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Voci e volti della nonviolenza. 350
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 350
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 14 Jul 2009 11:38:59 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 350 del 14 luglio 2009 In questo numero: 1. Anna Maiolatesi: Al Presidente della Repubblica 2. Anna Maria Crispino: Piena condivisione 3. Celeste Grossi: Al Presidente della Repubblica 4. Filippo Miraglia: Il governo dell'illegalita' 5. Pasquale Pugliese: Al Presidente della Repubblica 6. Salvatore Rapisarda: Al Presidente della Repubblica 7. Annamaria Rivera: Eterofobia e soggettivita' migranti (2002) 1. UNA SOLA UMANITA'. ANNA MAIOLATESI: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Caro Presidente Napolitano, insieme a tante altre persone, angosciate per le norme contenute nel cosiddetto "pacchetto sicurezza", Le scrivo per chiederLe di non ratificare quella legge, ma rinviarla alle Camere chiedendone la modifica in quelle parti che rendono disumani sia coloro che le hanno proposte, sia coloro che le subiscono e dunque disumane le scelte di tutti/e. Sono tante le ragioni che motivano la mia esigenza di scriverLe e di non tacere. Sono nata nelle Marche, la guerra era appena finita, la mia famiglia era poverissima, mio padre faceva il manovale e la mattina, quando andava a lavorare, per maneggiare i mattoni, si fasciava le dita con delle striscioline di stoffa che mamma preparava pulite ogni sera. Quando tornava dal lavoro le striscioline erano sporche di sangue. Ogni fatica di mio padre e mia madre, e la loro fatica e' stata tanta, aveva come obiettivo la possibilita', donata a me, di studiare e vivere meglio. La storia della famiglia di mio marito, medico in pensione, e' una storia simile alla mia: suo padre emigro' in Venezuela e mia suocera da sola ha cresciuto i figli. Queste storie sono comuni a tante famiglie e farne memoria significa ricordare l'impegno e la speranza dei nostri padri e madri. Insieme al benessere madri e padri hanno donato a noi, e questo non puo' essere dimenticato pena l'imbarbarimento, la capacita' di comprendere che la polis non e' lo Stato collocato fisicamente in un territorio, e' invece l'organizzazione delle persone cosi' come prende le mosse dal loro agire e parlare insieme. La certezza che fatti e parole creano tra le persone uno spazio dove collocarsi e apparire rende quello spazio, umanamente e politicamente, irrinunciabile. Abbiamo bisogno dello spazio affidato agli altri per distinguere tra pace e guerra civile, tra il diritto ad essere e il dover essere. Ne abbiamo bisogno per metter al mondo il "chi siamo". Ho detto ai miei figli che la nostra Costituzione nasce dalla certezza di questo bisogno. Con gratitudine e stima La saluto Anna Maiolatesi 2. UNA SOLA UMANITA'. ANNA MARIA CRISPINO: PIENA CONDIVISIONE Condivido pienamente l'iniziativa dell'appello al Presidente della Repubblica... 3. UNA SOLA UMANITA'. CELESTE GROSSI: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Egregio Presidente Napolitano, le chiedo di non firmare le misure sulla "sicurezza" approvate in Senato il 2 luglio. Albert Einstein diceva "Conosco una sola razza, quella umana". Presidente, faccio appello alla sua umanita'. Non firmi. Restiamo umani. Celeste Grossi Como 4. UNA SOLA UMANITA'. FILIPPO MIRAGLIA: IL GOVERNO DELL'ILLEGALITA' [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 luglio 2009 col titolo "'Legge sicurezza', diventiamo disobbedienti"] Molti hanno usato il termine "leggi razziali" per far comprendere la gravita' di quanto ha appena approvato il Parlamento italiano in materia di sicurezza. Anche noi dell'Arci ci siamo espressi cosi', pur suscitando qualche reazione infastidita; ma minimizzare e' un vizio che non possiamo piu' permetterci. Introdurre il reato di ingresso e soggiorno illegale vuol dire separare in maniera definitiva e concreta "noi" da "loro", gli italiani dagli stranieri. Commette reato, ora, lo straniero senza documento in regola, non chi si comporta male o aggira la legge italiana. In questo modo, si prende di mira non un comportamento, bensi' uno status. Sono tante le persone che perdono il permesso di soggiorno a causa della burocrazia e milioni coloro che, per avere un permesso di soggiorno, sono dovuti passare per un periodo di irregolarita', a causa della legge e non per scelta. Le forze dell'ordine dovranno aumentare i controlli, quando la legge entrera' in vigore (e speriamo davvero che il Presidente Napolitano non la firmi), non sapendo chi, straniero, ha un permesso valido. Al di la' di considerazioni sulla palese incostituzionalita' di queste norme, fatte gia' da tanti studiosi e giuristi, preoccupa soprattutto la persecuzione di massa, che diventera' una conseguenza naturale di questa legge e che, secondo alcuni sondaggi, sembra avvenire con il consenso di molti italiani. Un elemento, questo, che dovrebbe ricordarci qualcosa della nostra storia e che giustifica il ricorso all'accusa di leggi razziali. Se a questo si aggiunge anche la previsione della legge appena approvata dell'"accordo di integrazione", ossia una verifica periodica sugli elementi di italianita' da parte degli stranieri, diventa chiaro come controllo e "messa alla prova" diventeranno per milioni di stranieri una guerra da parte dello Stato. Da un lato, la guerra dichiarata, dall'altro la sanatoria per far fronte ai problemi reali, che con la legge si aggravano. Una sanatoria annunciata, anche per rispondere al Vaticano e ai vescovi, ma che, come in passato, verra' realizzata con una modalita' discriminatoria. Solo i lavori domestici e di cura, dicono i ministri del governo Berlusconi. Per quale ragione? Chi lavora nei nostri campi o nei cantieri edili, rimanendo piu' spesso degli italiani vittima di incidenti mortali, sfruttato e in nero, e' meno degno di attenzione? Meno umano? Meno utile? Come in passato si sviluppera' un mercato di imbroglioni e affaristi che trasformera' i tanti migranti senza permesso e con un lavoro diverso in altrettante "badanti e colf". Ma questo e' il governo dell'illegalita' e quindi votare un provvedimento che moltiplichi le truffe e i ricatti mi sembra coerente. Dal canto nostro, fino al 18 luglio a Cecina e a Livorno cercheremo di costruire qualche elemento di resistenza culturale e politica, nel corso del Meeting internazionale antirazzista. Siamo antirazzisti da sempre, ma ancora di piu' oggi con un razzismo che e' diventato strumento per costruire il consenso, per governare le contraddizioni di una societa' complessa. Con idee e proposte che vogliamo confrontare e discutere con tutti quelli che ci staranno, ricercando alleanze e chiedendo a tutti, in primo luogo a chi ha incarichi pubblici, di assumersi le proprie responsabilita'. Noi faremo la nostra parte anche ricorrendo alla disobbedienza civile. 5. UNA SOLA UMANITA'. PASQUALE PUGLIESE: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Caro Presidente Napolitano, anch'io, come tanti connazionali, le scrivo per chiederle di non sottoscrive le norme contenute nel cosidetto "pacchetto sicurezza", votato il 2 luglio anche dal Senato. Oltre che alle ragioni sotto il profilo della illegittimita' costituzionale illustrate da giuristi ed intellettuali che Le hanno rivolto il medesimo appello, guardo con preoccupazione anche agli effetti "pedagogici" di questa legge, che sancisce definitivamente una deriva negativa della parola "sicurezza". Con questa legge la parola "sicurezza", da protezione dai pericoli e dalla paura, diventa sinonimo di insofferenza, intolleranza, odio ed infine repressione nei confronti degli immigrati. Creando cosi' un danno irreparabile, non solo nella lingua italiana - che sarebbe il meno - ma nelle relazioni tra le persone nel nostro paese. Infatti questa retorica negativa della "sicurezza", che informa di se' la legge in questione - piuttosto che indagare le ragioni profonde della solitudine e della precarieta' esistenziale che generano il legittimo bisogno di sicurezza delle persone piu' indifese - sta segnando i passaggi della costruzione di un nuovo razzismo in atto in questo momento in Italia, sia su un piano ideologico che legislativo. Con queste legge si delineano i contorni di una vera e propria "pedagogia razzista", che incanala contro i piu' deboli quella "paura liquida", analizzata da illustri sociologi, che pervade la vita precaria di molti. E mentre le leggi potranno forse in futuro essere modificate da una diversa maggioranza politica, i danni di questa pedagogia negativa rimarranno a lungo. Del resto non e' un fatto nuovo nella storia d'Europa: anche la crisi finanziaria del 1929 fu il pretesto per scaricare su un altro "altro" - gli ebrei - le responsabilita' della catastrofe economica, costruire l'ideologia antisemita e, con essa, aprire le porte alla scalata al potere del nazismo. In Italia, Casa Savoia non volle e non seppe separare le sue responsabilita' da