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Telegrammi. 193
- Subject: Telegrammi. 193
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 17 May 2010 01:01:31 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 193
del 17 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche
della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Dalla marcia per la pace Perugia-Assisi la scelta della
nonviolenza
2. Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte prima)
3.
"Azione nonviolenta"
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento
Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DALLA MARCIA PER LA PACE
PERUGIA-ASSISI LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA
La marcia per la pace da Perugia ad Assisi nata per
intuizione ed iniziativa di Aldo Capitini, l'apostolo della nonviolenza in
Italia, convoca ogni persona di volonta' buona e di retto sentire all'impegno
contro la guerra, contro le armi, contro tutte le persecuzioni, le devastazioni,
le ingiustizie.
*
Oggi qui essa convoca all'impegno contro la
partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, all'impegno per la pace
costruita con mezzi di pace; oggi qui essa convoca all'impegno contro il
colpo di stato razzista, all'impegno in difesa dei diritti umani di tutti gli
esseri umani.
*
La marcia per la pace e' l'assemblea itinerante
dell'umanita' in cammino che prende coscienza del fatto decisivo emerso
nell'epoca storica aperta dagli orrori di Auschwitz e di Hiroshima: la
consapevolezza del fatto che solo la scelta nitida e intransigente della
nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
*
Vi e' una sola umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare
l'umanita'.
La nonviolenza e' in cammino.
2. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE
PRIMA)
[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta
alcuni testi di Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento
Nonviolento, Perugia 1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione
nonviolenta", e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org).
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e
perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la
miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il
saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta
di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano
1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli
scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche
Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate,
Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura di Mario Martini,
benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets,
Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono
essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in
libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il
potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una
edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla
nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e
religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo
Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi
particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968,
Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci,
Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009.
Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra
citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda
almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura
di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra
religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo
Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia,
Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una
biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa
1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La
realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone,
Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001;
Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo
pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea
Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Marco Catarci,
Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega,
Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia
della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi
utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione
nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito
www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo
Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini:
capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche
al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org]
Principi di nonviolenza
La nonviolenza risulta dall'insoddisfazione verso cio'
che, nella natura, nella societa', nell'umanita', si costituisce o si e'
costituito con la violenza; e dall'impegno a stabilire dal nostro intimo, unita'
amore con gli esseri umani e non umani, vicini e lontani. La manifestazione piu'
concreta ed anche piu' evidente di questa unita' amore e' l'atto di non uccidere
questi esseri e di non operare su di loro mediante l'oppressione e la tortura.
Questo impegno non e' che un punto di partenza (come nessuno nella poesia, nella
musica, puo' pretendere di esaurirle), e le imperfezioni del nostro atto di
unita' amore non possono essere compensate che dal proposito di essere
attivissimi in essa, nel tu che diciamo agli esseri nella loro singola
individualita', mai dicendo che basta. La nonviolenza non e' l'esecuzione di un
ordine, ma e' una persuasione che pervade mente, cuore ed agire, ed e' un centro
aperto: il che significa che ognuno prende l'iniziativa di unita' amore senza
aspettare che prima tutti si innamorino, e la concreta in modi particolari che
egli decide con sincerita', e con dolore per ogni limite e impedimento che lo
stato attuale della realta'-societa'-umanita' ancora mette a sviluppare
pienamente questa unita' con tutti.
Vi sono, dunque, tanti gradi e tante espressioni della
nonviolenza, ma, al punto in cui siamo, esse si concentrano in un modo
fondamentale, che e' di non uccidere esseri umani. Mentre si sta stabilendo,
oggi piu' che mai, anche economicamente politicamente culturalmente, l'unita'
mondiale dell'umanita', l'atto di affetto all'esistenza di ogni essere umano ci
porta al punto di questa unita' umana. Verso gli altri esseri viventi ma non
umani, come gli animali e le piante, tutto cio' che e' fatto nell'affetto e
rispetto alla loro esistenza, apre l'unita' amore anche a loro e abitua a
sentire, di riflesso, il valore del non uccidere esseri piu' complessi e piu'
simili a noi, come sono gli uomini. La prassi del vegetarianesimo ha percio'
grande importanza.
La nonviolenza non e' soltanto contro la violenza del
presente, ma anche contro quelle del passato; e percio' tende a un rinnovamento
della realta' dove il pesce grande mangia il pesce piccolo, della societa' dove
esiste l'oppressione e lo sfruttamento, dell'umanita' nella sua chiusura
egoistica e nelle sue abitudini conformistiche e gusto della potenza. Ma finche'
diamo col pensiero e con l'atto la morte, non possiamo protestare contro la
realta' che da' la morte. E perche' la societa' non torni sempre oppressiva
sotto un nome od un altro, deve cambiare l'uomo e il suo modo di sentire il
rapporto con gli altri: la nonviolenza e' impegno alla trasformazione piu'
profonda, dalla quale derivano tutte le altre; e percio' non si colloca nella
realta' pensando che tutto resti com'e', ma sentendo che tutto puo' cambiare, e
che com'e' stata finora la realta' societa' umanita' non era che un tentativo
secondo i modi della potenza e della distruzione, e che vien dato un nuovo corso
alla vita con i modi dell'unita' amore e della compresenza di
tutti.
