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Telegrammi. 194
- Subject: Telegrammi. 194
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 18 May 2010 00:51:49 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 194
del 18 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche
della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Per il ritiro immediato dell'Italia dalla guerra
afgana
2. Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte seconda e
conclusiva)
3. Un crimine da non commettere, due cose da fare
4.
"Azione nonviolenta"
5. La "Carta" del Movimento
Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER IL RITIRO IMMEDIATO
DELL'ITALIA DALLA GUERRA AFGANA
L'unico modo per esprimere affetto e rispetto
per gli esseri umani uccisi, e' impedire che altri esseri umani siano
uccisi.
L'unico modo per impedire che la guerra
continui a fare stragi, e' cessare di fare la guerra.
Cessi la partecipazione italiana alla sciagurata
guerra afgana. E si adoperi invece l'Italia per
la pace, il disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti.
Si torni finalmente al rispetto dell'articolo
11 della Costituzione della Repubblica Italiana che ripudia la
guerra.
Si salvino tutte le vite umane.
Solo la pace costruisce la pace.
Solo la pace salva le vite. 2. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE SECONDA E
CONCLUSIVA)
[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo
Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia
1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione nonviolenta", e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org).
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e
la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed
operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior
antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori),
Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una
raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato
delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di
Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della
nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici,
Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso
L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo,
Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta.
Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente
antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi
capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la
redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito:
www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed
opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali
Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli
anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin
qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e'
la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini,
Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo
Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero,
Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Opere su Aldo Capitini: oltre alle
introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo
Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo
Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico:
Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi,
La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb,
Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza
religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La
rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini,
Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini,
persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10,
ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza
in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo
Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La
filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio
dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia,
Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen,
Firenze 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della
nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato
a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi,
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di
Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono
nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile
mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti
scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax:
0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org,
sito: www.nonviolenti.org]
Carattere della nonviolenza
Della nonviolenza si puo' dare una definizione molto semplice: essa e' la
scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di
qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani. Perche' questa
scelta? Per amore: ecco, vediamo subito che si tratta di una cosa positiva,
appassionata. Ma e' l'amore che non si ferma a due, tre esseri, dieci, mille (i
propri genitori, i figli, il cane di casa, i concittadini, ecc.); e' amore
aperto, cioe' pronto ad amare altri e nuovi esseri, o ad amare meglio e piu'
profondamente gli esseri gia' conosciuti. E qui si capisce uno dei caratteri
essenziali della nonviolenza bene intesa: essa non e' mai perfetta e non finisce
mai, appunto perche' e' una cosa dell'anima; e' un valore, e' come la musica, la
poesia, e si puo' sempre fare nuova musica, nuova poesia; e la vecchia musica,
la vecchia poesia, possono essere vissute piu' profondamente.
Il paragone con la musica ci fa comprendere anche un'altra cosa: come
nessuno puo' desiderare di ascoltare e comporre la "musica ", tutta la Musica;
ma desidera ascoltare e comporre "delle musiche particolari e concrete"; cosi
nessuno abbraccia l'astratta "Nonviolenza", ma compie atti particolari di
nonviolenza, in situazioni concrete. La nonviolenza e', dunque, dire un tu ad un
essere concreto e individuato; e' avere interessamento, attenzione, rispetto,
affetto per lui; e' avere gioia che esso esista, che sia nato, e se non fosse
nato, noi gli daremmo la nascita: assumiamo su di noi l'atto del suo trovarsi
nel mondo, siamo come madri.
Nell'agire secondo la nonviolenza ha grande rilievo non uccidere, non dare
la morte. Si potrebbe obbiettare: quella persona morra' ugualmente, prima o poi.
Rispondiamo che anzitutto c'e' una grande differenza; e noi stiamo parlando con
serieta', per cui l'atto nostro ha il suo valore non nel fatto, ma nel
proposito. E' ben diverso che io uccida mia madre e che essa muoia assistita
amorevolmente da me. Sono non solo due modi di vivere diversi, ma due mondi.
Inoltre: chi ci dice che la morte sia un fatto costante, ineliminabile? Abbiamo
tentato di non dare la morte ne' col pensiero ne' con l'atto, per vedere se la
realta' ci seguisse? Che ragione abbiamo noi di rimproverare la realta' che da'
dolore e morte, se diamo dolore e morte? Sicche' chi non da' la morte, produce
due cose: in se', tanto e' l'appassionamento all'esistenza delle persone, il
senso della loro presenza anche se muoiono; e nella realta' introduce
un'iniziativa che la puo' trasformare.
Proprio l'amore per le persone, fino al rispetto della loro esistenza e fin
sull'orlo della morte, prende su di se' la presenza di quelle persone, quando e'
amore non per uno, due, dieci, ma aperto a tutti. Il nostro agire innocente
sente che quelle persone, se muoiono, restano unite all'intima presenza; mentre
l'omicida, soltanto se si pente amorevolmente, ritrova in se' la presenza della
persona uccisa; altrimenti sente il vuoto intorno a se'.
Con la nonviolenza, dunque, s'impara concretamente che i modi di
manifestarsi attuali della realta' (tra cui la separazione, il dolore, la morte)
non sono permanenti, ma possono trasformarsi in meglio; e' una prova che vale la
pena di tentare, e percio' la nonviolenza e' appello al mondo per una grande
mobilitazione dell'unita' amore, con la fede nella trasformazione della realta'
stessa.
E' percio' un errore credere che la nonviolenza si collochi nel mondo
lasciandolo com'e'; piu' si pensa alla nonviolenza e si cerca di attuarla, piu'
si vede che essa ha un dinamismo tale che non puo' accettare il mondo com'e', ma
essa porta tutto verso una trasformazione: l'umanita', la societa', la realta'.
