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La domenica della nonviolenza. 232
- Subject: La domenica della nonviolenza. 232
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Sep 2009 10:55:44 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 232 del 6 settembre 2009 In questo numero: 1. Il Museo storico della Liberazione ricorda Elvira Sabbatini Paladini 2. Vasily Aksenov 3. Luigi Onori ricorda Gianni Basso 4. Hyman Bloom 5. Steve Della Casa ricorda Armando Ceste 6. Roberto Silvestri ricorda Roberto Fandinho 7. Cristina Piccino ricorda Jean-Andre' Fieschi 8. Gabrielle Lucantonio ricorda Maurice Jarre 9. Tom Hayden ricorda Ted Kennedy 10. Maria Teresa Carbone ricorda Frank McCourt 11. Sergej Michalkov 12. Annamaria Rivera ricorda Michele Romito 13. Luigi Onori ricorda George Russell 14. Gianfranco Capitta ricorda Peter Zadek 1. LUTTI. IL MUSEO STORICO DELLA LIBERAZIONE RICORDA ELVIRA SABBATINI PALADINI [Dal sito del Museo storico della Liberazione di via Tasso a Roma (www.viatasso.eu) riprendiamo il seguente comunicato sulla scomparsa di Elvira Sabbatini Paladini sabato 29 agosto 2009] Il presidente, il comitato direttivo, i revisori dei conti, il personale, i collaboratori e le collaboratrici del Museo storico della Liberazione si uniscono con affetto al dolore dei familiari per la scomparsa della professoressa Elvira Sabbatini Paladini, Grande ufficiale al merito della Repubblica, Direttrice e vicepresidente del Museo. Ne ricordano commossi l'alto profilo etico e civle, il notevole impegno culturale ed educativo, la forte carica umana e la serena e mite fermezza nella difesa dei valori umani dell'antifascismo. Nel suo ricordo e in quello di Arrigo Paladini, artefici con Paolo Emilio Taviani del rilancio del Museo, si impegnano a proseguire con impegno l'opera di valorizzazione del Museo e delle memorie che custodisce. * La professoressa Elvira Sabbatini Paladini, scomparsa ad 88 anni, e' stata direttamente partecipe delle vicende della lotta clandestina contro l'occupazione nazista di Roma. In particolare, collaboro' all'attivita' del suo fidanzato Arrigo Paladini, sottotenente dell'esercito in missione clandestina in Roma occupata per gestire radiotrasmissioni d'informazioni al Regno del Sud. Egli fu catturato e torturato dai nazisti per oltre un mese in Via Tasso e scampo' fortunosamente alla morte al momento dell'arrivo degli Alleati (4 giugno 1944). Laureatasi in lettere durante l'occupazione nazista, dagli anni '60 insegno' per venticinque anni in alcune scuole medie e superiori della periferia romana e di comuni del Lazio. Dopo il pensionamento, insieme al marito prof. Arrigo Paladini, si dedico' al rilancio dell'attivita' del Museo storico della Liberazione, in collaborazione con il sen. prof. Paolo Emilio Taviani, che alla morte di Arrigo la nomino' direttrice e la propose al comitato direttivo del Museo come sua vicepresidente. In tali incarichi era stata finora ininterrottamente confermata. Mossa da generoso e profondo spirito educativo, nonostante le difficolta' della salute e dell'eta', richiestissima dalle scuole, ha continuato a guidare visite di studenti (l'ultima nella scorsa primavera) ed a rappresentare il Museo in occasioni ufficiali e a tenere conferenze e interventi per tenere viva la memoria della lotta per la Liberazione di Roma, dell'Italia e dell'Europa dall'occupazione e dalla minaccia nazista e per favorire l'affermazione dei diritti umani. Particolare rilievo, per la precisione e l'equilibrio, ebbe la sua testimonianza al processo Priebke. Molto apprezzati furono i suoi libri Il cammino della Liberta' (sull'esperienza di Arrigo) e La lezione di Via Tasso (corrispondenze con gli studenti che avevano visitato il Museo). 2. LUTTI. VASILY AKSENOV [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 luglio 2009 col titolo "Vasily Aksenov, dalla Siberia ai 'piani alti' di Mosca"] E' scomparso ieri, all'eta' di settantasette anni, lo scrittore russo Vasily Pavlovich Aksenov. Conosciuto in Italia soprattutto per la recente traduzione dei Piani alti di Mosca (Baldini e Castoldi), Aksenov era nato a Kazan' nel 1932 e aveva trascorso l'infanzia in Siberia, dove i suoi genitori erano stati deportati (sua madre, Evgenija Ginzburg, e' l'autrice di una importante testimonianze sui gulag: Viaggio nella vertigine). Dopo gli studi di medicina a Leningrado, raggiunse il successo con il suo secondo romanzo, Il biglietto stellato, pubblicato nel 1961. Autore di opere sempre piu' critiche verso la societa' sovietica, fu espulso dal Paese nel 1980. Trasferitosi negli Stati Uniti, nel 1989 torno' in Russia e nel 1992 ottenne un enorme successo con Moskovskaja saga (Saga moscovita), una straordinaria epopea ambientata negli anni dello stalinismo. 