quelle del fascismo, sottoscrivendo le "leggi razziste" del regime, segnando cosi' con una macchia indelebile la storia della monarchia italiana. Sono certo, Presidente, che Ella - invece - sapra' e vorra' essere baluardo di democrazia ed umanita' nell'Italia repubblicana ed antifascista. Pasquale Pugliese, educatore di pace 6. UNA SOLA UMANITA'. SALVATORE RAPISARDA: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Caro Presidente, sono un cittadino che confida nella sua saggezza e spera che Ella voglia rispedire alle Camere il cosiddetto "pacchetto sicurezza". Nel suo impianto generale esso appare in contrasto con la Costituzione e con le leggi internazionali sottoscritte dal nostro Paese. La nostra cultura ci chiama a valorizzare il sentimento di accoglienza e di solidarieta' con i minimi della terra. Le giuste esigenze di sicurezza e di contrasto alla criminalita' non debbono essere strumentalizzate a fini razzisti, xenofobi e disumani. Con stima e rispetto Salvatore Rapisarda, pastore evangelico battista 7. UNA SOLA UMANITA'. ANNAMARIA RIVERA: ETEROFOBIA E SOGGETTIVITA' MIGRANTI (2002) [Da "Guerre&Pace",n. 89/90, aprile 2002, inserto Immigrazione, riprendiamo il seguente intervento col titolo "Eterofobia e soggettivita' migranti" e il sommario "Promuovere la soggettivita' e il protagonismo dei migranti e' condizione primaria per attrezzarsi alla lunga lotta contro il 'fondamentalismo bianco', radicalizzato dopo l'11 settembre con l'innesco del perverso ciclo terrorismo-guerra-eterofobia"] Credo che la questione dell'autorganizzazione dei migranti vada contestualizzata riferendola al clima che si e' prodotto dopo l'11 settembre, con l'inaugurazione del ciclo perverso e mortifero che lega il terrorismo alla guerra globale e permanente e questi alla eterofobia, anch'essa tendenzialmente permanente. * Leggi d'emergenza e fondamentalismo bianco E' un clima gravido di minacce: il rischio e' che, con il contributo decisivo delle legislazioni di emergenza adottate da gran parte dei paesi occidentali dopo gli attacchi terroristici negli Stati Uniti, siano drasticamente ridotte o addirittura cancellate le poche conquiste strappate in questi anni in tema di uguaglianza e di diritti per gli stranieri, che si blocchi il pur lento processo di "cittadinizzazione" dei migranti su scala europea e che la stessa possibilita' per i migranti di autorganizzarsi e proporsi come soggetti politici sia compromessa dal sospetto e dalla xenofobia crescenti, e dalla durezza del controllo e delle misure poliziesche. La temperie e' propizia all'incremento dell'islamofobia e del "fondamentalismo bianco". E quanto piu' si consolida la propensione ad additare i cittadini stranieri come filoterroristi o comunque nemici potenziali, quanto piu' si accentuano e si generalizzano il controllo e la repressione poliziesca, tanto piu' v'e' il rischio che fra i migranti crescano l'incertezza e la paura, e di conseguenza la tendenza ad autosegregarsi. Certo, non e' un esito scontato: la ripresa di un certo protagonismo politico dei migranti, sollecitato dalla consapevolezza della pericolosita' del disegno di legge detto Bossi-Fini, attualmente in discussione in parlamento, potrebbe indicare un'inversione di tendenza. * I migranti usa-e-getta del decreto Bossi-Fini Non dobbiamo nasconderci, tuttavia, che il Bossi-Fini si inscrive, come dicevo, in un clima politico e sociale regressivo, del quale non puo' che avvantaggiarsi e che lo rende ancora piu' temibile. Si tratta di una proposta legislativa dall'ispirazione segregazionista se non razzista, che muove dall'intento di ridurre i migranti a mera forza lavoro usa-e-getta, sottoposta a un sistema di diritti differenziato, di fatto all'apartheid. Il disegno di legge, infatti, subordina rigidamente il conferimento e la durata del permesso di soggiorno (non a caso ridefinito "contratto di soggiorno") al contratto di lavoro: il cittadino straniero potra' entrare in Italia solo se un datore di lavoro e' disposto a fargli un contratto; se, perduto quel lavoro, non trova altro impiego entro sei mesi, e' passibile di espulsione. Esso prevede inoltre la criminalizzazione della condizione di sans papiers (chi, dopo un decreto di espulsione, venga fermato senza documenti di soggiorno rischia quattro anni di detenzione); elimina le attuali possibilita' di ingresso attraverso il meccanismo, previsto dalla legislazione corrente, dello sponsorship; limita drasticamente le possibilita' di ottenere ricongiungimenti