Come strumento di conservazione del mondo, la nonviolenza e' discutibile; come
strumento di trasformazione in meglio, essa ha un valore inesauribile, appunto
perche' non fa modificazioni e spostamenti in superficie, ma va nel profondo, al
punto centrale.
E un altro e simile errore e' credere che la nonviolenza sia contro le
violenze attuali, ma accetti quelle passate, dell'umanita', della societa',
della realta'. Se fosse cosi' la nonviolenza sarebbe conservatrice e
accetterebbe il fatto compiuto, le prepotenze avvenute, le oppressioni, le
monarchie, gli sfruttamenti. La vera nonviolenza non accetta nemmeno le violenze
passate, e percio' non approva l'umanita', la societa', la realta', come sono
ora. Non accetta la realta' dove il pesce grande mangia il pesce piccolo; e
percio' cerca di stabilire unita' amore anche verso gli animali, appunto per
iniziare il bene; non accetta che i viventi prendano il posto dei morti, e
percio' tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la
ricchezza privata, e percio' tende a costituire forme di federalismo nonviolento
dal basso e forme di aiuto e reciprocita' sociale e fruizione comune di beni
sempre piu' larghe. Essa ha come guida instancabile la presenza di tutti, e il
principio che ogni singolo essere e' insostituibile.
Percio' essa tende a ridurre ed eliminare gli schemi generici e
impersonali. Noi viviamo troppo di questi schemi, e molte volte non ci curiamo
d'altro; ma non esistono gli schemi (gli amici, i nemici, i malati, gl'italiani,
i religiosi, gli autisti, ecc.); esistono i singoli individui, e la vita
fondamentale e' quella che li considera nella loro singolarita' insostituibile.
Noi usiamo lo schema, per esempio se cerchiamo un autista, e poi un altro
autista, un librario ecc. Ma il progresso e' proprio nel ridurre questo uso di
schemi. La guerra invece e' il mostro piu' immane di questo uso di schemi, che
divora le singole individualita': non ci sono che i nostri e i nemici; e'
percio' sommamente diseducatrice.
Ci avviciniamo cosi ad alcuni punti problematici della nonviolenza. Che
cosa succede nella societa' cosi' com'e' ora costituita? La risposta deve
richiamare a quello che gia' si e' detto: la nonviolenza non puo' mettersi nel
mondo com'e', e lasciarlo tale e quale; la nonviolenza e' lotta (contro se
stessi, le proprie tendenze. i propri sogni di quiete), e' dramma tormentoso, e'
spinta a scegliere cio' a cui uno tiene di piu', a fare una prospettiva; e se
uno continua a vedere la vita come la vedono tutti, trova assurda la
nonviolenza; poi vengono le disgrazie e la morte, e uno non ci capisce nulla.
Invece la nonviolenza fa una prospettiva che da' una preparazione religiosa per
tutte le disgrazie e la morte: l'unita' amore con le persone, come singole e
come eternamente presenti, l'unita' amore che si perde di sentirla se noi
compiamo atti di violenza e di distruzione delle persone. Tenuto fermo questo
senso di eterno, esso si allarga a comprendere tutto cio' che di bello, di buono
viene creato, ed uno si sente in un mondo piu' vero di quello apparente nel
tempo e transeunte. Ora, in una societa' se io sto inerte, sono colpevole. Ma se
io, pur essendo per la nonviolenza, sono attivissimo, e con quella scelta e
quella fede la vivo e la concreto e la diffondo con il mio costume, sono a posto
verso la societa'. Nella quale percio' saranno due gruppi di persone: quelle che
useranno eventualmente la violenza, e quelle che non la useranno, ma
esplicheranno una intensa attivita'.
Ci siamo cosi preparati per affrontare una delle obbiezioni piu'
insistenti; se usiamo la nonviolenza, trionfano i cattivi. Rispondiamo che,
anzitutto, l'uso della violenza non ci da' sufficiente garanzia che trionfino i
buoni, perche' l'uso della violenza con efficacia richiede che si facciano tanti
compromessi e tanti addestramenti che si perde una parte di quella bonta', di
quella elevatezza; e questo si vede dopo le guerre, quando c'e' un diffuso
trionfo di violenti, e ci vuole l'azione di nuclei puri per cercare di guarire
(ecco la fortuna di idee religiose in ogni dopoguerra). Ora, gli uomini non
hanno bisogno soltanto di ordine nella societa', ma che ci siano vette alte e
pure. Se per tener testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi,
all'ultimo e' realmente la cattiveria che vince. La cosa e' piu' evidente se i
cattivi posseggono armi potentissime, e noi per avere armi piu' potenti ancora,
mettiamo tutta la nostra forza: alla fine scompare la differenza tra noi e loro,
e c'e' bisogno che sorga una differenza netta tra chi usa le armi potenti, e chi
usa altri modi, con fede che essi trasformano il mondo.
Gia' queste poche considerazioni mostrano quali modi spirituali piu' ricchi
scaturiscono dalla nonviolenza. E anche in questo essa ha un grande ufficio nel
mondo d'oggi, nel quale sembra che tutto si risolva nell'organizzazione sociale.
C'e' il pericolo di restringere l'orizzonte dello spirito. L'organizzazione
sociale non e' che un aspetto, e se noi piegassimo tutto ad essa, perderemmo
cose anche piu' importanti. E' certo che Gesu' Cristo porto' scompiglio,
divisioni, altri modi nell'organizzazione sociale; eppure siamo convinti che
egli era ben degno di nascere. Forse col Settecento si e' accentuata questa
tendenza politico-sociologica; ma non bisogna dimenticare che la civilta' vuol
dire essenzialmente non ripetizione, ma creazione. Per di piu' lo sviluppo
tecnico ha portato il beneficio di tali comodi e servizi, che uno si e'
affezionato troppo ad essi; e allora la civilta' perde in serieta' confrontata
con civilta' passate, che saranno state devote a miti, ma erano piu' evolute.