3. LUTTI. LUIGI ONORI RICORDA GIANNI BASSO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 agosto 2009 col titolo "Gianni Basso, il jazz italiano perde l'anima sax"] A settantotto anni se n'e' andato il sassofonista Gianni Basso, uno dei jazzisti italiani piu' celebri ed importanti del secondo dopoguerra. E' morto ieri all'ospedale di Asti, sua citta' natale che in luglio gli aveva dedicato un concerto al quale il famoso jazzista non era riuscito a partecipare ma che aveva visto sul palcoscenico astigiano l'amico trombonista Dino Piana. La vicenda di Basso e', allo stesso tempo, personale e rappresentativa di una generazione di jazzmen italiani che, superata la dipendenza dal modello americano, hanno saputo dialogare alla pari con i musicisti statunitensi, creare un proprio stile e insegnare alle giovani generazioni. Tra le sue scoperte vanno, infatti, annoverati i trombettisti Flavio Boltro e Fabrizio Bosso ed il pianista Stefano Battaglia, ma magnifici erano ancora i suoi recenti dialoghi con il piano del veterano Renato Sellani (Umbria Jazz Winter), insieme a Basso straordinario interprete di ballad. Trasferitosi giovanissimo con la famiglia in Belgio, Gianni Basso aveva li' studiato prima il clarinetto e poi il sassofono entrando precocemente nella band di Raoul Falsan. Al suo rientro in Italia, nel 1950, era un musicista gia' maturo come dimostrano l'inizio del lunghissimo sodalizio con il trombettista Oscar Valdambrini (con formazioni dal quintetto all'ottetto) ed il Sestetto Italiano. Le sonorita' del cool, che indubbiamente lo affascinarono, erano nel suo stile coniugate ad un tenorismo robusto. Fu apprezzato membro di numerose big band come quelle dirette da Kenny Clarke / Francis Boland, Maynard Ferguson e Thad Jones: la passione per le grandi formazioni gli e' sempre rimasta fino alla recente direzione della Torino Jazz Orchestra e alla conduzione della Basso Big Band Jazz School (erede della Basso Big Band), dove si coniugava con la passione per l'insegnamento. Gianni Basso va, inoltre, ricordato sia per l'apprezzata presenza nel mondo del pop (Mina lo volle al suo fianco insieme alla big band diretta da Gianni Ferrio per le strepitose serate 1972 alla Bussola) che per le importanti collaborazioni con jazzisti americani iniziate negli anni '50 e proseguite a lungo (Miss Bo, 1985, live con Slide Hampton): Gerry Mulligan, Chet Baker, Lee Konitz, Phil Woods, Art Farmer, Johnny Griffin, Zoot Sims, Buddy Colette, Dusko Goykovich, Sarah Vaughan. Nelle copiose incisioni di Basso ci piace ricordare due album che segnarono l'inizio dell'avventura discografica della Splasc(h) Records: Lunet (1982) e Maestro + Maestro = Exciting Duo ('83, con Guido Manusardi). 4. LUTTI. HYMAN BLOOM [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2009 col titolo "Addio a Hyman Bloom, primo degli espressionisti astratti"] Il pittore statunitense Hyman Bloom, considerato uno dei grandi precursori dell'espressionismo astratto americano, e' morto nella sua casa di Nashua, nel New Hampshire, all'eta' di 96 anni. Nato come Hyman Brunaviski da una famiglia ebraica ortodossa in Russia, Bloom arrivo' negli Usa nel 1920 e ben presto mostro' il suo precoce talento. Gia' nel 1940 con i pittori Jack Livine e Karl Zerbe, Bloom fu associato alla corrente chiamata "Boston Expressionism". Nel 1949 Bloom ottenne la Guggenheim Fellowship e nel 1950 fu uno dei sette artisti americani (tra i quali Arshile Gorky, John Marin, Jackson Pollock e Willem de Kooning) chiamato a rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia. Nel 1954 Pollock e de Kooning salutarono Bloom come "the first Abstract Expressionist artist in America", cioe' il primo artista dell'espressionismo astratto. 