Nonviolenza. Femminile plurale. 254



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 254 del 18 giugno 2009

In questo numero:
1. Contro la guerra e per i diritti umani di tutti gli esseri umani
2. Le donne del presidio "No Dal Molin": Una lettera a Michelle LaVaughn
Robinson Obama
3. Cinzia Gubbini intervista Christine Weise
4. Alessandra Farkas intervista  Mahnaz Afkhami
5. "Il riformista" intervista Faezeh Hashemi
6. "L'Unita'" intervista Farian Sabahi
7. "Christian Science Monitor": Chi e' stato veramente imbrogliato nelle
elezioni in Iran? Le donne
8. Ritanna Armeni: Liberta' femminile
9. Jolanda Guardi: Movimenti femminili islamici

1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA E PER I DIRITTI UMANI DI TUTTI GLI ESSERI
UMANI

Solo la pace costruisce la pace.
Solo il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani
garantisce i diritti umani di ogni singolo essere umano.
Tu opponiti a tutte le guerre.
Tu opponiti ad ogni violenza.
Vi e' una sola umanita'.
Solo la nonviolenza puo' salvare tutte e tutti.

2. APPELLI. LE DONNE DEL PRESIDIO "NO DAL MOLIN": UNA LETTERA A MICHELLE
LAVAUGHN ROBINSON OBAMA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente lettera delle donne del presidio "No Dal Molin" a
Michelle LaVaughn Robinson Obama]

Cara Michelle Obama,
siamo le donne del movimento "No Dal Molin" della citta' italiana di
Vicenza, nota nel mondo per le sue bellezze artistiche e per Palladio. Ci
rivolgiamo a te come donna autorevole, appassionata di politica, rispettosa
della madre terra, e sostenitrice dell'impegno del marito, presidente degli
Stati Uniti d'America. Ci rivolgiamo a te sapendo che affidiamo le nostre
parole e la nostra speranza in ottime mani. Pensiamo che nel mondo si stia
assistendo a un grande e augurabile fenomeno: la crescita della presenza
delle donne nella politica. Pensiamo che questa sia una grande occasione per
il rinnovamento positivo della storia e dei valori a cui si ispirano i
popoli e le nazioni. Noi vogliamo favorire questo fenomeno.
La nostra citta' ospita da sessant'anni una caserma statunitense e altri
siti militari americani nelle colline circostanti. Ora sull'ultima area
verde rimasta in citta', l'aeroporto Dal Molin, il governo italiano
acconsente alla costruzione di un'altra grande base militare americana, su
richiesta del governo Bush che voleva collocare a Vicenza un'armata definita
dai militari statunitensi "pugno di combattimento", pronto ad essere
impiegato in operazioni di guerra decise dagli Usa.
L'area destinata alla costruzione della base si trova sopra la piu'
importante falda acquifera del nord Italia e la realizzazione delle
fondamenta richiede la perforazione degli strati di un territorio
dall'equilibrio geologico delicatissimo, con rischi enormi non solo per
l'ambiente circostante, ma per la riserva d'acqua a cui attingono gli
abitanti di tutta la nostra regione. Una minaccia gravissima per la salute
umana e del territorio.
Da tre anni migliaia di donne e uomini ci battiamo per la difesa della
terra, per la salvaguardia dell'acqua e per esprimere una cultura della
pace. Diciamo che non e' indice di civilta' e di rispetto costruire una base
militare dentro una citta' molto abitata. Vogliamo difendere la Costituzione
Italiana che ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti
internazionali, mentre il progetto della base e' coerente con la strategia
della guerra globale enunciata da Bush.
Questa strategia e' gia' stata sconfitta negli Stati Uniti con l'elezione di
Barack Obama e con la vittoria del partito democratico. Voi avete affermato
la forza del cambiamento contro la politica di guerra di Bush, avete
ribadito la priorita' di valori come la liberta', il rispetto dei diritti
umani, il dialogo e la condivisione, rigettando una politica di potenza
unilaterale. Noi crediamo in voi e nel vostro impegno e infatti il nostro
movimento vi ha sostenuto durante le elezioni americane. Abbiamo spedito
anche migliaia di cartoline a Barack Obama chiedendogli di intervenire per
fermare la costruzione della nuova base militare a Vicenza. Non abbiamo
ricevuto alcuna risposta.
Abbiamo pensato, da donne a donna, che tu possa sostenere le ragioni della
nostra lotta perche' ci battiamo condividendo i principi a cui si richiama
la politica della nuova amministrazione Obama che vuole collegarsi alla
grandezza delle origini della democrazia americana.
Il progetto della base militare "Dal Molin" viola le norme europee che
prevedono in casi come il nostro la consultazione dei cittadini e la
valutazione dell'impatto sull'ambiente. L'una e l'altra ci sono state
negate.
Noi donne ci opponiamo alla base militare perche' amiamo i nostri figli e il
nostro territorio e vogliamo salvaguardare il loro futuro, perche' vogliamo
per loro una citta' e una terra corrispondenti al nostro desiderio di
convivenza pacifica e a un concetto di autentica dignita' umana.
Noi vogliamo una citta' dove non siano presenti gli strumenti della feroce
violenza militare.
Ti chiediamo di intervenire, in nome di quei valori di liberta' e di pace
che troppo spesso sono stati aggrediti e violati.
Da donne che lottano a donna che lotta ti chiediamo di intervenire con
l'autorita' che lo stesso presidente Obama ti riconosce. Ti preghiamo di
intercedere in nome della sapienza politica femminile molto piu' evoluta
della politica che usa solo la forza e la violenza per imporsi.
In nome di questo ordine superiore, in nome della cultura della pace e delle
differenze, in nome della speranza, dell'amore per il futuro dei nostri
figli, ti chiediamo di essere la nostra portavoce presso l'amministrazione
Obama affinche' venga sospesa la costruzione della base militare americana a
Vicenza e la vostra diplomazia venga a parlare con il nostro sindaco, con il
nostro movimento e conosca cosi' la realta', la verita' e vengano rispettati
i diritti umani...
Ti invitiamo nella nostra citta': saremmo felici di farti vedere la sua
bellezza, la bellezza del nostro movimento. Saremmo molto onorate se tu
accogliessi il nostro invito come una tra le donne piu' autorevoli del mondo
e come compagna di lotta che condivide i nostri valori.
Con affetto e stima, riponiamo in te e nel lavoro del presidente Obama
fiducia e speranza.
Le donne del presidio "No Dal Molin"