familiari; raddoppia la durata del "trattenimento" dei migranti in attesa di espulsione nei famigerati centri di detenzione. Va osservato, poi, che di fatto le pratiche istituzionali e in particolare quelle poliziesche gia' oggi si sono adeguate allo spirito del disegno di legge, complice il clima che si e' determinato dopo l'11 settembre: ogni giorno apprendiamo di rastrellamenti, di incursioni notturne negli alloggi degli stranieri, di intimidazioni e minacce, di dinieghi arbitrari del rinnovo dei permessi di soggiorno, di negazione del diritto d'asilo, di rimpatri collettivi, in realta' deportazioni che, proibite, com'e' noto, dalla Convenzione di Ginevra, sono nondimeno attuate perfino nei confronti di profughi provenienti da zone di conflitto. * Lavoro "multietnico" in una societa' "bianca" Se fosse approvato, il Bossi-Fini coronerebbe il sogno di tanti padroni e soprattutto padroncini, nonche' di quella opinione pubblica incattivita da troppi anni di egemonia culturale della destra: un mercato del lavoro "multietnico" in una societa' rigorosamente "bianca". Esso, inoltre, sarebbe un tassello decisivo nella costruzione di un ordine sociale modellato sulla segregazione degli "estranei" e di chiunque sia reputato deviante dal punto di vista della cultura mainstream. Il movimento antirazzista denuncio' con vigore, a suo tempo, lo scandalo dei cosiddetti centri di permanenza temporanea (istituiti per la prima volta in Italia da una legge voluta dal centrosinistra), insistendo sul fatto che essi violano l'habeas corpus, uno dei pilastri della Costituzione italiana e del diritto democratico. Ma il modello del lager per "estranei", che ai tempi del governo di centrosinistra appariva come una scandalosa eccezione, oggi, con la destra al governo, diventa tendenzialmente il modello da estendere ad altre categorie sociali reputate, esplicitamente o implicitamente, come devianti. Basta considerare gli annunci ricorrenti da parte di esponenti del governo circa i programmi che si intende adottare riguardo la tossicodipendenza (generalizzazione del modello del lager a' la Muccioli), il disagio mentale (riapertura dei manicomi), la prostituzione (riesumazione dei bordelli). La "filosofia" che ispira questi programmi e' a misura del senso comune piu' regressivo, che chiede la bonifica del paesaggio sociale dalle scorie umane che lo contaminano. L'esito potrebbe essere quello di una societa' modellata sull'ideologia, di conio statunitense, della tolleranza zero, volta a ridefinire i problemi sociali in termini di sicurezza e a gestire in termini polizieschi e segregativi la marginalita' sociale o semplicemente la non-conformita' alla cultura e alle pratiche sociali dominanti. * Eterofobia e guerra Fra gli esiti degli attentati dell'11 settembre va annoverato "lo stato di eccezione che diviene permanente", per dirla nei termini di Hannah Arendt. A costituire lo stato di eccezione come permanente concorrono una guerra proclamata infinita e duratura, l'intensificazione e la disseminazione dei controlli polizieschi, la corsa a dotarsi di legislazioni o addirittura tribunali speciali che cancellano o mortificano il principio fondamentale dell'habeas corpus prendendo di mira soprattutto gli stranieri e chiunque sia percepito come estraneo alle societa' locali. L'esito di tutto cio' non puo' che essere l'acuirsi dell'ideologia e delle pratiche sicuritarie e il dilagare della xenofobia se non del razzismo. Anzi, piu' che di xenofobia, occorrerebbe parlare di eterofobia, volendo cogliere e rimarcare il fatto che la ripulsa, l'ostilita', la stigmatizzazione non hanno come oggetto solo gli stranieri ma chiunque e qualunque cosa siano percepiti come altri rispetto alla "civilta' occidentale". Vorrei soffermarmi su quest'ultimo punto per precisare che, a mio parere, l'eterofobia e il razzismo non costituiscono solo un esito della spirale perversa terrorismo-guerra, ma sono parte della stessa struttura che regge la guerra permanente. Proprio perche' si tratta non di un conflitto armato fra stati sovrani, ma di una guerra contro un nemico invisibile ed evanescente, essa ha bisogno di nutrirsi di e di alimentare la ripulsa dell'Altro, costituendolo come Nemico. Non e' certo un fenomeno inedito: il nesso fra guerra e razzismo, vale a dire la tendenza a "razzizzare" il nemico esterno e, contemporaneamente, ad additare un "nemico interno" hanno caratterizzato anche le guerre mondiali del Novecento. Ma nel caso attuale questa