5. LUTTI. STEVE DELLA CASA RICORDA ARMANDO CESTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 aprile 2009 col titolo "E' morto Armando Ceste, regista tra la Fiat e Godard. Un militante con la passione eccentrica per le immagini"] Armando Ceste ha avuto almeno due vite. Una professionale: e' stato uno dei grafici piu' inventivi e creativi della scena torinese, specializzato in comunicazione di spettacoli (Movie Club, Aiace, Torino Film Festival, ma non solo). E una vita artistica e militante: la capacita' di attraversare fasi politiche distanti tra loro come ere geologiche mantenendo intatto il suo rigore, il suo impegno, la sua capacita' di coinvolgere. Con altri militanti di Lotta Continua lavora dal 1968 al 1976 al Collettivo Cinema Militante di Torino, uno dei piu' attivi sul territorio nazionale. Filma scioperi, cortei, picchetti, assemblee, ma non si limita a questo. La sua agenda (e quella di Gianfranco Torri) ci rivelano un numero incredibile di proiezioni, dibattiti, presenze: e tutto questo e' riportato in una pubblicazione del 1984, curata anche da lui. Un circuito parallelo fatto con un cinema che nega se stesso come intrattenimento e sceglie di essere soprattutto stimolo alla discussione politica. Come teorizzava Jean-Luc Godard, come scriveva "Ombre rosse". Li cito perche' sono due riferimenti importanti per Armando Ceste. A Godard dedichera' indirettamente un omaggio nel 1996, con un cortometraggio-intervista ad Anna Karina, icona godardiana di sempre. Nonostante l'eccentricita' della scelta, infatti, la sua passione per il cinema non viene mai meno. Il suo Metropolix era una specie di inversione militante del film di Lang con lo sciopero che trionfa (e una fisarmonica che accompagna live la proiezione), la sua intervista a Jean-Marie Straub e' uno dei piu' radicali sguardi di insieme rispetto al cineasta piu' radicale del cinema contemporaneo, Il rock mi ha salvato la vita e' un atto d'amore rispetto a Wenders, citato fin nel titolo. I suoi film partecipano a festival, rassegne, incontri. Vincono premi (l'ultimo e' stato a dicembre scorso, un premio Torino Set per la carriera che gli aveva fatto molto piacere e lo aveva visto gia' malato, ma lucido e indomito, come piace ricordarlo). Tutto sommato, i festival erano solo un modo per far circolare i suoi prodotti. Gli interessava molto di piu' progettare iniziative, attualizzare i contenuti, mantenere alta la soglia dell'indignazione civile che traspare in tutti i suoi lavori. Tant'e' vero che il suo attore di culto rimane Donato D'Ambrosio, mitico operaio Fiat di Lotta Continua che appare in molti suoi film e ha un lavoro a lui stesso dedicato (Donato) che e' un piccolo capolavoro di dolcezza e di pudore. Ad Armando Ceste non e' mai interessato il passato, piuttosto il presente e il futuro. Lui che aveva in mano quasi tutte le riprese dell'autunno caldo e della grande stagione degli scioperi a Torino consentiva l'utilizzo di quei materiali solo a chi lo faceva per parlare dell'oggi, non per operazioni nostalgia variamente assortite. E quando si e' accorto di avere tra le mani uno straordinario documento, il finto golpe messo in scena da Dario Fo subito dopo quello di stato in Cile, ha voluto commentarlo con Fo stesso per poter parlare di come gli attentati alla democrazia abbiano oggi altra forma rispetto a quella del macellaio Pinochet ma siano altrettanto insidiosi. Il risultato e' un video, Aria di golpe, che e' stato distribuito dal "Manifesto". Ceste e' un bell'esempio di coerenza interiore che si mantiene sui fatti, non sulle apparenze o sulle dichiarazioni di principio. Per lui il passato non e' formule magiche intoccabili e nemmeno un'eta' dell'oro, ma una memoria dalla quale partire per cambiare il presente. Senza schematismi ne' atti di fede. Ma con una grande capacita' di indignarsi e di progettare futuro. 6. LUTTI. ROBERTO SILVESTRI RICORDA ROBERTO FANDINHO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 agosto 2009 col titolo "Cinema cubano in esilio. E' morto Roberto Fandinho"] E' morto qualche giorno fa a Miami il cineasta e scrittore cubano Roberto Fandinho. Aveva 79 anni, meta' passati in Spagna. Per Jesus Franco curo' il montaggio dei cult movies Las melanconicas, Um silencio de tumba e La maledicion de Frankenstein (1971-1973). Fandinho infatti nel 1969, dopo dieci anni di esperimenti socialisti, anche eroici, e pur rimanendo un rivoluzionario "a tutto campo", preferi' convivere con la dittatura (ormai in decomposizione) di Franco, soprattutto dopo l'appoggio di Castro alla repressione della primavera di Praga nel 1969 e vista l'ostilita' e la censura contro alcuni suoi film. Nato a Matanzas, Fandinho partecipo' alla nascita del cinema cubano e dell'Icaic (Istituto cubano dell'arte e dell'industria cinematografica). Dopo una dozzina di corti e documentari militanti e descamisados, girati come regista tra il '60 e il '63 (Esposizione cubana