La nonviolenza e' in una continua lotta, con le tendenze
dell'animo e del corpo e dell'istinto e la paura e la difesa, con la realta'
dura, insensibile, crudele, con la societa', con l'umanita' nelle sue attuali
abitudini psichiche: non puo' fare compromessi con questo mondo cosi com'e', e
percio' il suo amore e' profondo, ma severo; ama svegliando alla liberazione e
sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente tra le persone e
gli esseri tutti che unisce nell'amore, tutti avviati alla liberazione, e le
loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il compito di aiutare questi
esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non e' possibile altro,
contribuendo a liberarli dando, piu' che e' possibile, il bene.
La nonviolenza e' attivissima, per conoscere gli aspetti
della violenza e smascherarli impavidamente; per supplire all'efficacia dei
mezzi violenti col moltipllcare i mezzi nonviolenti, facendo percio' come le
bestie piccole che sono piu' prolifiche delle grandi; per vincere l'accusa e il
pericolo intimo che essa sia scelta perche' meno faticosa e meno rischiosa; per
dare effettivamente un contributo alla societa', che ci da', in altri modi.
altri contributi. Proprio in questo tempo la nonviolenza ha il suo preciso posto
nell'indicare una svolta decisiva e nell'inserire il fatto nuovo. Che non si
veda un altro impero romano e un altro impero barbarico, e sempre oppressioni e
rivolte, nascere e uccidere e morire, e l'uomo dolorante e illusoriamente lieto,
perche' ancora non ha imparato a fondo quanto dinamismo rinnovatore hanno
l'interiorita', la liberta', l'amore. Proprio appassionandoci per l'esistenza
degli esseri viventi, rispettandoli piu' che si puo', e dolendoci della loro
morte, noi impariamo a sentire immortali i morti e uniti all'intima
presenza.
Chi e' nonviolento e' portato ad avere simpatia
particolare con le vittime della realta' attuale, i colpiti dalle ingiustizie,
dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i
silenziosi, e percio' tende a compensare queste persone ed esseri (anche il
gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa
armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime.
La nonviolenza e' impegnata a parlare apertamente su cio'
che e' male, costi quello che costi, non cedendo mai su questa liberta', e
rivendicandola per tutti; e a non associarsi mai a compiere cio' che ritiene il
male. Contro imperialismo, tirannia, sfruttamento, invasione, il metodo della
nonviolenza e' di non collaborare al male; e di creare difficolta'
all'esplicazione di quei modi, senza sospendere mai l'amore per le singole
persone, anche autrici di quei mali, ma non esaurentisi in essi; cosi' si
riconosce di avere un alleato alla solidarieta' che si stabilisce tra gli
oppressi, nell'intimo stesso degli oppressori.
Chi e' persuaso della nonviolenza tende alla comunita'
aperta, e percio' a mettere in comune il piu' largamente le sue iniziative di
lavoro, la proprieta', non sfruttatrice, che egli possiede, la cultura
(partecipando e celebrando i valori culturali con altre persone), la liberta'
(favorendola con altri in assemblee nonviolente per il controllo e lo sviluppo
amministrativo della vita).
(Principi elaborati per il Centro di Perugia per la
Nonviolenza costituito nel 1952)
*
La nonviolenza nella prospettiva individuale e in quella
sociale
La nonviolenza e' lotta
Agli uomini usciti dalle guerre, agli animi che sentono il
peso di un'immensa stanchezza e il bisogno di un riposo che talvolta e' perfino
sogno di annullamento e piu' spesso e' idoleggiamento di uno stato lento,
comodo, col gusto di piaceri che non vengano tolti; prospettare l'idea e le
conseguenze della nonviolenza produce un urto doloroso; ed essi domandano tra
stizziti e allarmati: "ma e' cosi difficile ricomporre una vita tranquilla, una
casa, un orario giornaliero, e la fruizione dei beni della terra; e bisogna
invece affrontare un problema cosi sconcertante e paradossale? Noi vogliamo la
pace, l'umanita' vuole, merita la pace".
Penso che questa gente abbia una sensazione esatta. E' un
errore credere che la nonviolenza sia pace, ordine, lavoro e sonno tranquillo,
matrimoni e figli in grande abbondanza, nulla di spezzato nelle case, nessuna
ammaccatura nel proprio corpo.
La nonviolenza non e' l'antitesi letterale e simmetrica
della guerra: qui tutto infranto, li' tutto intatto. La nonviolenza e' guerra
anch'essa, o, per dir meglio, lotta, una lotta continua contro le situazioni
circostanti, le leggi esistenti, le abitudini altrui e proprie, contro il
proprio animo e il subcosciente, contro i propri sogni, che sono pieni, insieme,
di paura e di violenza disperata.