propensione appare come costitutiva della "guerra illimitata" poiche' l'evanescenza del Nemico si traduce in una diffusa e pervasiva "nemicizzazione" di chiunque sia reputato estraneo all'Occidente. Inoltre, come dicevo, una delle conseguenze del terrorismo e della guerra e' stata l'accentuazione dei miti e dei dispositivi di sicurezza. E noi sappiamo bene che allorche' si rafforzano l'ideologia e le pratiche sicuritarie, a pagarne il prezzo piu' alto sono i migranti, i profughi, gli "estranei", additati come complici del nemico e nel contempo come fonte di insicurezza. * Italia e islamofobia Il caso italiano mi sembra assai rappresentativo della tendenza che ho sommariamente descritto. In Italia piu' che altrove il terrorismo e la guerra hanno esaltato un clima gia' esistente. E non mi riferisco solo alla "normale" temperie - pratiche discriminatorie, xenofobia diffusa, propensione a "spendere" gli umori xenofobi sul mercato delle politiche elettorali - ma a un fenomeno specifico, l'islamofobia. Un fenomeno che, mi sembra, presenta caratteri e meccanismi molto simili all'antisemitismo "storico". Analoghi, infatti, sono le strutture e i temi ricorrenti: la religione dell'Altro intesa come un'essenza intrinseca, immutabile, sottratta alla storia e al cambiamento; la "razzizzazione" della presunta appartenenza religiosa; la tesi della sacra identita' nazionale e/o europea minacciate da una alterita' inassimilabile eppure capace di contaminare o insidiare il corpo della nazione... Come dicevo, nel nostro paese l'impennata di islamofobia che si e' determinata dopo gli attentati dell'11 settembre ha trovato un terreno del tutto propizio: da quasi due anni a questa parte, infatti, e' in corso una vera e propria campagna d'opinione contro l'islam, con l'attivo concorso di una parte dei mass media e di alcune forze politiche, e il contributo di taluni opinion leaders e di qualche esponente della gerarchia cattolica. * Inizia la crociata antimusulmana Vorrei ricordare qualche esempio della crociata antimusulmana che si scateno' in particolare nella seconda meta' del 2000, in un crescendo contrassegnato da alcune tappe salienti. Nell'estate di quell'anno viene pubblicato (perche' mai in agosto?) un volumetto, Multiculturalismo, pluralismo culturale ed estranei, ad opera di Giovanni Sartori, "il piu' eminente e il piu' noto politologo italiano" (cosi' recita il risvolto di copertina), nonche' consigliere della coalizione dell'Ulivo. In questo libretto - un pamphlet piu' che un saggio - la dotta disquisizione su pluralismo e multiculturalismo, che sembrava promettere chissa' che, approda alla tesi, alquanto rozza, della "alterita' radicale non integrabile", una categoria coniata per identificare una componente della popolazione immigrata. L'immigrato massimamente estraneo e dunque assolutamente non integrabile viene individuato nella figura (in realta' uno stereotipo) dell'africano, arabo e musulmano (come se i tre termini fossero coincidenti), colui che incarnerebbe l'essenza della piu' radicale "estraneita' religiosa ed etnica" (laddove "etnica", nel lessico di Sartori, e' un sinonimo elegante di "razziale"). * Razzismo cattolico... Una seconda tappa, che fa immediatamente seguito alla prima (settembre dello stesso anno), e' costituita dalla pastorale dell'arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi, nella quale si paventa il rischio che l'immigrazione di musulmani possa attentare all'identita' nazionale (identificata tout court come cattolica) e si invitano le autorita' politiche a scoraggiarla e a favorire l'ingresso di immigrati di fede cristiana. Cio' offre a Sartori l'occasione di "inchinarsi", dalle colonne del settimanale "L'Espresso" (28 settembre 2000), alla "fede intelligente" del cardinale, lodandone "l'etica della responsabilita'" - e nel contempo di fare pubblicita' al proprio libretto. * ... e leghista Fin qui la querelle si era espressa soprattutto sul piano della "battaglia delle idee" e del battage mediatico. A dare una svolta tanto rumorosa quanto allarmante all'islamofobia crescente interviene l'attivismo politico leghista: il 14 ottobre del 2000 la Lega Nord promuove a Lodi un'iniziativa di protesta contro il progetto di edificazione di una moschea, dai toni decisamente intolleranti e dallo stile quasi-squadristico. Infatti, nel corso di quella iniziativa "politica", cui parteciparono anche altre componenti della Casa delle Liberta' insieme ad esponenti della galassia