Voci e volti della nonviolenza. 371



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 371 del 7 settembre 2009

In questo numero:
1. Maria Paola Guarducci: Letteratura sudafricana oggi
2. Francesca Lazzarato: Letteratura spagnola oggi
3. Valentina Parisi: Letteratura tedesca oggi

1. LETTERATURE. MARIA PAOLA GUARDUCCI: LETTERATURA SUDAFRICANA OGGI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 agosto 2009 col titolo "Atlante
letterario. Sguardi dal Sudafrica" e il sommario "Un intreccio
imprescindibile con la politica. Mentre la narrativa tradizionale pescava
nella vergogna dell'apartheid, e piu' recentemente nei racconti prodotti dai
lavori della Commissione per la verita' e la riconciliazione, da un po' di
anni gli autori sudafricani si sono concentrati sulle metamorfosi
individuali e sulle trasformazioni subite dalle campagne e dalle citta'"]

Sudafrica, 11 giugno 2010: il fischio di un arbitro dara' avvio alla
diciannovesima edizione della competizione atletica piu' seguita ovunque, i
mondiali di calcio, per la prima volta disputati nel continente africano. Un
flusso massiccio di denaro per la ristrutturazione completa di cinque stadi
gia' esistenti, per la costruzione ex novo di altri cinque e per la
realizzazione di infrastrutture che garantiscano mobilita', accoglienza,
sicurezza a tutti i partecipanti - atleti, dirigenti sportivi, manovalanze,
spettatori - sono confluiti nelle casse del paese. Assieme al denaro, la
promessa di Joseph Blatter, presidente della Fifa, di un ingente numero di
biglietti gratuiti a disposizione dei sudafricani, la maggior parte dei
quali non potrebbe pagarsi neanche un posto in curva, tanto per evitare
l'imbarazzante immagine di un pubblico in prevalenza bianco e straniero in
una nazione africana, in prevalenza nera.
Per un mese, dunque, il Sudafrica avra' una copertura mediatica giornaliera,
pari solo a quella ricevuta nel febbraio del 1990, quando venne rilasciato
Nelson Mandela, anticipata gia' da articoli sparsi, in cui si legge degli
spasmodici lavori di preparazione dell'evento presentati in linea generale
come una corsa contro il tempo, all'occasione accelerata dal ricorso a
volontari o ritardata dagli scioperi degli operai impegnati nei cantieri
sparsi per tutto il paese.
*
Oltre ai soliti noti
Fa un certo effetto pensare al Sudafrica, paese per decenni sotto scrutinio
internazionale per la sua anomalia politica, come sede di un evento che di
politico in senso stretto ha ben poco. Una bella sensazione, soprattutto se
segnalasse il preludio alla normalita'. Altro tipo di effetto quello
derivato dalle statistiche sulla diffusione dell'Aids e sulla mortalita'
infantile e giovanile che ne deriva, quelle sulla criminalita', e ancora
quelle sull'altissimo numero di disagiati in genere: cifre non stemperate
dall'atmosfera del giubileo calcistico. E, ancora, colpisce l'obbligo di
registrare le difficolta' che in Sudafrica si incontrano per contrastare il
liberismo sfrenato, eredita' storica del colonialismo che si e' felicemente
sposato con i dettami economici della globalizzazione: liberismo che fa del
paese la patria al tempo stesso di una piccola classe dirigente, nera e
bianca, molto ricca, e di milioni di derelitti, per la stragrande
maggioranza neri.
Non e' una bella sensazione quella che deriva dal pensare al contrasto tra
quanto denaro servirebbe per mettere in piedi progetti sul territorio in
grado di fermare le varie emorragie sudafricane, tutte drammaticamente
legate tra loro, e quanto se ne sta spendendo e se ne spendera' per un
torneo di pallone: sessantaquattro partite in tutto. Certo, simili confronti
purtroppo non giovano a nessuno, e una rinnovata attenzione al paese e'
comunque benvenuta; speriamo solo che i riflettori e gli investimenti non si
spengano con la finale del torneo.
In attesa dei mondiali, e a provvidenziale contrasto dello spirito che li
accompagnera', vale la pena ricordare che il Sudafrica non e' solo una terra
ricca di giacimenti minerari (oro e diamanti rendono i miliardari locali
ancora piu' miliardari), e di una variegata flora e fauna che ne fa da tempo
immemore meta di turisti; il paese infatti e' dotato di un patrimonio
culturale fatto di varieta' linguistiche (undici sono le lingue ufficiali)
ed etniche che sono il risultato di una ramificata e drammatica storia
nazionale, la quale arretra di secoli e vede mischiarsi sul territorio
popolazioni indigene a gruppi di migranti bantu e a coloni di varia
provenienza europea.
Del passato e del presente e' espressione una letteratura molto articolata,
che ha gia' dato al paese due premi Nobel - Nadine Gordimer nel 1991 e J. M.
Coetzee nel 2003 - nonche' una serie di autori tradotti con una certa
regolarita' all'estero e anche nel nostro paese. Se oggi l'editoria italiana
si accorge di scrittori di pregio della vecchia generazione - come e'
avvenuto con Daphne Rooke (1914-2009) o con Lewis Nkosi (1936), nell'un caso
ripescando ottimi romanzi di antica data (Io e Mittee e Germogli, entrambi
Elliot), nell'altro pubblicandone l'ultima fatica (Il complesso di Mandela,
Giunti Blu) - va anche detto che il computo dei titoli sudafricani nelle
librerie italiane ha sempre dato risultati piu' soddisfacenti rispetto a
quello di altri paesi del continente nero.