La nonviolenza significa esser preparati a vedere il caos
intorno, il disordine sociale, la prepotenza dei malvagi, significa prospettarsi
una situazione tormentosa. La nonviolenza fa bene a non promettere nulla del
mondo, tranne la croce. E quegli uomini che dicevo prima non vogliono la croce:
disfatti o disorientati preferirebbero ritagliarsi una parte anonima della vita,
con uno stipendio immancabile, e frequenti "bicchierini" per tirare avanti. Gli
uomini, la civilta' infine del "bicchierino" per reggere; e il bicchierino puo'
essere liquore, fumo, vincita di lotteria, vita sensuale, un appoggio insomma
che ci sia realmente, un qualche cosa di sensibile, che dica all'uomo attraverso
un piacere: tu sei.
Questi uomini furono ingannati perfettamente dal fascismo,
il quale di rado era scomodo, ma nell'insieme ordinato e piacevole; e quando
divenne pieno di punte problematiche quegli uomini gli si ribellarono contro con
una sincerita' tale come se gli fossero stati avversi dall'inizio.
Per scoprire l'inganno del fascismo sarebbe bisognato non
prendere l'ordine per cosa assoluta; e per reagire sarebbe bisognato non
prendere per cosa assoluta il comodo proprio e circostante.
I regimi politici che assicurano comunque un ordine
trovano sempre moltissimi che li accettano, senza badare se l'ordine esterno non
e' tradito potenzialmente da una mentalita' sopraffattrice e
avventuriera.
Si diceva durante il fascismo: "Nel '21 c'era il
disordine, scioperi, i treni non partivano; il fascismo ha stabilito l'ordine,
la concordia tra capitale e lavoro". E si diceva cosa insulsa; perche' il
fascismo non risolse i problemi del dopoguerra, quelli che generavano il
"disordine"; e se delle due fazioni avesse invece trionfato la socialista,
avrebbe essa stabilito il suo ordine; e allora e' da discutere sull'essenza,
sulla qualificazione dell'ordine: ordine fascista o ordine socialista? Che cosa
fosse l'ordine fascista si poteva intrinsecamente gia' vedere con l'occhio alla
sua sostanza morale; ma si vide nel fatto: partirono, si', i treni, ma sono
partite poi anche le stazioni.
La nonviolenza non e' appoggio
all'ingiustizia
Ma oltre l'equivoco della nonviolenza come pace, io vorrei
chiarire e dissipare un altro equivoco, che e' ancor piu' insinuante e
pericoloso.
Nella lotta politica e sociale, necessaria in una societa'
di ingiustizia e di privilegi, la nonviolenza fa tirare un sospiro di sollievo
ai tiranni di ogni specie; e questo sospiro di sollievo e' per noi oltremodo
tormentoso.
Se la nonviolenza dovesse essere interpretata, o comunque
risolversi in un'acquiescenza all'ingiustizia, a quella violenza di secoli
cristallizzata in potere e in privilegi decorati ora di una apparente
legittimita', non ci sarebbe una piu' tentatrice sollecitazione a metterla in
dubbio ed abbandonarla.
La nonviolenza non e' soltanto rifiuto della violenza
attuale, ma e' diffidenza contro il risultato ingiusto di una violenza passata.
Di quanto piu' di violenza e' carico un regime capitalistico o tirannico, tanto
piu' il nonviolento entra in stato di diffidenza verso di esso.
Bisogna aver ben chiaro che la nonviolenza non colloca
dalla parte dei conservatori e dei carabinieri, ma proprio dalla parte dei
propagatori di una societa' migliore, portando qui il suo metodo e la sua
realta'. Il nonviolento che si fa cortigiano e' disgustoso: migliore e' allora
il tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesu'
Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli offesi.
La nonviolenza e' il punto della tensione piu' profonda del sovvertimento di una
societa' inadeguata.
La nonviolenza e' attiva e modesta
Percio', e cosi chiariamo il terzo equivoco, la
nonviolenza e' attivissima.
La nonviolenza e' prova di sovrabbondanza interiore, per
cui all'uso della violenza che sarebbe ovvio, naturale, possibilissimo, viene
sostituita, per ulteriore ricerca e sforzo, la nonviolenza.
Sarebbe anche qui falsificazione intendere il nonviolento
come un pedante occupato esclusivamente a torcere il volto davanti ad ogni
menomo atto violento, senza addentrarsi nella vita e nei suoi motivi. Tra il
nonviolento inerte e il soldato che si esercita faticosamente ed arrischia, la
possibilita' di un valore morale e' piu' nel secondo che nel primo.
Il nonviolento deve essere attivissimo sia per conoscere
le ragioni della violenza, per individuare la violenza implicita che si ammanta
di legalita' e smascherarla impavidamente; sia per supplire all'efficacia dei
mezzi violenti con il moltipllcarsi dei mezzi nonviolenti, facendo come le
bestie piccole che sono piu' prolifiche (e anche sopravvivono alle specie delle
bestie grandi); sia per vincere l'accusa e il pericolo intimo che la nonviolenza
venga scelta perche' meno faticosa e meno rischiosa: il nonviolento deve
portarsi alla punta di ogni azione, di ogni causa giusta, appunto per curare il
proprio sentimento che potrebbe stagnare e per farsi perdonare dalla societa' la
propria singolarita'. E' noto che gli obbiettori di coscienza (cioe' coloro che
non hanno voluto collaborare alla coscrizione) sono stati uccisi a migliaia dai
governi totalitari; e dove sono stati tollerati, hanno chiesto spesso servizi
rischiosi e dolorosi, per esempio di sottoporsi agli esperimenti medici o di
raccogliere i feriti nelle prime linee.