3. LIBIA. CINZIA GUBBINI INTERVISTA CHRISTINE WEISE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 giugno 2009 col titolo "In Libia
violati i diritti umani dei migranti ma anche dei libici" e la nota
redazionale "Christine Weise e' presidente di Amnesty Italia"]

Il segretariato internazionale di Amnesty International ha inviato una
missione in Libia per verificare la condizione degli immigrati in quel
paese. La missione si e' conclusa il 23 maggio. Il report e' ancora in fase
di lavorazione. Ma le informazioni emerse finora descrivono un quadro di
grave violazione dei diritti umani. Ne parliamo con la presidente di Amnesty
international Italia, Christine Weise, che esprime la preoccupazione
dell'associazione non soltanto per la situazione dei migranti, ma anche per
quella dei libici, in un paese in cui la repressione del dissenso e' la
norma. Amnesty ieri ha aderito alla manifestazione che si e' svolta a Roma a
piazza Farnese, indetta da Fortress Europe per protestare contro le
politiche migratorie italiane e libiche. Il momento clou e' stata la
proiezione del film "Come un uomo sulla terra", che documenta l'inferno
sperimentato dai migranti che attraversano la Libia per raggiungere
l'Europa.
*
- Cinzia Gubbini: Cosa hanno visto i ricercatori di Amnesty International in
Libia?
- Christine Weise: I nostri ricercatori hanno visitato il centro di
detenzione di Misratah. Hanno trovato centinaia di persone provenienti
soprattutto da Eritrea, Somalia, Nigeria e Mali. Il centro era molto
affollato. Alcuni si trovavano li' gia' da due anni. Le persone vivono
condizioni molto difficili: dormono sul pavimento, i servizi sanitari sono
insufficienti, non hanno alcun tipo di privacy. Molte delle persone
intervistate hanno detto che questo e' uno dei centri migliori, erano stati
trattenuti in luoghi peggiori. Amnesty ha anche raccolto denunce di migranti
non detenuti che lamentano maltrattamenti e discriminazioni da parte della
polizia e dei cittadini. Le autorita' libiche hanno sostenuto che in Libia
non sono presenti rifugiati. Le autorita' libiche hanno inoltre dichiarato
che non intendono aderire alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Ci
hanno detto che e' in discussione un testo di legge sul diritto di asilo, ma
Amnesty non ha potuto prenderne visione.
*
- Cinzia Gubbini: Cosa pensa Amnesty del trattato di amicizia e cooperazione
tra Italia e Libia?
- Christine Weise: La nostra valutazione riguarda la completa assenza di
elementi riguardanti la protezione dei diritti umani. C'e' stata inoltre una
carenza di trasparenza: non e' stato dato modo alle ong di intervenire ne'
nella fase preparatoria da parte del governo, ne' nella fase della
ratifica - piuttosto veloce - del parlamento, avvenuta nel febbraio 2009.
Organismi come Amnesty non hanno cosi' potuto proporre modifiche.
*
- Cinzia Gubbini: La conseguenza pratica di questo accordo sono stati i
respingimenti dei migranti in Libia...
- Christine Weise: Sono state respinte in mare verso la Libia circa
cinquecento persone che cercavano di raggiungere l'Italia, tra migranti e
richiedenti asilo. E' stato un precedente molto grave. L'Italia ha violato i
propri obblighi internazionali. La Libia non puo' essere considerato un
paese sicuro. Basti un esempio: i nostri ricercatori non sono stati in grado
di sapere che fine hanno fatto le persone respinte, non si sa chi sono ne'
dove sono.
*
- Cinzia Gubbini: L'Italia sta lavorando per esternalizzare qualche fase
della procedura per la richiesta di asilo in Libia. Qual e' l'opinione di
Amnesty?
- Christine Weise: Pensiamo che migliorare le procedure di asilo in Libia
sarebbe un passo positivo. E' necessario che chi vuole chiedere asilo
politico in Libia ne abbia la possibilita'. Quello che non accettiamo e'
un'esternalizzazione: non e' possibile negare l'accesso in Italia alle
persone che vogliono chiedere asilo politico in Italia.
*
- Cinzia Gubbini: Quale messaggio dovrebbe lanciare il governo italiano al
leader libico in occasione di questa sua storica visita, secondo voi?
- Christine Weise: Il messaggio che andrebbe lanciato e' sicuramente un
maggiore rispetto dei diritti umani in tutti i sensi, nei confronti dei
migranti che si trovano in Libia ma non solo. In Libia esistono molti
prigionieri politici e ci sono molte limitazioni del diritto di riunione,
associazione e libera espressione e una repressione del dissenso molto
forte. Non critichiamo la decisione di avere dei rapporti politici ed
economici con paesi come la Libia. Quello che chiediamo e' di mettere sempre
i diritti umani sul piatto della bilancia. Quando si decide di avere dei
rapporti di questo tipo non bisognerebbe mai tacere su questo aspetto.