a Cuba, Primo maggio socialista, Cuba all'VIII festival...) furono tre suoi film a allertare i censori: Alfredo va alla spiaggia, Gente di Mosca e il lungo El Bautizo (1968), mai proiettato se non clandestinamente nell'isola, tranne un tardivo omaggio nel 1999. A Roma, dove studio' estetica, fu profondamente segnato dal suicidio, nel '69, dello scrittore esule Calver Casey. Tra le sue opere ricordiamo i film spagnoli La mentira (1975), di cui scrisse anche la sceneggiatura; La espuela (1976); Maria la santa (1977); La antorcha (1979); La macha triste (1980); El jueves y otra cosas (1980). Partecipo' anche al film di culto messicano Santo frente a la muerte(1969), sull'eroe popolare la cui mitica maschera ispiro' il subcomandante Marcos. Recentemente aveva firmato un appello contro l'arresto a Cuba, nel marzo scorso, di 79 dissidenti. 7. LUTTI. CRISTINA PICCINO RICORDA JEAN-ANDRE' FIESCHI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 luglio 2009 col titolo "Fieschi, critico viaggiatore nel cinema"] I racconti degli amici sono increduli, dolorosamente stupefatti. Jean-Andre' Fieschi se ne e' andato all'improvviso, a San Paolo, in Brasile, mentre parlava di Jean Rouch in un colloquio internazionale dedicato dalla Cineteca al regista di Moi, un noir. Fieschi aveva disegnato di Rouch un ritratto intimo, che cercava di arrivare all'essenza del suo cinema in Mosso Mosso, Jean Rouch comme si ('98) gioco di messinscena che ci mostra Rouch al lavoro in Africa, sul fiume Niger "come se", presupposto questo che permetteva a Fieschi di avvicinarne il metodo e le complicita'. Ma la filmografia di Jean-Andre' Fieschi e' lunghissima: critico, regista, attore, e' il professor Heckel in Alphaville ('65), il capolavoro di Godard, e compare anche in Rogopag ('63). Nato ad Ajaccio, nel '42, da ragazzino si innamora delle immagini di Bambi. Chissa' se e' li' che scopre l'amore per il cinema, pero' a vent'anni approda ai "Cahiers", e' l'epoca di Eric Rohmer, ci resta fino al '68, quando arriva Jacques Rivette, scrive, organizza incontri, e' il periodo fertile e appassionato della rivista dove e' insieme a Jean Louis Comolli e a Jean Narboni. Nel frattempo e' anche critico per "Le nouvel observateur", gira un film, L'Accompagnement ('65), montato da Jean Eustache, dove si racconta la storia di un musicista che deve consegnare la partitura per un film, preferendo invece inseguire una bella ragazza conosciuta nel parigino parc Monceau. Insieme a Noel Burch, Fieschi fonda l'Ifc (Istituto di formazione cinematografica), atelier dell'utopia che affida i suoi corsi e ricerche a Borowczyk, Duras, Godard, Marcel Hanoun, Metz, Claude Ollier, Resnais, Rivette, Jean Rouch, Robbe-Grillet... Tra il '66 e il '68 Fieschi partecipa alla serie, ideata da Janine Bazin, "Cineastes de notre temps", ama l'Italia, Roma, e uno dei suoi episodi e' dedicato al cinema di Pasolini, il magnifico Pasolini l'Enrage'. Ci sono poi L'Herbier, Dulac, Epstein, i testi radiofonici, L'histoire vivante, sulla memoria del movimento operaio, star Jacques Duclos, codiretto insieme a Bernard Eisenschitz. Professore all'Idhec, studioso di teatro, antropologo come ci dice il suo Le Jeu des voyages, (1987-2004), un diario filmato che attraversa quindici anni di amori cinefili, viaggi, amici: Fieschi e' stato una figura di intellettuale appassionato, curioso, la cui scommessa era mantenere il proprio orizzonte sempre aperto. 8. MEMORIA. GABRIELLE LUCANTONIO RICORDA MAURICE JARRE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 marzo 2009 col titolo "Maurice Jarre, l'epica su grande schermo" e il sottotitolo "Lutti.Tre oscar e 150 colonne sonore da film"] Chi non ha canticchiato almeno una volta il Tema di Lara, il tema piu' noto del Dottor Zivago (1965) di David Lean, uno dei piu' conosciuti della storia del cinema? Il suo autore, il compositore francese Maurice Jarre, autore di piu' di 150 colonne sonore per il cinema, e' morto a Los Angeles a 84 anni dopo una lunga malattia. Nato a Lyon il 13 settembre 1924, Maurice Jarre durante gli studi di percussioni, composizione ed armonia al Conservatorio di Parigi, incontro' e studio' con Joseph Martenot, inventore delle "Onde Martenot", che annunciavano le tastiere moderne e che Jarre utilizzera' nelle sue prime colonne sonore. "Ho sempre cercato - spiegava Jarre - di includere dei suoni inusuali nelle mie partiture. Ho utilizzato le Onde Martenot sia per Franju che per Lean. E' l'antenato del