Voci e volti della nonviolenza. 350



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 350 del 14 luglio 2009

In questo numero:
1. Anna Maiolatesi: Al Presidente della Repubblica
2. Anna Maria Crispino: Piena condivisione
3. Celeste Grossi: Al Presidente della Repubblica
4. Filippo Miraglia: Il governo dell'illegalita'
5. Pasquale Pugliese: Al Presidente della Repubblica
6. Salvatore Rapisarda: Al Presidente della Repubblica
7. Annamaria Rivera: Eterofobia e soggettivita' migranti (2002)

1. UNA SOLA UMANITA'. ANNA MAIOLATESI: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Caro Presidente Napolitano,
insieme a tante altre persone, angosciate per le norme contenute nel
cosiddetto "pacchetto sicurezza", Le scrivo per chiederLe di non ratificare
quella legge, ma rinviarla alle Camere chiedendone la modifica in quelle
parti che rendono disumani sia coloro che le hanno proposte,  sia coloro che
le subiscono e dunque disumane le scelte di tutti/e.
Sono tante le ragioni che motivano la mia esigenza di scriverLe e di non
tacere. Sono nata nelle Marche, la guerra era appena finita, la mia famiglia
era poverissima, mio padre faceva il manovale e la mattina, quando andava a
lavorare, per maneggiare i mattoni, si fasciava le dita con delle
striscioline di stoffa che mamma preparava pulite ogni sera. Quando tornava
dal lavoro le striscioline erano sporche di sangue. Ogni fatica di mio padre
e mia madre, e la loro fatica e' stata tanta, aveva come obiettivo la
possibilita', donata a me, di studiare e vivere meglio.
La storia della famiglia di mio marito, medico in pensione, e' una storia
simile alla mia: suo padre emigro' in Venezuela e mia suocera da sola ha
cresciuto i figli.
Queste storie sono comuni a tante famiglie e farne memoria significa
ricordare l'impegno e la speranza dei nostri padri e madri. Insieme al
benessere madri e padri hanno donato a noi, e questo non puo' essere
dimenticato pena l'imbarbarimento, la capacita' di comprendere che la polis
non e' lo Stato collocato fisicamente in un territorio, e' invece
l'organizzazione delle persone cosi' come prende le mosse dal loro agire e
parlare insieme.
La certezza che fatti e parole creano tra le persone uno spazio dove
collocarsi e apparire rende quello spazio, umanamente e politicamente,
irrinunciabile. Abbiamo bisogno dello spazio affidato agli altri per
distinguere tra pace e guerra civile, tra il diritto ad essere e il dover
essere. Ne abbiamo bisogno per metter al mondo il "chi siamo".
Ho detto ai miei figli che la nostra Costituzione nasce dalla certezza di
questo bisogno.
Con gratitudine e stima La saluto
Anna Maiolatesi

2. UNA SOLA UMANITA'. ANNA MARIA CRISPINO: PIENA CONDIVISIONE

Condivido pienamente l'iniziativa dell'appello al Presidente della
Repubblica...

3. UNA SOLA UMANITA'. CELESTE GROSSI: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Egregio Presidente Napolitano,
le chiedo di non firmare le misure sulla "sicurezza" approvate in Senato il
2 luglio. Albert Einstein diceva "Conosco una sola razza, quella umana".
Presidente, faccio appello alla sua umanita'. Non firmi. Restiamo umani.
Celeste Grossi
Como

4. UNA SOLA UMANITA'. FILIPPO MIRAGLIA: IL GOVERNO DELL'ILLEGALITA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 luglio 2009 col titolo "'Legge
sicurezza', diventiamo disobbedienti"]

Molti hanno usato il termine "leggi razziali" per far comprendere la
gravita' di quanto ha appena approvato il Parlamento italiano in materia di
sicurezza. Anche noi dell'Arci ci siamo espressi cosi', pur suscitando
qualche reazione infastidita; ma minimizzare e' un vizio che non possiamo
piu' permetterci. Introdurre il reato di ingresso e soggiorno illegale vuol
dire separare in maniera definitiva e concreta "noi" da "loro", gli italiani
dagli stranieri. Commette reato, ora, lo straniero senza documento in
regola, non chi si comporta male o aggira la legge italiana. In questo modo,
si prende di mira non un comportamento, bensi' uno status.
Sono tante le persone che perdono il permesso di soggiorno a causa della
burocrazia e milioni coloro che, per avere un permesso di soggiorno, sono
dovuti passare per un periodo di irregolarita', a causa della legge e non
per scelta. Le forze dell'ordine dovranno aumentare i controlli, quando la
legge entrera' in vigore (e speriamo davvero che il Presidente Napolitano
non la firmi), non sapendo chi, straniero, ha un permesso valido.
