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Telegrammi. 194
- Subject: Telegrammi. 194
 - From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
 - Date: Tue, 18 May 2010 00:51:49 +0200
 
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 TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO 
 Numero 194 
del 18 maggio 2010 
Telegrammi della nonviolenza in cammino 
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche 
della nonviolenza 
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 
1. Peppe Sini: Per il ritiro immediato dell'Italia dalla guerra 
afgana 
2. Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte seconda e 
conclusiva) 
3. Un crimine da non commettere, due cose da fare 
4. 
"Azione nonviolenta" 
5. La "Carta" del Movimento 
Nonviolento 
6. Per saperne di piu' 
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER IL RITIRO IMMEDIATO 
DELL'ITALIA DALLA GUERRA AFGANA 
 
L'unico modo per esprimere affetto e rispetto 
per gli esseri umani uccisi, e' impedire che altri esseri umani siano 
uccisi. 
L'unico modo per impedire che la guerra 
continui a fare stragi, e' cessare di fare la guerra. 
Cessi la partecipazione italiana alla sciagurata 
guerra afgana. E si adoperi invece l'Italia per 
la pace, il disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti. 
Si torni finalmente al rispetto dell'articolo 
11 della Costituzione della Repubblica Italiana che ripudia la 
guerra. 
Si salvino tutte le vite umane. 
Solo la pace costruisce la pace. 
Solo la pace salva le vite. 2. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE SECONDA E 
CONCLUSIVA) 
[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo 
Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 
1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione nonviolenta", e-mail: 
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). 
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, 
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e 
la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed 
operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior 
antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), 
Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una 
raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato 
delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di 
Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della 
nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, 
Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso 
L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, 
Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. 
Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente 
antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi 
capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la 
redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: 
www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed 
opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali 
Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli 
anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin 
qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un 
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione 
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' 
la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, 
Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo 
Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, 
Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Opere su Aldo Capitini: oltre alle 
introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo 
Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo 
Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: 
Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, 
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, 
La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, 
Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza 
religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La 
rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, 
Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, 
persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, 
ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza 
in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo 
Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La 
filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio 
dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, 
Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, 
Firenze 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della 
nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato 
a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, 
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di 
Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono 
nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: 
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile 
mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti 
scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: 
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 
0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, 
sito: www.nonviolenti.org] 
Carattere della nonviolenza 
Della nonviolenza si puo' dare una definizione molto semplice: essa e' la 
scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di 
qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani. Perche' questa 
scelta? Per amore: ecco, vediamo subito che si tratta di una cosa positiva, 
appassionata. Ma e' l'amore che non si ferma a due, tre esseri, dieci, mille (i 
propri genitori, i figli, il cane di casa, i concittadini, ecc.); e' amore 
aperto, cioe' pronto ad amare altri e nuovi esseri, o ad amare meglio e piu' 
profondamente gli esseri gia' conosciuti. E qui si capisce uno dei caratteri 
essenziali della nonviolenza bene intesa: essa non e' mai perfetta e non finisce 
mai, appunto perche' e' una cosa dell'anima; e' un valore, e' come la musica, la 
poesia, e si puo' sempre fare nuova musica, nuova poesia; e la vecchia musica, 
la vecchia poesia, possono essere vissute piu' profondamente. 
Il paragone con la musica ci fa comprendere anche un'altra cosa: come 
nessuno puo' desiderare di ascoltare e comporre la "musica ", tutta la Musica; 
ma desidera ascoltare e comporre "delle musiche particolari e concrete"; cosi 
nessuno abbraccia l'astratta "Nonviolenza", ma compie atti particolari di 
nonviolenza, in situazioni concrete. La nonviolenza e', dunque, dire un tu ad un 
essere concreto e individuato; e' avere interessamento, attenzione, rispetto, 
affetto per lui; e' avere gioia che esso esista, che sia nato, e se non fosse 
nato, noi gli daremmo la nascita: assumiamo su di noi l'atto del suo trovarsi 
nel mondo, siamo come madri. 
Nell'agire secondo la nonviolenza ha grande rilievo non uccidere, non dare 
la morte. Si potrebbe obbiettare: quella persona morra' ugualmente, prima o poi. 
Rispondiamo che anzitutto c'e' una grande differenza; e noi stiamo parlando con 
serieta', per cui l'atto nostro ha il suo valore non nel fatto, ma nel 
proposito. E' ben diverso che io uccida mia madre e che essa muoia assistita 
amorevolmente da me. Sono non solo due modi di vivere diversi, ma due mondi. 
Inoltre: chi ci dice che la morte sia un fatto costante, ineliminabile? Abbiamo 
tentato di non dare la morte ne' col pensiero ne' con l'atto, per vedere se la 
realta' ci seguisse? Che ragione abbiamo noi di rimproverare la realta' che da' 
dolore e morte, se diamo dolore e morte? Sicche' chi non da' la morte, produce 
due cose: in se', tanto e' l'appassionamento all'esistenza delle persone, il 
senso della loro presenza anche se muoiono; e nella realta' introduce 
un'iniziativa che la puo' trasformare. 
Proprio l'amore per le persone, fino al rispetto della loro esistenza e fin 
sull'orlo della morte, prende su di se' la presenza di quelle persone, quando e' 
amore non per uno, due, dieci, ma aperto a tutti. Il nostro agire innocente 
sente che quelle persone, se muoiono, restano unite all'intima presenza; mentre 
l'omicida, soltanto se si pente amorevolmente, ritrova in se' la presenza della 
persona uccisa; altrimenti sente il vuoto intorno a se'. 
Con la nonviolenza, dunque, s'impara concretamente che i modi di 
manifestarsi attuali della realta' (tra cui la separazione, il dolore, la morte) 
non sono permanenti, ma possono trasformarsi in meglio; e' una prova che vale la 
pena di tentare, e percio' la nonviolenza e' appello al mondo per una grande 
mobilitazione dell'unita' amore, con la fede nella trasformazione della realta' 
stessa. 
