Voci e volti della nonviolenza. 372



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 372 dell'8 settembre 2009

In questo numero:
1. Alessandro Bassini: Letteratura svedese oggi
2. Elio Miracco: Letteratura albanese oggi
3. Gabriella Steindler Moscati: Letteratura israeliana oggi

1. LETTERATURE. ALESSANDRO BASSINI: LETTERATURA SVEDESE OGGI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 agosto 2009 col titolo "Atlante
letterario. Dalla Svezia non solo gialli" e il sommario "Varianti nordiche
di un genere di successo. Mentre il genere poliziesco domina il mercato, la
scena culturale e' ancora saldamente rappresentata dalla generazione anni
'30. Ma il fenomeno davvero interessante degli ultimi anni e' quello dei
giovani scrittori immigrati, che danno voce alla propria identita' ibrida in
un linguaggio chiamato 'blattesvenska', lo svedese contaminato con parole
provenienti dall'arabo, dal turco e dallo spagnolo"]

Fino a pochi anni fa, chiunque avesse dovuto fare il nome di uno scrittore
svedese famoso in tutto il mondo, avrebbe probabilmente indicato Astrid
Lindgren, l'autrice del libro per ragazzi Pippi Calzelunghe. Se la stessa
domanda venisse posta oggi, la risposta sarebbe probabilmente Stieg Larsson,
il giornalista autore della trilogia Millennium.
Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava col fuoco e La regina dei
castelli di carta (Marsilio), con le intricate vicende del giornalista
Michael Blomkvist e della spregiudicata hacker Lisbeth Salander,
costituiscono l'esito piu' interessante di una stagione, quella del giallo
scandinavo, iniziata alla fine degli anni '90 e gia' nota in Italia grazie
ai romanzi di Hakan Nesser (Guanda) e di Henning Mankell (Marsilio). Maestri
indiscussi del poliziesco, Nesser e Mankell elaborano trame complesse e
avvincenti e affidano le indagini a due personaggi, lo scorbutico Van
Veeteren e l'infallibile Wallander, la cui meticolosita' tutta nordica,
unita all'analisi psicologica, risulta determinante per la soluzione del
caso. Insieme a loro, Larsson ha saputo sviluppare nella maniera piu'
completa la ricetta del giallo scandinavo (molti e importanti sono i
contributi anche dalla Norvegia e dalla Danimarca), i cui punti di forza
sono la caratterizzazione psicologica dei personaggi, la ricerca nel passato
di vittime e carnefici, il rovesciamento dei canoni del giallo classico -
Uomini che odiano le donne per esempio parte da una originale variazione sul
tema della camera chiusa -, la capacita' di creare forte suspense anche
attraverso trame labirintiche e di restituire un'atmosfera misteriosa e
ambigua, complice un paesaggio cha passa dal freddo della notte boreale
all'esplosione di luce e colore della breve estate nordica.
A tutto questo va sommata l'attenzione costante per i problemi sociali: la
trilogia Millennium riflette anche sui malesseri della nostra societa',
schiava del guadagno e pronta a calpestare i piu' deboli, mentre le indagini
del commissario Wallander si svolgono spesso sullo sfondo di conflitti
irrisolti: basti pensare al problema dell'immigrazione trattato in Assassino
senza volto (Marsilio) o all'analisi della situazione dei Paesi Baltici nel
periodo post-sovietico raccontata in I cani di Riga (Marsilio). Accanto a
Nesser e Mankell e al travolgente successo di Larsson, vale la pena citare
Leif G. W. Persson, un altro capofila di questo genere, che negli ultimi
anni ha raggiunto fama internazionale. Professore di criminologia e
consulente dei servizi segreti svedesi, Persson sceglie un taglio piu'
documentaristico, come testimonia il suo ultimo romanzo In caduta libera,
come in un sogno (Marsilio), dove la vicenda irrisolta dell'omicidio del
primo ministro svedese Olof Palme, alle cui indagini lo stesso Persson ha
lavorato per anni, diventa il fulcro di un racconto nel quale la
ricostruzione storica si mescola all'invenzione narrativa, in un continuo
gioco di rimandi fra realta' e finzione.
*
Dall'universo femminile
Nel paese in cui da piu' tempo si e' combattuto per l'uguaglianza fra i
sessi non potevano mancare le voci femminili: Liza Marklund (Il lupo rosso e
Il testamento di Nobel, Marsilio) intreccia le indagini poliziesche alle
vicende private della sua eroina, l'ispettrice Annika Bengtzon, sempre alle
prese con un difficile menage familiare, mentre Camilla Lackberg, scrittrice
ancora inedita in Italia, ambienta i suoi romanzi nella piccola cittadina di
Fjallbacka, mostrando come anche sotto la quiete apparente della campagna
svedese si nascondono violenza e soprusi.
Ma il giallo svedese conosce anche altre declinazioni. E' il caso per
esempio di Johan Ajvide Lindqvist, che nei suoi romanzi si discosta dal
giallo classico e, riprendendo temi cari alla letteratura gotica come il
vampirismo e lo spiritismo, crea personaggi e situazioni di raffinata
psicologia, scavando nelle paure e nei recessi piu' profondi della psiche
umana. Nel suo secondo romanzo, Lasciami entrare (Marsilio), da cui e' stato
tratto il film di Tomas Alfredson, Lindqvist racconta l'amicizia fra il
piccolo Oskar, vittima del bullismo dei compagni di scuola, e la
bambina-vampiro Eli, descrivendo una storia in cui omicidi e spargimenti di
sangue sono solo il corollario di una ricognizione sul male e su quella zona
d'ombra che esiste in ogni essere umano.