neonazista, il terreno dove sarebbe dovuta sorgere la moschea viene profanato cospargendovi orina di maiale: un atto di scherno la cui cifra simbolica e semantica si colloca in continuita' con lo stile dell'antisemitismo piu' aggressivo, quello che si manifesta con la profanazione di cimiteri, tombe e monumenti ebraici. Poco piu' di un mese dopo, a Rovate, sempre in Lombardia, un sindaco leghista privo di senso del ridicolo, emette un'ordinanza che ingiunge a chi non sia cattolico di tenersi lontano di almeno 15 metri dall'ingresso dei luoghi di culto cattolici. * Chi c'e' dietro? Oggi, col senno di poi, si potrebbe sospettare che quell'improvvisa fiammata antimusulmana, che in verita' percorse anche altri paesi europei (in Danimarca, come in Italia, preannuncio' la vittoria elettorale della destra e in particolare della sua componente piu' smodatamente xenofoba), non sia nata del tutto spontaneamente. E' probabile che nelle intenzioni di Sartori il suo contributo alla campagna mirasse a scoraggiare chi, nell'Ulivo, ancora s'attardava in una "ottusa e irresponsabile etica dei principii" ("L'Espresso", cit.), col rischio di compromettere l'emulazione della destra attuata dalla sinistra a fini elettorali; e che nei disegni degli altri la crociata avesse il fine di compiacere un'opinione pubblica avvelenata dalla xenofobia onde trarne ugualmente vantaggi elettorali. Nondimeno si ha l'impressione che quella campagna, cosi' come le voci su possibili attentati islamisti circolanti prima del vertice di Genova e la stessa, per alcuni versi inspiegabile, brutalita' poliziesca scatenata contro il movimento anti-G8, non fossero del tutto slegate da qualche disegno, o da un allarme reale, da parte dei servizi di intelligence. * Musulmani-terroristi Questa sommaria rievocazione della campagna d'opinione antimusulmana che prese avvio negli ultimi mesi del 2000 e' utile, dicevo, a comprendere meglio cio' che accade oggi, dopo la strage del World Trade Center, in un clima avvelenato dalla fobia degli attentati, dal sentimento collettivo di incertezza e paura, e soprattutto dalla loro manipolazione allo scopo di creare consenso verso la guerra planetaria "infinita". Mi sembra, insomma, che la strage delle Twin Towers abbia radicalizzato potenzialita' che erano gia' in atto e che il ciclo perverso terrorismo-guerra-eterofobia che essa ha scatenato si sia valso di tendenze alquanto consolidate. Oggi il "fondamentalismo bianco" e la xenofobia hanno un argomento in piu', che concorre a legittimarli: l'equazione, tanto arbitraria quanto retoricamente efficace, "extracomunitari"-musulmani-terroristi. Fin dal giorno dopo gli attentati, si e' prodotta una valanga di enunciati e atti basati su questa retorica non solo reazionaria, ma anche dalla valenza inequivocabilmente razzista. Si va dalla gaffe del Cavaliere, in una ufficialissima sede internazionale, sulla superiorita' della "civilta' occidentale" all'entusiastico consenso verso i deliri di Oriana Fallaci espresso in forma altrettanto ufficiale dal ministro dei Beni culturali, per arrivare ai vaneggiamenti del genere "l'immigrazione clandestina e' funzionale ai disegni criminali del terrorismo e del fanatismo religioso islamico": e' il giudizio di Mario Borghezio, europarlamentare leghista, noto per la signorilita' e la compostezza, a commento delle polemiche intorno al volantino distribuito a Venezia dalla Lega Nord qualche giorno dopo gli attentati, il quale recava, sotto il ritratto di Bin Laden, lo slogan "Clandestini uguale terroristi islamici". * Il "contributo" dei media Quanto al contributo dei media alla costruzione di questa retorica, tale e' l'abbondanza degli esempi che conviene citarne solo uno, particolarmente rappresentativo. E' l'articolo (a firma Dino Sacchettoni) pubblicato il 13 novembre 2001 da "Metro", quotidiano distribuito gratuitamente a Roma e letto in sostanza da tutti gli utenti della rete metropolitana: "Ormai, immigrati che vivono e lavorano da noi [...] ci scaraventano addosso pubblicamente islamico disprezzo per la nostra appartenenza al mondo degli infedeli e ci ricordano [...] che dovremo convivere con un incubo". Nel medesimo articolo, l'autore non aveva resistito alla tentazione di ricorrere all'abusato cliche' dei "nostri opulenti pacifisti, intossicati di benessere", i quali "scendono in piazza con le felpe firmate per protestare contro la guerra". Gli era sfuggito che tra gli "opulenti pacifisti" del grande corteo del 10 novembre v'era