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Telegrammi. 198
- Subject: Telegrammi. 198
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 22 May 2010 00:59:01 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 198
del 22 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche
della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Ripudia la guerra, difendi i diritti umani di tutti gli esseri
umani
2. Martin Luther King: Io ho un sogno
3. Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca
4. Associazione "Respirare": Firmare per il referendum in difesa dell'acqua
bene comune e diritto umano
5. Una lettera aperta al Ministro dell'Economia e delle Finanze
6. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
7.
"Azione nonviolenta"
8. Segnalazioni librarie 9. La "Carta" del Movimento
Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. RIPUDIA LA GUERRA, DIFENDI I DIRITTI UMANI DI TUTTI GLI
ESSERI UMANI
Il colpo di stato razzista, la partecipazione italiana alla guerra afgana:
due crimini contro l'umanita'.
E' diritto e dovere di ogni essere umano ripudiare la guerra
e difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani.
E' diritto e dovere sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana
ripudiare la guerra e difendere i diritti umani di tutti gli esseri
umani.
Occorre un'insurrezione nonviolenta per la legalita', per la democrazia,
per la civilta', per l'umanita'.
Occorre un'insurrezione nonviolenta per salvare le vite umane minacciate
dalla guerra e dal razzismo.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
2. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: IO HO UN SOGNO
[Riproponiamo ancora una volta il seguente discorso estratto dall'antologia
di scritti e discorsi di Martin Luther King curata da Fulvio Cesare Manara,
Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla
nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002, che reca traduzioni di discorsi
e scritti del grande maestro della nonviolenza. Il testo seguente e' quello
dell'indimenticabile discorso tenuto alla marcia a Washington per l'occupazione
e la liberta', Washington, 28 agosto 1963; la traduzione (di Tania Gargiulo) e'
ripresa da Martin Luther King, "I have a dream", Mondadori, Milano 2000, 2001,
pp. 226-230. Cosi' Martin Luther King descrisse la circostanza: "Cominciai a
parlare leggendo il mio discorso, e fino a un certo punto continuai a leggere.
Quel giorno sentivo nell'uditorio una rispondenza straordinaria, e tutt'a un
tratto mi venne in mente questa cosa. Nel giugno precedente, dopo essermi unito
a un tranquillo raduno di migliaia di persone nelle strade del centro di
Detroit, nel Michigan, avevo tenuto un discorso nella Cobo Hall, in cui mi ero
servito dell'espressione 'io ho un sogno'. L'avevo gia' usata piu' volte nel
passato, e semplicemente mi venne fatto di usarla anche a Washington. Non so
perche': prima di pronunciare il discorso non ci avevo pensato affatto. Dissi la
frase, e da quel momento in poi lasciai del tutto da parte il manoscritto e non
lo ripresi piu'".
Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi
all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo
stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal
1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta
nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti
degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e
repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i
testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994 (edizione italiana
curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio
alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993; L'"altro" Martin Luther
King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura di Paolo Naso); "I have a dream",
Mondadori, Milano 2001; Il sogno della nonviolenza. Pensieri, Feltrinelli,
Milano 2006; cfr. anche: Marcia verso la liberta', Ando', Palermo 1968; Lettera
dal carcere, La Locusta, Vicenza 1968; Il fronte della coscienza, Sei, Torino
1968; Perche' non possiamo aspettare, Ando', Palermo 1970; Dove stiamo andando,
verso il caos o la comunita'?, Sei, Torino 1970. Presso la University of
California Press, e' in via di pubblicazione l'intera raccolta degli scritti di
Martin Luther King, a cura di Clayborne Carson (che lavora alla Stanford
University). Sono usciti sinora sei volumi (di quattordici previsti): 1. Called
to Serve (January 1929 - June 1951); 2. Rediscovering Precious Values (July 1951
- November 1955); 3. Birth of a New Age (December 1955 - December 1956); 4.