Raramente la letteratura di un paese e' stata assimilata a un unico genere
come quella svedese degli ultimi anni. Tuttavia, ridurre il panorama
letterario ai soli polizieschi sarebbe una grave semplificazione. Se questo
genere rappresenta spesso (ma non sempre) una forma di letteratura di
intrattenimento, non mancano nemmeno scrittori "canonici", in grado di
misurarsi con altre forme letterarie. Per Olov Enquist, Torgny Lindgren e
Lars Gustafsson rappresentano la grande generazione nata negli anni '30, che
oggi domina la scena culturale svedese. Per Olov Enquist, lo scrittore piu'
celebrato in patria nell'ultimo decennio, e' autore di romanzi, opere
teatrali, sceneggiature e saggi, con particolare predilezione per il genere
storico. Scartando la ricostruzione classica degli eventi, Enquist si
concentra piuttosto sulla vita dei personaggi che di quegli eventi sono
stati i fautori. Una storia non di fatti ma di persone, come testimonia
l'affascinante figura di Johann Struensee, il protagonista del Medico di
corte (Iperborea), un romanzo che racconta la breve ma intensa "rivoluzione
danese" intrapresa dal giovane medico tedesco alla corte di Cristiano VII; o
il vibrante ritratto di Blanche Wittman, assistente di Marie Curie, autrice
di un diario a cui Enquist finge di attingere per raccontare le vicende di
cui le due donne sono protagoniste nel Libro di Blanche e Marie (Iperborea).
Enquist si distingue per la scelta di episodi storici poco noti e per uno
stile enigmatico che scende a fondo nell'interiorita' dei suoi personaggi.
Un altro autore che predilige il genere storico, sebbene da una angolazione
tutta diversa, e' Jan Guillou, che con la saga del cavaliere Arn Magnusson
(Il templare, Il saladino, La badessa, tutti editi da Tea) ricrea le
atmosfere del medioevo scandinavo e del tempo delle crociate. Le avventure
del templare svedese Arn sono un racconto folcloristico e coinvolgente, dove
la libera creazione dell'autore coinvolge tutto il processo di descrizione
del quadro storico.
Fortemente legato al contesto svedese e' invece Torgny Lindgren, i cui
romanzi sono quasi tutti ambientati nella sua regione di nascita, la Botnia
Occidentale, un vasto territorio scarsamente popolato vicino al circolo
polare. Affidandosi ai ricordi dell'infanzia, Lindgren fa rivivere una
Svezia rurale lontana nel tempo, diversa dal paese progressista e avanzato a
cui siamo soliti pensare: La ricetta perfetta e Per non saper ne' leggere
ne' scrivere (Iperborea) narrano le vicende ironiche e surreali di piccoli
villaggi sperduti fra le conifere, dove il racconto intorno al fuoco
costituisce l'unico momento di svago per una comunita' afflitta della
poverta' e minacciata dalla tubercolosi.
Se Lindgren rappresenta l'alfiere di una letteratura di provincia, legata ad
un paesaggio e alla sua storia, Lars Gustafsson, classe 1936, e' invece lo
scrittore svedese piu' internazionale. Per piu' di vent'anni professore di
filosofia presso l'Universita' di Austin, in Texas, Gustafsson vanta una
vastissima produzione, solo in parte nota in Italia. I suoi romanzi, spesso
in bilico fra narrativa e speculazione filosofica, si sviluppano su
strutture spurie: frammenti di racconti, diari, lettere, da cui emergono
storie di (stra)ordinaria normalita', come conferma Il decano (Iperborea),
la raccolta di appunti del professore di filosofia Spencer C. Spencer, in
fuga dal misterioso decano di facolta' Paul Chapman, con cui ha stretto un
patto diabolico che potrebbe costargli piu' caro del previsto. Come negli
altri romanzi, non e' tanto la trama ad occupare l'attenzione del lettore,
quanto i ragionamenti fra le righe, le riflessioni accennate, i pensieri
lasciati in sospeso.
Accanto a questa generazione di "grandi vecchi" non mancano nuove tendenze,
incarnate da giovani scrittori che hanno deciso di uscire dal recinto
dell'introspezione per raccontare il mondo in cui vivono, sviluppando un
nuovo realismo che rivela un paese piu' complesso e cosmopolita di quanto il
lettore comune potrebbe aspettarsi.
Non stupisce che la corrente piu' originale degli ultimi anni sia
rappresentata dalla cosidetta "letteratura degli immigrati". In un paese in
cui l'11% della popolazione ha origine straniera e dove si trova Malmoe, la
citta' europea con la piu' alta percentuale di immigrati musulmani, alcuni
giovani hanno cominciato a raccontare la propria esperienza di "generazione
zero": nati o cresciuti in Svezia da coppie miste o da genitori fuggiti da
regimi dittatoriali (la Svezia privilegia da vent'anni l'immigrazione di
rifugiati politici), questi scrittori raccontano la difficile conquista di
un posto nella multietnica societa' svedese contemporanea. Non piu'
"immigrati" come lo erano i genitori, e tuttavia nemmeno completamente
accettati dal paese in cui sono cresciuti, questi scrittori costruiscono la
propria identita' ibrida mescolando elementi del contesto locale con le
proprie origini straniere, e arrivando anche a elaborare un linguaggio,
chiamato "blattesvenska", lo svedese degli immigrati, in cui la lingua
nazionale viene contaminata con parole provenienti dall'arabo, dal turco e
dallo spagnolo sudamericano.