E infine sara' opportuno chiarire anche un quarto
equivoco, che cioe' il nonviolento pretenda essere superiore per il suo atto di
nonviolenza.
Non e' l'atto di nonviolenza per se stesso, ma tutto cio'
che sta con esso e all'origine di esso, che puo' costituire un
valore.
L'animo, l'intenzione, l'amore, gli sforzi fatti, quanto
di proprio sacrificio ci sia stato messo: qui e' il valore sia dell'atto di
violenza che dell'atto di nonviolenza. E' evidentissimo che tra colui che per
evitare l'uccisione di un bambino si slanciasse con l'arma in mano a difenderlo
a rischio di essere ucciso egli stesso, e il nonviolento che se ne stesse ben
lontano e inerte, avrebbe maggior valore il primo, quando il secondo non si
fosse gettato tra l'uccisore e il bambino a persuadere ed anche a offrire il suo
corpo, avanti a quello del bambino, al colpo mortale.
Concetti e modi della nonviolenza
Chiariti e dissolti questi equivoci, sara' bene ora
prender contatto con il concetto stesso della nonviolenza.
Violenza e' un concetto relativo all'oggetto sul quale si
esercita una certa azione. Quanto meno io considero quell'oggetto in cio' che
esso e' per se stesso, tanto piu' mi avvio alla violenza contro di
esso.
La nonviolenza e' una presa di contatto col mondo
circostante nella sua varieta' di cose, di esseri subumani, e di esseri umani,
e' un destarsi di attenzione alle singole individualita' di tutti questi oggetti
circostanti per porsi un problema: "che cosa e' questo singolo oggetto? qual e'
la sua caratteristica, la sua vita, la sua liberta', il suo formarsi dal di
dentro?".
E' la sospensione dell'attivismo che consideri tutto,
senza eccezione, come mezzo, fino a quei casi tipici che sono come il lusso e il
gioco di questo attivismo, come l'incendio di Roma da parte di Nerone per
vederne la bellezza, o il letto su cui il brigante greco Procuste stendeva i
suoi prigionieri stirandoli o stroncandoli secondo che fossero piu' corti o piu'
lunghi. Sospensione di attivismo che e' attivissima moltiplicazione
d'attenzione, d'interesse, di affetto, potenziamento della vita interiore
proprio mediante questo collegamento in atto di tutto il reale nelle sue
innumerevoli individuazioni con l'intimo nostro.
Ma questo non e' che un punto di partenza, perche' di qui
comincia un movimento, una tensione.
Ad una parte degli oggetti assegno un compito di
collaborazione, prendendo interamente su di me la definizione del fine del
lavoro con cui essi collaborano; e questi oggetti chiamo cose.
Nei riguardi delle "cose" io non mi pongo altro dovere che
di adoperarle bene, di chiamarle a collaborare ad atti di cui assumo la
responsabilita'; e la malvagita' sta non nell'usare l'acqua per un bagno, ma se
nel bagno affogo il bambino, invece di lavarlo semplicemente, buttando l'acqua
ad altro destino. Per il carbone fossile stare nell'interno della terra o
muovere una locomotiva puo' essere indifferente, come per la pietra che sta nel
monte, in un monumento o come polvere sulle strade.
Puo' darsi che un giorno il nostro occhio scopra altro e
diventi possibile ridurre il campo delle cose, stabilendo con alcune di esse un
rapporto di collaborazione meno imperioso e meno antropocentrico: e' un problema
questo non vano, e di un orizzonte vastissimo, schiuso proprio dal principio
della nonviolenza, che e' inquietudine continua, passione mai saziata di
interesse per le individualita'.
Vi e' poi il gruppo di esseri subumani. E c'e' come un
gruppo di passaggio in tutti quegli esseri di minima vita, microrganismi e
microbi, rispetto ai quali non possiamo fare che una valutazione di "cose"
sempre pero' con quella speranza e quel problema, che nuove indagini e nuove
intuizioni permettano una collaborazione migliore: chissa', per esempio, che non
si riesca a trovare il modo di volgere a benefica l'azione malefica di molti
microbi.
Ma quando incontriamo vite piu' sviluppate, individualita'
con cui e' possibile stabilire un rapporto complesso, qui sentiamo la gioia di
salvarci con piu' ragione dalla considerazione di "cose". Cio' non toglie che ci
si possa interessare a cose minime, rispettarle nel loro essere; che io possa
appassionarmi all'individualita' di quella farfalla che ho visto nel boschetto e
che vivra' oramai una settimana, di quel filo d'erba, di quel sasso. Questo
prova che la nonviolenza, essendo unita'-amore e' espressione nostra, e'
collocazione e scelta volontaria, non un dogma; e ognuno puo' a sua ispirazione
(Spiritus ubi vult spirat) dirigerla. San Francesco voleva che l'ortolano non
lavorasse tutto l'orto, ma ne lasciasse una parte dove le cosi' dette erbacce
potessero crescere liberamente, perche' per lui la spontaneita' di quel
crescere, la bellezza di quelle erbe, e che esse attestassero e lodassero Dio,
era la stessa cosa. E cosi egli preferiva che l'albero si tagliasse lasciandogli
la radice e la possibilita' di crescere nuovamente.