4. IRAN. ALESSANDRA FARKAS INTERVISTA MAHNAZ AFKHAMI
[Dal "Corriere della sera" del 16 giugno 2009 col titolo "E' una
rivoluzione, la guidano donne e blogger" e il sommario "Intervista. Per l'ex
ministra Afkhami e' stata una truffa: computer programmati per dare il 60%
al presidente]

"Stiamo assistendo a quella che potrebbe diventare la prima rivoluzione
guidata da internet della storia". Mahnaz Afkhami, scrittrice, attivista ed
ex-ministra iraniana per gli Affari delle donne prima della rivoluzione
khomeinista, non esclude che il regime degli ayatollah sia in procinto di
cadere.
"Anch'io, come la maggior parte degli iraniani, giudico queste elezioni una
truffa - spiega -. Hanno programmato i computer per dare il 60% ad
Ahmadinejad e il 30% a Mousavi, persino nelle citta' dove quest'ultimo
stravinceva nei sondaggi. Un trucco fin troppo trasparente".
*
- Alessandra Farkas: Che cosa le fa pensare che si tratti proprio di una
rivoluzione?
- Mahnaz Afkhami: La convergenza di molti fattori nuovissimi. Prima d'ora
non avevamo mai assistito a liti tanto pubbliche ai vertici delle elite al
potere in Iran. E per la prima volta e' il popolo a guidare i propri leader
e non viceversa.
*
- Alessandra Farkas: Cosa intende dire?
- Mahnaz Afkhami: Dopo la sconfitta, Mousavi aveva esortato i suoi elettori
a una calma rinunciataria, ma questi l'hanno spinto a rialzare i toni,
rimettendo tutto in discussione. Oggi in Iran la piazza si muove piu'
velocemente dei propri leader.
*
- Alessandra Farkas: Come lo spiega?
- Mahnaz Afkhami: L'Iran, dove il 70% della popolazione ha meno di 30 anni,
e' una nazione di cibernauti che sta guidando questa nuova rivoluzione con
Twitter, YouTube e Facebook. Che sono mille volte piu' avanti dei media
internazionali nel raccontare cosa accade nel Paese. Non dimentichiamoci poi
che tra i blogger piu' agguerriti ci sono molte donne.
*
- Alessandra Farkas: Che impatto possono avere tra le classi meno abbienti?
- Mahnaz Afkhami: Enorme. Il loro e' un movimento, piu' che un partito
politico, un network con milioni di simpatizzanti che hanno organizzato una
capillare campagna porta a porta, raggiungendo casalinghe, parrucchiere e
sarte. Sono state le donne, che alle ultime elezioni si erano astenute, a
spingere il conservatore Mousavi verso posizioni piu' progressiste,
scegliendolo astutamente come il loro candidato solo perche' aveva piu'
chance di vittoria.

5. IRAN. "IL RIFORMISTA" INTERVISTA FAEZEH HASHEMI
[Dal quotidiano "Il Riformista" del 16 giugno 2009 col titolo "Il despota ha
rubato le elezioni" e il sommario "Faezeh Hashemi. Intervista esclusiva con
la figlia di Rafsanjani, il piu' potente rivale di Ahmadinejad. Mio padre
non si dimette, non scapperemo... perche' abbiamo vinto. E tramite 'Il
Riformista' lancia un appello all'Italia"]