*
Una sfida del nostro tempo
Alejandro Leiva Wenger, nato in Cile e trasferitosi in Svezia insieme alla
madre all'eta' di sette anni, e' stato il primo, con la sua raccolta di
racconti Till var ara (A nostra gloria, due dei quali pubblicati da
Mondadori nell'antologia Nordic Light), a raccontare la realta' dei
sobborghi degli immigrati di Stoccolma, mostrando come anche l'efficiente
sistema svedese non sia esente da problemi e aporie e dove lo scontro
culturale e' comune a quello di tante altre periferie d'Europa. Dopo di lui,
Jonas Hassen Khemiri, nato nel 1978 da padre tunisino e madre svedese, ha
costituito un caso editoriale in tutta la Scandinavia con il suo primo
romanzo Ett oga rott (Un occhio rosso, 2003), interamente scritto nel
socioletto dei giovani immigrati di seconda generazione. Il suo romanzo
successivo, Una tigre molto speciale (Montecore), in uscita per Guanda,
racconta il confronto fra il padre immigrato in Svezia negli anni '70, che
si e' lasciato assimilare senza opporre resistenza e quasi dimenticando le
sue radici arabe, e la propria esperienza di adolescente svedese "a meta'",
guardato con sospetto e velato razzismo dalla societa' in cui e' nato e che
gli riserva l'appellativo di "testanera". Proprio la letteratura di questi
giovani scrittori e' lo specchio della realta' svedese degli ultimi anni, e
rappresenta il segno piu' distinto di un contesto letterario che non si
ferma alle inquietudini e alla suspense del giallo, ma dove la tradizione
convive accanto alle sperimentazioni dei giovani, in un dialogo che cerca di
rispondere alle sfide del nostro tempo.
*
Postilla. Il caso editoriale dell'anno. L'ipnotista di Lars Kepler in arrivo
per Longanesi a primavera
E' appena uscito nelle librerie svedesi, ma gia' si annuncia come il caso
editoriale dell'anno: L'ipnotista di Lars Kepler sembra destinato a seguire
le orme dei best seller di Stieg Larsson. La vicenda, ambientata a
Stoccolma, vede protagonista l'ispettore Joona Linna, incaricato di indagare
sull'omicidio di una famiglia nella periferia della citta'. L'unico
sopravvissuto alla strage, il piccolo Josef, e' in coma. Per poterlo
interrogare, Linna decide di rivolgersi a un famoso ipnotista. Un alone di
mistero avvolge anche l'identita' dell'autore: Lars Kepler e' infatti lo
pseudonimo dietro il quale si cela uno scrittore esordiente. L'originalita'
dello stile ha scatenato un'autentica corsa all'acquisto dei diritti,
venduti in ventisette paesi ancora prima della pubblicazione in patria.
L'ipnotista uscira' in Italia per Longanesi nella primavera del 2010.

2. LETTERATURE. ELIO MIRACCO: LETTERATURA ALBANESE OGGI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 agosto 2009 col titolo "Atlante
letterario. Rinascenza albanese" e il sommario "Gli autori sintonizzati con
i recenti mutamenti della societa' albanese sono, paradossalmente, i meno
tradotti del panorama internazionale, che si limita a riproporre il solo
Kadare'. Ma andrebbero conosciuti almeno alcuni esponenti della narrativa
scritta in carcere, e del romanzo storico, che invita a tornare alla
religione cristiana"]

Il sociologo Artan Fuga scriveva nel 1991 che l'Albania e' piu' grande del
proprio territorio, alludendo al fatto che la nazione, e quindi anche la sua
letteratura, si estende oltre i propri confini: oggi due sono gli Stati,
Albania e Kosovo, inoltre c'e' la minoranza residente in Macedonia e lungo
tutti i confini, dalla Grecia al Montenegro. Ma agli autori viventi in
queste aree vanno aggiunti gli scrittori della moderna diaspora, che si
sovrappone a quella antica del XV secolo, in Italia. Caduto il regime
comunista, il mercato e' stato invaso da una caotica produzione libraria e
da tutto un fiorire di case editrici (anche fai da te) ma cio' non toglie
che nemmeno ai grandi scrittori i propri libri bastino a garantire la
sussistenza. E in alcuni di loro emerge l'amara costatazione del fatto che
nel passato regime gli intellettuali godevano di maggiore attenzione.
Gli albanesi sono un "popolo di poeti", come del resto lo sono gli italiani,
e come questi - diceva Hemingway - una meta' scrive e l'altra legge. Nel
bene e nel male di quella che e' ormai una sovrapproduzione libraria, si
direbbe che i cosiddetti "figli delle aquile" siano piu' assimilabili agli
italiani che al mondo orientale con il quale si cerca di confonderli. In
Italia si continua a pubblicare pressoche' solo Ismail Kadare', tradotto da
trent'anni e da venti candidato al Nobel.
Senza tenere conto delle riedizioni e delle rielaborazioni dei romanzi
scritti durante il regime e ripubblicati a Parigi, dove l'autore vive, quel
che viene riproposto e' ancora fermo alle prime traduzioni degli anni '80,
tutte dal francese: dal Palazzo dei sogni (Longanesi), l'orwelliano romanzo,
metafora del potere che vuole controllare anche i sogni dei sudditi, alle
nuove scritture di Vita avventura e morte di un attore o del Successore
(Longanesi), nel quale l'autore adotta la tecnica del thriller per indagare
sul dubbio suicidio del primo ministro Mehmet Shehu, nel 1981.