E' percio' un errore credere che la nonviolenza si collochi nel mondo 
lasciandolo com'e'; piu' si pensa alla nonviolenza e si cerca di attuarla, piu' 
si vede che essa ha un dinamismo tale che non puo' accettare il mondo com'e', ma 
essa porta tutto verso una trasformazione: l'umanita', la societa', la realta'. 
Come strumento di conservazione del mondo, la nonviolenza e' discutibile; come 
strumento di trasformazione in meglio, essa ha un valore inesauribile, appunto 
perche' non fa modificazioni e spostamenti in superficie, ma va nel profondo, al 
punto centrale. 
E un altro e simile errore e' credere che la nonviolenza sia contro le 
violenze attuali, ma accetti quelle passate, dell'umanita', della societa', 
della realta'. Se fosse cosi' la nonviolenza sarebbe conservatrice e 
accetterebbe il fatto compiuto, le prepotenze avvenute, le oppressioni, le 
monarchie, gli sfruttamenti. La vera nonviolenza non accetta nemmeno le violenze 
passate, e percio' non approva l'umanita', la societa', la realta', come sono 
ora. Non accetta la realta' dove il pesce grande mangia il pesce piccolo; e 
percio' cerca di stabilire unita' amore anche verso gli animali, appunto per 
iniziare il bene; non accetta che i viventi prendano il posto dei morti, e 
percio' tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la 
ricchezza privata, e percio' tende a costituire forme di federalismo nonviolento 
dal basso e forme di aiuto e reciprocita' sociale e fruizione comune di beni 
sempre piu' larghe. Essa ha come guida instancabile la presenza di tutti, e il 
principio che ogni singolo essere e' insostituibile. 
Percio' essa tende a ridurre ed eliminare gli schemi generici e 
impersonali. Noi viviamo troppo di questi schemi, e molte volte non ci curiamo 
d'altro; ma non esistono gli schemi (gli amici, i nemici, i malati, gl'italiani, 
i religiosi, gli autisti, ecc.); esistono i singoli individui, e la vita 
fondamentale e' quella che li considera nella loro singolarita' insostituibile. 
Noi usiamo lo schema, per esempio se cerchiamo un autista, e poi un altro 
autista, un librario ecc. Ma il progresso e' proprio nel ridurre questo uso di 
schemi. La guerra invece e' il mostro piu' immane di questo uso di schemi, che 
divora le singole individualita': non ci sono che i nostri e i nemici; e' 
percio' sommamente diseducatrice. 
Ci avviciniamo cosi ad alcuni punti problematici della nonviolenza. Che 
cosa succede nella societa' cosi' com'e' ora costituita? La risposta deve 
richiamare a quello che gia' si e' detto: la nonviolenza non puo' mettersi nel 
mondo com'e', e lasciarlo tale e quale; la nonviolenza e' lotta (contro se 
stessi, le proprie tendenze. i propri sogni di quiete), e' dramma tormentoso, e' 
spinta a scegliere cio' a cui uno tiene di piu', a fare una prospettiva; e se 
uno continua a vedere la vita come la vedono tutti, trova assurda la 
nonviolenza; poi vengono le disgrazie e la morte, e uno non ci capisce nulla. 
Invece la nonviolenza fa una prospettiva che da' una preparazione religiosa per 
tutte le disgrazie e la morte: l'unita' amore con le persone, come singole e 
come eternamente presenti, l'unita' amore che si perde di sentirla se noi 
compiamo atti di violenza e di distruzione delle persone. Tenuto fermo questo 
senso di eterno, esso si allarga a comprendere tutto cio' che di bello, di buono 
viene creato, ed uno si sente in un mondo piu' vero di quello apparente nel 
tempo e transeunte. Ora, in una societa' se io sto inerte, sono colpevole. Ma se 
io, pur essendo per la nonviolenza, sono attivissimo, e con quella scelta e 
quella fede la vivo e la concreto e la diffondo con il mio costume, sono a posto 
verso la societa'. Nella quale percio' saranno due gruppi di persone: quelle che 
useranno eventualmente la violenza, e quelle che non la useranno, ma 
esplicheranno una intensa attivita'. 
Ci siamo cosi preparati per affrontare una delle obbiezioni piu' 
insistenti; se usiamo la nonviolenza, trionfano i cattivi. Rispondiamo che, 
anzitutto, l'uso della violenza non ci da' sufficiente garanzia che trionfino i 
buoni, perche' l'uso della violenza con efficacia richiede che si facciano tanti 
compromessi e tanti addestramenti che si perde una parte di quella bonta', di 
quella elevatezza; e questo si vede dopo le guerre, quando c'e' un diffuso 
trionfo di violenti, e ci vuole l'azione di nuclei puri per cercare di guarire 
(ecco la fortuna di idee religiose in ogni dopoguerra). Ora, gli uomini non 
hanno bisogno soltanto di ordine nella societa', ma che ci siano vette alte e 
pure. Se per tener testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi, 
all'ultimo e' realmente la cattiveria che vince. La cosa e' piu' evidente se i 
cattivi posseggono armi potentissime, e noi per avere armi piu' potenti ancora, 
mettiamo tutta la nostra forza: alla fine scompare la differenza tra noi e loro, 
e c'e' bisogno che sorga una differenza netta tra chi usa le armi potenti, e chi 
usa altri modi, con fede che essi trasformano il mondo. 
Gia' queste poche considerazioni mostrano quali modi spirituali piu' ricchi 
scaturiscono dalla nonviolenza. E anche in questo essa ha un grande ufficio nel 
mondo d'oggi, nel quale sembra che tutto si risolva nell'organizzazione sociale. 
C'e' il pericolo di restringere l'orizzonte dello spirito. L'organizzazione 
sociale non e' che un aspetto, e se noi piegassimo tutto ad essa, perderemmo 
cose anche piu' importanti. E' certo che Gesu' Cristo porto' scompiglio, 
divisioni, altri modi nell'organizzazione sociale; eppure siamo convinti che 
egli era ben degno di nascere. Forse col Settecento si e' accentuata questa 
tendenza politico-sociologica; ma non bisogna dimenticare che la civilta' vuol 
dire essenzialmente non ripetizione, ma creazione. Per di piu' lo sviluppo 
tecnico ha portato il beneficio di tali comodi e servizi, che uno si e' 
affezionato troppo ad essi; e allora la civilta' perde in serieta' confrontata 
con civilta' passate, che saranno state devote a miti, ma erano piu' evolute. 