Al di la' di considerazioni sulla palese incostituzionalita' di queste
norme, fatte gia' da tanti studiosi e giuristi, preoccupa soprattutto la
persecuzione di massa, che diventera' una conseguenza naturale di questa
legge e che, secondo alcuni sondaggi, sembra avvenire con il consenso di
molti italiani. Un elemento, questo, che dovrebbe ricordarci qualcosa della
nostra storia e che giustifica il ricorso all'accusa di leggi razziali. Se a
questo si aggiunge anche la previsione della legge appena approvata
dell'"accordo di integrazione", ossia una verifica periodica sugli elementi
di italianita' da parte degli stranieri, diventa chiaro come controllo e
"messa alla prova" diventeranno per milioni di stranieri una guerra da parte
dello Stato. Da un lato, la guerra dichiarata, dall'altro la sanatoria per
far fronte ai problemi reali, che con la legge si aggravano.
Una sanatoria annunciata, anche per rispondere al Vaticano e ai vescovi, ma
che, come in passato, verra' realizzata con una modalita' discriminatoria.
Solo i lavori domestici e di cura, dicono i ministri del governo Berlusconi.
Per quale ragione? Chi lavora nei nostri campi o nei cantieri edili,
rimanendo piu' spesso degli italiani vittima di incidenti mortali, sfruttato
e in nero, e' meno degno di attenzione? Meno umano? Meno utile? Come in
passato si sviluppera' un mercato di imbroglioni e affaristi che
trasformera' i tanti migranti senza permesso e con un lavoro diverso in
altrettante "badanti e colf". Ma questo e' il governo dell'illegalita' e
quindi votare un provvedimento che moltiplichi le truffe e i ricatti mi
sembra coerente.
Dal canto nostro, fino al 18 luglio a Cecina e a Livorno cercheremo di
costruire qualche elemento di resistenza culturale e politica, nel corso del
Meeting internazionale antirazzista. Siamo antirazzisti da sempre, ma ancora
di piu' oggi con un razzismo che e' diventato strumento per costruire il
consenso, per governare le contraddizioni di una societa' complessa. Con
idee e proposte che vogliamo confrontare e discutere con tutti quelli che ci
staranno, ricercando alleanze e chiedendo a tutti, in primo luogo a chi ha
incarichi pubblici, di assumersi le proprie responsabilita'. Noi faremo la
nostra parte anche ricorrendo alla disobbedienza civile.

5. UNA SOLA UMANITA'. PASQUALE PUGLIESE: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Caro Presidente Napolitano,
anch'io, come tanti connazionali, le scrivo per chiederle di non sottoscrive
le norme contenute nel cosidetto "pacchetto sicurezza", votato il 2 luglio
anche dal Senato.
Oltre che alle ragioni sotto il profilo della illegittimita' costituzionale
illustrate da giuristi ed intellettuali che Le hanno rivolto il medesimo
appello, guardo con preoccupazione anche agli effetti "pedagogici" di questa
legge, che sancisce definitivamente una deriva negativa della parola
"sicurezza".
Con questa legge la parola "sicurezza", da protezione dai pericoli e dalla
paura, diventa sinonimo di insofferenza, intolleranza, odio ed infine
repressione nei confronti degli immigrati. Creando cosi' un danno
irreparabile, non solo nella lingua italiana - che sarebbe il meno - ma
nelle relazioni tra le persone nel nostro paese.
Infatti questa retorica negativa della "sicurezza", che informa di se' la
legge in questione - piuttosto che indagare le ragioni profonde della
solitudine e della precarieta' esistenziale che generano il legittimo
bisogno di sicurezza delle persone piu' indifese - sta segnando i passaggi
della costruzione di un nuovo razzismo in atto in questo momento in Italia,
sia su un piano ideologico che legislativo.
Con queste legge si delineano i contorni di una vera e propria "pedagogia
razzista", che incanala contro i piu' deboli quella "paura liquida",
analizzata da illustri sociologi, che pervade la vita precaria di molti.
E mentre le leggi potranno forse in futuro essere modificate da una diversa
maggioranza politica, i danni di questa pedagogia negativa rimarranno a
lungo.
Del resto non e' un fatto nuovo nella storia d'Europa: anche la crisi
finanziaria del 1929 fu il pretesto per scaricare su un altro "altro" - gli
ebrei - le responsabilita' della catastrofe economica, costruire l'ideologia
antisemita e, con essa, aprire le porte alla scalata al potere del nazismo.
In Italia, Casa Savoia non volle e non seppe separare le sue responsabilita'
da quelle del fascismo, sottoscrivendo le "leggi razziste" del regime,
segnando cosi' con una macchia indelebile la storia della monarchia
italiana.