*
Dall'immaginazione infantile
Tra le righe emergono tutte le dinamiche della dittatura albanese, mentre
domina quell'universale presente proprio dei totalitarismi di ogni epoca e
di ogni paese, che costituisce ormai una peculiarita' dei testi di Kadare'.
Non ancora tradotta e' l'ultima sua opera uscita in Albania con il titolo
Darka e gabuar (La cena sbagliata), che in un misto tra finzione e realta'
prende avvio dall'occupazione nazista di Argirocastro, citta' natale dello
scrittore, che il medico Gurameto salvo' dalla furia di un colonnello
nazista. Il libro sancisce al tempo stesso il recupero della memoria e la
continuazione di quanto si narra nella Citta' di pietra (Longanesi), della
quale e' sempre protagonista Argirocastro, con i suoi tetti di ardesia tra i
quali si insinua il complesso intrico di viuzze lastricate, spesso
interrotte da lunghe gradinate, e con le sue case-torri d'aspetto orientale
addossate alle colline. Narrato con gli occhi del bambino Kadare', il
racconto lascia che l'immaginazione infantile trasformi quel che vede,
mentre assiste all'avvicendarsi delle truppe di occupazione greche e
italiane, fino all'ingresso in citta' dei tedeschi: "Le truppe tedesche
avevano varcato la frontiera meridionale. Ora marciavano sulla citta', che
la popolazione s'affrettava a evacuare. Era la terza volta nella sua lunga
esistenza che la citta' veniva abbandonata".
Scrittore la cui opera di finzione da' corpo a una realta' surreale, Visar
Zhiti - nato nel 1952 - parte dalla propria testimonianza sul carcere patito
per arrivare a consegnare le sofferenze personali e di un intero popolo a
pagine fino a quel momento rimaste in bianco. Le sue opere sono spesso
costruzioni simboliche della tragica esperienza patita nel gulag albanese,
con lo sguardo rivolto all'Europa. Visar Zhiti e' autore di un libro di
poesie mai pubblicato, perche' giudicato decadente e pessimistico, nonche'
fautore di una propaganda sovversiva contro il realismo socialista. In
carcere, mancandogli carta e penna per scrivere, compose e memorizzo' decine
di poesie. Venne liberato nel 1987, come tutti gli ex condannati politici, e
finalmente, alla caduta della dittatura, il suo lavoro fu pubblicato,
rendendolo notissimo nel suo paese, quasi un simbolo della persecuzione.
L'incontro con la liberta' e la democrazia, dal punto di vista dei musulmani
schipetari, e' il filo che tiene insieme la raccolta di novelle che Visar
Zhiti ha intitolato Passeggiando all'indietro (Oxiana), dove lo sguardo su
quanto accade in Italia oscilla tra grottesco e ironia: "Anche le immondizie
hanno un posto, hanno un automezzo. Mentre io non ho posto nemmeno tra i
rifiuti!". Nella raccolta di poesie Croce di Carne (Oxiana, 1997), si legge
invece: "Anche in Italia potrai piangere, potranno rubarti... il nome": e
proprio questo accade quando il cognome Cani (che si legge Ciani) diventa,
nei documenti italiani, Cani, solo perche' l'alfabeto non possiede
ufficialmente la lettera con la cediglia. Sulla linea di un abbraccio con
l'Europa foriero di delusione si trova anche il romanzo, in attesa di un
editore italiano, intitolato Il semidio e la donna proibita, il cui
protagonista e' impegnato in un emblematico viaggio in cui cerca di
raggiungere la Corte di giustizia dell'Aja per portare al suo cospetto un
dossier sui crimini della dittatura. Il peregrinare ha inizio in Italia,
porta dell'Europa - "solo, con una piccola valigia un po' scucita nella
chiusura a lampo, ma che importa, l'epoca e' ancora piu' sdrucita. Ci vuole
un sarto o un calzolaio per cucire l'Europa, gli stati, spaccati..." - e
continua tra le capitali europee alle frontiere delle quali il protagonista
viene regolarmente respinto. Tra le pagine riaffiorano al presente il tema
della patria abbandonata in mano a politici corrotti, gli incubi e i rimandi
memoriali di donne impazzite o uccise nel carcere, e tutto cio' senza che
Felix riesca a liberarsi di quel passato che la sua coscienza cerca di
sedimentare. Ma la sete di giustizia non trova soddisfazione in Europa, e il
viaggio di Felix termina in un macabro gioco tra vittima e visioni di
carnefici, per approdare al suicidio, a Vienna.
Appartiene al filone della letteratura scritta in carcere, e al vissuto che
si riappropria di esperienze europee un tempo proibite, anche l'opera di
Bashkim Shehu, che vive a Barcellona ed e' figlio del primo ministro
suicidatosi (o suicidato) nel 1981. Nella sua recente raccolta di novelle,
Mulliri qe gelltiste shpirtra (Il mulino che inghiottiva anime), si
imbastisce un trittico intrecciato di superstizioni e realta': composta in
un campo di detenuti nel 1990, una delle novelle e' presente nella raccolta
Le ombre (Manifestolibri): "C'era una volta, non molto tempo fa, un mugnaio"
di nome Zenun Krasta al quale la moglie Zelka leggeva i fondi delle tazzine
di caffe'. La predizione di una sciagura sconvolge l'uomo: "Ecco - dice -
guarda la tomba... questo grumo nel fondo... il deposito raccolto li'...
questo grumo in mezzo... Ce l'abbiamo proprio in mezzo al mulino...". Ma la
realta' supera la fantasia quando a presentarsi e' il diavolo in persona:
"Guarda, questo mulino sembra un mulino, mentre e' qualcosa di molto piu'
prezioso e, se fai come ti diciamo noi, puoi cavarci fuori dei guadagni
molto ma molto piu' grandi di quanti ne possa dare un mulino qualunque". Va
a finire che Zenun non sara' piu' capace di distinguere chi sia il vero
diavolo e il mulino stregato inghiottira' tutto.