Teheran. I leader riformisti sono agli arresti o barricati in casa.
Subiscono con sempre maggiore frequenza minacce e violenze. Faezeh Hashemi,
Presidente della "Federazione islamica delle donne dello sport" e figlia
dell'ex presidente Hashemi Rafsanjani, nonostante questo ha accettato di
essere intervistata dal "Riformista" e da Radio Radicale. La sua famiglia e'
stata attaccata con forza da Ahmadinejad in campagna elettorale, e dopo
l'esito del voto il presidente ha promesso alla gente che sara' lui in
persona ad occuparsi dei "nemici interni dell'Iran". Hashemi Rafsanjani e'
considerato dal regime il grande stratega delle proteste di questi giorni e
si parla con sempre piu' insistenza di un immediato regolamento di conti nel
Paese.
*
- "Il riformista": Cosa prova in queste ore. Ahmadinejad sara' ancora per
quattro anni il vostro presidente della Repubblica?
- Faezeh Hashemi: Ho un brutto presentimento. Da iraniana mi preoccupo per
la mia gente, che dopo una campagna elettorale cosi' appassionata, ora si
trova ad avere al governo un presidente che non ha svolto bene la sua
funzione nel suo mandato. Se il signor Ahmadinejad intendera' continuare con
i suoi programmi prepariamoci ad una vera e propria tragedia per il Paese.
*
- "Il riformista": Mousavi pur avendo condotto una campagna elettorale
attenta ai valori istituzionali, dopo la proclamazione di Ahmadinejad, ha
contestato i risultati chiedendo formalmente al Consiglio dei Guardiani
l'annullamento delle elezioni per brogli. Cosa ha da dire su questo?
- Faezeh Hashemi: Per quanto riguarda il voto, concordo completamente con
l'ingegner Mousavi e il dottor Karoubi. Ci sono state gravi irregolarita'
nella raccolta e poi nel conteggio dei voti. Vorrei tramite il vostro
giornale porre delle domande al governo. Dicono che i voti non sono stati
manipolati e allora perche' i badge per accedere ai seggi sono state
rilasciate con grave ritardo agli osservatori del voto per conto di Mousavi
e Karoubi? Perche' ad alcuni di loro il badge non e' stato proprio
rilasciato? Perche' alcuni osservatori sono stati allontanati dai seggi al
momento della conta dei voti? Perche' a tanta gente che doveva votare, in
coda da ore, non e' stata data questa possibilita' chiudendo le porte dei
seggi, mentre sono state stampate 57 milioni di tessere elettorali su 46,2
milioni di aventi diritto al voto? Per quale motivo hanno attaccato e
saccheggiato il comitato elettorale di Mousavi? Perche' hanno oscurato tutti
i siti riformisti e isolato tutti i telefoni? Tutto questo e' stato
pianificato per tempo, l'obiettivo da raggiungere era far totalizzare ad
Ahmadinejad il 60% di voti. Quei voti appartenevano a Mousavi. Lui doveva
essere eletto.
*
- "Il riformista": Si e' diffusa la notizia che suo padre Hashemi Rafsanjani
avrebbe l'intenzione di dimettersi da tutte le cariche...
- Faezeh Hashemi: Non e' assolutamente vero... mio padre non si dimettera'.
Se e' per questo si e' anche detto che sarei scappata dall'Iran. Posso
confermarle che sono di fronte a lei.
*
- "Il riformista": Ha sentito suo padre? Qual e' il suo stato d'animo?
- Faezeh Hashemi: Certo, e' mortificato per quanto accaduto. Lui ha invitato
piu' volte la gente ad esercitare il proprio diritto di voto. Aveva detto
loro: "Abbiamo bisogno di ognuno dei vostri voti, sono necessari e
preziosi". La gente ha risposto, ha fatto il suo dovere, ma non e' servito a
nulla. Mio padre, come tutti noi, prova un grande scrupolo di coscienza nei
loro confronti.
*
- "Il riformista": Proseguono le proteste dei giovani iraniani e i pestaggi
della polizia. Si incontrano per strada ragazzi tristi e angosciati. Il
"sogno verde" e' gia' finito?
- Faezeh Hashemi: Sono con il popolo iraniano. Ha votato e ora ha il
legittimo diritto di sapere cosa e' stato fatto dei loro voti. Sono tristi
perche' defraudati. Trent'anni fa con la rivoluzione abbiamo combattuto per
la liberta' e i nostri diritti. In Iran oggi non c'e' democrazia e la gente
fa bene a scendere per strada e urlarlo.
*
- "Il riformista": Il risultato di queste elezioni potrebbe isolare
completamente l'Iran dalla comunita' internazionale, proprio quando, con le
aperture di Obama, sembravano essersi aperte nuove prospettive. Quale sara'
la strategia dei riformisti per l'immediato futuro del Paese?
- Faezeh Hashemi: Il contributo dell'opposizione per il futuro dell'Iran e'
orami totalmente inutile. Non siamo piu' assolutamente in grado di poter
operare per il futuro del Paese. Il miglioramento delle condizioni
economiche, i diritti umani, la condizione della donna, tutte le nostre
battaglie sono da oggi impossibili.
*
- "Il riformista": Esiste un rapporto particolare tra l'Iran e l'Italia,
culturale ed economico. Cosa vuol dire ai lettori italiani che in queste ore
stanno seguendo con tanto coinvolgimento le sorti del popolo iraniano?
- Faezeh Hashemi: Viviamo in una situazione cosi' drammatica che non
possiamo neanche esprimerci come vorremmo. Vorrei solo dire agli italiani,
tramite il vostro giornale, che se Ahmadinejad proseguira' nella stessa
politica estera degli ultimi quattro anni, tutto quello che potrebbe
accadere dal giorno dopo non e' la volonta' della maggioranza degli
iraniani. Non dimenticatelo.

6. IRAN. "L'UNITA'" INTERVISTA FARIAN SABAHI
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 16 giugno 2009 col titolo "Intervista a
Farian Sabahi: Nei suoi veri piani le elezioni del 2013", siglata Ga. B."]