Sono certo, Presidente, che Ella - invece - sapra' e vorra' essere baluardo
di democrazia ed umanita' nell'Italia repubblicana ed antifascista.
Pasquale Pugliese,
educatore di pace

6. UNA SOLA UMANITA'. SALVATORE RAPISARDA: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Caro Presidente,
sono un cittadino che confida nella sua saggezza e spera che Ella voglia
rispedire alle Camere il cosiddetto "pacchetto sicurezza".
Nel suo impianto generale esso appare in contrasto con la Costituzione e con
le leggi internazionali sottoscritte dal nostro Paese.
La nostra cultura ci chiama a valorizzare il sentimento di accoglienza e di
solidarieta' con i minimi della terra.
Le giuste esigenze di sicurezza e di contrasto alla criminalita' non debbono
essere strumentalizzate a fini razzisti, xenofobi e disumani.
Con stima e rispetto
Salvatore Rapisarda,
pastore evangelico battista

7. UNA SOLA UMANITA'. ANNAMARIA RIVERA: ETEROFOBIA E SOGGETTIVITA' MIGRANTI
(2002)
[Da "Guerre&Pace",n. 89/90, aprile 2002, inserto Immigrazione, riprendiamo
il seguente intervento col titolo "Eterofobia e soggettivita' migranti" e il
sommario "Promuovere la soggettivita' e il protagonismo dei migranti e'
condizione primaria per attrezzarsi alla lunga lotta contro il
'fondamentalismo bianco', radicalizzato dopo l'11 settembre con l'innesco
del perverso ciclo terrorismo-guerra-eterofobia"]

Credo che la questione dell'autorganizzazione dei migranti vada
contestualizzata riferendola al clima che si e' prodotto dopo l'11
settembre, con l'inaugurazione del ciclo perverso e mortifero che lega il
terrorismo alla guerra globale e permanente e questi alla eterofobia,
anch'essa tendenzialmente permanente.
*
Leggi d'emergenza e fondamentalismo bianco
E' un clima gravido di minacce: il rischio e' che, con il contributo
decisivo delle legislazioni di emergenza adottate da gran parte dei paesi
occidentali dopo gli attacchi terroristici negli Stati Uniti, siano
drasticamente ridotte o addirittura cancellate le poche conquiste strappate
in questi anni in tema di uguaglianza e di diritti per gli stranieri, che si
blocchi il pur lento processo di "cittadinizzazione" dei migranti su scala
europea e che la stessa possibilita' per i migranti di autorganizzarsi e
proporsi come soggetti politici sia compromessa dal sospetto e dalla
xenofobia crescenti, e dalla durezza del controllo e delle misure
poliziesche.
La temperie e' propizia all'incremento dell'islamofobia e del
"fondamentalismo bianco". E quanto piu' si consolida la propensione ad
additare i cittadini stranieri come filoterroristi o comunque nemici
potenziali, quanto piu' si accentuano e si generalizzano il controllo e la
repressione poliziesca, tanto piu' v'e' il rischio che fra i migranti
crescano l'incertezza e la paura, e di conseguenza la tendenza ad
autosegregarsi.
Certo, non e' un esito scontato: la ripresa di un certo protagonismo
politico dei migranti, sollecitato dalla consapevolezza della pericolosita'
del disegno di legge detto Bossi-Fini, attualmente in discussione in
parlamento, potrebbe indicare un'inversione di tendenza.
*
I migranti usa-e-getta del decreto Bossi-Fini
Non dobbiamo nasconderci, tuttavia, che il Bossi-Fini si inscrive, come
dicevo, in un clima politico e sociale regressivo, del quale non puo' che
avvantaggiarsi e che lo rende ancora piu' temibile.
Si tratta di una proposta legislativa dall'ispirazione segregazionista se
non razzista, che muove dall'intento di ridurre i migranti a mera forza
lavoro usa-e-getta, sottoposta a un sistema di diritti differenziato, di
fatto all'apartheid. Il disegno di legge, infatti, subordina rigidamente il
conferimento e la durata del permesso di soggiorno (non a caso ridefinito
"contratto di soggiorno") al contratto di lavoro: il cittadino straniero
potra' entrare in Italia solo se un datore di lavoro e' disposto a fargli un
contratto; se, perduto quel lavoro, non trova altro impiego entro sei mesi,
e' passibile di espulsione.
Esso prevede inoltre la criminalizzazione della condizione di sans papiers
(chi, dopo un decreto di espulsione, venga fermato senza documenti di
soggiorno rischia quattro anni di detenzione); elimina le attuali
possibilita' di ingresso attraverso il meccanismo, previsto dalla
legislazione corrente, dello sponsorship; limita drasticamente le
possibilita' di ottenere ricongiungimenti familiari; raddoppia la durata del
"trattenimento" dei migranti in attesa di espulsione nei famigerati centri
di detenzione.