*
Autori scomparsi dai cataloghi
Nel romanzo intitolato Angelus Novus, invece, Bashkim Shehu mette in scena
due vite parallele: quella di Benjamin, l'intellettuale suicida di fronte
all'orrore nazista, e quella del protagonista albanese Mark Shpendi, che
visse alla fine del secolo scorso. Un uomo perseguitato dalla dittatura al
quale non e' permesso continuare gli studi, ma dotato di una intelligenza
straordinaria e di una filosofia semplice, giunge, nel carcere dove e'
rinchiuso, alla stessa conclusione del filosofo ebreo. Ma la continua
sorveglianza dei guardiani impedisce all'albanese di suicidarsi, e lo
indirizza verso un destino persino piu' tragico. Nonostante il suo
interesse, di Bashkim Shehu si sono perse in Italia le tracce: non lo si
trova, infatti, nei cataloghi di alcuna casa editrice, mentre le traduzioni
dei suoi libri circolano in tutta l'Europa.
Stessa sorte quella di Fatos Kongoli, poeta e matematico che ha studiato
anche a Pechino, dove e' ambientato quello strano impasto di esistenzialismo
e atmosfere noir che fa da sfondo al Drago d'avorio (Besa): tra queste
pagine l'autore racconta, in forma autobiografica, le sue esperienze negli
anni di Mao Zedong e della rivoluzione culturale. Una storia adolescenziale
rivissuta trent'anni dopo, quando e' ormai un giornalista di regime di mezza
eta', alcolizzato, disincantato, con alle spalle un matrimonio fallito e la
necessita' di avviare finalmente un dialogo con i suoi due figli.
Nell'Ombra dell'altro (Besa) Fatos Kongoli mette in scena un incubo concreto
quanto la realta', abitato dal personaggio di un Cadavere. Responsabile
delle pagine culturali del giornale "Rilindjia Demokratike" ("Rinascita
Democratica"), Fatos Kongoli e' considerato dalla critica letteraria l'erede
di Kadare', e tuttavia anche il suo nome e' scomparso dai cataloghi
italiani; una scomparsa simile a quella subita nell'Albania della dittatura
dal burocrate del romanzo Ascesa e caduta del compagno Zylo (Argo) di
Dritero Agolli, in cui quanto e' accaduto si rivela solo alla fine: "il
compagno Zylo era caduto in disgrazia". L'ultimo suo romanzo Jete ne nje
kuti shkrepesesh (Vita in una scatola di fiammiferi) ha il sapore del noir,
ma i contenuti intrecciano anche le disuguaglianze quotidiane, il
disordinato urbanesimo di Tirana e l'integrazione di chi dalle periferie
s'insedia nella capitale, fino a esibire una incomunicabilita' sociale cosi'
estrema da rasentare tendenze schizoidi.
Tutt'altri temi quelli affrontati dal minimalista Ylliet Alicka, autore di
novelle raccolte nei Compagni di pietra (Guaraldi). Il suo romanzo di
prossima pubblicazione in Italia Nje rrefenje me nderkombetare (Un racconto
con i diplomatici, di cui non si sa ancora l'editore) e' saturo di note
grottesche che colgono la sufficienza, per non dire la mentalita'
colonialista, con la quale i diplomatici delle organizzazioni
internazionali, presenti a Tirana, si mettono in relazione con gli albanesi.
Denso di stereotipi folklorici e romantici, il romanzo e' capace di
proporsi - secondo l'autore - a mo' di surrogato di "come ci rappresentano
gli altri": ovvero quei "missionari della civilta'" convinti che l'Albania
coincida con il centro orientale dell'arretratezza.
Oggi, gli autori albanesi sintonizzati con i recenti mutamenti della realta'
sono i meno tradotti del panorama internazionale, e gli editori - dopo le
molte pubblicazioni dei primi anni '90 che raccontavano di un popolo
affacciato tumultuosamente alle nostre sponde, ricco di piaghe spirituali,
poverta' e speranze - hanno oscurato la letteratura albanese, limitandosi a
farci conoscere quasi il solo Kadare'.
*
Una miriade di fedi diverse
Nell'ambito del romanzo storico un filone recente riprende il problema
sollevato appunto da Kadare' quando invitava gli albanesi a tornare alla
religione cristiana, nell'intento di riappropriarsi della primigenia
identita' perduta in seguito all'occupazione ottomana. In questo ambito, Ben
Bllushi si emancipa dagli schemi storici tradizionali e sposa tesi
trasgressive e controcorrente nel suo romanzo di esordio Te jetosh ne ishull
(2008) (Vivere in isola), libro tra i piu' controversi e venduti in Albania,
insieme a quelli di Zhiti e preceduti nelle vendite solo dall'ultima opera
di Kadare'. Sullo sfondo storico dei secoli XV-XVIII, il monito "abbracciate
la fede dell'occupante e non avrete mai il vostro Stato" si tramutera' nella
domanda relativa al come si compi' il processo di islamizzazione
dell'Albania. Il tutto muovendosi tra protagonisti immaginari e storici, da
Skanderbeg e la famiglia Araniti fino a Ali pascia' di Tepelena, il leone di
Gianina, cantato da Byron.