Bisogna quindi tornare ad una gerarchla o prospettiva di valori; e allora si 
vedra' che i valori che si difendono o acquistano con la violenza sono inferiori 
a quelli che si difendono o acquistano con l'attivita' nonviolenta. 
Insieme con questa prospettiva, che si diffondera' a poco a poco negli 
uomini, specialmente se dovranno subire una nuova guerra, c'e' un fatto che 
appare nuovo. Fino ad ora chi ha attuato la nonviolenza in una parte, per 
esempio in India, non si e' sentito perfettamente unito a chi ha usato la 
nonviolenza in un'altra parte, perche' uno diceva di farlo per una ragione, uno 
per un'altra; e ci rientravano miti, dogmi diversi. Oggi c'e' un'unificazione e 
noi lavoriamo per questo. E l'unificazione delle ragioni della nonviolenza 
porta, tra l'altro, che consideriamo violenza e nonviolenza non come un fatto 
privato e personale, ma internazionale. E percio' puntiamo prima di tutto sul 
fatto guerra, ci opponiamo alla violenza internazionale. 
Una volta c'e' stato un pacifismo molto blando, tanto e' vero che davanti 
alla prima guerra mondiale e alla seconda vacillo'. Esso credeva di arrivare 
alla pace molto facilmente attraverso la cultura, la scienza, l'interesse al 
benessere, il cosmopolitismo delle classi dirigenti. Si e' visto poi che non 
bastavano, e si capisce perche'. Non era stato affrontato il lato religioso del 
rifiuto della violenza, che cioe' la violenza si rifiuta in nome dell'amore (e 
non dello star bene), di una realta' liberata dagli attuali limiti (e non della 
continuazione di una realta' insufficiente), e con una disposizione al 
sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo che muore per far sorgere la 
nuova pianta. Il vecchio pacifismo era ottimista e di corta vista, il nuovo e' 
drammatico e di fede nella liberazione dell'uomo-societa'-realta' dagli attuali 
limiti. 
Percio' anche a proposito dell'attuale mondialismo la nonviolenza da' 
un'ottima guida. Non si oppone, sia perche' c'e' tanta gente che in quella forma 
esprime per ora quello che vuole la nonviolenza, sia perche' c'e' sempre qualche 
cosa di educativo in questo dirsi "cittadini del mondo", tanto piu' in presenza 
a tanti persistenti nazionalismi, e alquanto torbidi: una prima purificazione 
puo' esser quella di dire, "conveniamo insieme tutti nel mondo", vediamo di 
intenderci, ascoltiamo e parliamo. La' dove la nonviolenza interviene e' nei 
primato da dare; il mondialismo dice: facciamo un'assemblea mondiale e un 
governo, e un codice, e una polizia mondiale; la nonviolenza dice: persuadiamoci 
dell'interna ragione dell'unita' umana attraverso l'impegno nonviolento, poi 
vedremo le forme sociali che ne conseguono. Il mondialismo sembra piu' concreto, 
ma corre il rischio di mantenere la violenza e di appoggiarsi a un impero 
vincente, e tutto resta quasi come prima; diminuira' qualche guerra, perche' il 
diritto di farla rimane al centro dell'impero, ma e' grave l'inconveniente che 
se questo governo mondiale fa ingiustizie, non c'e' scampo (mentre ora, almeno, 
si puo' mutare Stato). Il mondialismo sembra troppo facile accettarlo (e questa 
facilita' dovrebbe rendere attenti). La nonviolenza pone impegni precisi, chiede 
fede; e' difficile, ma va in profondo, si occupa della radice: ha fiducia di 
trarre da se' e dalla trasformazione che porta nuovi modi anche sociali, diversi 
dai vecchi del codice, dello Stato, della polizia, della distruzione 
repressiva. 
La nonviolenza, per quello che vede finora, considera ogni rapporto non in 
senso di autorita', potere, repressione, ma in senso federativo, orizzontale, 
aperto. Per questo nella societa' circostante porta un modo diverso che agisce 
sia direttamente per le persone che coltivano in se' questo senso orizzontale, 
fraterno (e che ne sono trasformate), sia indirettamente per le persone che 
ricevono questo nuovo agire nonviolento, purche' costante e convinto. Bisogna 
tener presente questa trasformazione dell'uomo, e allora se si dice che la 
nonviolenza tende ad un "federalismo nonviolento dal basso", si capisce che non 
si tratta di un federalismo in cui ognuno resta tale e quale, ma di un 
federalismo nel quale opera un elemento dinamico, che e' la nonviolenza intesa 
in quel senso aperto. 
Da quello che si e' detto risulta chiaramente che la nonviolenza tende 
anche a trasformare le strutture delle comunita', e stabilire rapporti diversi 
da quelli repressivi. Tuttavia si puo' osservare che l'azione dell'organo di 
"polizia" in una comunita' e' lontana da quegli eccessi di distruzione e di 
eccitazione psichica e di impersonalita' che ci sono per gli eserciti e le 
guerre: quell'azione e' circoscritta, diretta specificamente contro chi porta 
violenza e con lo scopo piu' di distogliere dalla tentazione che altro. 
Naturalmente il nonviolento tende ad altro, e a smobilitare polizie e prigioni, 
ed ha fiducia che questo sia possibile, perche' crede alla superabilita' del 
male e alla attuabilita' di migliori rapporti umani; e per intanto compie 
un'opera instancabile perche' la repressione sia umana, non torturatrice, 
educatrice, non vendicatrice, ma cooperante al bene anche del criminale stesso. 
Ma si rende anche conto che quello della polizia e della coercizione giudiziaria 
e' l'ultimo strumento a cui una comunita' rinuncia, e solo quando ci sia un 
ampio sviluppo di modi nonviolenti di convivenza. Il nonviolento si dedica a 
questo, specialmente con l'apertura verso il probabile violento, rimovendo le 
cause, rafforzando l'unita' sociale gia' nell'intimo. 