Va osservato, poi, che di fatto le pratiche istituzionali e in particolare
quelle poliziesche gia' oggi si sono adeguate allo spirito del disegno di
legge, complice il clima che si e' determinato dopo l'11 settembre: ogni
giorno apprendiamo di rastrellamenti, di incursioni notturne negli alloggi
degli stranieri, di intimidazioni e minacce, di dinieghi arbitrari del
rinnovo dei permessi di soggiorno, di negazione del diritto d'asilo, di
rimpatri collettivi, in realta' deportazioni che, proibite, com'e' noto,
dalla Convenzione di Ginevra, sono nondimeno attuate perfino nei confronti
di profughi provenienti da zone di conflitto.
*
Lavoro "multietnico" in una societa' "bianca"
Se fosse approvato, il Bossi-Fini coronerebbe il sogno di tanti padroni e
soprattutto padroncini, nonche' di quella opinione pubblica incattivita da
troppi anni di egemonia culturale della destra: un mercato del lavoro
"multietnico" in una societa' rigorosamente "bianca". Esso, inoltre, sarebbe
un tassello decisivo nella costruzione di un ordine sociale modellato sulla
segregazione degli "estranei" e di chiunque sia reputato deviante dal punto
di vista della cultura mainstream.
Il movimento antirazzista denuncio' con vigore, a suo tempo, lo scandalo dei
cosiddetti centri di permanenza temporanea (istituiti per la prima volta in
Italia da una legge voluta dal centrosinistra), insistendo sul fatto che
essi violano l'habeas corpus, uno dei pilastri della Costituzione italiana e
del diritto democratico.
Ma il modello del lager per "estranei", che ai tempi del governo di
centrosinistra appariva come una scandalosa eccezione, oggi, con la destra
al governo, diventa tendenzialmente il modello da estendere ad altre
categorie sociali reputate, esplicitamente o implicitamente, come devianti.
Basta considerare gli annunci ricorrenti da parte di esponenti del governo
circa i programmi che si intende adottare riguardo la tossicodipendenza
(generalizzazione del modello del lager a' la Muccioli), il disagio mentale
(riapertura dei manicomi), la prostituzione (riesumazione dei bordelli). La
"filosofia" che ispira questi programmi e' a misura del senso comune piu'
regressivo, che chiede la bonifica del paesaggio sociale dalle scorie umane
che lo contaminano. L'esito potrebbe essere quello di una societa' modellata
sull'ideologia, di conio statunitense, della tolleranza zero, volta a
ridefinire i problemi sociali in termini di sicurezza e a gestire in termini
polizieschi e segregativi la marginalita' sociale o semplicemente la
non-conformita' alla cultura e alle pratiche sociali dominanti.
*
Eterofobia e guerra
Fra gli esiti degli attentati dell'11 settembre va annoverato "lo stato di
eccezione che diviene permanente", per dirla nei termini di Hannah Arendt. A
costituire lo stato di eccezione come permanente concorrono una guerra
proclamata infinita e duratura, l'intensificazione e la disseminazione dei
controlli polizieschi, la corsa a dotarsi di legislazioni o addirittura
tribunali speciali che cancellano o mortificano il principio fondamentale
dell'habeas corpus prendendo di mira soprattutto gli stranieri e chiunque
sia percepito come estraneo alle societa' locali.
L'esito di tutto cio' non puo' che essere l'acuirsi dell'ideologia e delle
pratiche sicuritarie e il dilagare della xenofobia se non del razzismo.
Anzi, piu' che di xenofobia, occorrerebbe parlare di eterofobia, volendo
cogliere e rimarcare il fatto che la ripulsa, l'ostilita', la
stigmatizzazione non hanno come oggetto solo gli stranieri ma chiunque e
qualunque cosa siano percepiti come altri rispetto alla "civilta'
occidentale".
Vorrei soffermarmi su quest'ultimo punto per precisare che, a mio parere,
l'eterofobia e il razzismo non costituiscono solo un esito della spirale
perversa terrorismo-guerra, ma sono parte della stessa struttura che regge
la guerra permanente. Proprio perche' si tratta non di un conflitto armato
fra stati sovrani, ma di una guerra contro un nemico invisibile ed
evanescente, essa ha bisogno di nutrirsi di e di alimentare la ripulsa
dell'Altro, costituendolo come Nemico.