Bisogna quindi tornare ad una gerarchla o prospettiva di valori; e allora si
vedra' che i valori che si difendono o acquistano con la violenza sono inferiori
a quelli che si difendono o acquistano con l'attivita' nonviolenta.
Insieme con questa prospettiva, che si diffondera' a poco a poco negli
uomini, specialmente se dovranno subire una nuova guerra, c'e' un fatto che
appare nuovo. Fino ad ora chi ha attuato la nonviolenza in una parte, per
esempio in India, non si e' sentito perfettamente unito a chi ha usato la
nonviolenza in un'altra parte, perche' uno diceva di farlo per una ragione, uno
per un'altra; e ci rientravano miti, dogmi diversi. Oggi c'e' un'unificazione e
noi lavoriamo per questo. E l'unificazione delle ragioni della nonviolenza
porta, tra l'altro, che consideriamo violenza e nonviolenza non come un fatto
privato e personale, ma internazionale. E percio' puntiamo prima di tutto sul
fatto guerra, ci opponiamo alla violenza internazionale.
Una volta c'e' stato un pacifismo molto blando, tanto e' vero che davanti
alla prima guerra mondiale e alla seconda vacillo'. Esso credeva di arrivare
alla pace molto facilmente attraverso la cultura, la scienza, l'interesse al
benessere, il cosmopolitismo delle classi dirigenti. Si e' visto poi che non
bastavano, e si capisce perche'. Non era stato affrontato il lato religioso del
rifiuto della violenza, che cioe' la violenza si rifiuta in nome dell'amore (e
non dello star bene), di una realta' liberata dagli attuali limiti (e non della
continuazione di una realta' insufficiente), e con una disposizione al
sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo che muore per far sorgere la
nuova pianta. Il vecchio pacifismo era ottimista e di corta vista, il nuovo e'
drammatico e di fede nella liberazione dell'uomo-societa'-realta' dagli attuali
limiti.
Percio' anche a proposito dell'attuale mondialismo la nonviolenza da'
un'ottima guida. Non si oppone, sia perche' c'e' tanta gente che in quella forma
esprime per ora quello che vuole la nonviolenza, sia perche' c'e' sempre qualche
cosa di educativo in questo dirsi "cittadini del mondo", tanto piu' in presenza
a tanti persistenti nazionalismi, e alquanto torbidi: una prima purificazione
puo' esser quella di dire, "conveniamo insieme tutti nel mondo", vediamo di
intenderci, ascoltiamo e parliamo. La' dove la nonviolenza interviene e' nei
primato da dare; il mondialismo dice: facciamo un'assemblea mondiale e un
governo, e un codice, e una polizia mondiale; la nonviolenza dice: persuadiamoci
dell'interna ragione dell'unita' umana attraverso l'impegno nonviolento, poi
vedremo le forme sociali che ne conseguono. Il mondialismo sembra piu' concreto,
ma corre il rischio di mantenere la violenza e di appoggiarsi a un impero
vincente, e tutto resta quasi come prima; diminuira' qualche guerra, perche' il
diritto di farla rimane al centro dell'impero, ma e' grave l'inconveniente che
se questo governo mondiale fa ingiustizie, non c'e' scampo (mentre ora, almeno,
si puo' mutare Stato). Il mondialismo sembra troppo facile accettarlo (e questa
facilita' dovrebbe rendere attenti). La nonviolenza pone impegni precisi, chiede
fede; e' difficile, ma va in profondo, si occupa della radice: ha fiducia di
trarre da se' e dalla trasformazione che porta nuovi modi anche sociali, diversi
dai vecchi del codice, dello Stato, della polizia, della distruzione
repressiva.
La nonviolenza, per quello che vede finora, considera ogni rapporto non in
senso di autorita', potere, repressione, ma in senso federativo, orizzontale,
aperto. Per questo nella societa' circostante porta un modo diverso che agisce
sia direttamente per le persone che coltivano in se' questo senso orizzontale,
fraterno (e che ne sono trasformate), sia indirettamente per le persone che
ricevono questo nuovo agire nonviolento, purche' costante e convinto. Bisogna
tener presente questa trasformazione dell'uomo, e allora se si dice che la
nonviolenza tende ad un "federalismo nonviolento dal basso", si capisce che non
si tratta di un federalismo in cui ognuno resta tale e quale, ma di un
federalismo nel quale opera un elemento dinamico, che e' la nonviolenza intesa
in quel senso aperto.
Da quello che si e' detto risulta chiaramente che la nonviolenza tende
anche a trasformare le strutture delle comunita', e stabilire rapporti diversi
da quelli repressivi. Tuttavia si puo' osservare che l'azione dell'organo di
"polizia" in una comunita' e' lontana da quegli eccessi di distruzione e di
eccitazione psichica e di impersonalita' che ci sono per gli eserciti e le
guerre: quell'azione e' circoscritta, diretta specificamente contro chi porta
violenza e con lo scopo piu' di distogliere dalla tentazione che altro.
Naturalmente il nonviolento tende ad altro, e a smobilitare polizie e prigioni,
ed ha fiducia che questo sia possibile, perche' crede alla superabilita' del
male e alla attuabilita' di migliori rapporti umani; e per intanto compie
un'opera instancabile perche' la repressione sia umana, non torturatrice,
educatrice, non vendicatrice, ma cooperante al bene anche del criminale stesso.
Ma si rende anche conto che quello della polizia e della coercizione giudiziaria
e' l'ultimo strumento a cui una comunita' rinuncia, e solo quando ci sia un
ampio sviluppo di modi nonviolenti di convivenza. Il nonviolento si dedica a
questo, specialmente con l'apertura verso il probabile violento, rimovendo le
cause, rafforzando l'unita' sociale gia' nell'intimo.