In questo conteggio, che arretra di anni, vanno ricordati i "soliti noti":
Gordimer, Coetzee, Andre' Brink, visibilmente pubblicizzati e distribuiti
dalle case editrici a cui sono legati (Feltrinelli e Einaudi), ma anche
autori e autrici i cui libri si trovano con un po' piu' di fatica, magari in
librerie che ragionano sui cataloghi e non eliminano i titoli solo perche'
sono datati. Tra questi scrittori (in ordine sparso) Breyten Breytenbach,
Bessie Head, Sindiwe Magona, Athol Fugard, K. Sello Duiker, Antjie Krog,
Sipho Sepamla, Olive Schreiner, Zoe Wicomb, Rayda Jacobs, Achmat Dangor,
Tatamkhulu Afrika, Ingrid De Kok, Damon Galgut, Zakes Mda, Gillian Slovo,
Renesh Lakhan, Patricia Schonstein-Pinnock, Niq Mhlongo, Kgebetli Moele,
tanto per segnalare un elenco dei piu' importanti, che ciascuno potra' poi
verificare leggendone le opere.
*
Riflessi di un duro passato
Consapevoli di un tale patrimonio librario vale la pena ricordare che quando
fischiera' l'inizio del torneo calcistico, la prossima estate (in Sudafrica
sara' inverno), saranno trascorsi piu' o meno vent'anni dalla liberazione di
Nelson Mandela, oggi un ottantenne molto malato, che usciva allora
dall'ultima delle varie prigioni in cui aveva trascorso i precedenti
ventisette anni della sua vita. Di li' a quattro anni i sudafricani
partecipavano al primo voto democratico della loro storia e con la vittoria
dell'African National Congress ratificavano la fine del regime e l'inizio di
quello che nelle parole del successore di Mandela, Thabo Mbeki, sarebbe
stato il "rinascimento (sud)africano". A fronte di uno tra i regimi piu'
duri della storia contemporanea, che ha conosciuto l'apartheid dal 1948 al
1994 (a sua volta regalo di una situazione coloniale in cui il primo
insediamento olandese e' datato 1652), la letteratura sudafricana si e'
sempre lasciata permeare dalla situazione politica. Lo si constata
facilmente prendendo in mano una qualsiasi delle opere di Nadine Gordimer,
che del Sudafrica dell'apartheid e' stata, soprattutto fuori dal paese, la
cronista piu' infaticabile; ma lo si vede anche nei romanzi all'apparenza
meno espliciti di Coetzee, che testimoniano un travaglio interiore
strettamente legato all'atmosfera di violenza e di claustrofobia politica e
culturale in cui sono nati. Proprio il Coetzee di Infanzia e Gioventu' e'
l'interprete piu' acuto di un genere che sarebbe stato molto praticato negli
anni '90: il romanzo di formazione o l'autobiografia.
Oltre alle autobiografie di Coetzee, narrate in terza persona, notevoli sono
anche alcuni romanzi retrospettivi non ancora tradotti di Mark Behr o di
Jo-Ann Richards: e lo sono per il loro potere esemplificativo dei percorsi
paralleli che allineano la formazione dell'individuo (bianco) e la
formazione della nazione (afrikaner), quella che a partire dal 1948 vuole
ribadire un'identita' costruita sull'invenzione di una tradizione e di miti
fondanti che la storia (si spera) releghera' nel posto gia' indicato dalla
letteratura, ossia il cestino della spazzatura. E' la storia il grande tema
dello scorso ventennio, messo a fuoco anche grazie alla fondamentale opera
di catalogazione delle deposizioni di chi l'apartheid l'ha vissuto, nel
ruolo della vittima o del carnefice, in prima persona. La Commissione per la
Verita' e la Riconciliazione - istituita nel 1995 e durata fino al 1998 -,
infatti, si e' adoperata per far si' che nessuna vita venisse dimenticata e
che la nuova storia ufficiale del paese non fosse una litania dal sapore
biblico dettata dall'alto, bensi' la somma delle storie di tutti, una somma
che e' arrivata a contare ventiduemila casi registrati.
I racconti di chi era chiamato a deporre nei tribunali istituiti ovunque nel
paese - racconti ascoltati da tutti via radio, o letti e riletti sui
giornali - sono migrati nella letteratura, fornendo materiali a scrittori e
scrittici delle piu' diverse provenienze. Un testo chiave, a questo
proposito, e' Terra del mio sangue (Nutrimenti), tra le pagine del quale si
trova al tempo stesso la relazione di molti processi giudiziari, ma anche il
racconto dell'esperienza della sua autrice, Antjie Krog, poetessa e
giornalista, che venne chiamata a commentare quei processi in una celebre
trasmissione radiofonica. Interni di tribunali, resoconti di confessioni,
rettifiche storiografiche - legate o meno alla Commissione - compaiono anche
nei romanzi di Gillian Slovo, Achmat Dangor, Nadine Gordimer, J. M. Coetzee,
Zoe Wicomb, Zakes Mda, Andre' Brink, Tatamkhulu Afrika, Damon Galgut, come
pure nelle calibrate e toccanti poesie di Ingrid De Kok.