Non e' certo un fenomeno inedito: il nesso fra guerra e razzismo, vale a
dire la tendenza a "razzizzare" il nemico esterno e, contemporaneamente, ad
additare un "nemico interno" hanno caratterizzato anche le guerre mondiali
del Novecento. Ma nel caso attuale questa propensione appare come
costitutiva della "guerra illimitata" poiche' l'evanescenza del Nemico si
traduce in una diffusa e pervasiva "nemicizzazione" di chiunque sia reputato
estraneo all'Occidente.
Inoltre, come dicevo, una delle conseguenze del terrorismo e della guerra e'
stata l'accentuazione dei miti e dei dispositivi di sicurezza. E noi
sappiamo bene che allorche' si rafforzano l'ideologia e le pratiche
sicuritarie, a pagarne il prezzo piu' alto sono i migranti, i profughi, gli
"estranei", additati come complici del nemico e nel contempo come fonte di
insicurezza.
*
Italia e islamofobia
Il caso italiano mi sembra assai rappresentativo della tendenza che ho
sommariamente descritto. In Italia piu' che altrove il terrorismo e la
guerra hanno esaltato un clima gia' esistente. E non mi riferisco solo alla
"normale" temperie - pratiche discriminatorie, xenofobia diffusa,
propensione a "spendere" gli umori xenofobi sul mercato delle politiche
elettorali - ma a un fenomeno specifico, l'islamofobia.
Un fenomeno che, mi sembra, presenta caratteri e meccanismi molto simili
all'antisemitismo "storico". Analoghi, infatti, sono le strutture e i temi
ricorrenti: la religione dell'Altro intesa come un'essenza intrinseca,
immutabile, sottratta alla storia e al cambiamento; la "razzizzazione" della
presunta appartenenza religiosa; la tesi della sacra identita' nazionale e/o
europea minacciate da una alterita' inassimilabile eppure capace di
contaminare o insidiare il corpo della nazione...
Come dicevo, nel nostro paese l'impennata di islamofobia che si e'
determinata dopo gli attentati dell'11 settembre ha trovato un terreno del
tutto propizio: da quasi due anni a questa parte, infatti, e' in corso una
vera e propria campagna d'opinione contro l'islam, con l'attivo concorso di
una parte dei mass media e di alcune forze politiche, e il contributo di
taluni opinion leaders e di qualche esponente della gerarchia cattolica.
*
Inizia la crociata antimusulmana
Vorrei ricordare qualche esempio della crociata antimusulmana che si
scateno' in particolare nella seconda meta' del 2000, in un crescendo
contrassegnato da alcune tappe salienti. Nell'estate di quell'anno viene
pubblicato (perche' mai in agosto?) un volumetto, Multiculturalismo,
pluralismo culturale ed estranei, ad opera di Giovanni Sartori, "il piu'
eminente e il piu' noto politologo italiano" (cosi' recita il risvolto di
copertina), nonche' consigliere della coalizione dell'Ulivo.
In questo libretto - un pamphlet piu' che un saggio - la dotta disquisizione
su pluralismo e multiculturalismo, che sembrava promettere chissa' che,
approda alla tesi, alquanto rozza, della "alterita' radicale non
integrabile", una categoria coniata per identificare una componente della
popolazione immigrata. L'immigrato massimamente estraneo e dunque
assolutamente non integrabile viene individuato nella figura (in realta' uno
stereotipo) dell'africano, arabo e musulmano (come se i tre termini fossero
coincidenti), colui che incarnerebbe l'essenza della piu' radicale
"estraneita' religiosa ed etnica" (laddove "etnica", nel lessico di Sartori,
e' un sinonimo elegante di "razziale").
*
Razzismo cattolico...
Una seconda tappa, che fa immediatamente seguito alla prima (settembre dello
stesso anno), e' costituita dalla pastorale dell'arcivescovo di Bologna,
Giacomo Biffi, nella quale si paventa il rischio che l'immigrazione di
musulmani possa attentare all'identita' nazionale (identificata tout court
come cattolica) e si invitano le autorita' politiche a scoraggiarla e a
favorire l'ingresso di immigrati di fede cristiana. Cio' offre a Sartori
l'occasione di "inchinarsi", dalle colonne del settimanale "L'Espresso" (28
settembre 2000), alla "fede intelligente" del cardinale, lodandone "l'etica
della responsabilita'" - e nel contempo di fare pubblicita' al proprio
libretto.
*
... e leghista
Fin qui la querelle si era espressa soprattutto sul piano della "battaglia
delle idee" e del battage mediatico. A dare una svolta tanto rumorosa quanto
allarmante all'islamofobia crescente interviene l'attivismo politico
leghista: il 14 ottobre del 2000 la Lega Nord promuove a Lodi un'iniziativa
di protesta contro il progetto di edificazione di una moschea, dai toni
decisamente intolleranti e dallo stile quasi-squadristico. Infatti, nel
corso di quella iniziativa "politica", cui parteciparono anche altre
componenti della Casa delle Liberta' insieme ad esponenti della galassia
neonazista, il terreno dove sarebbe dovuta sorgere la moschea viene
profanato cospargendovi orina di maiale: un atto di scherno la cui cifra
simbolica e semantica si colloca in continuita' con lo stile
dell'antisemitismo piu' aggressivo, quello che si manifesta con la
profanazione di cimiteri, tombe e monumenti ebraici.