Noi possiamo su tutta la scala degli esseri non umani
istituire a noi stessi delle direttive, che anche se non sempre attuate, provano
che in noi vive un problema, una passione, una direzione.
Preferire, per esempio, di regalare piante intere
piuttosto che fiori, rinunciare alla caccia, adoperarsi per addomesticare bestie
selvagge.
Il vegetarianesimo, per esempio, e' una cospicua scelta
che viene fatta nel campo degli esseri subumani. Si decide di rinunciare al cibo
che comporti uccisione di animali; e con cio' stesso muta il nostro modo di
avvicinarsi ad essi, il nostro modo di considerarli; si accetta sorridendo ma
con fermezza l'apparente stranezza che galline e pecore, dopo averci dato uova e
lana, "muoiano di vecchiaia": si amplia, al posto della violenza spietata alle
sofferenze e all'uccisione, quel piano di collaborazione in cui consiste
l'incremento della civilta'.
Questa "sospensione" introdotta nella leggerezza
sterminatrice e nella freddezza utilitaria si riflette in accrescimento di
valore interiore. Ma c'e' di piu' e forse di meglio. Io debbo confessare che,
pur avendo un notevole interesse all'esistenza degli animali, mi decisi al
vegetarianesimo nel 1932, quando, nell'opposizione al fascismo, mi convinsi che
l'esitazione ad uccidere animali, avrebbe fatto risaltare ancor meglio
l'importanza del rispetto dell'esistenza umana.
Consideriamo, dunque, la nonviolenza in questi gradi
anteriori come un addestramento che ha due atteggiamenti, quello di considerare
cio' che e' altro da noi come "cosa" ma con l'impegno a servirsene per un fine
degno e alto; e l'atteggiamento di considerarlo come "esistente", rispettato e
amato percio' come tale.
Due atteggiamenti, come ho detto, non rigidi, ma in
dialettica, in travaglio, e appunto percio' prova della vitalita' interiore di
un appassionamento. Ma sia come un prologo al mondo umano. Noi sappiamo che
tutte le volte che in pedagogia ci si e' posti il problema del piu' basso, di
cio' che e' infimo, si e' fatto un grande passo: quando si e' cercata
l'educazione dei deficienti, o dei molto piccoli o dei molto poveri, si sono
scoperti sempre metodi che hanno dato risultati prodigiosi applicati agli
altri.
E cosi in questo prologo ci siamo posti dei temi:
portiamoli ora nel mondo umano, e sentiremo una risonanza
grandiosa.
Riguardo ad esseri umani la nonviolenza e' l'appello
continuo e intenso alla comprensione, alla spontaneita', alla capacita' che ha
l'altro essere umano di giungere ad una decisione razionale.
Nel campo umano la dedizione a questo appello ha un
fondamento piu' saldo che per ogni altro essere: basta che io pensi che colui
che incontro, potrebbe essere mio figlio: nulla di eccezionale in questo
sentimento di genitura, per la somiglianza umana che c'e' tra noi.
Del resto, io penso che sempre nei riguardi di un essere
umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui; che
debbo abituarmi a costituire costantemente questo atteggiamento nel mio intimo;
che, insomma, almeno per una volta, esaurite e sfogate se si vuole, tutte le
altre possibilita', io debbo domandarmi: "ma mi sono anche considerato pur per
un istante madre di costui? come agirei se fossi sua madre, certo una madre non
stolta, ma pronta a vedere che cosa c'e' a favore di lui, a sperare per
lui?".
La nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalita'
altrui, e' anche un potenziamento del tu, e dell'interesse a che l'altro viva,
si svolga, e come un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perche' l'altro
esiste, un appassionamento alla radice. Come noi potremmo avvicinarci
all'infinita miseria degli esseri umani, alle loro limitazioni, curare le loro
infermita', sopportarli, se non portassimo un infinito compiacimento che l'altro
esiste e proprio come essere umano? In questo atto si va oltre lo stato di
felicita' e infelicita', e si vive il sacro per cui ogni essere che viene alla
luce entra in qualche cosa di positivo, di la' dalla sua miseria e dalla sua
grandezza. Lo spirito lo tocca, e io posso raggiungerlo col mio atto: qui siamo
nella presenza religiosa, che e' piu' di ogni limitatezza, deformita', malattia,
bruttezza. La nonviolenza mi fa risaltare l'importanza dell'atto col quale mi
avvicino ad uno, atto di presenza aperta, superiore alla felicita' o
infelicita', a cio' che puo' accadermi o accadergli.
E se io voglio che l'altro sia in un certo modo, il
ripudio dei mezzi violenti mi induce ad una tensione interiore perche' io
anzitutto viva quello che voglio dall'altro, perche' io prenda su di me il
compito di attuare quel meglio, di portarmi a quel grado, di purificarmi, di
sacrificarmi, fino al sacrificio supremo di dare l'atto di nonviolenza al posto
dell'atto di violenza, e di trasferire con atto d'amore nell'intimo dell'altro
il punto a cui ero giunto. In questa nonviolenza si attua la fede nell'unita' di
tutti, e nell'efficacia che cio' a cui mi tendo io (o cio' per cui io prego, per
dirla nei termini tradizionali) influisce su di un altro, pur lontano, quanto
piu' di sacrificio e di purezza interiore io vi metto.