Farian Sabahi, iraniana, insegna storia dei Paesi islamici all'universita'
di Torino. Le chiediamo di aiutarci a capire cosa stia accadendo a Teheran.
*
- "L'Unita'": La situazione pare in continua evoluzione. Che sbocchi puo'
avere il movimento di protesta secondo lei?
- Farian Sabahi: Essendo una storica di professione, preferisco non
ipotizzare scenari futuri. Una cosa mi pare evidente. L'esito del voto non
si spiega solo con i brogli. Mentre la campagna elettorale di Mousavi e'
durata tre settimane, quella di Ahmadinejad e' andata avanti per piu' di tre
anni, durante i quali ha elargito a destra e a manca, incrementando del 50%
le pensioni e del 30% gli stipendi degli insegnanti. Inoltre 22 milioni di
cittadini in piu' hanno ottenuto l'assistenza sanitaria gratuita. Tutto cio'
gli ha guadagnato consensi, anche se ha provocato la crescita di inflazione
e disoccupazione. Le proteste sono sincere, ma esiste anche un altro Iran,
al di fuori della capitale, che spesso non viene considerato. Ci sono 4
milioni di nomadi la cui scelta elettorale non e' un fatto individuale. E
quando tu vedi il presidente che si sporca le scarpe di polvere per andare
nei villaggi a stringere le mani dei tuoi capi, questo basta a orientare il
tuo voto.
*
- "L'Unita'": Lasciamo stare il futuro allora. Cosa sta accadendo oggi ai
vertici del potere in Iran?
- Farian Sabahi: Un fenomeno interessante e' la frattura avvenuta
all'interno del sistema istituzionale della Repubblica islamica. La
propaganda di Ahmadinejad ha preso di mira figure di spicco dell'elite
politico-religiosa. Le accuse di corruzione hanno messo in serio imbarazzo
il candidato riformatore Karroubi, la terza carica dello Stato Rafsanjani,
grande sponsor di Mousavi, e altri ancora, senza escludere personaggi vicini
alla Guida suprema Khamenei. Si e' frantumata la coesione e l'omerta'
interna all'establishment. Il blocco di forze che fa capo ai Pasdaran e'
emerso sempre piu' distinto ed autonomo rispetto agli altri centri di
potere.
*
- "L'Unita'": Si puo' allora ipotizzare che Mousavi, nel chiedere
l'annullamento delle elezioni, punti soprattutto a stabilire un legame fra
il movimento di cui e' in questo momento leader e settori importanti
dell'elite religiosa? Pur sapendo che il voto non sara' invalidato, cerca di
rafforzare le basi dell'opposizione che si candida a guidare nei prossimi
anni?
- Farian Sabahi: Si', forse sta appunto pensando alle presidenziali del 2013
e non all'irrealistica ipotesi di ripetere quelle appena svolte. E'
possibile che, come lei dice, tenti di approfittare della divisioni fra
clero e Pasdaran. Ma Mousavi per 20 anni e' stato ai margini della politica.
Non vediamo in lui un raffinato stratega... Lo stesso Khatami, che sta dalla
sua parte, viene spesso sopravvalutato. La sua natura di riformatore e'
discutibile. Lo e' forse per gli standard iraniani, cosi' come un
conservatore del calibro di Rafsanjani, in contrapposizione ad Ahmadinejad,
e' stato etichettato come moderato pragmatico.

7. IRAN. "CHISTIAN SCIENCE MONITOR": CHI E' STATO VERAMENTE IMBROGLIATO
NELLE ELEZIONI IN IRAN? LE DONNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
avermi messo a disposizione nella sua traduzione il seguente editoriale (non
firmato) del "Christian Science Monitor" del 15 giugno 2009]

