necessaria, ma non sufficiente, di una modalita' di lotta
nonviolenta positiva (come si vedra', in modo piu' preciso, tra un momento). In
secondo luogo, l'aggettivo "positiva" sta anche a sottolineare il fatto che non
si tratta di una forma di lotta identificabile con la resistenza passiva, bensi'
che si tratta di una modalita' di lotta attiva, "aggressiva" e costruttiva. In
terzo luogo, l'aggettivo "ideologica" vuo richiamare l'attenzione sul fatto che
non si tratta, come nel caso della nonviolenza pragmatica, di una modalita' di
lotta impiegabile da chiunque per il raggiungimento di qualsiasi fine - cioe'
compatibile con qualsiasi ideologia -, bensi' di una modalita' di lotta alla
quale sottosta una intera dottrina o ideologia politica e che pertanto e'
applicabile soltanto da coloro che accettano tale dottrina. La quale si articola
in tutta una serie di momenti o componenti tra cui spiccano una particolare
concezione etica, una teoria della natura umana, una filosofia dei conflitti e
la visione di una societa' in cui il potere e il benessere sono di tutti e che
favorisce al massimo e in tutti lo sviluppo di una personalita' umana che
integri profondamente in se' l'idea della uguaglianza con quella del rispetto
dell'autonomia dell'individuo, e che si apra a sempre maggiori identificazioni
con le gioie e le pene altrui (invece di identificarsi con i simboli, le
bandiere, i canti, le istituzioni, le regole, e i ruoli).
*
L'idea, morale, del potere e del benessere di tutti (quella che Capitini
chiamava "Omnicrazia" (8) e Gandhi "Sarvodaya" (9)) significa qui che ciascuno
deve avere tanto potere (reale) di influenzare e controllare le decisioni
politiche che riguardano la sua vita, quanto e' compatibile con un uguale potere
in ogni altro membro della societa', si' che ciascuno abbia in ogni momento la
massima possibilita', compatibile con la massima possibilita' di ogni altro, di
realizzare la miglior vita di cui e' capace. La dottrina della nonviolenza
positiva sa che questa e' una visione o un ideale che non e' completamente
realizzabile - se mai lo sara' - che a lunga scadenza. Ma alla coscienza di cio'
si accompagna l'insistenza sullo sforzo continuo volto a realizzare, hic et
nunc, una societa' che si avvicini il piu' possibile a quell'ideale. A tal fine
reputa necessaria la socializzazione (non la nazionalizzazione, si badi) dei
mezzi di produzione e fa propria l'idea socialista (ma non leninista) della
decentralizzazione del potere politico che dovra' risiedere - in modo del tutto
democratico - nei consigli (tutto il potere ai soviet!), quella dell'uguaglianza
dei salari (bollata da Stalin come "idea piccolo-borghese"!), e considera le
liberta' democratiche di stampa, di associazione e di riunione, e i principi
dello stato di diritto, conditio sine qua non del funzionamento umano di tale
societa' (10).
In virtu' di tutte queste caratteristiche, cioe' in seguito al fatto che si
tratta non soltanto di una particolare modalita' di lotta, bensi' anche di una
articolata dottrina politica che per molti aspetti si avvicina alla concezione
socialista, la posizione che sin qui ho chiamato nonviolenza ideologica positiva
o nonviolenza specifica puo' anche essere caratterizzata come una posizione di
socialismo nonviolento.
*
Il piu' originale apporto di questa dottrina agli sviluppi del pensiero e
della prassi politica consiste senza dubbio in quella particolare modalita' di
lotta che, usando un neologismo coniato da Gandhi - e per distinguerla dalle
varie tecniche di lotta nonviolenta generica e negativa sopra distinte -,
possiamo chiamare modalita' di lotta satyagraha. Ho presentato le
caratteristiche fondamentali di questo tipo di lotta, con una certa ampiezza,
nel mio saggio introduttivo alla silloge di scritti gandhiani sopra menzionata
(11). Rimando pertanto per un piu' ampio discorso ad esso, e mi accontento qui
di riassumere, per sommi capi, quanto ivi detto.