In una terra dove le fedi religiose sono distribuite a pelle di leopardo,
l'Albania resta in bilico tra occidente e oriente e in aperto contrasto con
i popoli confinanti; ma gia' dal 1990, quando gli studenti in rivolta contro
la dittatura gridavano "Vogliamo essere come l'Europa", e' stato individuato
l'orizzonte al quale guardare.
*
Postilla. Tra esilio e emigrazione, la scelta di scrivere in italiano
Fra gli autori albanesi che hanno scelto di scrivere le loro opere in lingua
italiana, il nome certamente piu' conosciuto e' quello di Ornela Vorpsi,
autrice del Paese dove non si muore mai (Einaudi, 2005), di Vetri rosa
(Nottetempo, 2006) e La mano che non mordi (Einaudi, 2007). Figlia di
dissidenti, con una vita divisa tra Tirana e Parigi, la Vorpsi predilige la
scrittura autobiografica. Altri scrittori, pero', si sono fatti conoscere in
questi anni, dando vita a una "letteratura dell'emigrazione": da Elvira
Dones (La vergine giurata, Feltrinelli, 2007) a Gezim Hajdari (Peligorga,
Besa, 2007), da Ron Kubati (Il buio del mare, Giunti, 2007) a Anilda
Ibrahimi (Rosso come una sposa, Einaudi, 2008). Spesso - come nel libro
della Ibrahimi - al centro dei loro libri e' l'esperienza della fine del
comunismo, vissuta e raccontata dalle generazioni del "dopo Muro".

3. LETTERATURE. GABRIELLA STEINDLER MOSCATI: LETTERATURA ISRAELIANA OGGI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 agosto 2009 col titolo "Atlante
letterario. La costellazione Israele" e il sommario "Tra richiami del
passato e seduzioni del presente. In un panorama tutt'ora dominato dalla
triade Yehoshua, Grossman e Oz, la cultura israeliana si trova a un bivio
tra l'interiorizzazione delle forme letterarie precedenti e la ricerca di
rivoluzionarie espressivita': tra i nomi piu' promettenti Zeruya Shalev, che
predilige gli interni matrimoniali, Orly Castel Bloom, a suo agio nel
fantastico e nel grottesco e Etgar Keret, autore di racconti costruiti in
chiave surreale e colmi di una benevola ironia"]

Sono trascorsi circa vent'anni da quando David Grossman, poco piu' che
trentenne, appariva sugli schermi televisivi italiani. La sua fisionomia
delicata e i modi garbati contrastavano con quelli del soldato israeliano
macho, armato e spavaldo, che puntualmente popolava la stampa e i mezzi di
comunicazione. Leggendo il suo primo romanzo Vedi alla voce: amore
(Mondadori 1988) si percepiva qualcosa di nuovo, di inusitato. La societa'
israeliana veniva vagliata attraverso lo sguardo innocente di un fanciullo
che si interroga sul passato taciuto dei genitori: la Shoah. Tra le pagine,
affiorava dunque il dramma dei sopravvissuti all'Olocausto e la fragilita'
emotiva della "seconda generazione" di superstiti. L'accoglienza entusiasta
del libro, che per settimane si aggiudicava la vetta dei best sellers sui
piu' quotati quotidiani nazionali, suscitava un interesse inatteso verso la
letteratura israeliana. Lo stesso anno, la simpatia del pubblico per
Grossman si confermo' con il saggio Il vento giallo (Mondadori 1988), in
cui - con stile asciutto - l'autore israeliano forniva un resoconto sul
percorso esistenziale della popolazione araba nei territori occupati,
mettendo a nudo le loro tragiche vicende e facendo affiorare il dibattito
politico presente in Israele, con le complesse posizioni di una societa'
democratica di fronte a un dramma che rischiava di comprometterne
l'esistenza.
*
La Generazione dello Stato
Il successo del giovane Grossman spiano' l'ingresso ad altri scrittori,
primo tra tutti Abraham B. Yehoshua, che aveva esordito nel 1977 con
L'amante (Einaudi 1990); meno di un decennio dopo arrivava al nostro
pubblico anche il nome di Amos Oz, il cui intricato percorso biografico e'
leggibile in Una storia d'amore e di tenebra (Feltrinelli 2003). Quasi
parallelamente al rivelarsi della produzione artistica israeliana in ambito
italiano, nuove tendenze e rinnovate forme narrative si manifestavano nello
Stato ebraico. I primi segnali si colsero gia' alla fine degli anni '70 e
raggiunsero il culmine negli anni '90: dunque, sebbene ancora all'ombra dei
due grandi, Abraham B. Yehoshua e Amos Oz, che in modi diversi tra loro
riflettono tuttavia la cosiddetta "Generazione dello Stato", nuove voci si
facevano sentire, comunicando sensibilita' ed esperienze eterogenee.