(Da La nonviolenza, oggi, 1962)
*
La nonviolenza nei casi personali
Nei rapporti personali (che e' il campo dei "casi" e delle critiche nelle
discussioni sulla nonviolenza) la persuasione della nonviolenza si manifesta
come tendenza generale, come una direttiva che va applicata pazientemente, e con
la buona volonta' di cercare di evitare l'uso della violenza, e con la lealta'
di correggersi se si devia, e di affrontare il dolore conseguente. Chi si mette
su questa linea puo' errare mille volte, ma fa uno sforzo, apre una via, incide
nella realta' abituale e fuga l'inerzia: non merita il rimprovero di chi sta
inerte a non tentare nulla. Si', e' vero, e' difficile essere nonviolenti
integralmente: e' piu' facile rifiutarsi agli eserciti e alle guerre; ma
nell'ambito personale e immediato e' piu' difficile purificare dalla violenza i
nostri atti, e ci possiamo trovare in situazioni nelle quali spingiamo la difesa
fino alla violenza. L'importante e' non stancarsi di tendere ad attuarla,
vivendola nelle sue profonde ragioni; che cosa fa il musicista, se non tendere a
realizzare musica meglio che puo'? eppure puo' riuscirgli anche musica non
sempre di valore, pura, alta.
Se uno mi assale per colpirmi, che cosa debbo fare? E' chiaro che dal punto
di vista della nonviolenza io debbo evitare di colpirlo, e tanto piu' se il mio
colpo sarebbe per lui la morte. Se sono capace di tenerlo nella incapacita' di
colpirmi, cerchero': lo faro' con il dolore di esser tirato ad un contrasto con
una persona ma posso tentare di farlo, e sappiamo che sono costruibili arnesi
con i quali si puo' senza uccidere e senza ferire, impedire ad uno di colpire.
E' probabile anche che io possa fare dei tentativi di parlare e di distogliere
l'avversario. Certo e' che, nel punto estremo, nel quale o muore lui o muoio io,
la nonviolenza mi dice quale e' la scelta da fare. E tuttavia le circostanze, le
ragioni, significano molto se io decidessi diversamente; e con molto dolore
dopo, per la tristezza del caso.
Cosi e' nelle altre ipotesi tormentose. Per esempio: se uno volesse
uccidere un bambino? E' molto probabile che vi siano mezzi per immobilizzare chi
vuoi compiere quell'atto, e che sia alquanto raro il caso che egli lo possa
compiere senza che lo si cerchi di tener fermo e disarmato. In ogni modo, nel
caso estremo, si puo' arrischiare anche la propria vita davanti a quella del
bambino. Sara' stimabile chi, in omaggio alla nonviolenza e per tutto cio' che
essa significa e produce, non compie la violenza di uccidere l'aggressore. Sara'
stimabile anche chi compia questa violenza, con il puro scopo di difesa del
bambino. Sarebbe un'impostazione errata del problema dire che non c'e' che un
modo d'agire; e ogni altro e' delittuoso e traditore. L'atto vale per tutta la
sua sostanza, e la sostanza della nonviolenza e' rispettabile tanto quanto
quella della difesa, purche' siano entrambe serie e profonde. Del resto, non e'
detto che tutte le volte che si opera con violenza si riesca ad impedire il
misfatto; mentre se ci si desse a diffondere un'educazione alla nonviolenza si
agirebbe anche sul sorgere di atti di violenza dove che siano, perche'
nell'intimo siamo tutti un'unita'.
Del resto, la nonviolenza oggi si presenta con un accento straordinario.
Appunto perche' la violenza, in atto o potenziale, e' salita a un culmine
straordinario, la nonviolenza interviene per coordinare i tentativi di
decongestione, e la cosa vale bene il sacrificio di qualcuno di noi se sara'
offeso ed egli non reagira' con la violenza. Non che il sacrificio di noi, di
altri o di cose, sia cercato di proposito; ma il fatto e' che si sta non
salvando la bianchezza delle proprie mani, ma intervenendo perche'
l'umanita'-societa'-realta' prendano un nuovo corso, si trasformino. E la
trasformazione essenziale, da cui mille altre, e' quella di aprirsi ai singoli
esseri, elevandoli coralmente, infinitamente, eternamente, ai valori puri. Il
non usare violenza verso singole persone e', insieme, simbolo e realta': volere
che i singoli siano presenti e partecipi in eterno; iniziare la realizzazione
paradisiaca in terra, che richiede (naturalmente) iniziativa e sacrificio.
Quest'aria eccezionale di ora religiosa, di fine di una realta' e di inizio di
una realta' migliore, questa luce festiva tocca i sacrifici che la nonviolenza
richiede.
Viene talvolta obbiettato che e' bene arrestare il violento con altrettanta
violenza, proprio per il suo bene, per amore di lui, perche' conosca cio' che e'
giusto, e trovi, fuori di se', un aiuto di forza per costringere la propria
bestialita' e cattiveria. Rispondiamo che se fosse sempre cosi, sarebbe
realmente gia' miglior cosa della violenza che trascura la situazione della
persona che la riceve. Tuttavia e' da notare che l'efficacia di un tal metodo
per migliorare gli altri e' ben discutibile, e nella realta' il violento si vede
vinto da una violenza maggiore, e non impara a trasferirsi su un altro piano.
Anzi vede che non c'e' che il piano della forza, e che vince chi ne ha di piu'.