Occorre anzitutto che sia ben chiaro che nessun catalogo, per completo che
sia, delle svariate tecniche di lotta ideate ed impiegate da Gandhi puo' servire
a fornire una compiuta caratterizzazione della modalita' di lotta satyagraha. Le
forme che tale modalita' di lotta assume varieranno, ovviamente, da contesto a
contesto, ed e' chiaro che le tecniche di lotta impiegate da Gandhi nel contesto
sudafricano e indiano non sono esportabili ad altre situazioni conflittuali
diverse da quelle in cui si trovo' ad operare il politico indiano. Cio' che qui
conta sono i principi generali che caratterizzano il satyagraha, le condizioni,
cioe', cui e' necessario (e forse anche sufficiente) che un gruppo adegui i suoi
metodi di lotta politica affinche' questi possano essere correttamente
classificati come metodi di lotta satyagraha. Illustrero' qui brevemente cinque
condizioni.
*
(I) Astensione dalla violenza. Un metodo o una tecnica di lotta politica
saranno caratterizzabili come satyagraha soltanto ove essi siano esenti da
violenza o, ove cio' non sia del tutto possibile, la violenza connessa al loro
impiego sia ridotta ad un minimo di violenta psicologica. Quest'ultima aggiunta
si spiega con il duplice fatto che qui si assume la terza e piu' lata nozione di
violenza (per cui si ha violenza anche ove si infliggono intenzionalmente e in
modo coatto delle sofferenze psicologiche), e che la nonviolenza positiva - in
quanto comporta una contestazione attiva e permanente di ogni forma di
ingiustizia, di sfruttamento, di prevaricazione, di indebito privilegio - puo'
ovviamente causare delle sofferenze psicologiche nello sfruttatore che vede i
suoi indebiti privilegi messi in questione o aboliti. E' pero' della massima
importanza aver ben chiaro che la violenza cosi' connessa con la lotta
satyagraha e' un minimo di violenza psicologica e che essa e' usata da un gruppo
che imposta tutta la sua lotta adottando tecniche che non comportano ne' la
minaccia di lesione, ne' la lesione effettiva degli interessi vitali delle
persone (quelli cioe' su cui ciascuno puo' far valere un diritto uguale a quello
di ciascun altro - diritto alla propria vita, alla propria integrita' fisica e
psicologica, a non essere mutilato o ucciso fisicamente o psicologicamente -) in
quanto distinti da quegli interessi che sono fondati sulla violenza, sui quali
cioe' non si puo' far valere altro diritto che quello del piu' forte. Chiunque
potra' convenire che vi e' una differenza enorme fra il costringere un gruppo
avversario a rinunciare ai privilegi di cui indebitamente gode mediante
l'impiego di mezzi che comportano l'intenzionale e coatta inflizione di enormi
sofferenze e lesioni (12), e il costringerlo a cio' in seguito all'impiego di
mezzi di lotta deliberatamente scelti allo scopo di minimizzare il piu'
possibile le sofferenze per l'avversario contro cui sono impiegati, e che
inoltre soddisfano tutte le altre quattro condizioni della lotta satyagraha e,
per cominciare, la seconda che ora passo brevemente a illustrare.