sintetizzatore ma ha dei suoni che non si possono riprodurre con i sintetizzatori odierni". Agli inizi degli anni Cinquanta, Jarre divento' il direttore musicale del Theatre National Populaire di Jean Vilar, per il quale scrisse la sua prima musica per il Principe di Homburg che verra' interpretato ad Avignone da Gerard Philipe. Ed e' proprio nella "citta' dei papi", durante il celebre festival teatrale, la svolta nella vita professionale del musicista grazie all'incontro con il regista Georges Franju che gli chiese di realizzare le musiche del suo documentario Hotel des Invalides, al quale seguiranno i due lungometraggi La fossa dei disperati nel 1958 e Occhi senza volto nel 1960. Non solo occasione di vita ma anche crescita professionale; a fianco di Franju Jarre imparo' a lavorare sia su toni sobri e sfumati, sia nei sontuosi temi che caratterizzeranno la sua intera produzione. "La musica doveva per Franju essere sempre in contrappunto - spiegava Jarre -, sempre contro l'immagine, non doveva mai illustrare la scena. Ho imparato questo con lui, ma anche molto tempo dopo con David Lean". La carriera di Maurice Jarre prese letteralmente il volo quando fu chiamato nel 1961 per lavorare al film di David Lean Lawrence d'Arabia, con Peter O'Toole e Omar Sharif. Compose due ore di musiche in sei settimane, registrandole interamente a Londra e si aggiudico' il suo primo oscar. Prosegui' con il Dottor Zivago, nel 1965, che gli porto' un altro oscar, La figlia di Ryan nel 1970 e La rotta delle Indie nel 1984 , ancora con Lean, per il quale ricevette il suo terzo oscar. Sul suo proficuo rapporto con il regista inglese, il compositore ricordava: "Con lui, si lavorava usando delle immagini. Mi diceva: 'Vedi questa scena, vorrei che la musica desse l'impressione che ci troviamo su una spiaggia con la nostra ragazza e che stiamo ascoltando il rumore del mare'. In La rotta delle Indie, c'e' una sequenza dove la protagonista passa in un giardino con delle sculture erotiche, e Lean mi chiese di trascrivere in musica quello che questa ragazza provava, perche' non poteva mostrarlo con la macchina da presa. Per me, una buona musica applicata al cinema deve dire quello che l'immagine non ha potuto dire. Deve colmare un vuoto". Un altro grande premio Oscar della storia del cinema, Ennio Morricone, ha speso parole di elogio nei confronti del collega scomparso: "Jarre non faceva musica leggera, faceva musiche imponenti e importanti. Un grande maestro nell'arte sinfonica del suo genere". Sempre per Morricone tutti gli Oscar attribuiti a Jarre sono stati "meritatissimi, ovvi. Anzi, ne avrebbe meritato qualcuno in piu'". Uno stile unico caratterizzato da musiche ricche di enfasi, ma che i suoi detrattori definivano spesso come "pura accademia". Nulla di piu' falso; quella di Jarre era ricerca, caratterizzata dall'uso di percussioni e di strumenti etnici nelle sue orchestrazioni, come la citara in Lawrence d'Arabia. Diceva: "Ho sempre desiderato integrare dei suoni provenienti da strumenti etnici, del Sudamerica, di Bali, della Polonia. Ho imparato al conservatorio di Parigi le origini delle musiche etniche, del Sud-Est dell'Asia, dei suoni russi con la balalaika che ho utilizzato nel Dottor Zivago, delle percussioni dell'Africa nera....". Tra le sue opere vanno citate anche almeno quelle realizzate per La caduta degli dei di Luchino Visconti nel 1969, Topaz di Alfred Hitchcock nel 1969, Sole rosso di Terence Young nel 1972, L'uomo che volle farsi re di John Huston nel 1975, Il tamburo di latta di Volker Schlondorff nel 1979, L'attimo fuggente di Peter Weir nel 1989 e Ghost - Fantasma di Jerry Zucker nel 1990. Il suo miglior lavoro per la televisione e' Gesu' di Nazareth di Franco Zeffirelli nel 1977. La sua ultima apparizione in pubblico risale all'ultimo Festival di Berlino, dove gli e' stato consegnato un Orso d'oro alla carriera. 