Poco piu' di un mese dopo, a Rovate, sempre in Lombardia, un sindaco
leghista privo di senso del ridicolo, emette un'ordinanza che ingiunge a chi
non sia cattolico di tenersi lontano di almeno 15 metri dall'ingresso dei
luoghi di culto cattolici.
*
Chi c'e' dietro?
Oggi, col senno di poi, si potrebbe sospettare che quell'improvvisa fiammata
antimusulmana, che in verita' percorse anche altri paesi europei (in
Danimarca, come in Italia, preannuncio' la vittoria elettorale della destra
e in particolare della sua componente piu' smodatamente xenofoba), non sia
nata del tutto spontaneamente.
E' probabile che nelle intenzioni di Sartori il suo contributo alla campagna
mirasse a scoraggiare chi, nell'Ulivo, ancora s'attardava in una "ottusa e
irresponsabile etica dei principii" ("L'Espresso", cit.), col rischio di
compromettere l'emulazione della destra attuata dalla sinistra a fini
elettorali; e che nei disegni degli altri la crociata avesse il fine di
compiacere un'opinione pubblica avvelenata dalla xenofobia onde trarne
ugualmente vantaggi elettorali. Nondimeno si ha l'impressione che quella
campagna, cosi' come le voci su possibili attentati islamisti circolanti
prima del vertice di Genova e la stessa, per alcuni versi inspiegabile,
brutalita' poliziesca scatenata contro il movimento anti-G8, non fossero del
tutto slegate da qualche disegno, o da un allarme reale, da parte dei
servizi di intelligence.
*
Musulmani-terroristi
Questa sommaria rievocazione della campagna d'opinione antimusulmana che
prese avvio negli ultimi mesi del 2000 e' utile, dicevo, a comprendere
meglio cio' che accade oggi, dopo la strage del World Trade Center, in un
clima avvelenato dalla fobia degli attentati, dal sentimento collettivo di
incertezza e paura, e soprattutto dalla loro manipolazione allo scopo di
creare consenso verso la guerra planetaria "infinita". Mi sembra, insomma,
che la strage delle Twin Towers abbia radicalizzato potenzialita' che erano
gia' in atto e che il ciclo perverso terrorismo-guerra-eterofobia che essa
ha scatenato si sia valso di tendenze alquanto consolidate.
Oggi il "fondamentalismo bianco" e la xenofobia hanno un argomento in piu',
che concorre a legittimarli: l'equazione, tanto arbitraria quanto
retoricamente efficace, "extracomunitari"-musulmani-terroristi. Fin dal
giorno dopo gli attentati, si e' prodotta una valanga di enunciati e atti
basati su questa retorica non solo reazionaria, ma anche dalla valenza
inequivocabilmente razzista.
Si va dalla gaffe del Cavaliere, in una ufficialissima sede internazionale,
sulla superiorita' della "civilta' occidentale" all'entusiastico consenso
verso i deliri di Oriana Fallaci espresso in forma altrettanto ufficiale dal
ministro dei Beni culturali, per arrivare ai vaneggiamenti del genere
"l'immigrazione clandestina e' funzionale ai disegni criminali del
terrorismo e del fanatismo religioso islamico": e' il giudizio di Mario
Borghezio, europarlamentare leghista, noto per la signorilita' e la
compostezza, a commento delle polemiche intorno al volantino distribuito a
Venezia dalla Lega Nord qualche giorno dopo gli attentati, il quale recava,
sotto il ritratto di Bin Laden, lo slogan "Clandestini uguale terroristi
islamici".
*
Il "contributo" dei media
Quanto al contributo dei media alla costruzione di questa retorica, tale e'
l'abbondanza degli esempi che conviene citarne solo uno, particolarmente
rappresentativo. E' l'articolo (a firma Dino Sacchettoni) pubblicato il 13
novembre 2001 da "Metro", quotidiano distribuito gratuitamente a Roma e
letto in sostanza da tutti gli utenti della rete metropolitana: "Ormai,
immigrati che vivono e lavorano da noi [...] ci scaraventano addosso
pubblicamente islamico disprezzo per la nostra appartenenza al mondo degli
infedeli e ci ricordano [...] che dovremo convivere con un incubo". Nel
medesimo articolo, l'autore non aveva resistito alla tentazione di ricorrere
all'abusato cliche' dei "nostri opulenti pacifisti, intossicati di
benessere", i quali "scendono in piazza con le felpe firmate per protestare
contro la guerra". Gli era sfuggito che tra gli "opulenti pacifisti" del
grande corteo del 10 novembre v'era qualche migliaio di "immigrati che
vivono e lavorano da noi", che manifestavano contro il terrorismo e la
guerra, insieme agli infedeli con le felpe firmate.