(Da La nonviolenza, oggi, 1962) 
* 
La nonviolenza nei casi personali 
Nei rapporti personali (che e' il campo dei "casi" e delle critiche nelle 
discussioni sulla nonviolenza) la persuasione della nonviolenza si manifesta 
come tendenza generale, come una direttiva che va applicata pazientemente, e con 
la buona volonta' di cercare di evitare l'uso della violenza, e con la lealta' 
di correggersi se si devia, e di affrontare il dolore conseguente. Chi si mette 
su questa linea puo' errare mille volte, ma fa uno sforzo, apre una via, incide 
nella realta' abituale e fuga l'inerzia: non merita il rimprovero di chi sta 
inerte a non tentare nulla. Si', e' vero, e' difficile essere nonviolenti 
integralmente: e' piu' facile rifiutarsi agli eserciti e alle guerre; ma 
nell'ambito personale e immediato e' piu' difficile purificare dalla violenza i 
nostri atti, e ci possiamo trovare in situazioni nelle quali spingiamo la difesa 
fino alla violenza. L'importante e' non stancarsi di tendere ad attuarla, 
vivendola nelle sue profonde ragioni; che cosa fa il musicista, se non tendere a 
realizzare musica meglio che puo'? eppure puo' riuscirgli anche musica non 
sempre di valore, pura, alta. 
Se uno mi assale per colpirmi, che cosa debbo fare? E' chiaro che dal punto 
di vista della nonviolenza io debbo evitare di colpirlo, e tanto piu' se il mio 
colpo sarebbe per lui la morte. Se sono capace di tenerlo nella incapacita' di 
colpirmi, cerchero': lo faro' con il dolore di esser tirato ad un contrasto con 
una persona ma posso tentare di farlo, e sappiamo che sono costruibili arnesi 
con i quali si puo' senza uccidere e senza ferire, impedire ad uno di colpire. 
E' probabile anche che io possa fare dei tentativi di parlare e di distogliere 
l'avversario. Certo e' che, nel punto estremo, nel quale o muore lui o muoio io, 
la nonviolenza mi dice quale e' la scelta da fare. E tuttavia le circostanze, le 
ragioni, significano molto se io decidessi diversamente; e con molto dolore 
dopo, per la tristezza del caso. 
Cosi e' nelle altre ipotesi tormentose. Per esempio: se uno volesse 
uccidere un bambino? E' molto probabile che vi siano mezzi per immobilizzare chi 
vuoi compiere quell'atto, e che sia alquanto raro il caso che egli lo possa 
compiere senza che lo si cerchi di tener fermo e disarmato. In ogni modo, nel 
caso estremo, si puo' arrischiare anche la propria vita davanti a quella del 
bambino. Sara' stimabile chi, in omaggio alla nonviolenza e per tutto cio' che 
essa significa e produce, non compie la violenza di uccidere l'aggressore. Sara' 
stimabile anche chi compia questa violenza, con il puro scopo di difesa del 
bambino. Sarebbe un'impostazione errata del problema dire che non c'e' che un 
modo d'agire; e ogni altro e' delittuoso e traditore. L'atto vale per tutta la 
sua sostanza, e la sostanza della nonviolenza e' rispettabile tanto quanto 
quella della difesa, purche' siano entrambe serie e profonde. Del resto, non e' 
detto che tutte le volte che si opera con violenza si riesca ad impedire il 
misfatto; mentre se ci si desse a diffondere un'educazione alla nonviolenza si 
agirebbe anche sul sorgere di atti di violenza dove che siano, perche' 
nell'intimo siamo tutti un'unita'. 
Del resto, la nonviolenza oggi si presenta con un accento straordinario. 
Appunto perche' la violenza, in atto o potenziale, e' salita a un culmine 
straordinario, la nonviolenza interviene per coordinare i tentativi di 
decongestione, e la cosa vale bene il sacrificio di qualcuno di noi se sara' 
offeso ed egli non reagira' con la violenza. Non che il sacrificio di noi, di 
altri o di cose, sia cercato di proposito; ma il fatto e' che si sta non 
salvando la bianchezza delle proprie mani, ma intervenendo perche' 
l'umanita'-societa'-realta' prendano un nuovo corso, si trasformino. E la 
trasformazione essenziale, da cui mille altre, e' quella di aprirsi ai singoli 
esseri, elevandoli coralmente, infinitamente, eternamente, ai valori puri. Il 
non usare violenza verso singole persone e', insieme, simbolo e realta': volere 
che i singoli siano presenti e partecipi in eterno; iniziare la realizzazione 
paradisiaca in terra, che richiede (naturalmente) iniziativa e sacrificio. 
Quest'aria eccezionale di ora religiosa, di fine di una realta' e di inizio di 
una realta' migliore, questa luce festiva tocca i sacrifici che la nonviolenza 
richiede. 
Viene talvolta obbiettato che e' bene arrestare il violento con altrettanta 
violenza, proprio per il suo bene, per amore di lui, perche' conosca cio' che e' 
giusto, e trovi, fuori di se', un aiuto di forza per costringere la propria 
bestialita' e cattiveria. Rispondiamo che se fosse sempre cosi, sarebbe 
realmente gia' miglior cosa della violenza che trascura la situazione della 
persona che la riceve. Tuttavia e' da notare che l'efficacia di un tal metodo 
per migliorare gli altri e' ben discutibile, e nella realta' il violento si vede 
vinto da una violenza maggiore, e non impara a trasferirsi su un altro piano. 
Anzi vede che non c'e' che il piano della forza, e che vince chi ne ha di piu'. 
E' molto male che agli uomini non si porga l'esempio, l'ipotesi, l'insegnamento 
di tutto un altro modo di comportarsi. E fanno male i sacerdoti ad abdicare, 
quando abdicano, su questo punto. Inoltre chi usa questa "violenza 
pedagogico-giuridica", si cristallizza in essa: i romani la usarono, 
risparmiando i sottomessi e debellando i superbi; ma solo il cristianesimo 
porto' liberta' e autentica cittadinanza mondiale, e al posto dell'intenzione 
pedagogico-giuridica, mise la costruttiva e reale apertura dell'anima. In quel 
modo, opponendo violenza al violento, si ottiene, se mai, un risultato nel 
momento; mentre opponendo la nonviolenza e i suoi modi si otterra' un risultato 
piu' lontano, ma veramente di qualita' migliore. 