9. LUTTI. TOM HAYDEN RICORDA TED KENNEDY [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 agosto 2009 col titolo "In morte di un democratico" e la nota redazionale "Attivista nei movimenti per i diritti civili e contro la guerra negli anni '60, storico protagonista del '68 americano, Hayden e' stato senatore della California; fa parte della corrente Progressive Democrats che ha dato il suo appoggio (critico e da sinistra) a Barack Obama. Autore di Ending War in Iraq (2008) e di The Long Sixties (2009)"] Nei suoi ultimi mesi era diventato l'ancora a sinistra della campagna di Barack Obama. Quando li ho visti insieme, all'inizio del 2008, non era facile per Ted Kennedy opporsi alla favorita del partito, Hillary Clinton, in nome di un giovane tribuno di belle speranze. Ma lui l'ha fatto. Ted Kennedy ha bordeggiato controvento. Se oggi fosse vivo, potremmo aspettarci una riforma sanitaria migliore di qualunque legge emergera' da questo Congresso. Forse il Senato potra' essere indotto ad approvare una riforma degna di questo nome, ma ne dubito. Se lui fosse vivo oggi, certo consiglierebbe al presidente di ritirare le nostre truppe dall'Afghanistan. E di farlo il prima possibile. Proprio come suo fratello Robert nel 1967 decise di prendere le distanze dalla politica del fratello John sul Vietnam. Il presidente sentira' la mancanza della saggezza di Ted Tennedy, tra il chiacchierio e i compiacimenti della nuova generazione di tecnocrati "brillanti e primi della classe". Se oggi fosse vivo, Ted Kennedy consiglierebbe diplomazia verso i nostri apparenti avversari, cosi' come si era schierato a favore del visto Usa a Gerry Adams, per permettergli di visitare l'America in cerca della pace per l'Irlanda. Kennedy fu favorevole al visto contro il parere del Dipartimento di Stato e della Cia dell'epoca. Se oggi fosse vivo, sarebbe piu' difficile per il partito democratico allontanarsi sempre piu' dalla sua eredita' progressista per vincere a ogni costo. Era troppo vecchio, aveva troppa esperienza, e sofferto troppe contrarieta' per cadere vittima delle ultime mode degli ambiziosi. Sapeva che il vento del cambiamento torna sempre a soffiare, anche nei momenti di riflusso. Incontrai Ted Kennedy la prima volta nel 1962, quando era il fratellino minore, gia' senatore degli Stati Uniti. Io odiavo il sistema di privilegi, mentre gran parte dei giovani della mia generazione attendeva l'inesorabile foglio di chiamata alle armi. Pensavo che i suoi fratelli fossero potenzialmente portatori di proposte progressiste, ma troppo imprigionati nella macchina politica dei democratici, troppo ambiziosi per adottare misure tecniche. Tutto comincio' a cambiare quando furono ingannati dalla Cia e dai loro stessi vertici militari alla Baia dei Porci, e poi di nuovo in Sud Vietnam, e giunsero a prendere in considerazione il ritiro dal Sud-est asiatico e l'arresto della terrificante corsa agli armamenti nucleari. Furono influenzati anche dallo spirito dei movimenti per i diritti civili e degli studenti. Poi arrivo' l'assassinio di Dallas, e poi l'assassinio di Martin Luther King, e poi quello di Bobby qui a Los Angeles. La totale follia di quegli eventi contribui' certo alla spirale verso il basso di Teddy. Il miracolo e' che ha sempre recuperato e alla fine ha restaurato e addirittura ampliato l'eredita' della famiglia Kennedy. Quando l'ho visto l'ultima volta, a un incontro informale nel suo ufficio al Senato, era come se fossero tornati tutto il suo senso dell'ironia, la sua gioventu', la combattivita', l'empatia per i movimenti. Se riteniamo che Ted Kennedy sia stato il piu' progressista ed efficace senatore degli Stati Uniti, le cui politiche evocano quelle di tutta la famiglia Kennedy, dobbiamo trarne una conclusione per la nostra generazione e per il paese nel suo insieme. Ed e' che se i due primi fratelli Kennedy non fossero stati uccisi, e' probabile che l'America avrebbe avuto un'altra evoluzione, progressista, senza Vietnam, senza rivolta e repressione dei neri, senza Nixon e Watergate: questa era la sola traiettoria che per Ted Kennedy avrebbe onorato l'eredita' dei suoi fratelli. Ecco perche', come scrisse Jack Newfield nel 1968, gia' quando eravamo ancora molto giovani, noi siamo diventati non una generazione che ha fatto, ma una generazione che avrebbe potuto fare. Ted Kennedy sapeva nel profondo che solo una nuova e convinta generazione di attivisti potra' risollevare l'America dalla vita di afflizione che lui, e tutti noi, abbiamo dovuto sopportare. 