Sarebbe piu' agevole che con un mezzo esteriore e violento
io agissi sull'altro, ma quanto perderei di interiorita', di
qualita'!
Attuazione della nonviolenza
Un principio che sta dentro l'atto della nonviolenza e' la
potente sollecitazione dell'impegno della propria persona.
La radice della nonviolenza sta nell'essere nonviolento,
internamente, prima dell'atto rivolto agli altri; e anche questo conferma che la
nonviolenza non e' un atto puntuale, ma una disposizione, una formazione,
un'educazione, un'intenzione, un insieme. Se la nonviolenza e' promovimento
della tua razionalita', della tua bonta', della tua spiritualita' superiore,
bisogna che io anzitutto mi tenda alla mansuetudine e alla ragionevolezza. Non
si puo' insegnare la nonviolenza con l'odio e le fucilate. Se io voglio che tu
agisca da persuaso interiormente, bisogna che io prima sia in tutto persuaso e
non retore. Se io voglio che nel mondo ci sia qualche cosa, e in questo caso, un
atto di unita'-amore insistente fino anche al sacrificio, se non ci metti tu
questo atto, o ancora non ce lo metti, ce lo metto io.
Quanto ai modi dell'attuazione della nonviolenza io vorrei
sottrarli a quella casistica che sorge per ogni proposito di azione, e anche per
questo. Tutti quelli che hanno esperienza di questo proposito, hanno anche
esperienza di una lunga discussione con se stessi e con gli altri sui casi, sui
modi. Piu' di quindici anni di questa esperienza mi hanno confermato che e' lo
spirito che conta, ed e' l'approfondimento di questo che fa progredire la
civilta'.
C'e' una scala di attuazione, una scelta, una creazione;
non e' un dogma e un ordine di chissa' chi: la nonviolenza e' una creazione che
uno attua. Ci puo' essere un'attuazione cosi' meticolosa da far sorridere; e non
c'e' nulla di male. Una civilta' che consuma tanto suo tempo in mille cose
futili e fatue, puo' ben consumarlo in questo campo. C'e' un eccesso e un
ridicolo che e' in funzione del sublime. Un discepolo di San Francesco aveva
spinto cosi' oltre il precetto dell'imitazione della santita', che ripeteva ogni
atto che vedesse fare al Santo, perfino sputare. E San Francesco ne sorrideva.
Tutti sappiamo che vi sono diverse interpretazioni e attuazioni della
nonviolenza, fino a quella che non si puo' parlare di "violenza" quando si
colpisce per diritto e a giusta ragione. Io qui esporro' l'interpretazione che
risulta dalla mia esperienza.
Considererei come un grande dolore se nel momento della
morte di un qualsiasi essere umano io non desiderassi con tutte le mie forze che
quella morte non avvenisse.
Non posso accettare come veramente mio il mondo dove le
persone cadono come oggetti, ma quello dove tutti sono soggetti, vivono, si
svolgono. Se non sentissi sempre questo, se avessi fatto qualche eccezione a
questo, oggi dovrei moltipllcare la mia tensione per riparare al
passato.
E realmente io debbo riparare al passato, che oltre che
mio, e' di tutte le civilta' trascorse; e, istruito da questa insufficienza,
oggi non sono tanto disposto a farmi sorprendere dall'indifferenza, e sto
attento perche' non perda questa passione fondamentale ad ogni momento in cui la
morte si manifesta in questa realta'.
Percio' e' inutile che io raccolga armi vicino a me e mi
addestri ad usarle, se so gia' quale sarebbe la mia posizione domani. Da questo
si riflette uno stimolo ad atteggiare il mio fare in modo che senta di non poter
far conto su mezzi violenti, e che a mia disposizione non c'e' che il prestigio
dell'esempio, l'intima trasparenza, la razionalita' della persuasione, la forza
dell'anima. Potro', a parte il ripudio della uccisione, ricorrere a dei mezzi
che diminuiscano l'effetto della violenza dell'altro, specialmente se in uno
stato di furia; ma sempre tali che non lo mettano in uno stato di tortura ne' in
uno stravolgimento della sua possibilita' di razionalita'.
L'importante e' che in quel momento io mi immedesimi col
problema dell'altro, e della sua formazione verso la liberta', la razionalita',
la bonta'; e che, assicurate queste dalla parte mia, mi rifiuti ai mezzi che la
turbino nell'altro. La tortura, cioe' che io provochi in te il dolore per
ottenere qualche cosa da te, che senza la tortura mi rifiuteresti, non e' per me
giustificata da nulla, perche' io non voglio mai provocare il dolore, ma
riparare al dolore: essere non al punto in cui si causa il dolore (che e' questa
realta' e il mondo della limitatezza), ma al punto in cui si supera il dolore,
che e' la realta' autentica, il mondo del valore. Se questo mondo e' la mia
croce, ma io sono piu' del mondo, sono dall'infinito. Come davanti alla morte,
cosi davanti alla sofferenza di un altro, ho la passione di essere non dalla
parte del mondo ma del sopramondo eterno che qui si apre, non dalla materia ma
dalla forma, non dall'esteriorita' ma dall'interiorita', non con un Dio che
batte, ma con un Dio che porta nel valore dell'amore che sempre si accresce, e
che, come la liberta', non esiste, se non si fa ancora piu' amore, ancora piu'
liberta'.