qualche migliaio di "immigrati che vivono e lavorano da noi", che manifestavano contro il terrorismo e la guerra, insieme agli infedeli con le felpe firmate. * Dalle parole all'azione Cio' che e' piu' grave e' che quest'orgia di retorica non rimane confinata nell'ambito del discorso razzista, ma continuamente istiga al passaggio all'atto. Anche in questo caso non mancherebbero gli esempi da riportare a dimostrazione dell'impennata di azioni violente e/o repressive, che si e' determinata in Italia dopo l'11 settembre, verso chi e' o e' reputato "extracomunitario" e chiunque abbia una facies percepita come "araba". Ne cito solo un paio. A Vigevano, il 23 ottobre 2001 un ragazzo di 14 anni, figlio di marocchini, viene aggredito da due compagni di scuola a calci e pugni, dopo essere stato apostrofato come terrorista islamico e amico di Bin Laden. L'aggressione si consuma dinanzi all'istituto professionale frequentato dai tre e nessuno interviene in difesa della vittima. Due giorni dopo, nella "civilissima" Bologna, il conducente di un bus si rifiuta di far salire una donna con bambina adducendo a pretesto il fatto che ella indossa il "velo islamico", in realta' un semplice foulard. La donna, fra l'altro, e' cittadina italiana. * Il razzismo politico in Italia Un'ultima osservazione: che i deliri razzistici siano parte del discorso pubblico quotidiano e' cosa che in Italia non fa grande scandalo (mentre lo farebbe, per esempio, in Francia). In cio' mi sembra vi sia una certa peculiarita' nostrana. Essa ha a che fare non tanto con il fatto che gli umori intolleranti siano diventati moneta corrente facilmente spendibile sul mercato elettorale e percio' usata a piene mani dalla destra (e talvolta dalla sinistra): cio' accade anche in altri paesi europei. Altrove pero' il discorso razzista suscita per lo piu' reazioni allarmate, polemiche, dibattiti, prese di posizione anche da parte di elite intellettuali, il che non toglie che il razzismo sia alimentato e tollerato sul piano delle pratiche sociali e legislative. In Italia, al contrario, il discorso razzista sovente non solo non e' denunciato ma neppure e' riconosciuto come tale, se non da una parte assai minoritaria del mondo politico e dell'opinione pubblica. Cerco di spiegarmi meglio, ricorrendo a un esempio. Se l'intemperanza verbale di Berlusconi sulla "civilta' superiore" ha allarmato gli alleati e scandalizzato la stampa estera non e' solo perche' essa ha rischiato di interferire nel gioco diplomatico che andava preparando la guerra. E' anche perche' negli Stati Uniti l'establishment sa di dover dare conto a 27 milioni di cittadini statunitensi di fede musulmana, in buona parte organizzati in associazioni e lobby; e in Francia, ugualmente, i leader politici sono consapevoli che non e' il caso di inimicarsi i 5 milioni di francesi seguaci dell'islam. Di qui una certa prudenza, circospezione o, se volete, ipocrisia sul piano del discorso. Quanto agli atti e alle pratiche, e' pleonastico rimarcare che le cose non vanno meglio che in Italia: negli Stati Uniti, limitandoci a parlare del dopo-11 settembre, la caccia, fino all'omicidio, allo straniero e a chiunque rechi qualche segno percepito come esotico, i mille desaparecidos fermati solo perche' stranieri e "arabi", e internati sulla base di una legge speciale che nega loro le piu' elementari tutele giuridiche, segnalano non solo quale barbarie producano le legislazioni di emergenza, ma anche di quanto razzismo siano intrise le pratiche istituzionali del paese del melting pot. * Eterofobia e debolezza dei migranti Mi pare che questi frammenti di analisi abbiano attinenza col tema dell'organizzazione dei migranti. L'ancora debole visibilita' politica dei cittadini stranieri, il fatto che essi non abbiano conquistato il diritto di voto neppure nelle elezioni amministrative, l'assenza di solide reti di autorganizzazione dei migranti, all'esterno e soprattutto all'interno delle organizzazioni politiche e sindacali nonche' dello stesso movimento contro il neoliberismo (reti tali da essere riconosciute come una realta' con cui la politica nazionale sia obbligata a fare i conti): tutto cio' non e' affatto irrilevante rispetto alla crescita dell'eterofobia e del razzismo. Promuovere la soggettivita' del migranti e il loro protagonismo mi sembra condizione primaria per attrezzarsi alla lunga tenzone contro il "fondamentalismo bianco". Ma e' anche opportuno, in tema di autorganizzazione dei migranti, esplicitare