Negli ultimi vent'anni, invece, e' la metamorfosi individuale cio' che sta
piu' a cuore agli autori sudafricani. Com'e' ovvio, d'altronde, in un paese
che liberatosi dal giogo coloniale ha tentato di riscrivere la propria
storia senza passare per l'epurazione dei suoi aguzzini di un tempo, e
scegliendo invece di sedersi al tavolo con loro per concertare un piano di
ricostruzione del futuro. Impresa nobile e al tempo stesso motrice di un
percorso minato di ostacoli, questa transizione apre a tante forme di
ibridazione e accomodamento attestate nelle pagine dei romanzi degli ultimi
anni. Giovani che diventano barboni, barboni che diventano santoni, donne
musulmane che di giorno indossano il velo e la notte giocano d'azzardo,
uomini che si mutano in alberi, madri che diventano streghe, catapecchie che
si trasformano in castelli, disegni che prendono consistenza e realta'
solide che si frantumano sotto l'urto del nuovo avanzante: mentre il paese,
gli individui e i paesaggi si trasformano, anche l'invenzione di nuove
realta' ne viene contaminata e subisce svariate metamorfosi.
*
Tra campagna e citta'
Terra di opposti e di opposizioni, il Sudafrica si racconta anche
riflettendo i cambiamenti subiti dalle sue eterogenee conformazioni
geografiche, specchio di altrettanti contesti culturali e storici. Ed e'
ancora grazie a Coetzee (Nel cuore del paese, La vita e il tempo di Michael
K, Vergogna) che riemerge il romanzo delle campagne, erede di quella
tradizione aperta dal bellissimo Storia di una fattoria africana (Giunti) di
Olive Schreiner, a conferma del carattere distopico della fattoria africana
tanto cara all'immaginario boero. Mentre gli scrittori bianchi si
interrogano davanti allo spazio desolante e poetico del Karoo (per esempio
anche tra le pagine dell'Impostore di Galgut, Guanda), la citta' viene messa
a fuoco prevalentemente da scrittori e scrittrici neri, meticci e asiatici.
Gli agglomerati urbani e le loro mortificanti/mostrificanti condizioni di
vita sono teatro delle storie raccontate con estro e creativita' da Zakes
Mda (Si puo' morire in tanti modi, e/o), da K. Sello Duiker (Tredici
centesimi, Cargo e Stella d'Africa, Mondadori), da Sindiwe Magona (Da madre
a madre e Questo e' il mio corpo!, Goree). E sono sempre gli spazi
metropolitani a fare da sfondo agli intrecci dickensiani di Renesh Lakhan (I
burattinai, Edizioni Socrates) o agli scorci di vita piu' normale ritratti
in Cane mangia cane (Griot) di Mhlongo, nonche' al recentissimo Camera 207
(Epoche') del giovane Kgebetli Moele.
*
Postilla. Zukiswa Wanner, scrittrice dei tempi moderni
La carriera di Zukiswa Wanner, che ora risiede a Johannesburg ma e' nata
nello Zambia e ha vissuto a lungo nello Zimbabwe, e' cominciata inviando
racconti a una mailing list nella quale figurava anche il romanziere e
saggista sudafricano Lewis Nkosi. Su suggerimento di quest'ultimo, Zukiswa
Wanner mise mano al suo primo manoscritto, The Madams, uscito in Sudafrica
nel 2006, nel quale una donna nera decide di assumere una domestica bianca.
Il tema, carico di connotazioni politiche, e' trattato con un brio e dei
toni che hanno fatto parlare di chick-lit. Nel 2008 e' uscito il suo secondo
romanzo Behind Every Successful Man. Attiva con molti progetti sulla
diffusione della lettura e della scrittura presso i piu' giovani, Zukiswa si
considera "una scrittrice di questi tempi", attenta a un pubblico che vuole
essere intrattenuto e che ha bisogno di riconoscersi in un ritratto
dell'Africa, spesso dissenziente rispetto a quello che l'Africa stessa
esporta.

2. LETTERATURE. FRANCESCA LAZZARATO: LETTERATURA SPAGNOLA OGGI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 settembre 2009 col titolo "Atlante
letterario. Una galassia di opere con mirabili ibridazioni. Trame spagnole"
e il sommario "Tre sono i tratti peculiare della letteratura contemporanea
spagnola: l'inarrestabile fiume delle narrazioni dedicate alla guerra
civile, la pluralita' delle sue lingue - dalla catalana alla basca alla
gallega - e la meravigliosa ibridazione resa possibile dal serbatoio degli
autori latinoamericani. Tra gli scrittori piu' giovani, molti guardano con
rinnovato interesse al lavoro sulla forma, ma decisamente fluviale e' anche
la produzione di polpettoni..."]