La nonviolenza e la societa'
A questo punto, dopo aver guardato la cosa dall'individuo,
bisogna guardarla dalla societa'; altrimenti mi si potrebbe dire che tutto
quello che ho detto e' "prima della nascita della societa', dello Stato".
L'obbiezione piu' formidabile e' questa: "non faccio questione di me come
singolo, della mia difesa, della mia esistenza, ma della societa', del suo
ordine, della norma che io debbo sostenere e contribuire a tener viva, per cui
non e' lecito che uno si serva della violenza: come potro' far questo senza
l'uso della forza? come potra' avvenir questo se il cittadino manca al suo
dovere di riconoscere la necessita' dell'uso della forza in qualche caso? Una
societa' non ha connessione senza l'uso parco e regolato della
forza".
Qui debbo richiamare quel carattere drammatico della
nonviolenza del quale ho parlato all'inizio. Ho gia' detto che per intendere la
nonviolenza bisogna lasciar di guardare l'ordine, la compostezza, la pace:
bisogna, invece, prender su' risolutamente una responsabilita', che puo' essere
anche in mezzo all'avversione e al biasimo; e' una scelta severa e tremenda. La
nonviolenza non e' per conservare alcuna cosa di questo mondo, sia
dell'individuo o della societa': non il piacere, il comodo, la casa, il letto,
la roba, la vita, le cose fatte, costruite, l'ordine sociale, la regolarita' dei
servizi pubblici, l'esistenza dei cari, degl'innocenti. Non e' un accrescimento
di sicurezza che tutte queste cose permangano; anzi e' una rinuncia interiore a
questa sicurezza; e' in potenza la morte di tutto questo. E' la possibilita' di
perdere tutto cio' che e' nel mondo, il Memento mori, non immaginazione oziosa,
ma legato a un impegno, a un'azione.
Perche' nello stesso tempo la nonviolenza afferma un
valore; ed e' dunque atto, resurrezione. La societa' col suo ordine, la vita con
i suoi oggetti, non possono costituire quell'assoluto che si imponga
indiscutibile e tolga la possibilita' di un contributo, di un'iniziativa. Siamo
davanti, in questo tempo, ad una societa' impiantata cosi' che vorrei chiamarla
"la societa' dei pubblici servizi", una societa' pratica, del tempo
dell'attivismo, del tempo dei molti aspetti del vivere, delle varie cose. I
pubblici servizi esigono una difesa di essi con tutti i mezzi; e questo non e'
la societa' come concetto eterno: non e' che un tipo della societa' della vita,
corrisponde a una scelta che l'uomo di oggi fa: il che non esclude che si possa
fare un'altra scelta, presentare un altro tipo. Il significato religioso della
nonviolenza sta proprio nel preparare un altro tipo, un'altra realta'. E'
evidente che se si volesse configurare la societa' non con la trama interna
della difesa dei pubblici servizi, ma con la trama interna della celebrazione di
atti di infinito tu alle persone, tutta la prospettiva muterebbe. La societa'
romana aveva per trama la tutela dei diritti del civis, la societa' cristiana
aveva per trama la fruizione dei carismi divini.
La societa' non e' un qualche cosa di staccato da me. E
percio' come io, in quanto individuo, ho il dovere di interiorizzarla e di
rendermi conto delle sue ragioni, ho anche il diritto di andare eventualmente
oltre di essa. Non quando io fossi ribelle, disordinato, ex lege, per natura; ma
se seguo le leggi che ritengo giuste, se attuo cio' che e' ordine, se
continuamente utilizzo l'esperienza tradizionale della societa', posso bene,
quando sia in gioco un valore, quando nel resto della mia vita sia solito a
stare in guardia contro il gusto personale e l'originalita' di proposito,
innovare, prendere un'iniziativa, dare un contributo, e in questo caso sentire,
vivere, e far vivere, che la vera societa' e' oltre quella dell'ordine sociale,
della difesa dei diritti, del mantenimento dei pubblici servizi; ma e' oltre,
nel regno degli spiriti, cioe' dei soggetti, cioe' dell'amore da instaurare
subito a costo di sacrifici. Accanto ad una societa' che usa la guerra come via
alla pace, la violenza come via all'amore, la dittatura come via alla liberta',
la religione mi porta ad anticipare di colpo il fine nel mezzo; e ad attuare
comunque, qui e subito, pace, amore, liberta'. La religione e' impazienza
dell'attendere il fine; e oggi che l'universo, il tempo, lo spazio, non sono
sentiti in dualismo stabile con l'infinito e l'eterno, porremo noi questo
dualismo nella societa' tra il mezzo e il fine?