Cio' che colpisce nelle proteste degli iraniani contro le frodi nelle
elezioni del 10 giugno e' il numero di donne in prima linea. Fra tutti gli
imbrogliati alle urne, devono sentirsi le piu' negate. Per la prima volta,
durante le controllate campagne elettorali presidenziali della Repubblica
islamica, il movimento delle donne e' stato in grado di fare le proprie
richieste chiaramente ed in modo indipendente, sebbene il Consiglio dei
Guardiani, organo non elettivo composto da 12 membri di sesso maschile, non
ha permesso a nessuna candidata di presentarsi. Il coraggio del movimento
delle donne nel confronto con la teocrazia patriarcale (in cui la "polizia
morale" ancora sciama per le strade in cerca di donne truccate) puo' essere
stato una delle principali ragioni per le quali il regime ha manipolato il
conteggio dei voti, e per cui il leader supremo, l'ayatollah Ali Khamenei,
e' stato costretto a mettere in piedi uno show ordinando di vagliare le
prove della frode. I potenti chierici iraniani sanno che l'avanzamento della
democrazia e la liberazione delle donne vanno mano nella mano. Hanno visto
di recente l'elezione di donne in Kuwait e Iraq, mentre il gruppo a loro
piu' prossimo in Libano, Hezbollah, le elezioni le ha perse. Percio' stanno
tentando di fermare allo stesso tempo il movimento delle donne e l'aprirsi
della democrazia in Iran, per mantenere la loro "rivoluzione" sciita e il
loro potere. Pure, le frodi elettorali sono state eseguite con tale
sfacciataggine e tale sconsideratezza che il "vincitore", il presidente
Mahmoud Ahmadinejad, probabilmente trovera' difficoltoso il governare. E
l'occidente dovrebbe esitare un attimo, prima di consorziarsi ad un regime
la cui legittimazione sta scemando, che opprime apertamente meta' della sua
popolazione, e che vede le donne come una minaccia alla sicurezza. Quale
paese si sentirebbe fiducioso nel siglare un accordo con un regime che
prende per i fondelli la sua stessa gente nelle cabine elettorali?
Durante la campagna per le elezioni, le femministe iraniane hanno trovato un
sostegno nel candidato dell'opposizione, Mir Hossein Mousavi, ex primo
ministro. Egli ha promesso di sciogliere la "polizia morale", di riformare
le leggi che trattano le donne ingiustamente, e di nominare donne ad alte
cariche. Ha fatto la campagna con sua moglie, Zahra Rahnavard, una eminente
studiosa autrice di quindici libri. I due sono apparsi come una coppia i cui
membri si amano l'un l'altro, mostrando una moderna eguaglianza alle donne
iraniane. Ma al voto Mousavi ha "perso", persino nella sua citta' natale, il
che e' un altro segno di come tutto fosse fissato in anticipo.
Dall'altro lato, il signor Ahmadinejad ha un forte record negativo verso le
donne. Ha cambiato il nome del centro governativo "Per la partecipazione
delle donne" in "Centro per le donne e gli affari familiari". Ha limitato
l'accesso delle donne ai gradi piu' alti dell'istruzione ed ha proposto
leggi che permettono agli uomini di divorziare dalle loro mogli senza
neppure informarle e di non pagare loro gli alimenti. Piu' di tutto, il suo
regime ha incarcerato dozzine di donne coinvolte nella campagna "Un milione
di firme", un movimento popolare che ha avuto inizio nel 2006 per riformare
il sistema legale e mettere fine alla discriminazione di genere. I membri
del movimento sono stati assaliti nelle proprie stesse case e la campagna
marchiata come illegale.
Quindi non e' una vera sorpresa, il vedere donne a stento velate
confrontarsi con il regime durante le proteste post-elettorali. Se la falsa
vittoria di Ahmadinejad puo' aver rafforzato la posizione dei chierici nei
confronti dell'occidente, ha pero' chiaramente mostrato la loro debolezza
interna. In effetti, le donne iraniane non si faranno cancellare.

8. RIFLESSIONE. RITANNA ARMENI: LIBERTA' FEMMINILE
[Dal quotidiano "Il Riformista" del 17 giugno 2009 col titolo "Liberta'
femminile. Cosa ci insegnano le donne iraniane" e il sommario "Oppresse dal
regime, certo. Ma con veli colorati e vivaci, il rossetto e libri sotto il
braccio. No, non sembrano schiave"]