Fu la cosidetta generacion de los '50, nonostante la dittatura, a rinnovare
il romanzo e la poesia spagnola degli anni '60. Ne facevano parte scrittori
tra i quali Sanchez Ferlosio, Gamoneda, Caballero Bonald, Martin Gaite,
Benet, Marse' e, tra le recenti scoperte dell'editoria italiana, il saggista
e poeta Juan Goytisolo, nato a Barcellona nel 1931 ed esiliato volontario da
sempre, prima a Parigi e poi a Marrakesh. Ancora poco conosciuto nel nostro
paese (solo piccola parte della sua vasta produzione e' stata tradotta in
anni lontani da Einaudi, Feltrinelli e Lerici, e oggi viene fortunatamente
ripresa dall'editore Cargo), Juan Goytisolo ha cominciato da poco a far
parlare di se' nei confini italiani: gia' nell'aprile del 2008, sul
"Manifesto", lo aveva intervistato Marco Dotti, poi - in coincidenza con
l'apertura della Feria del Libro di Madrid, nel maggio scorso - il "Corriere
della sera" era uscito con una intervista in cui lo scrittore spagnolo
confessava la sua gratitudine per gli autori di bestseller, "grazie ai quali
le case editrici possono permettersi il lusso di pubblicare testi
letterari", consentendo a scrittori come lui di continuare a esistere.
*
Tra ricerca e consumo
Curiosamente, il giorno dopo compariva sul "Pais" un colloquio con Carlos
Ruiz Zafon che, reduce dall'aver venduto in poche settimane oltre un milione
di copie del suo El juego del angel, si scagliava contro il mundillo
letterario spagnolo definendolo una mediocre e pretenziosa burocrazia della
cultura e affermando come legittima solo una letteratura fatta "per la
gente" e fondata sulle ragioni dell'intreccio. Un terzo scrittore anche da
noi molto noto, Antonio Munoz Molina, sarebbe poi intervenuto definendo
"apocalittica" la posizione di Goytisolo, e "integrata" quella di Zafon. Due
prospettive, queste, che rappresentano le anime piu' divergenti della
letteratura spagnola di oggi: da una parte c'e' l'anziano maestro che a ogni
libro offre al lettore una "proposta letteraria differente e non un semplice
cambio di argomento"; dall'altra c'e' un autore orgogliosamente di consumo,
confezionatore di bestseller universalmente letti. E non e' detto che tra i
due sia il quasi ottantenne Goytisolo a rappresentare la "vecchia guardia".
Una discreta parte degli innumerevoli autori spagnoli giovani e
giovanissimi, quelli nati quando la stagione del franchismo si era ormai
conclusa, e' senz'altro piu' vicina a Goytisolo che a Zafon: molti di loro
guardano infatti con estremo interesse a una letteratura che torni a
lavorare sulla forma, sui meccanismi narrativi e sul linguaggio, su
contenuti non necessariamente facili o tranquillizzanti.
Scrittori come l'ipersperimentale Agustin Fernandez Mallo (i titoli dei suoi
romanzi, Nocilla Dream e Nocilla Experience sono serviti a indicare, un po'
impropriamente, una intera generazione di giovani scrittori), l'audace Isac
Rosa di El vano ayer, l'inspiegabilmente mai tradotto Julian Rodriguez (Lo
improbable y otras novelas, La sombra y la penumbra), da segnalare sia come
autore che come editor della incantevole casa editrice Periferica, e le
sorprendenti Mercedes Cebrian (El malestar al alcance de todos), Elvira
Navarro (La ciudad en invierno) e Patricia Esteban Erles (Manderley en
venta) sembrano insomma destinati a intendersi meglio con i nonni che con i
genitori.
Dalla parte opposta troviamo la consistente pattuglia di coloro che
fabbricano in serie "storie da divorare", romanzi di intrattenimento piu' o
meno facili e ben confezionati che aspirano alle stesse superventas di
Zafon, di Matilde Asensi o di Ildefonso Falcones (dopo La catedral del mar,
e' appena uscito il suo La mano de Fatima). La Spagna, infatti, e' una
formidabile produttrice di polpettoni a sfondo storico, di fantasy come
quelli della giovane e vendutissima Laura Gallego, di romanzi di avventure,
o gotici, o esoterici, o tutte queste cose insieme.
Invece di comprare prodotti del genere sul mercato americano, che ne sforna
di continuo e in quantita' industriale, gli spagnoli hanno da tempo deciso
di produrseli in casa inventandosi una serie di Dan Brown in sedicesimo: di
questi libri molti, abilmente pilotati da editor pazienti, non solo hanno
conquistato i loro compatrioti, ma anche i lettori stranieri. E, nonostante
sia perfettamente lecito chiedere alla "cosa scritta" di essere innanzitutto
redditizia e di intrattenere senza pretese il grande pubblico, leggendo
Falcones o Zafon viene comunque spontaneo fare tanto di cappello ad autori
di solido mestiere, come Arturo Perez Reverte, famoso giornalista e inviato
di guerra poi passato alla letteratura, che rinnova i fasti della vera,
grande letteratura popolare. E come non rimpiangere, davanti all'abbondante
produzione di chick-lit made in Spain, la modesta e impavida Corin Tellado,
scrittrice asturiana nata nel 1927 e morta nell'aprile di quest'anno, che ha
scritto oltre quattromila romanzi rosa e, con i suoi quattrocento milioni di
copie vendute, e' l'autrice di lingua spagnola piu' letta dopo Cervantes?