E' molto male che agli uomini non si porga l'esempio, l'ipotesi, l'insegnamento
di tutto un altro modo di comportarsi. E fanno male i sacerdoti ad abdicare,
quando abdicano, su questo punto. Inoltre chi usa questa "violenza
pedagogico-giuridica", si cristallizza in essa: i romani la usarono,
risparmiando i sottomessi e debellando i superbi; ma solo il cristianesimo
porto' liberta' e autentica cittadinanza mondiale, e al posto dell'intenzione
pedagogico-giuridica, mise la costruttiva e reale apertura dell'anima. In quel
modo, opponendo violenza al violento, si ottiene, se mai, un risultato nel
momento; mentre opponendo la nonviolenza e i suoi modi si otterra' un risultato
piu' lontano, ma veramente di qualita' migliore.
Non si puo' sperare che poco dalla persuasione! viene obbiettato.
Ammettiamolo, ma rispondendo: che se non si tenta, non si puo' dire, e bisogna
dunque tentare con cuore intrepido; e poi, il valore della nonviolenza non sta
nel persuadere subito di colpo: essa afferma se stessa e stabilisce unita'
amore, apre una migiore realta'; questo atto viene deposto nell'unita' che lega
tutti gli esseri; prima o poi dara' il suo effetto, anzi esso ha cominciato gia'
a darlo se c'e' stato chi ha iniziato.
Ma voi persuaderete i buoni, i gia' persuasi; mentre i cattivi non vi
daranno ascolto; ci vien detto. Noi non crediamo, invece, che le persone siano
divisibili in due gruppi netti, ma se, col parlare di nonviolenza, si riuscisse
a ritagliare un gruppo di persuasi, meglio cosi, che non, tacendo sulla
nonviolenza, avere tutte persone violente. E poi: tante volte si parla di
cattivi, e dei peggiori, che si volgono energicamente al bene; ed e' vero che
spesso i fortemente buoni sono dei mancati briganti: che vuol dir questo? che
non dobbiamo guardare a nature fisse, precostituite, predeterminate; ma
piuttosto a impulsi, esempi, forze spirituali pure che entrano nel campo della
vita delle persone; ed e' qui che la nonviolenza puo' fare piu' che puo'.
(Da La nonviolenza, oggi, 1962)
*
Ragioni della nonviolenza
1. La nonviolenza prende in considerazione il nostro rapporto con gli altri
esseri viventi, con la fiducia di renderlo sempre piu' reciprocamente
amichevole, comprensivo, soccorrente, lieto, malgrado le difficolta' che gli
altri stessi possono metterci. Questa fiducia non cessa di colpo al confine
degli esseri umani e spera anche per gli esseri viventi non umani; ma si rende
conto che la storia con la sua spinta vitale ha separato da noi finora questi
esseri (animali e piante) in forme di piu' difficile educazione, trasformazione,
liberazione.
2. La nonviolenza e' aperta all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di
ogni essere. Quando nel Settecento sono stati banditi i principi di liberta',
eguaglianza, fratellanza, non e' stato fatto tutto. La liberta' era piu' la
liberta' propria come diritto che la liberta' degli altri come dovere;
l'eguaglianza era un bel principio, ma si fermava a meta' perche' restavano i
miseri e gli sfruttati; la fratellanza era piu' quella generica con i lontani
che quella difficile, nonviolenta e perdonante verso i vicini.
3. La bellezza della nonviolenza e' che essa preferisce non di distruggere
gli avversari, ma di lottare con loro in modo nobile e dignitoso, con il metodo
nonviolento, che fa bene, prima o poi, a chi lo applica e a chi lo riceve. In
fondo e' piu' coraggioso volere vivi e ragionanti gli avversar!, che farli a
pezzi.
4. Ma sarebbe errore credere che la nonviolenza consista nel non far nulla,
nell'incassare i colpi, le cattiverie e le stupidaggini degli altri. La
nonviolenza e' sveglia e attiva, e protesta apertamente, anzi cerca i modi non
solo per convincere gli autori delle ingiustizie, ma per informare l'opinione
pubblica, di cui ha la massima considerazione: la nonviolenza per nessuna
ragione crede che si possa sospendere la liberta' e la possibilita' abbondante
di informazione e di critica per tutti, fino all'ultimo essere umano. Anche qui
la nonviolenza attua al massimo un principio del Settecento, che la borghesia ha
poi alterato a proprio vantaggio: la formazione libera dell'opinione pubblica,
comprendente tutti.
5. La nonviolenza puo' rinnovare veramente la vita interna di un paese,
perche' nell'insieme di un'opinione pubblica, tutta sveglia e obbiettivamente
informata, porta eventuali piani di non collaborazione e perfino, in casi
estremi, di disobbedienza civile, che servono a bloccare iniziative autoritarie
dall'alto. In Italia un popolo privo di esatta informazione e critica
responsabilita' fu portato ad uccidere e a morire, e poi al popolo privo del
metodo di opposizione nonviolenta fu imposta una dittatura. L'uso del metodo
nonviolento avrebbe salvato e trasformato l'Europa, a cominciare dall'Italia e
dalla Germania.
6. Trasformare la situazione interna dei paesi vuoi dire anche avere un
continuo promovimento di campagne giuste e rinnovatrici, in cose piccole e in
cose grandi, e senza portare il terrorismo della guerra civile nelle strade e
nelle case. E' un metodo nuovo, il tenere attiva una societa' con il metodo
nonviolento, controllando e smascherando, protestando e agitando, sacrificandosi
e cosi educando i giovanissimi a cercare coraggiosamente di migliorare le
societa' dal di dentro. Anche qui la nonviolenza salva i giovani, occupandoli
bene (rivoluzione permanente).