*
(II) La disposizione al sacrificio. Questa condizione della modalita' di
lotta satyagraha richiede che il gruppo coinvolto in essa sia disposto a
sottoporsi a tutti quei sacrifici che sono necessari a far avanzare la propria
causa e a minimizzare (come richiede la precedente condizione) le sofferenze per
l'avversario. E' questa la condizione su cui in genere si appuntano le maggiori
critiche degli avversar! del satyagraha. Spesso si tratta di critiche avventate,
che tradiscono una conoscenza del tutto superficiale di questa modalita' di
lotta, oppure si fondano sulla forma del tutto particolare che questa condizione
del satyagraha assume in Gandhi. Cosi' A. I. Titarenko, uno dei filosofi
ufficiali dell'Unione Sovietica (e' professore di etica nel dipartimento di
filosofia nell'universita' di Mosca), in un suo recente libro in cui affronta la
scottante questione dei rapporti fra morale e politica, trattando brevemente
della nonviolenza gandhiana scrive, con chiaro riferimento alla presente
condizione della lotta satyagraha, che la nonviolenza di Gandhi "deve essere
moralmente condannata in quanto impone l'intero onere delle sofferenze sulle
spalle degli oppressi, mentre assolve gli oppressori". E aggiunge che "l'idea
reazionaria della umilta' e della acccttazione delle sofferenze e' uno degli
elementi chiave nel principio gandhiano della nonviolenza" (13). A cio' va
risposto:
a) Ne' la nonviolenza piu' specificatamente gandhiana, ne' la nonviolenza
positiva (che fa tesoro della prassi e del pensiero di Gandhi, ma non si
identifica ovviamente in tutto con la concezione gandhiana), comportano affatto
che si "assolvano gli oppressori", ne' che si "imponga l'intero onere delle
sofferenze sulle spalle degli oppressi", ne' che si debba, umilmente, chinare la
testa e passivamente accettare lo status quo. Quanto detto nelle pagine
precedenti dovrebbe togliere ogni dubbio su questo punto.
b) La disposizione a sottoporsi anche ai sacrifici piu' gravi, e' connessa
con ogni tipo di lotta contro l'oppressione, in modo particolare con la lotta
violenta, dato che, specialmente oggi, chi si affida ad essa deve
realisticamente accettare il fatto che oltre che poter comportare sofferenze e
morte per lui stesso, essa comporta effettivamente enormi sofferenze e morte per
un numero sempre crescente di membri del gruppo cui esso appartiene e assieme ai
quali, o per i quali, lotta (si pensi per esempio all'enorme numero di vittime e
alla enormita' di sofferenza che la lotta violenta e' costata al popolo algerino
e al popolo vietnamita).
c) Le sofferenze cui il gruppo satyagraha dovra' realmente sottoporsi
saranno di regola minori di quelle che - specie oggi - una lotta violenta
comporta, in quanto il metodo di lotta satyagraha tende a bloccare la violenza
dell'avversario.
d) La disposizione a soffrire e' nella lotta satyagraha di particolare
importanza come testimonianza della serieta' con cui si abbraccia la propria
causa; non potendo dimostrare la propria fermezza mediante l'uso delle armi, il
gruppo satyagraha la dimostra mostrando che e' disposto a soffrire per essa
almeno quanto e' disposto chi si batte per una causa giusta in modo
violento.
e) La disposizione, in certe situazioni, a sopportare anche notevoli
sofferenze al fine di minimizzare il piu' possibile le sofferenze per
l'oppositore, si fonda su due assunti: il primo, di natura prettamente morale,
e' il principio, gia' formulato da Platone (14), per cui e' moralmente migliore
subire delle sofferenze ingiustamente inflitteci, che non infliggere ad altri
delle sofferenze; il secondo assunto, di natura empirica, e' che un
comportamento informato alla condizione che qui si discute ha buone
possibilita', oltre che di bloccare o comunque diminuire nell'avversario il
ricorso alla violenza, anche di portarlo al tavolo della ragione e delle
trattative.
Si tratta di due assunti che qui non sono che accennati e la trattazione
esaustiva dei quali richiederebbe uno spazio che qui non ho a disposizione. Un
serio esame di essi potra' anche giungere alla conclusione che si tratta di
assunti assai dubbi. Ma Titarenko (e con lui molti altri critici della
nonviolenza positiva) non li ha discussi e quindi la sua conclusione, che la
posizione nonviolenta che si fonda su di essi e' una posizione moralmente
condannabile e "reazionaria", e' un ulteriore esempio di quell'atteggiamento
dogmatico che e' del tutto estraneo alla posizione nonviolenta, proprio perche'
essa pone, come terza condizione di una lotta satyagraha, che ci si attenga alla
verita'.