10. LUTTI. MARIA TERESA CARBONE RICORDA FRANK McCOURT [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 luglio 2009 col titolo "Frank McCourt, una misera infanzia voltata in bestseller"] Forse, anzi sicuramente, Le ceneri di Angela, il libro per cui e' famoso Frank McCourt, scomparso l'altro giorno settantottenne a New York per un melanoma, non e' un capolavoro. "Un libro modesto, scritto modestamente", lo aveva definito lo stesso autore all'indomani della sua pubblicazione per Scribner nel 1996 (in Italia il testo e' uscito un anno dopo nella traduzione di Claudia Valeria Letizia per Adelphi, casa editrice sempre assai abile nel conferire ai suoi titoli una patina di qualita'). Altrettanto sicuramente, pero', Le ceneri di Angela e' stato, non soltanto un gigantesco best seller (due anni di seguito in testa alle classifiche americane, quattro milioni di copie vendute solo nella versione hardback, traduzioni in un numero imprecisato di lingue, il premio Pulitzer nella sezione delle biografie, un film di Alan Parker), ma in qualche modo un modello, il capostipite di decine di memoirs che piu' o meno abilmente avrebbero sfruttato tremende sciagure di infanzia e gioventu' per sollecitare la commozione di folle di lettori, eternamente attratti dalla classica parabola "dalle stalle alle stelle". E che stalle! Fame, freddo, malattie, alcol, pulci... "Meglio affrontare la lettura delle Ceneri di Angela con il frigorifero ben rifornito, poiche' la fame dei protagonisti, poveri, irlandesi e cattolici, potrebbe risultare contagiosa", aveva scritto spiritosamente Elisabetta d'Erme recensendo sull'"Indice" l'autobiografia di McCourt. Nato nel 1930 a Brooklyn, lo scrittore era il maggiore di sette figli di una coppia di emigranti irlandesi. Durante la Grande Depressione, quando il piccolo Frank aveva quattro anni, la famiglia decise di fare ritorno in Irlanda, a Limerick, una scelta che non fece altro che aggravare il suo stato di poverta': tre familiari di McCourt morirono per gli stenti e lui stesso rischio' di morire di tifo. Abbandonata la scuola a tredici anni, il giovane mantenne la famiglia facendo piccoli lavoretti, prima di ritornare a diciannove anni negli Stati Uniti dove trovo' lavoro in un albergo di New York. Riusci' pero' presto a riprendere gli studi e a diventare insegnante, mestiere che fece per circa trent'anni, prima di decidersi a raccontare la propria storia, o qualcosa che le assomigliava. Tra i suoi altri libri, Che paese, l'America (1999) e Ehi, prof! (2005), tutti pubblicati in Italia da Adelphi. 11. LUTTI. SERGEJ MICHALKOV [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2009 col titolo "La scomparsa di Sergej Michalkov, poeta e autore dell'inno sovietico"] Il 27 agosto all'eta' di 97 anni e' morto a Mosca Sergej Michalkov, poeta, scrittore, padre dei registi Nikita Michalkov (premio Oscar nel 1994) e Andrej Koncalovskij. Autore dei testi di ben tre inni di stato, quello del 1944, quello del 1977 (dal quale vennero espunti i riferimenti a Stalin) e quello tutt'ora in uso del 2000, Sergej Mikhalkov e' stato personalita' influente della letteratura ufficiale sovietica. La sua lirica "Svetlana" fu apprezzata addirittura da Stalin. Autore di poesia di agitazione e poi cantore della Grande guerra patriottica (partecipo' all'epopea di Stalingrado), Mikhalkov e' noto anche per i suoi versi per l'infanzia e, in particolare, per il poemetto "Djadja Stiopa milicioner", cui si ispira un popolare cartone animato sovietico del 1964. I suoi libri per l'infanzia sono stati tradotti in molti paesi. 12. LUTTI. ANNAMARIA RIVERA RICORDA MICHELE ROMITO [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo settembre 2009 col titolo "La morte di Michele Romito. Un comunista eretico"] La notte del 30 agosto Michele Romito ci ha lasciati. Lo scugnizzo quindicenne di Bari vecchia, che il 9 settembre del 1943, guidando un gruppo di coetanei, arresto' a colpi di bombe a mano la colonna dell'esercito nazista che si apprestava a distruggere il borgo antico e il porto, e' morto a 81 anni in un letto d'ospedale, povero com'era sempre vissuto. E' soprattutto per merito del suo atto di coraggio che la citta' di Bari ha ottenuto, tre anni fa, la medaglia d'oro al valor civile. Solo in extremis le autorita' cittadine, pronte a esibirlo come fiore all'occhiello in ogni commemorazione antifascista, si erano ricordate delle sue condizioni d'indigenza, dignitosa quanto estrema, gratificandolo di una piccola somma e di una visita del sindaco. Dopo aver lavorato come portuale, poi come guardiano, Michele viveva, infatti, di una misera pensione sociale, in un basso della citta' vecchia, con la sorella anziana e malata come lui. Di famiglia comunista, Michele Romito e' rimasto comunista per l'intera sua vita. Un comunista eretico: agli albori degli anni '70 si uni' al Circolo Lenin di Puglia, il gruppo piu' importante della nuova sinistra pugliese, il piu' legato alla storia locale delle lotte bracciantili e operaie, il piu' capace di