7. La nonviolenza e' strettamente congiunta col punto a cui e' giunta la
guerra, con la sua attrezzatura tecnica e le armi nucleari. L'esasperazione
della ferocia e della vastita' distruttiva della guerra, specialmente dopo
Hiroshima, ha posto il problema di arrivare a un altro modo di condurre le lotte
e la stessa difesa. Come ci si difende alle frontiere da missili che varcano i
continenti e in pochi minuti distruggono citta', specialmente le industrie, i
civili? Si puo' arrischiare una tale strage e un tale avvelenamento
dell'educazione delle generazioni? Dietro e dopo le soluzioni provvisorie
dell'equilibrio del terrore, mentre e' enorme nel mondo la fabbricazione di armi
di tutte le specie e la loro distribuzione anche ai popoli sottosviluppati, la
nonviolenza prepara la svolta storica del possesso in tutto il mondo di un
metodo di lotta che esclude la distruzione dei nemici, attraverso la non
collaborazione con il male, la solidarieta' aperta dei giusti. Questo metodo non
ha bisogno di armi e percio' di appoggiarsi ad una nazione con industrie capaci
di darle, come sono costretti a fare i guerriglieri violenti, che usano anche i
vecchi modi del terrorismo tra gli avversari e della tortura dei
prigionieri.
8. Il metodo nonviolento esige prima di tutto qualita' di coraggio,
tenacia, sacrificio, e di non perdere mai l'amore; poi esige un addestramento
fisico e psicologico, ma possibile anche per persone di forze modeste. Un metodo
in cui un cieco puo' essere piu' utile di un gigante. Cosi il metodo nonviolento
si rivela come la possibilita' di partecipazione attiva, appassionata ed eroica,
di persone che non hanno altro che il loro animo e le loro giuste esigenze: la
nonviolenza le valorizza, illumina, e rende presenti anche moltitudini di donne,
di giovinetti, folle del Terzo Mondo, che entrano nel meglio della civilta', che
e' l'apertura amorevole alla liberazione di tutti. E allora perche' essere cosi'
esclusivi (razzisti) verso altre genti? Oramai non e' meglio insegnare, si',
l'affetto per la terra dove si nasce, ma anche tener pronte strutture e mezzi
per accogliere fraternamente altri, se si presenta questo fatto? La nonviolenza
e' un'altra atmosfera per tutte le cose e un'altra attenzione per le persone, e
per cio' che possono diventare.
9. Davanti a questa svolta storica in anni e decenni, il prevalere di
gruppi violenti per un certo periodo rimane un episodio. L'unica forza che scava
loro il terreno e' la nonviolenza, ma ci puo' volere pazienza, tempo, costanza.
E' vero che un atto di violenza puo' fronteggiare un altro atto di violenza, ma
poi? Nel quadro generale e' meglio attuare un altro metodo. Si possono
conservare ancora forze coercitive per piccoli fatti, di ordine quotidiano, ma
nel piu' e nell'insieme e' il metodo del rapporto nonviolento che va risolto e
articolato sempre piu'. In esso, nel fatto che esso e' amorevolezza,
approfondimento dell'unita', festa della vicinanza, inizio di una storia nuova
con nuovi modi di realizzarsi, sta il compenso per i sacrifici della lotta
nonviolenta e per il ritardo delle vittorie.
10. La nonviolenza e' la porta da aprire per non sentirsi soli. La
nonviolenza cerca sempre di essere con gli altri. E questo e' molto importante
oggi, perche' sta dilagando il bisogno di una democrazia diretta, dal basso, con
il controllo di tutti su tutto. Contro i poteri imperiali dei capi degli
eserciti e delle industrie che li servono (private o statali), la democrazia
diretta costituira' i suoi strumenti con la continua guida della nonviolenza,
per smontare la varia violenza dei potenti (violenza burocratica, giudiziaria,
nella scuola, nel lavoro, negli enti di assistenza, nella stampa e nella radio),
non con assalti sanguinari che non trasformerebbero, ma con la preparazione al
controllo serio e aperto.
11. Dire nonviolenza e' come dire apertura in tutti i campi, occuparsi
degli esseri viventi in modo concreto e aiutarli (che e' anche un modo per avere
forza in se stessi); tenersi pronti per sostenere cause giuste e meritare il
nome di essere perfettamente leale; riconoscere che negli errori degli altri
c'e' sempre una qualche responsabilita' e possibilita' attiva per noi; perdonare
facilmente al passato nella serieta' di impegni migliori per il futuro;
invidiare Dio che puo' conoscere piu' da vicino tutti gli esseri e aiutarli
infinitamente; tendere a costituire comunita' di vita con piu' persone e
famiglie in modo che ci sia uno scambio piu' attivo e un'educazione comune dei
piccoli; essere piu' sensibili ad ogni altro valore pratico e contemplativo
(l'onesta', l'umilta', la musica, ecc.); essere piu' fermi nella serieta' e
severita' quando occorra (per esempio contro le ingiuste e molli
raccomandazioni); cercare di estendere il rispetto della vita quando e'
possibile (per esempio col vegetarianesimo, ma facendolo bene perche' non sia
dannoso) e assecondare dalla fanciullezza la zoofilia; utilizzare
l'appassionamento universale per la massima valorizzazione degli esseri per
arricchire l'attenzione nel tu rivolto a un singolo essere, perche' non sia
isolato e stagnante; attuare quotidianamente la gentilezza costante, senza
ipocrisia e con franchezza; portare in ogni situazione un'aggiunta di
ragionevolezza umana e di comprensione reciproca; garantire una riserva di
serenita' per il fatto che la nonviolenza e' qualche cosa di piu' rispetto alla
semplice amministrazione della vita.