Tra questa enorme quantita' di carta stampata destinata al mass market, alla
scalata delle classifiche e a un legittimo relax sotto l'ombrellone, e
l'audacia a volte incredibilmente promettente, a volte ingenua, di un certo
numero di nuovi scrittori - sostenuti da marchi editoriali come Periferica,
Dvd, Lengua de Trapo e altri ancora, e soprattutto da Caballo de Troya,
guidato da un editor fuori del comune qual e' Constantino Bertolo e
proprieta' della Random House Mondadori - c'e', oltre a una vigorosa novela
negra di buonissima qualita' (ultimo nome da tenere d'occhio: l'ottimo
Montero Glez), il ventre molle di una vasta produzione media che e' andata
dilatandosi a partire dagli anni '80 e che si puo' etichettare senz'altro
come dimenticabile, sia essa dignitosa o pretenziosa, esangue o rianimata da
coloranti artificiali, fintamente trasgressiva alla Almudena Grandes o
fintamente ribelle alla Lucia Extebarria, ma comunque partecipe di "una
cultura dell'effimero, pubblicitaria, deperibile, occasionale come una
canzone o un libro di moda", come scrive Justo Navarro, romanziere originale
e critico assai acuto.
Ci sono, poi, ovviamente, le eccezioni: autentici e pregevoli scrittori di
eta' e impostazione diversa, alcuni dei quali dopo la fine del franchismo
hanno avuto un ruolo di primo piano nella nascita di quella che si potrebbe
definire la letteratura della transizione, e continuano oggi a dare un
notevole (o semplicemente onesto, il che e' gia' molto) contributo al
romanzo spagnolo. Tanto per fare dei nomi: ovviamente Javier Marias, Enrique
Vila-Matas, Javier Cercas (il suo ultimo libro, Anatomia de un instante, e'
la minuziosa dissezione del tentato golpe del febbraio 1981), Manuel Rivas,
Antonio Munoz Molina (a novembre uscira' il suo La noche de los tiempos,
romanzo di mille pagine sugli esiliati spagnoli durante il franchismo),
ovvero i piu' noti all'estero, anche se, a guardare meglio, ci sarebbe ben
altro da scoprire; il decano Ramiro Pinilla, ultraottantenne basco a lungo
ignorato e caso letterario di questi ultimi anni; Eduardo Mendoza, scrittore
finissimo e autore di uno dei piu' bei "classici moderni" della Spagna di
oggi, La ciudad de los prodigios; il prolifico Luis Mateo Diez, che nel suo
ultimo romanzo, El animal piadoso (appena uscito in Spagna) ha ceduto al
fascino della novela negra, e l'appartato, solido Rafael Chirbes, che nel
2008 ha pubblicato il suo romanzo piu' bello, Crematorio (in Italia e'
uscito presso Garzanti), ritratto spietato delle illusioni perdute della
sinistra e della Spagna della speculazione edilizia. E poi il fluviale Luis
Landero (Hoy Jupiter), Ignacio Martinez de Pison il cui ultimo libro di
racconti, Aeropuerto de Funchal, e' una sorta di album dal sapore
checoviano, l'irresistibile Eduardo Mendicutti, voce esilarante e amara dei
gay spagnoli, Alvaro Pombo, che pubblica ora Virginia o el interior del
mundo, annunciato come il piu' avvicente dei suoi complessi romanzi, e Felix
de Azua, saggista intelligentissimo, poeta, romanziere bizzarro almeno
quanto lo sono Javier Tomeo (aragonese eccentrico che dal 1967 a oggi ha
pubblicato praticamente ogni anno un nuovo libro surreale e corrosivo) e
Felipe Benitez Reyes, del quale sta per uscire Oficios estelares.
A loro e ad altri (tentare di citarli tutti sarebbe come voler vuotare il
mare con un cucchiaio) e' affidata oggi la buona sorte di una letteratura
che, per quanto i grandi gruppi editoriali dispieghino la loro considerevole
potenza di fuoco in nome di una vendibilita' planetaria, per fortuna non
riesce a omologarsi sino in fondo, ossia a perdere alcuni tratti
caratteristici che la rendono unica e mai completamente assimilabile a
qualsiasi altra letteratura europea.
Il primo tratto peculiare e', indubbiamente, l'inarrestabile fiume delle
narrazioni dedicate alla guerra civile, che dalla fine degli anni '30 a oggi
non ha mai smesso di attraversare il romanzo spagnolo: non un semplice
sedimentarsi di memorie, un modo per scardinare la rimozione e un lungo
silenzio o un continuo affiorare di corpi e nomi e dolori (cosi' come stanno
finalmente affiorando le tombe ignorate di quanti sono scomparsi nel corso
di qualche atroce paseo), ma anche pozzo inesauribile colmo di storie, di
personaggi, di intrecci cui generazioni diverse non smettono di attingere.
*
Da altre sponde
Il secondo e' la pluralita' di lingue che in seno alla nazione spagnola
danno vita a letterature "straniere" e familiarissime, illustri e antiche
come quella catalana, piu' sommesse come la basca e la gallega, ma comunque
fonte di contraddizioni salutari.
Il terzo e' la otra orilla, l'altra riva, la remota e immensa sponda
latinoamericana con il suo tumulto di scritture e di linguaggi: uno spagnolo
mutante, vitale, magnificamente corrotto e in perpetuo movimento, occasione
straordinaria di confronto e scambio. Uno scambio che ha visto scrittori in
esilio attraversare l'oceano nei due sensi, e che oggi, in virtu' di un
volontario destierro, fa di Madrid e Barcellona due capitali della
letteratura hispanoamericana, grazie agli autori venuti dalla Colombia, dal
Peru', dall'Argentina, dal Messico, dal Cile, come Rodrigo Fresan, Santiago
Roncagliolo, Juan Gabriel Vasquez e molti altri, che hanno scelto di vivere
e scrivere in terra spagnola.