sollecitare conflitti e movimenti a partire da una conoscenza profonda della realta' pugliese. L'avevamo rivisto, Michele, il 27 giugno scorso in occasione di una splendida serata per il quarantennale della nascita del Circolo Lenin di Puglia, affollata di ex tutt'altro che reduci. Malgrado le pessime condizioni di salute, aveva voluto partecipare a quell'incontro e rassicurarci che "non e' finita, compagni, se ci sono anch'io". Adesso che non c'e' piu' sara' ancor piu' dura. 13. LUTTI. LUIGI ONORI RICORDA GEORGE RUSSELL [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 luglio 2009 col titolo "George Russell, la memoria del jazz"] Immaginare vivo George Russell (batterista, pianista, compositore, arrangiatore, teorico, didatta, bandleader) e' piu' facile che pensarlo non piu' in vita, ora che e' scomparso il 27 luglio sera per una serie di complicanze dovute al morbo di Alzheimer che lo affliggeva. Cosi' si puo' pensare Russell (Cincinnati, 1923) compositore/arrangiatore di Cubana Be Cubana Bop per l'orchestra di Dizzy Gillespie (1947) o di A Bird in Igor's Yard per Buddy DeFranco (1949), teorico del modalismo con il suo Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization (1953, uno dei testi sacri del jazz moderno), alla testa dei suoi formidabili sestetti con Eric Dolphy e Don Ellis nei primi anni '60, esule in Scandinavia a sperimentare ampie forme e modalita' contemporanee (Electronic Sonata for Souls Loved by Nature, 1969) con jazzisti europei come Jan Garbarek e Manfred Schoof. Negli anni '80 e '90 ha capeggiato la Living Time Orchestra, big-band rigenerante ed eversiva in cui sono passati Ian Carr, Andy Sheppard, David Fiuczynski. La scomparsa di Russell ad 86 anni e' una perdita grave per il jazz non per il luogo comune della fine di un'era, piuttosto per la dipartita di un personaggio che era una memoria vivente della musica afroamericana e un didatta di valore (fu al New England Conservatory), oltre che uno straordinario propulsore sonoro; aveva interpretato il jazz nel senso piu' ampio del termine, sempre aperto al nuovo (tematico e tecnologico) e mai come un linguaggio chiuso. Nella sua ispirata suite The African Game (1983) convivevano stili, suggestioni e panorami sonori che gia' si aprivano a livello planetario; quest'apertura, legata alla passione per il jazz ed alla volonta' di sistema, manchera' a molti. 14. LUTTI. GIANFRANCO CAPITTA RICORDA PETER ZADEK [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 luglio 2009 col titolo "Peter Zadek, padre del teatro tedesco"] Peter Zadek e' morto ieri, a 83 anni, ad Amburgo, dopo una lunga malattia. Era uno dei grandi padri del teatro tedesco degli ultimi decenni. Nato nel 1926 a Berlino, era fuggito con la famiglia, ebrea, ad Oxford all'avvento del nazismo. Era rientrato in Germania solo nel 1958, ma il suo segno e' da allora profondamente inciso nel teatro tedesco ed europeo. Fu un lettore attento e critico delle teorie di Brecht. Amava molto l'Italia, e da molti anni viveva lunghi periodi nella campagna lucchese, anche se a Berlino e' rimasta legata la sua storia d'artista. Oltre che regista rigoroso e geniale, era un notevole manager teatrale: aveva diretto il Teatro di Bochum, e poi la Deutsches Schauspielhaus berlinese; dal '92 al '94 era stato nella direzione a piu' mani, e tutte illustri, del Berliner Ensemble, con cui ha continuato a lavorare fino all'ultimo. Da li' viene il suo titolo piu' recente, applaudito in Europa lo scorso anno, Peer Gynt, con Angela Winkler protagonista. Aveva vinto in quella occasione il premio Europa per il teatro, ma sempre insofferente e ribelle, aveva imbastito una querelle sul fatto che, per eta' e malattia, aveva deciso di non andare a Salonicco a ritirare il premio, chiedendo che fosse piuttosto la giuria a portarglielo in Germania. Amava molto, oltre ai classici, il teatro contemporaneo: fu uno dei primi a mettere in scena Moonlight di Pinter, e Blasted di Sarah Kane (visto anche a Roma). Ma e' impossibile del resto dimenticare altri suoi spettacoli mozzafiato, realizzati attorno agli anni Novanta. Come un Ivanov cechoviano che cospargeva il palcoscenico di sedie, o il lucido e crudele Mercante di Venezia, ambientato a Wall Street, ascensori compresi. E che ebbe a Parigi una consacrazione mondiale. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 232 del 6 settembre 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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