*
(III) II rispetto per la verita'. Tale condizione si articola in tutta una
serie di richieste motivate, come tutte le altre condizioni, in parte da ragioni
di ordine morale, in parte da ragioni di ordine empirico, tattico. Rimandando
per un piu' compiuto esame di questa condizione al mio saggio introduttivo alla
silloge di scritti gandhiani sopra menzionato (15), noto qui, in tutta brevita',
che tale condizione comporta che si rispetti la massima obiettivita' e
imparzialita' in ogni fase della lotta, che non si pongano obiettivi che non
sono compatibili con l'idea del potere e del benessere di tutti e con le altre
idee morali che caratterizzano la posizione nonviolenta positiva, che non si
operi nella clandestinita', che si sia disposti ad essere persuasi, attraverso
una seria argomentazione, a modificare la propria posizione, ecc.
*
(IV) L'impegno costruttivo. L'impegno in un lavoro costruttivo, volto a
realizzare, hic et nunc, nella maggiore misura possibile il tipo di societa' che
si mira a porre in essere (organizzazione di consigli nelle fabbriche, nelle
scuole, negli ospedali, ecc.; programmi educativi dal basso; costituzione di
istituzioni parallele), rappresenta forse la piu' profonda esigenza della
nonviolenza positiva per questo aspetto molto vicina alle idee di rivoluzionari
come Mao e "Che" Guevara. La differenza tra la posizione di questi ultimi e
quella della nonviolenza positiva consiste nel fatto che la nonviolenza positiva
auspica l'individuazione di programmi costruttivi da cui anche il gruppo
avversario possa trarre dei benefici o addirittura che possano attivamente
coinvolgere membri del gruppo avversario. Non si tratta di sminuire o
minimizzare o ignorare l'acutezza di certi conflitti di interessi o di classe,
bensi' soltanto di indagare - al di la' delle dichiarazioni teoriche, dogmatiche
e demagogiche di una totale e irriducibile opposizione di interessi fra le
classi - di volta in volta se non vi siano interessi comuni o fini sovraordinati
che permettano quel minimo di comunicazione fra i membri dei gruppi in conflitto
che e' condizione necessaria di un efficace funzionamento della tecnica di lotta
satyagraha (16).
*
(V) La gradualita' dei mezzi. Quest'ultima condizione necessaria della
modalita' di lotta satyagraha esige che non si ricorra alle forme piu' radicali
di lotta nonviolenta senza aver prima individuato un programma costruttivo su
cui far convergere gli sforzi e senza aver tentato tutte le varie tecniche di
persuasione, non escluso il compromesso inteso come tentativo di addivenire ad
una soluzione del conflitto onorevole e accettabile a tutte le parti. Ove va
pero' sottolineato che il compromesso, nella concezione della nonviolenza
positiva, e' possibile soltanto per quanto riguarda gli obiettivi non
essenziali, mentre su quelli considerati essenziali non e' possibile compromesso
alcuno.
*
Ho piu' volte sottolineato che la distinzione fra violenza e nonviolenza,
affinche' risulti interessante e adeguata, deve essere tracciata, almeno nel
presente contesto, in base ad un criterio morale, per cui cio' che viene
caratterizzato come modalita' di lotta nonviolenta dovra' esibire una chiara
superiorita' morale sulla modalita' di lotta che viene caratterizzata come
violenta. Orbene, e come ho gia' sopra osservato, penso che chiunque converra'
che vi e' una profonda differenza, proprio da un punto di vista morale, tra
l'impiegare un metodo di lotta (come e' qui per definizione quello violento) che
comporta la deliberata e coatta inflizione di sofferenze e lesioni su vasta
scala, e l'impiegare un metodo di lotta che soddisfi a tutte e cinque le
condizioni della modalita' di lotta satyagraha sopra passate in rassegna, anche
se queste condizioni non sono soddisfatte al cento per cento.