Non per niente le ultime edizioni di due grandi premi letterari, l'Alfaguara
e l'Herralde, le hanno vinte un argentino giovanissimo, Andres Neumann, e un
messicano di mezza eta', Daniel Sada. Ed e' interessante notare che dietro
la nuovissima letteratura spagnola ci sono spesso giovani autori nutriti di
letteratura latinoamericana, al punto da avere piu' cose in comune con
Bolano o con Cortazar che con i loro compatrioti. Una ibridazione
meravigliosa, questa, che ha come base una lingua comune e che rappresenta
una sconfinata ricchezza sempre a portata di mano, nonche' una possibilita'
di rinnovamento continuo, che in Europa ben pochi possono permettersi.
*
Postilla. Nuovi orizzonti. L'e-book alla conquista del mercato editoriale
Nel corso degli ultimi due anni l'editoria spagnola ha dedicato una grande
attenzione al cosidetto e-book. Planeta, Santillana e Random House Mondadori
sono protagonisti di un recente accordo con gli agenti letterari che intende
assicurare i diritti "digitali" a chi gia' possiede quelli di stampa, per
poi commercializzare gli e-book attraverso le librerie, grazie ad appositi
codici che permettano di scaricare i testi. Un'altra cordata, di cui fanno
parte alcune case editrici catalane e Ferran Soriano, presidente di Spanair,
si e' costituita per occuparsi della distribuzione di e-book in Spagna e in
America Latina. E Algaida, marchio del gruppo Anaya, offre gia' 50 titoli
digitali che potranno essere scaricati attraverso il portale
www.biblioandalucia.com, nonche' in diverse catene di librerie. A cura della
Bubok, azienda la cui principale attivita' e' la stampa su domanda, si sta
infine organizzando la prima Feria del Libro Digital, che dovrebbe tenersi
in dicembre a Madrid.

3. LETTERATURE. VALENTINA PARISI: LETTERATURA TEDESCA OGGI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2009 col titolo "Atlante
letterario. Coniugati al tempo presente. Intimita' tedesche" e il sommario
"Minimalistica nella forma e intimista nel contenuto, la recente letteratura
tedesca sembra aggrapparsi all'hic et nunc abbandonando la riflessione
storico-sociale che aveva caratterizzato la cosiddetta Wendeliteratur, la
'letteratura della svolta' legata alla caduta del Muro. Frequenti le
incursioni dei giovani scrittori nel romanzo familiare e nella sua variante
etno-geografica"]

Nell'ormai classico La misura del mondo (2005) Daniel Kehlmann, ricostruendo
un dialogo immaginario tra Alexander von Humboldt e il piu' illustre fisico
sperimentale del '700 tedesco, Georg Christoph Lichtenberg, getta sul
tappeto con la sua consueta nonchalance uno scambio di battute che potrebbe
servire egregiamente da epigrafe a quanto prodotto dalla giovane narrativa
tedesca negli ultimi cinque anni: "Humboldt arrossi'. Dunque se un autore
decidesse di scegliere un passato remoto come sfondo della sua storia,
starebbe compiendo un'impresa sciocca. Lichtenberg lo fisso' con i suoi
occhi sottili. No, rispose. Pero' un po' si'". Retrocedendo fino al XVIII
secolo alla ricerca di un'ambientazione adatta per il suo romanzo filosofico
centrato sull'aspirazione della scienza a descrivere il mondo, lo scrittore
ora trentaquattrenne si rendeva conto di compiere un'operazione
controcorrente rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei e con
un'allusione criptica ne segnalava ironicamente l'inattualita'.
Minimalistica nella forma e intimista nel contenuto, la recente letteratura
tedesca sembra infatti aggrapparsi all'hic et nunc come unica dimensione
effettiva della realta', rifuggendo dalla riflessione storico-sociale che
aveva caratterizzato la cosiddetta Wendeliteratur (la "letteratura della
svolta", imperniata sugli eventi legati alla caduta del Muro) e arroccandosi
nell'atmosfera claustrofobica di interni domestici segnati dall'alienazione,
dall'indifferenza o da una rassegnata anaffettivita'. Persino le non
infrequenti incursioni nel romanzo familiare alla Buddenbrook e i
conseguenti sconfinamenti nelle sabbie mobili della storia patria appaiono
motivati da una esigenza panica di sopperire al vuoto del presente - o di
comprenderne quantomeno le ragioni.
*
Scene di impasse affettiva
"Non sono niente, nient'altro che una sagoma chiara, questa mattina, il
reiterato riflesso di una vita conclusa da anni, la copia spudorata della
prima frase di un libro": questo e' l'incipit dell'Ora tra il cane e il lupo
(2007, tradotto l'anno dopo da Voland), brillante romanzo di esordio di
Silke Scheuermann, nata a Karlsruhe nel 1973. A parlare e' una giornalista
trentenne che ha sempre nutrito qualche complesso di inferiorita' nei
confronti dell'inarrivabile sorella maggiore, la pittrice Ines, e che,
paradossalmente, continuera' a calcarne le orme anche quando l'immagine
perfetta che si era costruita di lei andra' in frantumi. Quando infatti,
dopo una lunga separazione, l'io narrante scoprira' che Ines ha problemi di
alcolismo, lo shock non le impedira' di intraprendere una relazione col suo
ragazzo, Kai. Con uno stile a dir poco lapidario, la Scheuermann ripercorre
le tappe di questa detronizzazione tardiva, costruendo un universo a se' in
cui il riserbo dei personaggi confina con l'autismo e la loro incapacita' di
travalicare l'attimo presente con la disperazione.