Symbol of the Movement (January 1957 - December 1958); 5. Threshold of a New
Decade (January 1959 - December 1960); 6. Advocate of the Social Gospel
(September 1948 - March 1963); ulteriori informazioni nel sito:
www.stanford.edu/group/King/ Opere su Martin Luther King: Lerone Bennett, Martin
Luter King. L'uomo di Atlanta, Claudiana, Torino 1969, 1998, Nuova iniziativa
editoriale, Roma 2008; Gabriella Lavina, Serpente e colomba. La ricerca
religiosa di Martin Luther King, Edizioni Citta' del Sole, Napoli 1994; Arnulf
Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano
1996; Sandra Cavallucci, Martin Luther King, Mondadori, Milano 2004; Paolo Naso
(a cura di), Il sogno e la storia. Il pensiero e l'attualita' di Martin Luther
King (1929-1968), Claudiana, Torino 2008; cfr. anche Paolo Naso, Come una citta'
sulla collina. La tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli
Usa, Claudiana, Torino 2008. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert
Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra
conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore. Una introduzione sintetica
e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con una bibliografia
essenziale]
Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sara'
ricordata come la piu' grande manifestazione per la liberta' nella storia del
nostro paese.
Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra
simbolica, firmo' il Proclama dell'emancipazione. Si trattava di una legge
epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri,
marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come
un'aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro
cattivita'.
Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono
passati cento anni, e la vita dei neri e' ancora paralizzata dalle pastoie della
segregazione e dalle catene della discriminazione. Sono passati cento anni, e i
neri vivono in un'isola solitaria di poverta', in mezzo a un immenso oceano di
benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli
angoli della societa' americana, si ritrovano esuli nella propria terra.
Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione
vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per
incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno
scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione
d'indipendenza, hanno firmato un "paghero'" di cui ciascun americano era
destinato a ereditare la titolarita'. Il "paghero'" conteneva la promessa che a
tutti gli uomini, si', ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi
diritti inalienabili: "vita, liberta' e ricerca della felicita'".
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di
colore, l'America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di
adempiere a questo sacro dovere, l'America ha dato al popolo nero un assegno a
vuoto, un assegno che e' tornato indietro, con la scritta "copertura
insufficiente". Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia
in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunita' di
questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo,
questo assegno, l'assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della
liberta' e la garanzia della giustizia.
Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all'America
l'infuocata urgenza dell'oggi. Quest'ora non e' fatta per abbandonarsi al lusso
di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo.
Adesso ' il momento di tradurre in realta' le promesse della democrazia. Adesso
e' il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione
fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso e' il momento di
sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell'ingiustizia razziale per
collocarla sulla roccia compatta della fraternita'. Adesso e' il momento di
tradurre la giustizia in una realta' per tutti i figli di Dio.
Se la nazione non cogliesse l'urgenza del presente, le conseguenze
sarebbero funeste. L'afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non
finira' finche' non saremo entrati nel frizzante autunno della liberta' e
dell'uguaglianza. Il 1963 non e' una fine, e' un principio. Se la nazione
tornera' all'ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi
sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un po' e poi se ne
sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa.
In America non ci sara' ne' riposo ne' pace finche' i neri non vedranno
garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno
a scuotere le fondamenta della nostra nazione finche' non spuntera' il giorno
luminoso della giustizia.
*
Ma c'e' qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia
rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci
portera' a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere
torti. Non cerchiamo di placare la sete di liberta' bevendo alla coppa del
rancore e dell'odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano
elevato di dignita' e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta
creativa degeneri in violenza fisica. Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo
innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s'incontra con la
forza dell'anima.
Il nuovo e meraviglioso clima di combattivita' di cui oggi e' impregnata
l'intera comunita' nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perche'
molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno
capito che il loro destino e' legato al nostro. Hanno capito che la loro
liberta' si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare
da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di
proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro.
C'e' chi domanda ai seguaci dei diritti civili: "Quando sarete
soddisfatti?". Non potremo mai essere soddisfatti, finche' i neri continueranno
a subire gli indescrivibili orrori della brutalita' poliziesca. Non potremo mai
essere soddisfatti, finche' non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle
autostrade e negli alberghi delle citta', per dare riposo al nostro corpo
affaticato dal viaggio. Non potremo mai essere soddisfatti, finche' tutta la
facolta' di movimento dei neri restera' limitata alla possibilita' di
trasferirsi da un piccolo ghetto a uno piu' grande. Non potremo mai essere
soddisfatti, finche' i nostri figli continueranno a essere spogliati
dell'identita' e derubati della dignita' dai cartelli su cui sta scritto
"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti, finche' i neri del
Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere
niente per cui votare. No, no, non siamo soddisfatti e non saremo mai
soddisfatti, finche' la giustizia non scorrera' come l'acqua, e la rettitudine
come un fiume in piena.
Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e
tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione.
Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la liberta' sono stati colpiti
dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalita'
poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro
lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la
redenzione.
Tornate nel Mississippi, tornate nell'Alabama, tornate nella Carolina del
Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai
ghetti delle nostre citta' del Nord, sapendo che in qualche modo questa
situazione puo' cambiare e cambiera'.
*
Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico:
anche se dobbiamo affrontare le difficolta' di oggi e di domani, io continuo ad
avere un sogno. E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.
Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgera' e vivra' il significato
vero del suo credo: noi riteniamo queste verita' evidenti di per se', che tutti
gli uomini sono creati uguali.
Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli
ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla
tavola della fraternita'.
Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si
patisce il caldo afoso dell'ingiustizia, il caldo afoso dell'oppressione, si
trasformera' in un'oasi di liberta' e di giustizia.
Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione
in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l'essenza della
loro personalita'.
Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno, laggiu' nell'Alabama, dove i razzisti sono piu'
che mai accaniti, dove il governatore non parla d'altro che di potere di
compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno,
proprio la' nell'Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per
mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.
Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno ogni valle sara' innalzata, ogni monte e ogni
collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi
tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sara' rivelata, e tutte
le creature la vedranno insieme.
Questa e' la nostra speranza. Questa e' la fede che portero' con me
tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della
disperazione una pietra di speranza.
Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra
nazione in una bellissima sinfonia di fraternita'.
Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme,
andare in prigione insieme, schierarci insieme per la liberta', sapendo che un
giorno saremo liberi.
Quel giorno verra', quel giorno verra' quando tutti i figli di Dio potranno
cantare con un significato nuovo: "Patria mia, e' di te, dolce terra di
liberta', e' di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra
dell'orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi liberta'". E se l'America
vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero.
E dunque, che la liberta' riecheggi dalle straordinarie colline del New
Hampshire.
Che la liberta' riecheggi dalle possenti montagne di New York.
Che la liberta' riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.
Che la liberta' riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del
Colorado.
Che la liberta' riecheggi dai pendii sinuosi della California.
Ma non soltanto.
Che la liberta' riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.
Che la liberta' riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Che la liberta' riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del
Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la liberta'.
E quando questo avverra', quando faremo riecheggiare la liberta', quando la
lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni paese, da ogni stato e da
ogni citta', saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di
Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno
prendersi per mano e cantare le parole dell'antico inno: "Liberi finalmente,
liberi finalmente. Grazie a Dio onnipotente, siamo liberi
finalmente".
3. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA
[Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme,
Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo gia'
altre volte riprodotto su questo foglio.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio,
dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime
pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente
libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di
Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano
e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione
dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le
origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa
(1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra
passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita',
Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino,
Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e
menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers
(Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary
McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy
1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e'
Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e
giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006;
i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah
Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt,
Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah
Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica:
Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis,
Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano
1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt,
Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina,
Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005; Alois Prinz,
Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009. Per chi legge il tedesco due
piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico)
sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]
La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento
della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro paese
d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che fosse. Su
questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le universita'
ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare un'idea della potenza
enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l'avversario e'
violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi
d'Europa difettavano di "comprensione per la questione ebraica", e anzi si puo'
dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni
"radicali" e "finali". Come la Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la
Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste
nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso'
esprimere apertamente cio' che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli
ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro
ebrei con un tour de force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica
antisemita in quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i
danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il
distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e
i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe
provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi
non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di
origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei
di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora
il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi
dovette stupire enormemente i tedeschi, poiche' ai loro occhi era quanto mai
"illogico" che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato
categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. (Dal punto di
vista giuridico, prima della guerra la situazione dei profughi in Danimarca non
era diversa da quella che c'era in Francia, con la sola differenza che la
corruzione dilagante nella vita amministrativa della Terza Repubblica permetteva
ad alcuni di farsi naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di
lavorare anche senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era
un paese pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome
i profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti non
potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno dei pochi
casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto, anche se
naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli ebrei si
salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli. Cosi' i
nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto
importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate
all'autunno del 1943.
Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in
confronto a cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande scompiglio.
Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia era fallita,
l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano sbarcati in Italia)
il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la Germania nel 1940, in base
al quale le truppe tedesche avevano il diritto di attraversare la Svezia. A
questo punto i danesi decisero di accelerare un po' le cose: nei cantieri della
Danimarca ci furono sommosse, gli operai si rifiutarono di riparare le navi
tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamo' lo
stato d'emergenza e impose la legge marziale, e Himmler penso' che fosse il
momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui "soluzione" si era
fatta attendere fin troppo. Ma un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la
resistenza danese) i capi tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non
erano piu' quelli di un tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante
militare, si rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best,
plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli
Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui
"provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella
deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla
Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro
sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena
soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se non
e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque, fin
dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e l'ufficio di
Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini migliori, Rolf Guenther,
che sicuramente nessuno poteva accusare di non avere la necessaria "durezza". Ma
Guenther non fece nessuna impressione ai suoi colleghi di Copenhagen, e von
Hannecken si rifiuto' addirittura di emanare un decreto che imponesse a tutti
gli ebrei di presentarsi per essere mandati a lavorare.
Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi
sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria appartenessero -
una concessione molto importante, dal punto di vista dei nazisti. Come data del
loro arresto e della loro immediata deportazione (le navi erano gia' pronte nei
porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e non potendosi fare affidamento
ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle truppe tedesche di stanza in Danimarca,
arrivarono dalla Germania unita' della polizia tedesca, per effettuare una
perquisizione casa per casa. Ma all'ultimo momento Best proibi' a queste unita'
di entrare negli alloggi, perche' c'era il rischio che la polizia danese
intervenisse e, se la popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i
tedeschi avessero la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli
ebrei che aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente
477 persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi
giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F.
Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il
piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i capi
della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di altri paesi,
avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle sinagoghe, in
occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli ebrei ebbero
appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa che fu molto
facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo danese, dal re al
piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli.
Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della
guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla Svezia.
Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi' si fece con
l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per i non abbienti
(circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte da ricchi cittadini
danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di tutte, perche' negli
altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della propria deportazione, gli
ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi permessi di uscita (in Olanda,
Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o corrompendo le autorita' locali o trattando
"legalmente" con le SS, le quali accettavano soltanto valuta pregiata e, per
esempio in Olanda, volevano dai cinquemila ai diecimila dollari per persona.
Anche dove la popolazione simpatizzava per loro e cercava sinceramente di
aiutarli, gli ebrei dovevano pagare se volevano andar via, e quindi le
possibilita' di fuggire, per i poveri, erano nulle.
Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le
cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli
svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine tedesca,
1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei. (Quasi la meta'
degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e si salvo' tenendosi
nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come non mai, giacche' tutti
ottennero il permesso di lavorare. Le poche centinaia di persone che la polizia
tedesca era riuscita ad arrestare furono trasportate a Theresienstadt: erano
persone anziane o povere, che o non erano state avvertite in tempo o non avevano
capito la gravita' della situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come
nessun altro gruppo, grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su
di loro le autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una
percentuale non molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu
finito, Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni"
l'azione contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel
singolare individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione
non era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei:
ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto".
L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta
questa vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche
insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che giungevano
da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i nazisti incontrarono
una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che vi
si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non vedevano piu' lo sterminio di
un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su
saldi principi, e la loro "durezza" si era sciolta come ghiaccio al sole
permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po' di vero coraggio. Del
resto, che l'ideale della "durezza", eccezion fatta forse per qualche bruto,
fosse soltanto un mito creato apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva
uno sfrenato desiderio di irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide
chiaramente al processo di Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si
tradirono a vicenda giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o
sostenendo, come fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano
abusato delle loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al
potere" di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono
e' fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto
fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu' di
loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna, nessuno ebbe
il fegato di difendere l'ideologia nazista.
4. APPELLI. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": FIRMARE PER
IL REFERENDUM IN DIFESA DELL'ACQUA BENE COMUNE E DIRITTO UMANO
[Riceviamo e
diffondiamo]
L'associazione "Respirare" rinnova l'invito a tutti
i cittadini a firmare per il referendum in difesa dell'acqua bene comune e
diritto umano, contro la scellerata volonta' governativa di privatizzare i
servizi idrici e mercificare brutalmente l'accesso a un bene indispensabile per
la vita.