quali siano i modelli e le esperienze cui si fa riferimento. * L'esperienza del movimento antirazzista Per ragioni storiche che qui non v'e' lo spazio per analizzare e neppure per enunciare, in Italia, come in altri paesi europei con l'eccezione del Regno Unito, la miriade di associazioni che hanno costituito il movimento per i diritti dei migranti e contro il razzismo ha avuto e ha carattere prevalentemente "misto". E' vero: di esso fanno e hanno sempre fatto parte anche le "comunita'", come vengono dette, con un termine a mio parere infelice, le associazioni costituite da stranieri di una medesima nazionalita'. Ma il modello prevalente, che si e' imposto soprattutto nella fase piu' avanzata del movimento (collocabile grosso modo fra la seconda meta' degli anni Ottanta e la prima dei Novanta), e' stato quello di realta' associative costituite da "nativi/e" e migranti, a loro volta facenti parte di un unitario movimento antirazzista e per i diritti di cittadinanza: questo ha avuto (e ha) come cemento non solo e non tanto la solidarieta' degli uni verso gli altri, ma piuttosto la consapevolezza del comune interesse a praticare il terreno della battaglia antirazzista e della difesa e dell'allargamento dei diritti di cittadinanza. * Le organizzazioni comunitarie Non intendo sostenere che questo modello sia esente da difetti: il rischio che il protagonismo dei migranti sia mortificato, che i processi di soggettivazione politica degli stranieri, invece che essere incrementati, siano bloccati o riguardino solo ristrette elites e' sempre presente. D'altra parte, sul versante delle "comunita'" i difetti non sono minori, e non riguardano solo il rischio dell'autosegregazione in ghetti comunitari. Il mondo delle "comunita'" e' costituito da una tipologia assai varia che comprende in gran parte formazioni di base e democratiche, ma anche alcune associazioni legate alle ambasciate (e dunque ai governi) dei paesi di provenienza, e perfino casi di gruppi rigidamente e gerarchicamente controllati da leadership di tipo speculativo. Ovviamente le "comunita'" non esauriscono la tipologia delle forme di organizzazione degli stranieri: per esempio, fra le associazioni delle migranti numerose sono quelle non fondate sul criterio della nazionalita' e costituite da donne provenienti da ogni dove. Spesso, anzi, esse hanno l'intento programmatico di rompere le barriere "etniche" e nazionali, per organizzarsi contro la duplice discriminazione e segregazione, in quanto donne e in quanto migranti. * Come superare il livello "biancocentrico" Con cio' non si vuole negare l'esigenza di incrementare e rafforzare forme associative in grado di promuovere la battaglia contro la discriminazione e la segregazione e per la cittadinanza, di "dare voce" ai migranti, di promuoverne il protagonismo; ne' si intende sottacere che esiste uno specifico problema italiano riguardante la scarsa forza contrattuale delle associazioni degli stranieri nei confronti dei poteri e delle istituzioni pubbliche. Ma a me sembra che la principale questione all'ordine del giorno ruoti intorno all'interrogativo seguente: come far si' che il movimento associativo democratico, il mondo sindacale, le organizzazioni politiche, il movimento contro il neoliberismo non solo si aprano alla presenza e alle istanze di cui sono portatori i migranti e le migranti (istanze universali, che obbligherebbero a ripensare il tema della cittadinanza e dei diritti), ma vengano anche attraversate dalla loro soggettivita', si "contaminino" con pratiche e culture diverse da quelle consegnate da una tradizione politica tutta "biancocentrica". Il fatto che in una societa' sempre piu' policulturale com'e' anche quella italiana - che piaccia o no a chi ci governa - le organizzazioni di sinistra, le sindacali ma soprattutto le politiche, non abbiano piena consapevolezza dell'urgente necessita' di superare il modello "biancocentrico" di cui dicevo e' un segno di arretratezza, mi sembra, specificamente italiano. Evidentemente, le condizioni per il superamento di tale modello risiedono anche, forse principalmente, nell'avanzamento dei processi di soggettivazione dei/delle migranti, nella loro capacita' di proporsi quali soggetti di conflitti che hanno come posta in gioco la lotta contro il razzismo e per la cittadinanza. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 350 del 14 luglio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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