Il limite del realismo
Se si ostenta la natura umana nel suo fondo utilitario e
violento, nelle sue forze brute, che vanno continuamente represse e indirizzate,
ma che sono insopprimibili, la persuasione della nonviolenza non nega senz'altro
questo, non chiude gli occhi come lo struzzo per non vedere il nemico; e
riconosce che la situazione e' drammatica, quasi sempre drammatica, e ne accetta
le conseguenze. Pero' porta con se' una fede, che ha tanta conferma nella
attuale concezione della realta' fisica; la fede che tutto cio' che e' un dato
non e' un continuum senza interruzione, ma e' come a respiri con intervalli, nei
quali e' possibile inserire altro. Con quale certezza possiamo noi dire che
quella cosa e' sempre cosi? Questa sospensione della continuita' si puo'
applicare alla politica, per cui viene a risultare insufficiente e quasi
ingenuo, quel certo realismo di tipo machiavellico che non tiene conto degli
intervalli in cui e' possibile far agire forze d'altra provenienza: quel
realismo e' una specie di imitazione della natura in ritardo. E cosi' per quella
natura che e' la psiche, alla quale si vorrebbe applicare solidita' e costanza
invece di un ritmo di respiri e di tentativi con intervalli e possibilita' di
inserzione di temi e forze e prospettive diverse. La nonviolenza e' fede in
questa possibilita' di intromissione miracolosa e rinnovatrice, per lo meno a
suggerire e far rivivere una certa realta' diversa.
Accettiamo che la civilta' culmini nel culto attivo dei
valori, e che le forme della civilta' siano insufficienti quando sono
principalmente amministrative, giuridiche, diffonditrici piu' che produttrici di
valori. Ma se la nonviolenza e' nella sua radice, nella sua intenzione, nella
zolla che la sostiene, un valore, ha ben il diritto di chiedere che la civilta'
attuale si allarghi a comprenderlo. Quando si segue un valore si scopre sempre
qualche cosa, una realta' anche maggiore della cercata, come Colombo che
ritrovo' non le Indie, ma scopri' un nuovo continente. Lo so, si puo' perdere
tutto; ma si puo' approfondire la conferma che la vita da un punto di vista
religioso e' eterna presenza aperta nel mondo, quanto piu' vivendo dall'intimo i
valori e la loro pace, tanto piu' incontrando asprezze, disagi nelle cose e nel
corpo, colpi simili alla morte. Non per pochi aspetti la civilta' attuale sembra
perdere il senso della distinzione tra il valore, che e' fine, e il resto, che
e' mezzo; e conquista e difende quelli che sarebbero semplici mezzi come se essi
fossero valori. Si mette, certe volte, tutto nella conquista e nella difesa, e
si tratta anche di cose fatue; tanto piu' e' importante stabilire una
prospettiva, e mostrare che si e' capaci, per un valore, di perdere tutto il
resto.
Mostrare, ho detto intendendo: non soltanto agli altri, ma
a se stessi, perche' anzitutto la nonviolenza ha un carattere di edificazione
interiore. Cio' non e' contro il principio dell'estensione della razionalita'.
Si puo' e si deve accettare che la razionalita' nell'uomo e nella societa' si
estenda sempre, e che l'uomo si faccia sempre piu' autonomo, e la societa'
sempre piu' democratica. Ma ad un tratto potrebbe avvenire, e avviene, che si
sospende la razionalita' e la democrazia con un atto di violenza. Il metodo
religioso, invece, contrappone l'atto e l'esempio di nonviolenza, aggiunto ad
arricchire la razionalita' e la democrazia. Rendiamo la societa' sempre piu'
democratica promovendo la razionalita', l'autogoverno, lo scambio razionale, il
controllo e lo sviluppo etico, civile, economico di tutti; e in questa societa'
aggiungiamo persone o gruppi che costituiscano centri religiosi.
Tutti quelli che hanno parlato di nonviolenza nella
esperienza etico-religiosa di millenni hanno sentito piu' o meno consapevolmente
che la vita offre difficolta' e fatiche, che ogni giorno ha la sua pena, e che
se ci si vive dentro semplicemente lottando, ma divisi l'uno dall'altro, non
basta; che se invece si attua anche una intima e superiore unita', di apertura
sincera, di aiuto incondizionato, di sostituzione, tra noi, del bene al posto
del male, allora la realta' della lotta con le asprezze puo' essere sostenuta,
integrata, superata. E alle reazioni moderne alla nonviolenza, reazioni, per
esempio, del Marx e del Sorel in nome dello sviluppo sociale, noi diciamo:
ebbene, permetteteci di vedere questo flusso storico da un intimo, di aggiungere
questa presenza.
(Da Il problema religioso attuale, 1948)
(Parte prima - Continua) 3.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Adriana Cavarero, Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990, 1991,
pp. VI + 136.
- Adriana Cavarero, Orrorismo, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 174.
- Fernanda Pivano, Beat hippie yippie, Arcana, Roma 1972, Bompiani, Milano
1977, pp. 304.
- Fernanda Pivano, Viaggio americano, Bompiani - Rcs Libri, Milano 1997,
2001.
*
Riedizioni
- Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, Rcs Rizzoli Libri, Milano 2009,
2010, 2 voll. per pp. 558 + 596, euro 7,50 + 7,50 (in supplemento al "Corriere
della sera").
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 193 del 17 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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