Non si puo' sperare che poco dalla persuasione! viene obbiettato. 
Ammettiamolo, ma rispondendo: che se non si tenta, non si puo' dire, e bisogna 
dunque tentare con cuore intrepido; e poi, il valore della nonviolenza non sta 
nel persuadere subito di colpo: essa afferma se stessa e stabilisce unita' 
amore, apre una migiore realta'; questo atto viene deposto nell'unita' che lega 
tutti gli esseri; prima o poi dara' il suo effetto, anzi esso ha cominciato gia' 
a darlo se c'e' stato chi ha iniziato. 
Ma voi persuaderete i buoni, i gia' persuasi; mentre i cattivi non vi 
daranno ascolto; ci vien detto. Noi non crediamo, invece, che le persone siano 
divisibili in due gruppi netti, ma se, col parlare di nonviolenza, si riuscisse 
a ritagliare un gruppo di persuasi, meglio cosi, che non, tacendo sulla 
nonviolenza, avere tutte persone violente. E poi: tante volte si parla di 
cattivi, e dei peggiori, che si volgono energicamente al bene; ed e' vero che 
spesso i fortemente buoni sono dei mancati briganti: che vuol dir questo? che 
non dobbiamo guardare a nature fisse, precostituite, predeterminate; ma 
piuttosto a impulsi, esempi, forze spirituali pure che entrano nel campo della 
vita delle persone; ed e' qui che la nonviolenza puo' fare piu' che puo'. 
(Da La nonviolenza, oggi, 1962) 
* 
Ragioni della nonviolenza 
1. La nonviolenza prende in considerazione il nostro rapporto con gli altri 
esseri viventi, con la fiducia di renderlo sempre piu' reciprocamente 
amichevole, comprensivo, soccorrente, lieto, malgrado le difficolta' che gli 
altri stessi possono metterci. Questa fiducia non cessa di colpo al confine 
degli esseri umani e spera anche per gli esseri viventi non umani; ma si rende 
conto che la storia con la sua spinta vitale ha separato da noi finora questi 
esseri (animali e piante) in forme di piu' difficile educazione, trasformazione, 
liberazione. 
2. La nonviolenza e' aperta all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di 
ogni essere. Quando nel Settecento sono stati banditi i principi di liberta', 
eguaglianza, fratellanza, non e' stato fatto tutto. La liberta' era piu' la 
liberta' propria come diritto che la liberta' degli altri come dovere; 
l'eguaglianza era un bel principio, ma si fermava a meta' perche' restavano i 
miseri e gli sfruttati; la fratellanza era piu' quella generica con i lontani 
che quella difficile, nonviolenta e perdonante verso i vicini. 
3. La bellezza della nonviolenza e' che essa preferisce non di distruggere 
gli avversari, ma di lottare con loro in modo nobile e dignitoso, con il metodo 
nonviolento, che fa bene, prima o poi, a chi lo applica e a chi lo riceve. In 
fondo e' piu' coraggioso volere vivi e ragionanti gli avversar!, che farli a 
pezzi. 
4. Ma sarebbe errore credere che la nonviolenza consista nel non far nulla, 
nell'incassare i colpi, le cattiverie e le stupidaggini degli altri. La 
nonviolenza e' sveglia e attiva, e protesta apertamente, anzi cerca i modi non 
solo per convincere gli autori delle ingiustizie, ma per informare l'opinione 
pubblica, di cui ha la massima considerazione: la nonviolenza per nessuna 
ragione crede che si possa sospendere la liberta' e la possibilita' abbondante 
di informazione e di critica per tutti, fino all'ultimo essere umano. Anche qui 
la nonviolenza attua al massimo un principio del Settecento, che la borghesia ha 
poi alterato a proprio vantaggio: la formazione libera dell'opinione pubblica, 
comprendente tutti. 
5. La nonviolenza puo' rinnovare veramente la vita interna di un paese, 
perche' nell'insieme di un'opinione pubblica, tutta sveglia e obbiettivamente 
informata, porta eventuali piani di non collaborazione e perfino, in casi 
estremi, di disobbedienza civile, che servono a bloccare iniziative autoritarie 
dall'alto. In Italia un popolo privo di esatta informazione e critica 
responsabilita' fu portato ad uccidere e a morire, e poi al popolo privo del 
metodo di opposizione nonviolenta fu imposta una dittatura. L'uso del metodo 
nonviolento avrebbe salvato e trasformato l'Europa, a cominciare dall'Italia e 
dalla Germania. 
6. Trasformare la situazione interna dei paesi vuoi dire anche avere un 
continuo promovimento di campagne giuste e rinnovatrici, in cose piccole e in 
cose grandi, e senza portare il terrorismo della guerra civile nelle strade e 
nelle case. E' un metodo nuovo, il tenere attiva una societa' con il metodo 
nonviolento, controllando e smascherando, protestando e agitando, sacrificandosi 
e cosi educando i giovanissimi a cercare coraggiosamente di migliorare le 
societa' dal di dentro. Anche qui la nonviolenza salva i giovani, occupandoli 
bene (rivoluzione permanente). 