E' questa differenza di natura morale fra i due tipi o metodi di lotta che
rende particolarmente interessante il problema concernente l'efficacia e la
possibilita' di una lotta rivoluzionaria satyagraha a livello di massa, cioe' la
possibilita' che il satyagraha ha di porsi come una valida alternativa all'uso
della violenza nella lotta per una piu' giusta ed umana societa'.
*
Cio' non esclude, si badi, che sia anche importante indagare sulla
possibilita' ed efficacia (relativamente a tal fine) di quelle forme di lotta
nonviolenta generica che ho sopra chiamato lotta non militare, lotta incruenta e
lotta a-violenta. E' importante indagare sulle prime due modalita' di lotta
perche' pur non essendo, come sopra si e' visto, necessariamente esenti da
violenza (nella accezione che sopra si e' visto essere la piu' adeguata di
questo termine), anche ove comportino una certa misura di violenza si trattera',
di regola, di una misura assai minore di quella che si verifica nella modalita'
di lotta militare. Ed e' ovviamente importante indagare sulle possibilita' di
passare dalla societa' capitalista a quella socialista mediante l'uso di mezzi
a-violenti, cioe' pacifici, come sono il voto e le varie tecniche parlamentari,
con le quali, come e' noto, Marx ed Engels stimavano possibile il passaggio al
socialismo nell'Inghilterra, negli Stati Uniti, nell'Olanda e, piu' tardi, nella
Germania del loro tempo.
Bisogna pero' da ultimo di nuovo sottolineare che in tutti e tre i casi di
lotta nonviolenta generica si tratta pur sempre e soltanto di mere tecniche di
lotta cui, come tali, non soggiace alcuna dottrina o particolare atteggiamento
nei confronti della violenza, e il cui impiego, pertanto, in una situazione
giudicata favorevole ad un loro uso, non esclude affatto che in altra situazione
si ricorra alla violenza piu' massiccia, ne' che in quella stessa situazione si
impieghi anche la violenza militare o se ne minacci o comunque prepari l'uso
(17).
*
Completamente diverso e' invece il caso della modalita' di lotta satyagraha
ove l'uso, la minaccia e la preparazione della violenza (ferma restando la
possibilita' di un minimo di violenza psicologica, sopra accennata) sono
sistematicamente banditi in ogni tipo di situazione conflittuale, e cio' in base
a tre ordini di considerazioni. In primo luogo, perche' la violenza e'
considerata un male (anche se non assoluto); in secondo luogo, perche' si
reputa, in base a tutta una serie di argomenti abbastanza convincenti, che,
soprattutto oggi, l'impiego della violenza tende a condurre a risultati del
tutto diversi da quelli che caratterizzano una societa' socialista; e in terzo
luogo, perche' si reputa, di nuovo in base ad argomenti abbastanza convincenti,
che e' soltanto ove ci si astenga sistematicamente dall'uso, dalla minaccia e
dalla preparazione (che di per se' e' gia' minaccia) della violenza - e per il
resto si soddisfino le altre quattro condizioni del satyagraha - che si danno le
migliori garanzie di tenere sotto controllo la risposta violenta dell'avversario
contro cui si lotta, di umanizzarlo (invece di deumanizzarlo come avviene nel
caso della lotta violenta), e di condurre i conflitti in modo tale che essi alla
fine non sbocchino nella "comune rovina delle classi in lotta".
Di questi tre tipi di considerazioni, il primo e' stato sviluppato nel
corso di questo scritto. Sviluppare gli altri due, cioe' sviluppare e discutere
gli argomenti in base ai quali si fa valere l'inefficacia della violenza e
l'efficacia del satyagraha come modalita' di lotta rivoluzionaria per il
socialismo, porterebbe assai lontano. Su di essi mi riprometto di tornare in
altra occasione.