Non c'e' nulla di casuale, ovviamente, nella denominazione "Generazione
dello Stato", applicata a quegli intellettuali la cui formazione culturale
era avvenuta all'ombra della nascita della nazione ebraica. Il ricollegarsi
a questo evento acquistava una doppia valenza ideologica e politica: da una
parte portava testimonianza di una riflessione sulla realta' socio-culturale
che l'aveva determinata, dall'altra parlava della ricerca di una identita'
personale, capace di trascendere gli ideali collettivi. Fu all'epoca delle
elezioni del 1977 - data che segna la caduta del governo laburista tra le
cui file militavano i "padri fondatori" della nazione, e l'ascesa del
partito Likud - che si determinarono altri significativi cambiamenti in
campo artistico e letterario. Mehamen Begin, un avvocato di origine polacca,
sali' al potere con l'appoggio dei cittadini israeliani di origine
"orientale", gli ebrei profughi dai paesi arabi. All'inflessibile esponente
della destra sionista sarebbe spettato il merito dell'accordo di pace con
l'Egitto nel marzo del '79: questo il paesaggio al tempo stesso bizzarro e
traboccante di tensioni drammatiche che fa da sfondo a una produzione
narrativa via via piu' intensa. L'ambito sociale si costituisce in un
mosaico policromo di etnie diverse, provenienti dall'Europa, dall'Asia e
dall'Africa: culture remote e contrapposte accomunate dai nuovi ideali e
dalla tradizione millenaria rinnovata. In questo crogiuolo di genti, la
lingua ebraica di biblica memoria, integrata da neologismi, si dimostra uno
strumento agile per l'uso quotidiano e un mezzo espressivo duttile per la
scrittura, che in Israele si rende attenta alle correnti letterarie, anche
d'avanguardia, presenti in ambito occidentale.
Il nesso che fino alla caduta del governo laburista aveva legato potere e
intellighenzia cominciava a infrangersi e l'assenza di una cultura egemone
generava, per contrasto, nuove energie letterarie, che facevano emergere
protagonisti di gruppi minoritari; al tempo stesso, gli scrittori acclamati
della Generazione dello Stato rinnovano il loro registro di scrittura. In
questo groviglio di tendenze si andavano definendo alcune correnti
principali, che tuttavia si intersecano e confluiscono in altre
ingarbugliando la matassa. La letteratura "tribale esistenziale" - sia
quella askenazita che quella sefardita - richiama con nuovi registri
espressivi il passato, l'esistenza ebraica in terre lontane, tralasciando la
narrazione "sionista". I figli dei superstiti della Shoah, tendono a
infrangere il silenzio, che ha contrassegnato i loro genitori, per
interrogandosi su Quel Paese La'.
Anche il gruppo minoritario palestinese che ricorre alla lingua ebraica,
mira a dare concretezza al proprio contesto: il presente, elevato a
metafora, prende corpo in una scrittura dove dominano il bizzarro, il
fantasioso e il grottesco. Inoltre, negli anni '80, sulla scia della vasta
partecipazione femminile alla sfera culturale del paese, in ciascuna di
queste correnti il contributo delle narratrici si fa determinante:
particolarmente originali i mezzi espressivi di Dorit Rabinyan, autrice di
Spose persiane (Neri Pozza 2000) e Le figlie del pescatore persiano (Piemme
2002). La sua scrittura, che si inserisce anch'essa nella corrente "tribale
esistenziale", schiude dinnanzi al lettore il passato reale o fittizio delle
"madri" vissute in Iran. Anche Shifra Horn, contrappone alla narrativa
nazionale quella della comunita' sefardita di Gerusalemme, in romanzi che le
hanno assicurato notorieta' in ambito internazionale: Quattro madri (Fazi
2000), La piu' bella tra le donne (Fazi 2001) e il recente Gatti (Fazi
2007). E tra le autrici che si compiacciono di riallacciarsi al peculiare
ambito askenazita e' da ricordare Gabriela Avigur Rotem, che in Mozart non
era ebreo (La Tartaruga 1997, Baldini & Castoldi 1999) delinea una saga
familiare dell'Europa orientale emigrata in Argentina, mentre nel romanzo
L'amore e' un sole infuocato (La Tartaruga 2004) innesta sul filone
"etnico", ampliandolo, la comprensione della Shoah.
*
Emigrati di antica data
Chiari riferimenti al passato della terra d'origine, l'Iraq, scorrono tra le
pagine di un grande scrittore nato a Baghdad, Sami Michael, che in chiave
quasi autobiografica fa affiorare l'esistenza ebraica dell'antichissima
comunita' dalla quale proviene in Victoria (La Giuntina 2007), il cui
intreccio ruota attorno alla coraggiosa figura della madre. Su questo stesso
registro, che ricorre al passato dell'esistenza ebraica nella Diaspora per
metterlo in relazione con il presente, sono molti i nomi da ricordare: uno
su tutti quello di Eli Amir, originario di Baghdad, che emigro' con la sua
famiglia in Israele nel 1950, e che in uno tra i suoi primi romanzi,
Tarnegol Kaparot (tradotto in inglese Scape goat - Capro espiatorio -),
narra in chiave quasi autobiografica le esperienze di un giovane emigrato in
Israele.
In campo askenazita autori quali Yoel Hoffman e Arie Eckstein attingono nel
loro immaginario al mondo oramai estinto dei padri. L'esigenza di richiamare
il passato diventa un imperativo in quella corrente di scrittori rivolti a
far riaffiorare l'esperienza rimossa dei genitori, che non hanno voluto o
potuto narrare le loro tragiche vicende all'ombra dell'Olocausto: un nutrito
gruppo di autori nati dopo la seconda guerra mondiale e dopo la costituzione
dello Stato inaugura la corrente denominata "Seconda generazione della
Shoah": sono circa una ventina, e alcuni di loro hanno un legame biografico
diretto con i sopravvissuti.