7. La nonviolenza e' strettamente congiunta col punto a cui e' giunta la 
guerra, con la sua attrezzatura tecnica e le armi nucleari. L'esasperazione 
della ferocia e della vastita' distruttiva della guerra, specialmente dopo 
Hiroshima, ha posto il problema di arrivare a un altro modo di condurre le lotte 
e la stessa difesa. Come ci si difende alle frontiere da missili che varcano i 
continenti e in pochi minuti distruggono citta', specialmente le industrie, i 
civili? Si puo' arrischiare una tale strage e un tale avvelenamento 
dell'educazione delle generazioni? Dietro e dopo le soluzioni provvisorie 
dell'equilibrio del terrore, mentre e' enorme nel mondo la fabbricazione di armi 
di tutte le specie e la loro distribuzione anche ai popoli sottosviluppati, la 
nonviolenza prepara la svolta storica del possesso in tutto il mondo di un 
metodo di lotta che esclude la distruzione dei nemici, attraverso la non 
collaborazione con il male, la solidarieta' aperta dei giusti. Questo metodo non 
ha bisogno di armi e percio' di appoggiarsi ad una nazione con industrie capaci 
di darle, come sono costretti a fare i guerriglieri violenti, che usano anche i 
vecchi modi del terrorismo tra gli avversari e della tortura dei 
prigionieri. 
8. Il metodo nonviolento esige prima di tutto qualita' di coraggio, 
tenacia, sacrificio, e di non perdere mai l'amore; poi esige un addestramento 
fisico e psicologico, ma possibile anche per persone di forze modeste. Un metodo 
in cui un cieco puo' essere piu' utile di un gigante. Cosi il metodo nonviolento 
si rivela come la possibilita' di partecipazione attiva, appassionata ed eroica, 
di persone che non hanno altro che il loro animo e le loro giuste esigenze: la 
nonviolenza le valorizza, illumina, e rende presenti anche moltitudini di donne, 
di giovinetti, folle del Terzo Mondo, che entrano nel meglio della civilta', che 
e' l'apertura amorevole alla liberazione di tutti. E allora perche' essere cosi' 
esclusivi (razzisti) verso altre genti? Oramai non e' meglio insegnare, si', 
l'affetto per la terra dove si nasce, ma anche tener pronte strutture e mezzi 
per accogliere fraternamente altri, se si presenta questo fatto? La nonviolenza 
e' un'altra atmosfera per tutte le cose e un'altra attenzione per le persone, e 
per cio' che possono diventare. 
9. Davanti a questa svolta storica in anni e decenni, il prevalere di 
gruppi violenti per un certo periodo rimane un episodio. L'unica forza che scava 
loro il terreno e' la nonviolenza, ma ci puo' volere pazienza, tempo, costanza. 
E' vero che un atto di violenza puo' fronteggiare un altro atto di violenza, ma 
poi? Nel quadro generale e' meglio attuare un altro metodo. Si possono 
conservare ancora forze coercitive per piccoli fatti, di ordine quotidiano, ma 
nel piu' e nell'insieme e' il metodo del rapporto nonviolento che va risolto e 
articolato sempre piu'. In esso, nel fatto che esso e' amorevolezza, 
approfondimento dell'unita', festa della vicinanza, inizio di una storia nuova 
con nuovi modi di realizzarsi, sta il compenso per i sacrifici della lotta 
nonviolenta e per il ritardo delle vittorie. 
10. La nonviolenza e' la porta da aprire per non sentirsi soli. La 
nonviolenza cerca sempre di essere con gli altri. E questo e' molto importante 
oggi, perche' sta dilagando il bisogno di una democrazia diretta, dal basso, con 
il controllo di tutti su tutto. Contro i poteri imperiali dei capi degli 
eserciti e delle industrie che li servono (private o statali), la democrazia 
diretta costituira' i suoi strumenti con la continua guida della nonviolenza, 
per smontare la varia violenza dei potenti (violenza burocratica, giudiziaria, 
nella scuola, nel lavoro, negli enti di assistenza, nella stampa e nella radio), 
non con assalti sanguinari che non trasformerebbero, ma con la preparazione al 
controllo serio e aperto. 
11. Dire nonviolenza e' come dire apertura in tutti i campi, occuparsi 
degli esseri viventi in modo concreto e aiutarli (che e' anche un modo per avere 
forza in se stessi); tenersi pronti per sostenere cause giuste e meritare il 
nome di essere perfettamente leale; riconoscere che negli errori degli altri 
c'e' sempre una qualche responsabilita' e possibilita' attiva per noi; perdonare 
facilmente al passato nella serieta' di impegni migliori per il futuro; 
invidiare Dio che puo' conoscere piu' da vicino tutti gli esseri e aiutarli 
infinitamente; tendere a costituire comunita' di vita con piu' persone e 
famiglie in modo che ci sia uno scambio piu' attivo e un'educazione comune dei 
piccoli; essere piu' sensibili ad ogni altro valore pratico e contemplativo 
(l'onesta', l'umilta', la musica, ecc.); essere piu' fermi nella serieta' e 
severita' quando occorra (per esempio contro le ingiuste e molli 
raccomandazioni); cercare di estendere il rispetto della vita quando e' 
possibile (per esempio col vegetarianesimo, ma facendolo bene perche' non sia 
dannoso) e assecondare dalla fanciullezza la zoofilia; utilizzare 
l'appassionamento universale per la massima valorizzazione degli esseri per 
arricchire l'attenzione nel tu rivolto a un singolo essere, perche' non sia 
isolato e stagnante; attuare quotidianamente la gentilezza costante, senza 
ipocrisia e con franchezza; portare in ogni situazione un'aggiunta di 
ragionevolezza umana e di comprensione reciproca; garantire una riserva di 
serenita' per il fatto che la nonviolenza e' qualche cosa di piu' rispetto alla 
semplice amministrazione della vita. 
12. La nonviolenza non sta in un individuo astratto, ma e' da individui a 
individui in situazioni, strutture, grandi problematiche e urgenti 
realizzazioni. Un modo in cui si fa presente e', come abbiamo visto, quello del 
pacifismo integrale. Il che vuol dire non solo il rifiuto di collaborare alla 
guerra e guerriglia, e a cio' che inevitabilmente le accompagna, il terrorismo 
contro i civili e la tortura sui prigionieri; ma anche la scelta del disarmo 
unilaterale, unito all'addestramento all'azione del metodo nonviolento. Percio' 
la nonviolenza indica il pericolo dell'equilibrio del terrore, durante il quale 
eserciti e industria alimentano di armi tutto il mondo, da cui conflitti grandi 
e piccoli; indica gli spegnimenti della democrazia che vengono fatti per 
allinearsi in grandi blocchi politico-militari; mostra l'immenso consumo di 
denari nelle spese militari invece che nello sviluppo civile. Le Nazioni Unite, 
come insieme di sforzi per dominare razionalmente le situazioni difficili e per 
provocare continuamente la cooperazione, sono sostenibili, anche perche' tutte 
le trasformazioni rivoluzionarie che la nonviolenza porta, sono sempre il 
fondamento e l'integrazione di quelle decisioni razionali e giuridiche che gli 
uomini prendono, quando esse sono un bene per tutti. Certo, il nonviolento non 
si scalda per il governo mondiale, che potrebbe diventare arbitrario e 
oppressivo, ma per il suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini 
nonviolente dal basso. 