Sono molte le immagini femminili che si sono imposte in queste settimane sui
mass media e che sono state al centro del dibattito politico. Sono molte le
domande che quelle immagini hanno posto. Una soprattutto: in quali di quei
volti e di quei comportamenti e' possibile riconoscere un moderno e nuovo
modello di liberta', di emancipazione, di autonomia, di riscatto?
Abbiamo visto Noemi e le veline. Certo e' difficile collocarle dentro un
modello di emancipazione eppure c'e' chi sostiene che quelle donne hanno
esercitato o vogliono esercitare la liberta' di usare il loro corpo e la
loro bellezza per fare carriera nello spettacolo e nella politica. Anche
quella - dice qualcuno - e' liberta'.
Sono rimasta colpita dalle "amazzoni" di cui si circonda il colonnello
Gheddafi. Giovani donne tanto forti e coraggiose da fare le guardie del
corpo al piu' volte minacciato rais. Ho appreso poi che erano state scelte
guardie di sesso femminile per un compito tradizionalmente maschile perche'
meno inclini alla ribellione. Ma per loro e' cosi'? Come vivono quel loro
ruolo e come lo vivono le donne che le osservano?
Certo l'immagine della ministra spagnola Chacon che passava in rassegna le
truppe in Afghanistan o di Rachida Dati, ministra francese che tornava al
lavoro a cinque giorni dalla nascita del figlio erano immagini di
emancipazione piu' rassicuranti e attese, ma possono cancellare le altre?
Poi ho visto le donne iraniane. Oppresse dal regime, certo, private dei
diritti, certo, costrette al velo, simbolo di oppressione, ci ripetono.
Sara', ma guardiamole bene. Veli colorati e vivaci e, sotto, occhi
sottolineati dal kajal, bocche rosso vermiglio, riccioli e frange che
spuntano sotto il chador. E libri sotto il braccio. Il 70 per cento degli
studenti universitari sono donne. Saranno oppresse, ma schiave proprio no.
Dovunque guardiamo vediamo molta ambiguita'. Immagini sfocate o confuse in
cui dove magari sembra di leggere sottomissione appare e puo' apparire la
liberta' e dove si crede di trovare la liberta' si nasconde una nuova forma
di oppressione. Anche a casa nostra, dove alcune ministre della Repubblica,
malgrado i loro sforzi, non riescono a liberare la loro immagine da quella
di "prescelte" dall'imperatore. E dove persino giovani donne capaci,
intelligenti e con una carriera politica alle spalle come Debora
Serracchiani non riescono a cancellare il dubbio di essere usate nei giochi
di corrente del proprio partito proprio perche' donne.
Mi sono chiesta il perche' di tutto questo. Perche' non riesca nella nostra
societa' ad emergere un'immagine chiara e definita di forza, protagonismo,
autonomia femminile da indicare alle donne come esempio e modello. E invece
le immagini femminili abbiano non poche volte contorni confusi e contengano
una sostanziale ambiguita'. Come se un'immagine prima unica si fosse divisa
e al suo posto ne apparissero tante e diverse.
Pure fino a qualche decennio fa tutto sembrava molto chiaro. Il riscatto
femminile passava per l'emancipazione e questa significava studio e lavoro.
Poi al riscatto dello studio e del lavoro si e' aggiunta la ricerca della
liberta' e l'affermazione della differenza femminile, una dichiarazione piu'
precisa e orgogliosa della propria identita' sessuale. Questo e' stato in
estrema e imperfetta sintesi il femminismo.
Oggi districarsi e' piu' difficile. Modelli non ne esistono piu' e per molti
motivi. Intanto si e' rotta anche per le conquiste femminili un'idea di
progresso. Si e' capito che su alcune cose che parevano conquistate per
sempre si puo' tornare indietro. Si pensi ai continui attacchi alla legge
sull'aborto. Si ha il dubbio che molte conquiste che parevano avanzate
possono essere state un inganno. Basti pensare al percorso della maternita'
prima messa in secondo piano rispetto all'emancipazione e poi esaltata come
forma di differenza e superiorita' femminile. E inoltre sono ancora molte ad
essere sedotte dalla possibilita' di compiacere e affermarsi negli
interstizi e nei meccanismi dei modelli maschili.
In secondo luogo il mondo ci ha presentato ormai un'infinita' di identita'
femminili che fino a qualche decennio fa non facevano parte della nostra
quotidianita' e che oggi o grazie all'immigrazione o grazie ai mass media
sono entrate nella nostra vita. Possiamo cancellarle da un percorso, sia
pure diverso dal nostro, di ricerca di liberta'? Siamo in grado di definire
oggi noi le categorie e i paletti della liberta' femminile e soprattutto di
delinearne in percorsi?
Credo di no. Credo che il compito delle donne occidentali, emancipate,
liberate sia quello di rivendicare il proprio percorso e di metterlo a
disposizione delle altre. Mentre mi pare difficile che oggi esse si possano
proporre come modello unico sia in casa propria che fuori. E anche che
possano indicare un percorso uguale per tutte. Possono vigilare, criticare,
discutere e condannare se necessario. Ma oggi hanno il compito soprattutto
di ascoltare e osservare. Le diverse e spesso contraddittorie immagini di
liberta' e di protagonismo femminile aspettano una discussione, anche aspra,
ma aspettano soprattutto di essere viste e considerate. Chi si sentirebbe di
dire che quella ragazza iraniana che manifesta con il chador abbia una idea
di liberta' inferiore alla nostra?

9. ESPERIENZE. JOLANDA GUARDI: MOVIMENTI FEMMINILI ISLAMICI
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Velo o non velo?
L'Islam che fa audience" e il sommario "I movimenti femminili islamici ci
sono, ma in Italia non li conosciamo. Un excursus per sapere cosa accade e
una domanda: perche' non se ne parla?"]