*
Dalle parole all'azione
Cio' che e' piu' grave e' che quest'orgia di retorica non rimane confinata
nell'ambito del discorso razzista, ma continuamente istiga al passaggio
all'atto. Anche in questo caso non mancherebbero gli esempi da riportare a
dimostrazione dell'impennata di azioni violente e/o repressive, che si e'
determinata in Italia dopo l'11 settembre, verso chi e' o e' reputato
"extracomunitario" e chiunque abbia una facies percepita come "araba". Ne
cito solo un paio.
A Vigevano, il 23 ottobre 2001 un ragazzo di 14 anni, figlio di marocchini,
viene aggredito da due compagni di scuola a calci e pugni, dopo essere stato
apostrofato come terrorista islamico e amico di Bin Laden. L'aggressione si
consuma dinanzi all'istituto professionale frequentato dai tre e nessuno
interviene in difesa della vittima. Due giorni dopo, nella "civilissima"
Bologna, il conducente di un bus si rifiuta di far salire una donna con
bambina adducendo a pretesto il fatto che ella indossa il "velo islamico",
in realta' un semplice foulard. La donna, fra l'altro, e' cittadina
italiana.
*
Il razzismo politico in Italia
Un'ultima osservazione: che i deliri razzistici siano parte del discorso
pubblico quotidiano e' cosa che in Italia non fa grande scandalo (mentre lo
farebbe, per esempio, in Francia). In cio' mi sembra vi sia una certa
peculiarita' nostrana. Essa ha a che fare non tanto con il fatto che gli
umori intolleranti siano diventati moneta corrente facilmente spendibile sul
mercato elettorale e percio' usata a piene mani dalla destra (e talvolta
dalla sinistra): cio' accade anche in altri paesi europei. Altrove pero' il
discorso razzista suscita per lo piu' reazioni allarmate, polemiche,
dibattiti, prese di posizione anche da parte di elite intellettuali, il che
non toglie che il razzismo sia alimentato e tollerato sul piano delle
pratiche sociali e legislative. In Italia, al contrario, il discorso
razzista sovente non solo non e' denunciato ma neppure e' riconosciuto come
tale, se non da una parte assai minoritaria del mondo politico e
dell'opinione pubblica.
Cerco di spiegarmi meglio, ricorrendo a un esempio. Se l'intemperanza
verbale di Berlusconi sulla "civilta' superiore" ha allarmato gli alleati e
scandalizzato la stampa estera non e' solo perche' essa ha rischiato di
interferire nel gioco diplomatico che andava preparando la guerra. E' anche
perche' negli Stati Uniti l'establishment sa di dover dare conto a 27
milioni di cittadini statunitensi di fede musulmana, in buona parte
organizzati in associazioni e lobby; e in Francia, ugualmente, i leader
politici sono consapevoli che non e' il caso di inimicarsi i 5 milioni di
francesi seguaci dell'islam. Di qui una certa prudenza, circospezione o, se
volete, ipocrisia sul piano del discorso.
Quanto agli atti e alle pratiche, e' pleonastico rimarcare che le cose non
vanno meglio che in Italia: negli Stati Uniti, limitandoci a parlare del
dopo-11 settembre, la caccia, fino all'omicidio, allo straniero e a chiunque
rechi qualche segno percepito come esotico, i mille desaparecidos fermati
solo perche' stranieri e "arabi", e internati sulla base di una legge
speciale che nega loro le piu' elementari tutele giuridiche, segnalano non
solo quale barbarie producano le legislazioni di emergenza, ma anche di
quanto razzismo siano intrise le pratiche istituzionali del paese del
melting pot.
*
Eterofobia e debolezza dei migranti
Mi pare che questi frammenti di analisi abbiano attinenza col tema
dell'organizzazione dei migranti. L'ancora debole visibilita' politica dei
cittadini stranieri, il fatto che essi non abbiano conquistato il diritto di
voto neppure nelle elezioni amministrative, l'assenza di solide reti di
autorganizzazione dei migranti, all'esterno e soprattutto all'interno delle
organizzazioni politiche e sindacali nonche' dello stesso movimento contro
il neoliberismo (reti tali da essere riconosciute come una realta' con cui
la politica nazionale sia obbligata a fare i conti): tutto cio' non e'
affatto irrilevante rispetto alla crescita dell'eterofobia e del razzismo.