13. La nonviolenza vuole la liberazione di tutti, e non cessa mai di 
portare l'eguaglianza a tutti i livelli. Ora un problema molto importante e' che 
l'uomo non subisca la violenza mediante il lavoro. Il lavoro e' uno dei modi che 
l'uomo ha (non il solo) per esprimere la sua personalita', ed e' percio' 
positivo, un diritto-dovere, una partecipazione alla comunita'. Ma va sempre 
piu' realizzato il fatto che ogni lavoro e' verso tutti, e in certo senso 
pubblico, non privato e sottoposto a condizioni di servitu' e di sfruttamento. 
Difendere e sviluppare la posizione di tutti i lavoratori vuol dire renderli 
sempre piu' capaci di eguaglianza di fruizione della vita comune, nei beni 
materiali e nei beni culturali, mediante la formazione nell'adolescenza e 
mediante il tempo libero, e capaci di partecipazione attiva, civica, critica, 
costruttiva. Percio' i provvedimenti per cui la proprieta' viene resa pubblica e 
controllata, cioe' aperta e non chiusa (socialismo) snidano la violenza 
sostanziale di chi si vale della proprieta' per alienare gli uomini staccandoli 
dal loro pieno sviluppo nonviolento e creativo sul piano orizzontale di 
tutti. 
14. Il grande fatto della meta' di questo secolo e' il discorso sul potere. 
La nonviolenza, meglio di ogni altro atteggiamento, puo' indicare quanta 
violenza si annidi nel vecchio potere. Si e' constatato che la statalizzazione 
della proprieta' non toglie la durezza del potere. Non basta far cadere le 
posizioni della proprieta' privata perche "il potere operaio" abbia il diritto 
di tutto costruire. Il problema non e' che nuova gente arrivi, in un modo o in 
un altro, al potere; ma che il potere sia esercitato in modo nuovo; altrimenti 
e' meglio continuare a lottare e formare un terreno piu' favorevole per arrivare 
ad un "potere nuovo", magari cominciando da forme di potere locale, dove e' 
meglio possibile attuare tipi di "potere aperto", che conta sulla costante 
collaborazione degli altri e possibilmente di tutti. 
15. Che fa la nonviolenza davanti alla legge? La scruta per intenderla, per 
integrarla con l'animo, per migliorarla, per ridurre la violenza. La legge, come 
decisione razionale, che riguarda azioni da comandare o da impedire, non puo' 
essere respinta senz'altro per sostituirla con la naturale istintivita' 
individualistica umana. La legge e' una conquista della ragione, e spesso merita 
di essere aiutata. Ma il nonviolento l'aiuta a modo suo. L'accetta quando e' 
molto buona. Consiglia di sostituire progressivamente alla esclusiva fiducia nei 
mezzi coercitivi, lo sviluppo di mezzi educativi e di controllo cooperante di 
tutti. Fa campagne per sostituire leggi migliori, quando le attuali sono 
insoddisfacenti e sbagliate. Errato e' insegnare a ubbidire sempre alle leggi e 
a non volerle riformare, come se non esistesse la coscienza e la ragione. La 
nonviolenza aiuta a capire che non basta dire: "Noi siamo autonomi e ci diamo 
percio' le nostre leggi". Bisogna aggiungere: "E le nostre leggi hanno 
l'orientamento di realizzare la nonviolenza come apertura all'esistenza, alla 
liberta', allo sviluppo di tutti". 
16. In questo tempo in cui la nonviolenza allarga e approfondisce le sue 
responsabilita', essa si trova davanti il potere delle autorita' religiose, e 
l'urto e' inevitabile. Tali autorita' pretendono di decidere su violenza e 
nonviolenza. La nonviolenza porta una sua prospettiva, di un sacro aperto e non 
chiuso, del valore di raggiungere l'orizzonte di tutti come superiore al cerchio 
dei credenti. Il credente nonviolento finisce col trovarsi piu' volentieri a 
fianco del nonviolento di un'altra fede che con l'"autorita'" della propria 
fede. Lo spirito di autoritarismo che pervade tutto il corpo ecclesiastico cerca 
di scacciare proprio quello spirito della nonviolenza aperto all'interesse per 
ogni singolo nel suo contributo e nel suo sviluppo, e impone una assenza di 
violenza che e' passiva obbedienza. Ben altro e' la nonviolenza aperta, che non 
ha paura di nessuna autorita', ed e' sicura di farsi valere prima o poi. 
17. La nonviolenza non e' soltanto una cosa della vita e nella vita. Nel 
suo sforzo continuo di migliorare il rapporto tra gli esseri, e di congiungere 
piu' saldamente la vita del singolo con la vita di tutti, avviene effettivamente 
un'influenza sulla cosi' detta "natura", che e' la vitalita', la volonta' di 
forza, di vita come vita, come piacere, come guadagno e profitto, come potenza, 
come riposo utile, come schiacciante energia dal seno stesso della realta' 
fisica. Il Vesuvio sterminatore osservato dal Leopardi e che uccise tanta gente; 
l'acqua di un'inondazione, che copre indifferente un sasso e il volto di un 
bambino, sono aspetti della natura. Ma natura e' anche la vitalita' che spinge 
il bambino a nascere e a crescere; la forza che ci affluisce ogni giorno 
mediante il cibo, il riposo, l'aria. Non si puo' tagliare da noi tutta la 
natura; ma si puo' scegliere: o svilupparci come bruta natura, o svilupparci 
come crescente nonviolenza verso gli esseri, rimediando la crudelta' della 
natura e proseguendola nel buono, nel vivo, trasformandola progressivamente. 