*
Per informazioni segnaliamo il sito www.acquabenecomune.org
*
L'associazione "Respirare"
Viterbo, 21 maggio 2010
L'associazione "Respirare" e' stata promossa a
Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto
alla salute e la difesa
dell'ambiente. 5. CARTEGGI. UNA LETTERA APERTA AL MINISTRO
DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
[Riceviamo e
diffondiamo]
Signor Ministro dell'Economia e delle
Finanze,
le scriviamo per segnalarle non
solo l'assoluta illegalita' e insensataggine della realizzazione di un
mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge a Viterbo, ma anche la sua
catastrofica diseconomicita' e come tale opera costituirebbe uno sperpero
colossale di pubblici denari e una devastazione irreversibile di beni pubblici
che occorrerebbe invece tutelare e valorizzare.
E le scriviamo altresi' per chiedere anche il
suo impegno in difesa dell'ambiente e della salute della popolazione di Viterbo,
dei beni paesaggistici e culturali, delle autentiche vocazioni produttive del
territorio, del vero diritto al lavoro (poiche' quest'opera a Viterbo
devasterebbe il territorio e danneggerebbe gravemente ed
irreversibilmente il termalismo, l'agricoltura, beni ambientali
e culturali ed altre risorse ed opportunita', provocando cosi' in
realta' un drammatico ulteriore impoverimento della comunita' locale), ed
infine del diritto a politiche pubbliche adeguate e sollecite del benessere
dei cittadini.
*
La realizzazione di un mega-aeroporto nella
preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame di dantesca
memoria, un'area di immenso pregio ambientale, culturale e terapeutico, e a
ridosso di popolosi quartieri della citta', avrebbe come immediate conseguenze
lo scempio dell'area del Bulicame e dei beni
ambientali e culturali che vi si trovano; la
devastazione dell'agricoltura della zona circostante; l'impedimento alla valorizzazione terapeutica e sociale delle risorse
termali; un pesantissimo inquinamento chimico,
acustico ed elettromagnetico che sara' di grave nocumento per la salute e la
qualita' della vita della popolazione locale (l'area e' nei pressi di popolosi
quartieri della citta'); il collasso della rete
infrastrutturale dell'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesanti servitu';
uno sperpero colossale di soldi pubblici;
una flagrante violazione di leggi italiane ed
europee e dei vincoli di salvaguardia presenti nel territorio.
*
Inoltre un mega-aeroporto produce un enorme inquinamento che provoca
gravi danni alla salute della popolazione che vive nei dintorni; si aggiunga
che nel caso specifico del mega-aeroporto a
Viterbo manca completamente la Valutazione d'impatto ambientale, obbligatoria
per legge; e si consideri inoltre che la
magistratura viterbese ha gia' emesso avvisi di garanzia per il reato di
corruzione a carico di amministratori e dirigenti del Comune di Viterbo in
relazione alla modifica del Piano regolatore nelle aree toccate dalle opere
connesse alla realizzazione del mega-aeroporto.
*
Viterbo nell'ambito della mobilita' ha bisogno non
di un insensato ed illegale mega-aeroporto, ma di migliorare la rete ferroviaria
ed i collegamenti con Roma, con Orte e con Civitavecchia; ha bisogno
di una rete infrastrutturale adeguata, sostenibile e coerente con la difesa
e la valorizzazione dei beni ambientali e culturali e delle vocazioni produttive
del territorio viterbese.
*
Signor Ministro dell'Economia e delle
Finanze,
con la presente lettera vorremmo chiedere il
suo impegno per impedire che si sperperi il pubblico denaro per realizzare
un'opera folle e criminale; per impedire che si violino le leggi vigenti;
per impedire che si distruggano risorse insostituibili come l'area termale del
Bulicame e l'agricoltura di qualita' della zona circostante.
La realizzazione a Viterbo di un
mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge e' un crimine che deve essere
impedito.
* Restando a disposizione per illustrare
dettagliatamente e con dovizia di documentazione quanto sopra sommariamente
esposto, auspicando un cenno di riscontro,
voglia gradire distinti saluti.
*
Il Comitato che si oppone al mega-aeroporto di
Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti
Viterbo, 21 maggio 2010
Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito:
www.coipiediperterra.org, recapito
postale: c/o Centro di ricerca per la pace, strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo.
Per contattare direttamente la portavoce
del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com 6. APPELLI.
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riedizioni
- Roberto Galullo, Economia criminale, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp.
304, euro 12,90.
- Paolo Legrenzi, Psicologia e investimenti finanziari, Il sole 24
ore, Milano 2006, 2010, pp. XII + 236, euro 9,90. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 198 del 22 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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