12. La nonviolenza non sta in un individuo astratto, ma e' da individui a
individui in situazioni, strutture, grandi problematiche e urgenti
realizzazioni. Un modo in cui si fa presente e', come abbiamo visto, quello del
pacifismo integrale. Il che vuol dire non solo il rifiuto di collaborare alla
guerra e guerriglia, e a cio' che inevitabilmente le accompagna, il terrorismo
contro i civili e la tortura sui prigionieri; ma anche la scelta del disarmo
unilaterale, unito all'addestramento all'azione del metodo nonviolento. Percio'
la nonviolenza indica il pericolo dell'equilibrio del terrore, durante il quale
eserciti e industria alimentano di armi tutto il mondo, da cui conflitti grandi
e piccoli; indica gli spegnimenti della democrazia che vengono fatti per
allinearsi in grandi blocchi politico-militari; mostra l'immenso consumo di
denari nelle spese militari invece che nello sviluppo civile. Le Nazioni Unite,
come insieme di sforzi per dominare razionalmente le situazioni difficili e per
provocare continuamente la cooperazione, sono sostenibili, anche perche' tutte
le trasformazioni rivoluzionarie che la nonviolenza porta, sono sempre il
fondamento e l'integrazione di quelle decisioni razionali e giuridiche che gli
uomini prendono, quando esse sono un bene per tutti. Certo, il nonviolento non
si scalda per il governo mondiale, che potrebbe diventare arbitrario e
oppressivo, ma per il suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini
nonviolente dal basso.
13. La nonviolenza vuole la liberazione di tutti, e non cessa mai di
portare l'eguaglianza a tutti i livelli. Ora un problema molto importante e' che
l'uomo non subisca la violenza mediante il lavoro. Il lavoro e' uno dei modi che
l'uomo ha (non il solo) per esprimere la sua personalita', ed e' percio'
positivo, un diritto-dovere, una partecipazione alla comunita'. Ma va sempre
piu' realizzato il fatto che ogni lavoro e' verso tutti, e in certo senso
pubblico, non privato e sottoposto a condizioni di servitu' e di sfruttamento.
Difendere e sviluppare la posizione di tutti i lavoratori vuol dire renderli
sempre piu' capaci di eguaglianza di fruizione della vita comune, nei beni
materiali e nei beni culturali, mediante la formazione nell'adolescenza e
mediante il tempo libero, e capaci di partecipazione attiva, civica, critica,
costruttiva. Percio' i provvedimenti per cui la proprieta' viene resa pubblica e
controllata, cioe' aperta e non chiusa (socialismo) snidano la violenza
sostanziale di chi si vale della proprieta' per alienare gli uomini staccandoli
dal loro pieno sviluppo nonviolento e creativo sul piano orizzontale di
tutti.
14. Il grande fatto della meta' di questo secolo e' il discorso sul potere.
La nonviolenza, meglio di ogni altro atteggiamento, puo' indicare quanta
violenza si annidi nel vecchio potere. Si e' constatato che la statalizzazione
della proprieta' non toglie la durezza del potere. Non basta far cadere le
posizioni della proprieta' privata perche "il potere operaio" abbia il diritto
di tutto costruire. Il problema non e' che nuova gente arrivi, in un modo o in
un altro, al potere; ma che il potere sia esercitato in modo nuovo; altrimenti
e' meglio continuare a lottare e formare un terreno piu' favorevole per arrivare
ad un "potere nuovo", magari cominciando da forme di potere locale, dove e'
meglio possibile attuare tipi di "potere aperto", che conta sulla costante
collaborazione degli altri e possibilmente di tutti.
15. Che fa la nonviolenza davanti alla legge? La scruta per intenderla, per
integrarla con l'animo, per migliorarla, per ridurre la violenza. La legge, come
decisione razionale, che riguarda azioni da comandare o da impedire, non puo'
essere respinta senz'altro per sostituirla con la naturale istintivita'
individualistica umana. La legge e' una conquista della ragione, e spesso merita
di essere aiutata. Ma il nonviolento l'aiuta a modo suo. L'accetta quando e'
molto buona. Consiglia di sostituire progressivamente alla esclusiva fiducia nei
mezzi coercitivi, lo sviluppo di mezzi educativi e di controllo cooperante di
tutti. Fa campagne per sostituire leggi migliori, quando le attuali sono
insoddisfacenti e sbagliate. Errato e' insegnare a ubbidire sempre alle leggi e
a non volerle riformare, come se non esistesse la coscienza e la ragione. La
nonviolenza aiuta a capire che non basta dire: "Noi siamo autonomi e ci diamo
percio' le nostre leggi". Bisogna aggiungere: "E le nostre leggi hanno
l'orientamento di realizzare la nonviolenza come apertura all'esistenza, alla
liberta', allo sviluppo di tutti".
16. In questo tempo in cui la nonviolenza allarga e approfondisce le sue
responsabilita', essa si trova davanti il potere delle autorita' religiose, e
l'urto e' inevitabile. Tali autorita' pretendono di decidere su violenza e
nonviolenza. La nonviolenza porta una sua prospettiva, di un sacro aperto e non
chiuso, del valore di raggiungere l'orizzonte di tutti come superiore al cerchio
dei credenti. Il credente nonviolento finisce col trovarsi piu' volentieri a
fianco del nonviolento di un'altra fede che con l'"autorita'" della propria
fede. Lo spirito di autoritarismo che pervade tutto il corpo ecclesiastico cerca
di scacciare proprio quello spirito della nonviolenza aperto all'interesse per
ogni singolo nel suo contributo e nel suo sviluppo, e impone una assenza di
violenza che e' passiva obbedienza. Ben altro e' la nonviolenza aperta, che non
ha paura di nessuna autorita', ed e' sicura di farsi valere prima o poi.
17. La nonviolenza non e' soltanto una cosa della vita e nella vita. Nel
suo sforzo continuo di migliorare il rapporto tra gli esseri, e di congiungere
piu' saldamente la vita del singolo con la vita di tutti, avviene effettivamente
un'influenza sulla cosi' detta "natura", che e' la vitalita', la volonta' di
forza, di vita come vita, come piacere, come guadagno e profitto, come potenza,
come riposo utile, come schiacciante energia dal seno stesso della realta'
fisica. Il Vesuvio sterminatore osservato dal Leopardi e che uccise tanta gente;
l'acqua di un'inondazione, che copre indifferente un sasso e il volto di un
bambino, sono aspetti della natura. Ma natura e' anche la vitalita' che spinge
il bambino a nascere e a crescere; la forza che ci affluisce ogni giorno
mediante il cibo, il riposo, l'aria. Non si puo' tagliare da noi tutta la
natura; ma si puo' scegliere: o svilupparci come bruta natura, o svilupparci
come crescente nonviolenza verso gli esseri, rimediando la crudelta' della
natura e proseguendola nel buono, nel vivo, trasformandola progressivamente.