*
Note
7. Cfr. G. Sharp, The Politics of Nonviolent Action, cit., p. 71.
8. Cfr. Aldo Capitini, II potere e' di tutti, La Nuova Italia, 1969,
specialmente le pp. 59-182.
9. Gandhi ha sviluppato l'idea di Sarvodaya in molti scritti, alcuni dei
quali sono raccolti nel libretto Sarvodaya, Navajivan Publising House,
Ahmedabad, 1951. Sulla concezione gandhiana di una societa' o "stato
nonviolento" si veda G. Dhawan, The Political Philosophy of Mahatma Gandhi,
Ahmedabad, terza edizione riveduta, 1957, cap. XI "The' Structure of the
Non-violent State", pp. 279-336; sulle idee sociali e politiche di Gandhi mi
sono intrattenuto nel terzo capitolo del saggio introduttivo che ho preposto
alla silloge di scritti gandhiani da me curata per Einaudi: cfr. M. K. Gandhi,
Teoria e pratica della nonviolenza, a cura e con un saggio introduttivo di G.
Pontara, Torino, 1973, pp. LXXX-XCII.
10. Nella difesa di tali liberta' la nonviolenza positiva trova un possente
alleato in Rosa Luxemburg la quale, come e' noto, polemizzando con Lenin e
Trotckij all'indomani della rivoluzione russa, ribadiva, con la fermezza di
sempre, che "senza una liberta' illimitata di stampa, senza un libero esercizio
dei diritti di associazione e di riunione, e' del tutto impossibile concepire il
dominio delle grandi masse popolari" e che "la liberta' riservata ai partigiani
del governo, ai soli membri di un unico partito - siano pure numerosi quanto si
vuole - non e' liberta'. La liberta' e' sempre e soltanto liberta' di chi pensa
diversamente". Cfr. R. Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti politici, a
cura di Leiio Basso, Editori Riuniti, 1970, pp. 588 e 599.
11. Cfr. M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., pp.
XCIII-CXXIII.
12. E' il caso, in modo particolare, della lotta violenta militare che si
fonda sul principio, enunciato da Clausewitz, per cui "la guerra e' un atto di
forza, all'impiego del quale non esistono limiti: i belligeranti si impongono
legge mutualmente; ne risulta un'azione reciproca che logicamente deve condurre
all'estremo". (Cfr. K. von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, 1970, 1. I, cap.
I, p. 22). Poco prima (op. cit., p. 21) Clausewitz aveva scritto: "Gli spiriti
umani potrebbero immaginare che esistano metodi tecnici per disarmare o
abbattere l'avversario senza infliggergli troppe ferite e che sia questa la
finalita' autentica dell'arte militare. Per quanto seducente ne sia l'apparenza
occorre distruggere tale errore (...)". Gli fanno eco non pochi rivoluzionar!
violenti. "La guerra e' sempre una lotta in cui i contendenti cercano di
annientarsi a vicenda" scrive Ernesto "Che" Guevara ne La guerra di guerriglia
(Feltrinelli, 1967, p. 17), e Lin Piao dice espressamente che "il principio
fondamentale che presiede alle nostre operazioni militari e' la guerra di
annientamento" ("Sull'applicazione della strategia e delle dottrine tattiche
della guerra di popolo"), cit. da C. Milanese, Principi generali della guerra
rivoluzionaria, Feltrinelli, 1970, p. 20. Milanese, a sua volta, sottolinea come
anche il guerrigliero sia "il combattente (...) che si propone di infliggere al
nemico, di volta in volta, il massimo di distruzione" che i mezzi di cui dispone
gli consentono (op. cit., p. 99).
13. Cfr. A. J. Titarenko, Morality and Politics, Progress Publisher, Mosca,
1972, p. 174.
14. Tra i vari luoghi delle sue opere in cui Platone ha formulato tale
principio cfr. ad esempio il Gorgia, XXIV.
15. Cfr. M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, pp.
CII-CVI.