Perche' al limite estremo c'e' la sua trasformazione e il suo portarsi al 
servizio di tutti gli esseri affratellati. Un atto di nonviolenza e' percio' 
anche un atto di speranza in questa trasformazione della cruda forza della 
natura. 
18. Ma la nonviolenza non soltanto progredisce come rapporto. Essa qualche 
volta ha a che fare direttamente con la morte: e' rifiuto di dare quella morte 
determinata, e' constatazione dell'impotenza davanti ad una morte, e' 
l'improvviso trovarsi a dire un tu ad un essere che ci sembra non lo riceva piu' 
perche' e' morto. Il nonviolento, che fonda molto della sua decisione sul 
rispetto della vita, puo' anche semplicemente confermare, davanti alla morte, il 
proposito di non darla, e accomunare i morti in una cara memoria dei singoli e 
in una generale pieta'. Ma puo' anche considerare ogni morte come una 
crocifissione che la natura fa di ogni essere, come l'impero di Roma la faceva 
per i ribelli; e se ogni morte e' una crocifissione, il morto non e' spento ma 
risorge nella compresenza di tutti. Cosi la nonviolenza puo' condurre a vivere 
questo grande mistero della compresenza di tutti, viventi e morti. 
19. Vista ora nell'insieme di queste possibili attuazioni e prese di 
influenza e di azione su una realta' che oggi parrebbe cosi' contraria ad essere 
penetrata dalla nonviolenza, essa mostra il suo posto, l'aggiunta che fa al 
mondo presente. E' facile la profezia che ancora gli imperi militari-industriali 
del mondo concentreranno forze immani. Ma la nonviolenza ha cominciato ad aprire 
in ogni paese un conto, in cui ognuno puo' depositare via via impegni e 
iniziative. Se si pensa alla creativita' teorica e pratica di pochi decenni, si 
sente la crescita potenziale di una Internazionale della nonviolenza. Bisogna 
riconoscere che, indipendentemente dalle altre sue teorie, Gandhi, con la 
formazione del metodo di azione nonviolenta, ha dato il piu' grande contributo 
all'era della nonviolenza; e cosi ogni altro grande attuatore del metodo 
nonviolento, e suo testimone, ci e' fratello e padre. Nessuna paura e nessuna 
fretta, nessuna gelosia e nessuna presunzione, per l'organizzazione: possono 
sorgere innumerevoli centri per l'addestramento alle tecniche del metodo 
nonviolento. 
20. E se da questo largo quadro torniamo al semplice e singolo individuo 
che prende interesse per la nonviolenza, che prova a sceglierla, che vede di 
poter resistere al pensiero della violenza come soluzione, che non s'impiglia 
nella casistica dello schiaffo e del non schiaffo, del bambino ucciso e non 
ucciso, perche' non tutto sta li', e bisogna rifarsi al quadro generale, vediamo 
che Io stesso processo di sviluppo c'e' in grande come c'e' in piccolo, nel 
mondo e nel singolo individuo. Noi abbiamo ancora molta violenza addosso, come 
ce l'ha il mondo. Se uno per togliersela si isolasse da eremita, sbaglierebbe, 
perche' si priverebbe di tutte le occasioni per far progredire in se' e nel 
mondo la nonviolenza, che e' amore concreto, e per riprenderla, se l'avesse 
trascurata. 
(Dalla rivista "Azione nonviolenta", agosto-settembre 1968) 
* 
Tanto dilagheranno violenza e materialismo che ne verra' stanchezza e 
disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione 
salira' l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con 
quell'errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che e' il 
primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo 
ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza una apertura infinita 
dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto 
soffrire. Questo e' il varco attuale della storia. 
(Da Elementi di un'esperienza religiosa, 1936) 
3. VITERBO. UN CRIMINE DA NON COMMETTERE, DUE COSE 
DA FARE 
[Riceviamo e 
diffondiamo] 
Il crimine da non commettere: la realizzazione di 
un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e fuorilegge nel cuore dell'area 
naturalistica, archeologica e termale del Bulicame. 
Un crimine da non commettere, per i motivi che 
abbiamo piu' volte ricordato; poiche' il mega-aeroporto causerebbe 
inevitabilmente: 
a) lo scempio dell'area del Bulicame e dei beni 
ambientali e culturali che vi si trovano; 
b) la devastazione dell'agricoltura della zona 
circostante; 
c) l'impedimento alla valorizzazione terapeutica e 
sociale delle risorse termali; 
d) un pesantissimo inquinamento chimico, acustico 
ed elettromagnetico che sara' di grave nocumento per la salute e la qualita' 
della vita della popolazione locale (l'area e' peraltro nei pressi di popolosi 
quartieri della citta'); 
e) il collasso della rete infrastrutturale 
dell'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesanti servitu'; 
f) uno sperpero colossale di soldi 
pubblici; 
g) una flagrante violazione di leggi italiane ed 
europee e dei vincoli di salvaguardia presenti nel territorio. 
* 
Due cose da fare: 
1. Tutelare e valorizzare l'area in cui si trovano 
alcune delle piu' preziose e peculiari risorse di Viterbo realizzando al 
piu' presto il parco naturalistico, archeologico e termale del 
Bulicame. 
2. Potenziare immediatamente il trasporto 
ferroviario. 
* 
Il comitato che si oppone al mega-aeroporto di 
Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della 
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti 
Viterbo, 17 maggio 2010 
Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito: 
www.coipiediperterra.org, recapito 
postale: c/o Centro di ricerca per la pace, strada S. Barbara 9/E, 01100 
Viterbo 
Per contattare direttamente la portavoce del 
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it 4. 
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"  
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata 
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle 
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. 
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: 
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo 
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto 
"copia di 'Azione nonviolenta'". 
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale 
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e 
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento 
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della 
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo 
di ciascuno in armonia con il bene di tutti. 
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it 
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO 
Numero 194 del 18 maggio 2010 
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca 
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza 
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: 
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