Perche' al limite estremo c'e' la sua trasformazione e il suo portarsi al
servizio di tutti gli esseri affratellati. Un atto di nonviolenza e' percio'
anche un atto di speranza in questa trasformazione della cruda forza della
natura.
18. Ma la nonviolenza non soltanto progredisce come rapporto. Essa qualche
volta ha a che fare direttamente con la morte: e' rifiuto di dare quella morte
determinata, e' constatazione dell'impotenza davanti ad una morte, e'
l'improvviso trovarsi a dire un tu ad un essere che ci sembra non lo riceva piu'
perche' e' morto. Il nonviolento, che fonda molto della sua decisione sul
rispetto della vita, puo' anche semplicemente confermare, davanti alla morte, il
proposito di non darla, e accomunare i morti in una cara memoria dei singoli e
in una generale pieta'. Ma puo' anche considerare ogni morte come una
crocifissione che la natura fa di ogni essere, come l'impero di Roma la faceva
per i ribelli; e se ogni morte e' una crocifissione, il morto non e' spento ma
risorge nella compresenza di tutti. Cosi la nonviolenza puo' condurre a vivere
questo grande mistero della compresenza di tutti, viventi e morti.
19. Vista ora nell'insieme di queste possibili attuazioni e prese di
influenza e di azione su una realta' che oggi parrebbe cosi' contraria ad essere
penetrata dalla nonviolenza, essa mostra il suo posto, l'aggiunta che fa al
mondo presente. E' facile la profezia che ancora gli imperi militari-industriali
del mondo concentreranno forze immani. Ma la nonviolenza ha cominciato ad aprire
in ogni paese un conto, in cui ognuno puo' depositare via via impegni e
iniziative. Se si pensa alla creativita' teorica e pratica di pochi decenni, si
sente la crescita potenziale di una Internazionale della nonviolenza. Bisogna
riconoscere che, indipendentemente dalle altre sue teorie, Gandhi, con la
formazione del metodo di azione nonviolenta, ha dato il piu' grande contributo
all'era della nonviolenza; e cosi ogni altro grande attuatore del metodo
nonviolento, e suo testimone, ci e' fratello e padre. Nessuna paura e nessuna
fretta, nessuna gelosia e nessuna presunzione, per l'organizzazione: possono
sorgere innumerevoli centri per l'addestramento alle tecniche del metodo
nonviolento.
20. E se da questo largo quadro torniamo al semplice e singolo individuo
che prende interesse per la nonviolenza, che prova a sceglierla, che vede di
poter resistere al pensiero della violenza come soluzione, che non s'impiglia
nella casistica dello schiaffo e del non schiaffo, del bambino ucciso e non
ucciso, perche' non tutto sta li', e bisogna rifarsi al quadro generale, vediamo
che Io stesso processo di sviluppo c'e' in grande come c'e' in piccolo, nel
mondo e nel singolo individuo. Noi abbiamo ancora molta violenza addosso, come
ce l'ha il mondo. Se uno per togliersela si isolasse da eremita, sbaglierebbe,
perche' si priverebbe di tutte le occasioni per far progredire in se' e nel
mondo la nonviolenza, che e' amore concreto, e per riprenderla, se l'avesse
trascurata.
(Dalla rivista "Azione nonviolenta", agosto-settembre 1968)
*
Tanto dilagheranno violenza e materialismo che ne verra' stanchezza e
disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione
salira' l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con
quell'errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che e' il
primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo
ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza una apertura infinita
dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto
soffrire. Questo e' il varco attuale della storia.
(Da Elementi di un'esperienza religiosa, 1936)
3. VITERBO. UN CRIMINE DA NON COMMETTERE, DUE COSE
DA FARE
[Riceviamo e
diffondiamo]
Il crimine da non commettere: la realizzazione di
un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge nel cuore dell'area
naturalistica, archeologica e termale del Bulicame.
Un crimine da non commettere, per i motivi che
abbiamo piu' volte ricordato; poiche' il mega-aeroporto causerebbe
inevitabilmente:
a) lo scempio dell'area del Bulicame e dei beni
ambientali e culturali che vi si trovano;
b) la devastazione dell'agricoltura della zona
circostante;
c) l'impedimento alla valorizzazione terapeutica e
sociale delle risorse termali;
d) un pesantissimo inquinamento chimico, acustico
ed elettromagnetico che sara' di grave nocumento per la salute e la qualita'
della vita della popolazione locale (l'area e' peraltro nei pressi di popolosi
quartieri della citta');
e) il collasso della rete infrastrutturale
dell'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesanti servitu';
f) uno sperpero colossale di soldi
pubblici;
g) una flagrante violazione di leggi italiane ed
europee e dei vincoli di salvaguardia presenti nel territorio.
*
Due cose da fare:
1. Tutelare e valorizzare l'area in cui si trovano
alcune delle piu' preziose e peculiari risorse di Viterbo realizzando al
piu' presto il parco naturalistico, archeologico e termale del
Bulicame.
2. Potenziare immediatamente il trasporto
ferroviario.
*
Il comitato che si oppone al mega-aeroporto di
Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti
Viterbo, 17 maggio 2010
Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito:
www.coipiediperterra.org, recapito
postale: c/o Centro di ricerca per la pace, strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo
Per contattare direttamente la portavoce del
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it 4.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 194 del 18 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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