Promuovere la soggettivita' del migranti e il loro protagonismo mi sembra
condizione primaria per attrezzarsi alla lunga tenzone contro il
"fondamentalismo bianco". Ma e' anche opportuno, in tema di
autorganizzazione dei migranti, esplicitare quali siano i modelli e le
esperienze cui si fa riferimento.
*
L'esperienza del movimento antirazzista
Per ragioni storiche che qui non v'e' lo spazio per analizzare e neppure per
enunciare, in Italia, come in altri paesi europei con l'eccezione del Regno
Unito, la miriade di associazioni che hanno costituito il movimento per i
diritti dei migranti e contro il razzismo ha avuto e ha carattere
prevalentemente "misto".
E' vero: di esso fanno e hanno sempre fatto parte anche le "comunita'", come
vengono dette, con un termine a mio parere infelice, le associazioni
costituite da stranieri di una medesima nazionalita'. Ma il modello
prevalente, che si e' imposto soprattutto nella fase piu' avanzata del
movimento (collocabile grosso modo fra la seconda meta' degli anni Ottanta e
la prima dei Novanta), e' stato quello di realta' associative costituite da
"nativi/e" e migranti, a loro volta facenti parte di un unitario movimento
antirazzista e per i diritti di cittadinanza: questo ha avuto (e ha) come
cemento non solo e non tanto la solidarieta' degli uni verso gli altri, ma
piuttosto la consapevolezza del comune interesse a praticare il terreno
della battaglia antirazzista e della difesa e dell'allargamento dei diritti
di cittadinanza.
*
Le organizzazioni comunitarie
Non intendo sostenere che questo modello sia esente da difetti: il rischio
che il protagonismo dei migranti sia mortificato, che i processi di
soggettivazione politica degli stranieri, invece che essere incrementati,
siano bloccati o riguardino solo ristrette elites e' sempre presente.
D'altra parte, sul versante delle "comunita'" i difetti non sono minori, e
non riguardano solo il rischio dell'autosegregazione in ghetti comunitari.
Il mondo delle "comunita'" e' costituito da una tipologia assai varia che
comprende in gran parte formazioni di base e democratiche, ma anche alcune
associazioni legate alle ambasciate (e dunque ai governi) dei paesi di
provenienza, e perfino casi di gruppi rigidamente e gerarchicamente
controllati da leadership di tipo speculativo.
Ovviamente le "comunita'" non esauriscono la tipologia delle forme di
organizzazione degli stranieri: per esempio, fra le associazioni delle
migranti numerose sono quelle non fondate sul criterio della nazionalita' e
costituite da donne provenienti da ogni dove. Spesso, anzi, esse hanno
l'intento programmatico di rompere le barriere "etniche" e nazionali, per
organizzarsi contro la duplice discriminazione e segregazione, in quanto
donne e in quanto migranti.
*
Come superare il livello "biancocentrico"
Con cio' non si vuole negare l'esigenza di incrementare e rafforzare forme
associative in grado di promuovere la battaglia contro la discriminazione e
la segregazione e per la cittadinanza, di "dare voce" ai migranti, di
promuoverne il protagonismo; ne' si intende sottacere che esiste uno
specifico problema italiano riguardante la scarsa forza contrattuale delle
associazioni degli stranieri nei confronti dei poteri e delle istituzioni
pubbliche.
Ma a me sembra che la principale questione all'ordine del giorno ruoti
intorno all'interrogativo seguente: come far si' che il movimento
associativo democratico, il mondo sindacale, le organizzazioni politiche, il
movimento contro il neoliberismo non solo si aprano alla presenza e alle
istanze di cui sono portatori i migranti e le migranti (istanze universali,
che obbligherebbero a ripensare il tema della cittadinanza e dei diritti),
ma vengano anche attraversate dalla loro soggettivita', si "contaminino" con
pratiche e culture diverse da quelle consegnate da una tradizione politica
tutta "biancocentrica".
Il fatto che in una societa' sempre piu' policulturale com'e' anche quella
italiana - che piaccia o no a chi ci governa - le organizzazioni di
sinistra, le sindacali ma soprattutto le politiche, non abbiano piena
consapevolezza dell'urgente necessita' di superare il modello
"biancocentrico" di cui dicevo e' un segno di arretratezza, mi sembra,
specificamente italiano. Evidentemente, le condizioni per il superamento di
tale modello risiedono anche, forse principalmente, nell'avanzamento dei
processi di soggettivazione dei/delle migranti, nella loro capacita' di
proporsi quali soggetti di conflitti che hanno come posta in gioco la lotta
contro il razzismo e per la cittadinanza.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 350 del 14 luglio 2009

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