16. Nel linguaggio di Mao, cio' puo' essere espresso dicendo che si tratta
di fare uno sforzo continuo per trasformare le contraddizioni o i conflitti
antagonistici in contraddizioni o conflitti non antagonistici, i quali ultimi,
secondo la concezione di Mao, sono contraddizioni o conflitti risolvibili senza
l'uso della violenza in quanto le parti in conflitto hanno degli interessi
comuni facendo appello ai quali e' possibile risolvere la contraddizione in modo
costruttivo e nonviolento. E' qui della massima importanza l'accenno, che Mao fa
all'inizio del suo saggio Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al
popolo, alla possibilita' che certe contraddizioni o conflitti antagonistici
(cioe', secondo la concezione di Mao, risolvibili di regola soltanto mediante
l'impiego della violenza), se "trattati in modo opportuno" possono, in certe
situazioni, essere "trasformati in contraddizioni non antagonistiche ed essere
risolti in modo pacifico". Peccato che in Mao non vi sia che questo accenno e
che non risulti chiaro in che modo un conflitto antagonistico debba essere
trattato per poter essere trasformato in un conflitto non antagonistico.
17. Tale e' generalmente l'atteggiamento nel marxismo rivoluzionario; si
favorisce l'impiego di varie tecniche di lotta non militare (scioperi, sciopero
generale, non-collaborazione, ecc. ecc.) in una prima fase della lotta
rivoluzionaria la quale dovra' pero' pur sempre concludersi e decidersi in uno
scontro armato fra le classi. Si veda, ad esempio, il programma della
Internazionale comunista del 1928 ove si legge che la conquista del potere da
parte del proletariato significa "il rovesciamento violento del potere borghese,
la distruzione dell'apparato dello stato capitalista", fini che vanno realizzati
mediante "la propaganda (...) e l'azione di massa (...)", la quale "include
(...) da ultimo lo sciopero generale congiunto con la insurrezione armata ".
"Quest^ultima forma (...) che e' la forma suprema, deve essere condotta secondo
le regole della guerra". Cit. da K. Popper, The Open Society and Its Enemies,
quarta edizione riveduta, 1962, voi. II, p. 158.
Anche Rosa Luxemburg, che per molti aspetti e' cosi' vicina alla
nonviolenza positiva, e cosi' contraria al terrore e agli spargimenti di sangue,
pur vedendo in una tecnica di lotta non militare come lo sciopero generale una
nuova forma di lotta che "civilizza" e "mitiga" la lotta di classe, non esclude
lo scontro armato finale: "L'avvento dello sciopero di massa rivoluzionario
(...) certamente non rimpiazza in modo assoluto e non rende superflua la nuda
brutale lotta di strada". Cfr. R. Luxemburg, "Sciopero generale, partito e
sindacati", in Scritti politici, a cura di Lelio Basso, cit., p.
350.
3. APPELLI.
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Angelo Bianchetti, Marco Trabucchi, Alzheimer, Il Mulino, Bologna 2010,
pp. 128, euro 9,80.
- Attilio Bolzoni, Faq mafia, Bompiani - Rcs Libri, Milano 2010, pp. 252,
euro 12.
- Filippo La Porta, Giuseppe Leonelli, Dizionario della critica militante.
Letteratura e mondo contemporaneo, Bompiani - Rcs Libri, Milano 2007, pp. 272,
euro 11.
*
Riletture
- Moliere, Tartufo, Einaudi, Torino 1974, 1980, pp. XVIII + 190.
* Riedizioni
- Konrad Lorenz, L'altra faccia dello specchio. Gli otto peccati capitali
della nostra civilta', Adelphi, Milano 1974, Mondadori, Milano 2010, pp. 568,
euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).
- Friedrich von Wieser, Opere, Utet, Torino 1975, 2005, De Agostini - Il
sole 24 ore, Novara-Milano 2010, pp. 868, euro 12,90. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 200 del 24 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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