Un'impasse affettiva sostanzialmente analoga e' al centro della Scrittura
dell'amico dell'austriaca Barbara Frischmuth, romanzo non recentissimo (e'
uscito nel 1998), ma fondamentale per mettere a fuoco l'evoluzione del tema
dell'Altro nella letteratura di lingua tedesca. "Anna sa che il cuore e' un
fattore di rischio, ma per adesso lo ha impacchettato ben bene" - questo
l'inequivocabile punto di partenza di un testo ben congegnato, ma dai
meccanismi un po' troppo scoperti. La protagonista, Anna Margotti, e' una
programmatrice di talento che lavora a un fantomatico software di nome
Pacidius, utilizzato per schedare immigrati potenzialmente pericolosi. Nello
scarso tempo libero a sua disposizione, la ventitreenne trascina un'insipida
relazione con un funzionario del ministero degli interni molto piu' anziano
di lei, evitando di porsi troppe domande. Quand'ecco che l'incontro
inaspettato con Hikmet, un giovane turco della comunita' alevita di Vienna,
la costringe a uscire dal suo universo informatico e a confrontarsi con le
conseguenze reali delle proprie azioni. Anna capira' cosi' che lei e gli
altri programmatori che lavorano su Pacidius non sono altro se non "gregari,
piccoli esecutori senza scrupoli che aiutano il sistema a tirar fuori le
unghie". Nello stesso tempo, scoprira' un mondo parallelo, fondato sul
calore umano e sulla solidarieta', nonche' una cultura affascinante dove la
scrittura non ha un carattere prettamente denotativo e utilitaristico come
in Occidente, ma puo' essere appresa e trasmessa come un'arte.
Ben documentato (l'autrice nata nel 1941 ha studiato turcologia e iranistica
negli anni '60), La scrittura dell'amico soffre tuttavia di un atteggiamento
che si sarebbe tentati di definire "orientalista": giunti al termine del
libro - che si conclude con la morte di Hikmet, vittima predestinata di
Pacidius - resta ineliminabile la sensazione che la "Turchia" non sia che un
mero espediente narrativo finalizzato a far comprendere ad Anna
l'alienazione dell'ambiente in cui vive. Fortemente idealizzato, l'Altro
assolve qui a un compito consolatorio nei confronti della cattiva coscienza
dell'Occidente, limitandosi a risollevare - in tono peraltro assai garbato -
quelle domande che gli abitanti dell'Austria Felix preferiscono non porsi.
Non a caso, Hikmet affermera' di essere su questa terra per capire "cio' che
da' senso alla vita, per esempio il modo in cui viviamo qui. A casa, eppure
non nella nostra terra. In mezzo a voi, eppure in un ghetto. A volte ho
l'impressione di dover reinventare tutto, anche come svegliarmi la mattina".
Ma sullo sfondo sostanzialmente aconflittuale creato dalla Frischmuth, per
superare il trauma della scomparsa di Hikmet, ad Anna bastera' lasciare il
suo posto di lavoro e mettersi in affari con una vicina turca esperta di
informatica di cui aveva ignorato a lungo l'esistenza.
Chi di certo non e' ne' garbato ne' consolatorio e' Feridun Zaimoglu, nato
in Anatolia nel 1964, ma trasferitosi a due anni in Germania insieme ai
genitori. Fortemente critico sia verso il multiculturalismo romantico alla
Frischmuth, che verso lo stereotipo del "buon Ali'" integrato, diffuso dalla
Gastarbeiterliteratur (la prima definizione assegnata negli anni '70 al
fenomeno noto ora come "letteratura dei migranti"), Zaimoglu ha tentato sin
dalle sue prime prove di raccontare i propri connazionali cosi' come sono, e
non come i tedeschi vorrebbero che fossero. In Kanak sprak (1995) e in
Abschaum (Schiuma, 1997, tradotto da Einaudi nel 1999) lo scrittore ha
conferito dignita' letteraria alla lingua storpiata e infarcita di turcismi
dei kanaken (termine dispregiativo che designa i figli degli immigrati),
rielaborandola in un flusso verbale di eccezionale potenza ispirato - tra
l'altro - alla violenza sonora del rap.
Nel romanzo-monologo German Amok (2002, uscito nel 2008 per Isbn) l'io
narrante e' un pittore turco che, in attesa di addobbare "i salotti di
Berlino con grandi tele stridule come allarmi", mette alla frusta sia
l'ambiente artistico della capitale, insopportabilmente vacuo e pretenzioso,
sia l'ipocrisia della comunita' turca (qui impersonata dal religioso che
chiede al protagonista di procurargli un'amante bionda e tedesca). Ma
sarebbe un'ingenuita' credere che l'alter ego di Zaimoglu sia in grado di
contrapporre alla "metropoli marcia e maledetta in eterno" una forma di
purezza primigenia, in virtu' della sua origine differente. Anzi: il colpo
di genio dell'autore sta proprio nel mostrarlo corrotto tra i corrotti,
impegnato a fornire eterogenee prestazioni sessuali a una performer assai in
voga - lui, reazionario artista figurativo! - in cambio di eventuali
entrature nell'ambiente radical chic che tanto disprezza. Infrangendo ogni
cliche' identitario (innanzitutto quello politically correct del migrante
"buono"), Zaimoglu si appropria del genere arcitedesco del Berlinroman - il
romanzo di ambientazione berlinese - confezionandone una variante biliosa di
crudezza pressoche' intollerabile.