Del tutto a se', invece, e' la figura di Aharon Appelfeld, nato in Bucovina
nel 1932, superstite della Shoah ed emigrato giovane in Israele, la cui
prosa non si ferma a narrare la contingenza della tragedia ma cio' che l'ha
preceduta o seguita; riservera' i suoi racconti personali a Storia di una
vita, pubblicato in Israele nel 1999 (La Giuntina 2001, Guanda 2007), tra le
cui pagine si fa luce il suo percorso esistenziale: campi di lavoro, fuga
nei boschi attanagliato dal freddo e dalla fame, fino all'approdo nella
Terra promessa nel 1946.
Per quanto riguarda la narrazione femminile e femminista, essa si
configura - come dovunque - nei termini di un tentativo di rompere gli
stereotipi legati all'ambito familiare e al percorso esistenziale riservato
a una donna. Tra i nomi piu' noti quello di Zeruya Shalev, considerata una
voce originale e innovativa sia nel suo paese che all'estero, i cui
romanzi - Una relazione intima (Frassinelli 2000), da cui e' stato tratto un
film, Una storia coniugale (Frassinelli 2001, 2003) e Dopo l'abbandono
(Frassinelli 2007) - puntualizzano in maniera vivace intricate situazioni
familiari, confrontandosi con l'istituzione del matrimonio, del divorzio e
della maternita', e non tralasciando ardite scene erotiche.
Figura di rilievo in Israele, meno conosciuta in Italia e' Orly Castel
Bloom, che si cimenta nella corrente narrativa in cui dominano il fantastico
e il grottesco. I suoi personaggi spesso incongruenti si aggirano per le
strade di Tel Aviv, descritta come una metropoli dalla concretezza piatta.
Scritto durante l'Intifada, il suo romanzo Parti umane (e/o 2003), racconta
fatti banali e gesti quotidiani scanditi dall'irrazionalita'.
*
L'ultima generazione
Quanto alle generazione dei quarantenni, il cui denominatore comune e' la
precarieta', Etgar Keret ne e' uno tra i rappresentati piu' significativi,
con i suoi racconti costruiti in chiave surreale, e colmi di una ironia
benevola. Tra le pagine dei suoi libri si stagliano personaggi che vivono ai
margini della societa' e lottano per restare al di la' del nulla, popolando
intrecci che hanno riscosso grande successo in tutte le librerie delle
grandi capitali europee, Italia compresa: Pizzeria kamikaze (e/o 2003), Io
sono lui (e/o 2004), Gaza blues (e/o 2005) scritto in collaborazione con
Sami El-Youssef e molti altri. Il film Meduse diretto dall'autore e dalla
moglie Shira Geffen ha ottenuto la Camera d'oro per la migliore opera prima
al sessantesimo festival del cinema di Cannes. E, ancora: gli affanni
nazionali si intrecciano fondendosi con quelli della comunita' palestinese
cittadina d'Israele nei due romanzi di Sayyed Kashua, Arabi danzanti (Guanda
2002, 2003) ed E fu mattina (Guanda 2005). Mentre il giovane giornalista Ron
Leshem, nel suo Tredici soldati. Libano 2000: un assedio disperato (Rizzoli
2007) schiude dinnanzi al lettore un'immagine particolarmente drammatica di
Israele e dei suoi conflitti, cosi' compiutamente espressi da avere ispirato
anche un film, Beaufort, vincitore dell'Orso d'argento al cinquantasettesimo
Festival di Berlino.
Se e' vero cio' che nota la piu' autorevole critica israeliana, ossia che la
cultura del paese si trova ad un bivio tra l'interiorizzazione delle forme
letterarie precedenti e la ricerca di nuove e rivoluzionarie espressioni, e'
vero soprattutto che si intravede la resurrezione di un centro letterario
capace di riflettere l'identita' dei mille volti d'Israele. Ed e' per
l'appunto il romanzo proposto quest'anno al salone del libro di Francoforte,
opera prima di un giovane etiope Omri Tag Amlak Avera, Asterai, a confermare
che la lingua millenaria di Israele e' particolarmente idonea a valorizzare
quel che culture diverse tra loro hanno tuttavia in comune.
*
Postilla. Un ponte tra le generazioni nei libri per l'infanzia e nei saggi
Forte di una pluralita' di autori e di temi, la letteratura israeliana non
e' immune da quanto la circonda, sia sul piano sociale che su quello
politico. Scrittori, ma anche critici e saggisti si ritrovano spesso a
esprimersi su questioni che trascendono la sfera letteraria. Andrebbero
letti anche da questo punto di vista i saggi di tre scrittori noti e amati
anche in Italia, come Grossman, Yehoshua e Oz, dedicati ad aspetti
controversi della realta' di Israele. Accanto alla saggistica e' molto
sentita anche l'esigenza di "animare la fantasia dei piccoli lettori",
rivolgendosi non solo a quelle passate, ma anche alle generazioni future:
fatto che spiega la vasta produzione di letteratura per l'infanzia spesso
firmata dagli stessi autori amati, letti e dibattuti dal pubblico adulto.
Yehoshua, ad esempio, ha dedicato alla nipotina il Cagnolino per Efrat
(Einaudi, 2005), mentre David Grossman ha scritto una decina di libri per
bambini.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 372 dell'8 settembre 2009

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