Alla tendenza minimalista cosi' clamorosamente violata dall'espressionismo
di Zaimoglu si riallaccia anche Annette Pehnt con il suo romanzo Mobbing
(2007). Che cosa succede all'interno di una coppia quando la sua meta'
maschile viene licenziata "senza giusta causa"? Quali dinamiche di
autoflagellazione e denigrazione reciproca si innescano tra i coniugi? E,
soprattutto, e' davvero sensato cercare di lavorare a tutti i costi? In
altri termini: vale veramente la pena spendere gli ultimi soldi per un
avvocato, farsi riassumere e finire ghettizzati a svolgere mansioni
fittizie, inutili per se stessi e per gli altri? Tutte domande che l'ottimo
testo della Pehnt lascia aperte, sottolineando quanto sia difficile
emanciparsi dalla "schiavitu' del lavoro", ossia da quell'aura di
tranquillizzante normalita' derivante dall'avere un impiego, al di la' di
qualsiasi reale esigenza economica.
L'orientamento privilegiato sul presente viene ovviamente meno nel romanzo
familiare, genere coltivato dai giovani narratori tedeschi con singolare
pervicacia e risultati alterni. Se decisamente sopravvalutato appare Va
tutto bene di Arno Geiger (2005, vincitore del Deutscher Buchpreis), indizi
assai piu' convincenti di originalita' emergono da Wallner beginnt zu
fliegen (Wallner inizia a volare, 2007, inedito in italiano) di Thomas von
Steinaecker. Distanziandosi dai procedimenti fin troppo classici del suo
collega austriaco (che in Va tutto bene narra la storia di uno scrittore
austriaco trentenne "costretto" da un'inattesa eredita' a fare i conti col
passato sommerso dei suoi parenti), von Steinaecker centra la sua ambiziosa
opera prima sulla contraddizione tra l'irrevocabilita' del destino umano e
l'eterna reversibilita' della parola scritta. Il risultato e' un testo
magnifico, soprattutto nelle ultime cento pagine, quando l'autore affida a
una giovane ricercatrice lesbica in crisi di identita' il compito
impossibile di tirare le fila sui destini della famiglia Wallner.
*
Quel che resta della Ddr
Una variante del romanzo familiare e' quella "etno-geografica" proposta da
Jenny Erpenbeck nel suo Heimsuchung (La visitazione, 2008). Riprendendo il
tema ampiamente esperito negli anni '80 della Ddr come Traumlandschaft,
ossia come luogo idillico in cui si sarebbero mantenute intatte le
occorrenze della cultura e del paesaggio tedesco, l'autrice nata a Berlino
Est nel 1967 eleva a protagonista del suo libro una casa sulle rive di un
lago del Brandeburgo, seguendo le alterne vicende dei suoi proprietari
dall'inizio del '900 a oggi. Una tendenza neoromantica decisamente estranea
a Jana Hensel, trentatreenne di Lipsia autrice nel 2002 di Zonenkinder. I
bambini della Germania scomparsa (Mimesis, 2009) che si riallaccia al
celebre interrogativo di Christa Wolf Was bleibt? per chiedersi che cosa
rimanga oggi della Ddr. Quasi nulla, e' la risposta incredula della Hensel
che inframmezza i suoi ricordi con fotografie in bianco e nero degli oggetti
quotidiani della sua infanzia - reperti archeologici spazzati via dalla lava
capitalistica tracimata con la caduta del Muro: "Ovunque anni '90. Sul
territorio della ex-Ddr sembra che non ci siano mai stati altri decenni".
*
Postilla. Giovani autori. Altri titoli in arrivo nelle nostre librerie
A eccezione della Frischmuth, nata nel 1941, gli autori di cui si parla sono
nati in un arco temporale che va dal 1964 (Zaimoglu) al 1977 (von
Steinaecker). Il romanzo della Scheuermann e' uscito nel 2007 per Voland
(trad. di Elvira Grassi e Nikola Harsch), insieme a La scrittura dell'amico
(trad. di Stephanie Kunzemann e Silvia Morante). Lo stesso editore
pubblichera' a breve anche i racconti della Scheuermann, Reiche Maedchen»
(Ragazze ricche). German Amok e' edito da Isbn nell'eccellente traduzione di
Margherita Belardetti e Elena Sinfisi (2008). Dello stesso autore era uscito
nel 2007 per Il Saggiatore Leyla (sempre tradotto dalla Belardetti). Va
tutto bene di Arno Geiger (trad. di Giovanna Agabio) e' edito da Bompiani
(2008). Infine le uscite piu' recenti sono quelle di Annette Pehnt (Mobbing,
Neri Pozza, 2009, trad. di Riccardo Cravero) e Jana Hensel (Zonenkinder: i
figli della Germania scomparsa, a cura di Karin Birge Gilardoni-Buch, trad.
di Maria Giovanna Zini, Mimesis, 2009).

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 371 del 7 settembre 2009

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