Il dibattito sulla laicita' nel mondo musulmano in generale non vede le
donne come protagoniste. I testi classici sull'argomento e su quelli ad esso
correlati sono ricchi di dettagli sul cambiamento delle classi sociali, sui
legami nazionali e internazionali, sulle cause dei cambiamenti e su aspetti
della capacita' dello stato di rapportarsi al sacro e alla laicita'.
Nessuno, tuttavia, analizza le questioni dal punto di vista del genere. In
particolare, pochi o nulli sono gli studi che analizzano gli effetti del
processo emancipatorio su strati diversi della popolazione femminile. In
paesi dove le differenze sociali sono estremamente marcate l'autocoscienza
femminile e' appannaggio di un gruppo ristretto di donne, mentre la
maggioranza della popolazione femminile e' spesso occupata con tematiche
relative alla mera sopravvivenza: non dovremmo mai dimenticare questo scarto
quando parliamo di Islam e paesi musulmani.
E' altrettanto evidente che il diritto alla laicita' si gioca in arene che
non sono quelle del pensiero dominante sia esso musulmano o occidentale ma
che, in particolare, esso ruota intorno al diritto di famiglia. Per
conseguire il riconoscimento dei propri diritti le donne adottano
fondamentalmente due strategie: l'associazionismo - eterogeneo, ma che in
linea generale si rifa' a un discorso laico - e il cosiddetto femminismo
musulmano.
Le prime associazioni femminili sorsero in Egitto nel XIX secolo e
successivamente in tutto il mondo arabo. Queste associazioni erano composte
per lo piu' da donne appartenenti al ceto medio-alto e rispondevano alla
necessita' di una nuova figura di donna che fosse in armonia con i bisogni
della nuova classe emergente nel mondo arabo: quella dei funzionari statali
che avevano studiato all'estero che andavano sostituendo la classe degli
ulama', i dottori della legge, come punto di riferimento culturale. Per
questi uomini, in parte sostenitori del colonialismo inglese, una donna
ignorante e segregata non rispondeva piu' ai bisogni della nuova societa'
che si andava formando. Non a caso uno dei paladini dell'"emancipazione"
della donna fu un uomo, Qasim Amin, che non solo sosteneva l'istruzione
femminile, ma solo a livello basso, ma anche che la donna si togliesse il
velo.
Tra le rappresentanti piu' note di questo tipo di associazioni ricordiamo
Huda as-Sar'awi, nota per essere stata la prima donna egiziana a togliersi
la parte di velo che copriva il volto. Le associazioni di questo periodo,
alcune propaggini delle quali vediamo ancora oggi rappresentate, ad esempio
in Egitto dalla moglie del presidente Mubarak, che si e' fatta promotrice di
un progetto per l'emancipazione della donna egiziana o dalla regina di
Giordania, e, anche se in parte se ne discosta, dall'esperienza di Karovane
di Fatima Mernissi, sono di estrazione sociale alta e propongono si'
un'emancipazione della donna rispetto ai modelli tradizionali, ma sempre
entro l'ambito domestico, intendendo quindi il ruolo della donna sempre
all'interno della tradizione.
In seguito alla conquista delle indipendenze in diversi paesi arabi, sono
sorte diverse associazioni che univano a un'azione concreta un'elaborazione
concettuale ispirandosi in vario modo al femminismo occidentale e che
avevano come obiettivo finale l'uguaglianza fra i sessi. Queste
associazioni, che sopperiscono al ruolo dello stato che si disinteressa
dell'emancipazione della donna, tuttavia, non hanno avuto molto successo per
il linguaggio utilizzato e soprattutto per il rifiuto delle categorie
religiose, unitamente a problemi legati all'impossibilita' materiale di
raggiungere tutto il territorio di un determinato paese e agire cosi' in
modo capillare sulla presa di coscienza della popolazione femminile. Il
rifiuto di assumere il modello occidentale in toto deriva, da un lato, dalla
strumentalizzazione del "discorso donna" in occidente, dall'altro dal
rifiuto di rinnegare la propria cultura e il proprio sistema valoriale. La
disillusione, inoltre, nei confronti dell'occidente che promette a parole di
difendere i diritti delle donne ma nei fatti scende a patti con regimi che
calpestano i diritti minimi delle donne come l'Arabia Saudita, ad esempio, o
difende regimi che fanno della donna un mero strumento politico, ha portato
molte donne a rivolgersi all'Islam come unica fonte legittimata per la
difesa dei propri diritti. Proprio in quello spazio creato dalla
disillusione si sono inseriti i movimenti fondamentalisti che si richiamano
a una lettura sclerotizzata delle fonti e che, ciononostante, hanno spinto
le donne a rivendicare i propri diritti anche politici in modo funzionale ai
loro obiettivi partitici sostituendosi nelle sedi in cui lo stato era
assente.
Un impulso interessante, tutto recente, e' stato dato dal ruolo che hanno
assunto i media nella vita di tutti i giorni: radio, televisione ma anche
internet hanno contribuito alla diffusione di idee e contenuti di vario tipo
allo stesso tempo diventando una posta in gioco importante per i diversi
movimenti piu' o meno islamici.
Sono infatti le associazioni e i gruppi a tendenza islamista in vario modo
ad essere i piu' presenti sugli schermi e in rete con una serie di
predicatori che riscuotono il successo di una star, ma anche di donne che si
prestano a incarnare la donna musulmana ideale che prodiga consigli: Malika
Zerar e Heba Qutb, a esempio, predicatrici presenti su Dream Tv, non fanno
riflessioni teoriche sulla condizione della donna, ma si attengono
esclusivamente alla risoluzione di problemi pratici e perpetuano cosi'
l'arretratezza dominante nelle fasce sociali svantaggiate. Le associazioni a
matrice islamica tradizionalista, oltre a compensare carenze strutturali,
sopperiscono anche al desiderio di aggregazione e confronto disatteso dalle
associazioni laiche, basti pensare a Nadia Yasin, figlia dello shaykh Yasin
del Marocco, noto esponente islamista, che si e' dichiarata a favore della
repubblica e dell'emancipazione della donna.
Un ultimo sviluppo e' quello fornito da singole donne o gruppi di donne che
si richiamano ai valori dell'Islam, che anzi non vogliono rinunciarvi, ma
che praticano una rilettura delle fonti. A prescindere dal sostegno e dalla
condivisione o meno che si possa dare a questo tipo di percorso, e' indubbio
che oggi sembra essere l'unico che puo' portare a un'ampia base di consenso,
punto di partenza per legittimare i diritti delle donne arabo-musulmane.
Scopo di queste donne studiose e' comprendere il patrimonio musulmano e
poter dare applicazione pratica ai suoi ideali per produrre modelli viventi
efficaci che liberino la religione dalla prigionia delle tradizioni.
Un'esponente di questo movimento, Nimat Hafez Barazangi, siriana, vede
nell'identificazione della donna con il Corano la leva che puo' ribaltarne
le sorti all'interno della societa' musulmana e propone pertanto di
promuovere l'educazione islamica a livelli alti delle donne, che solo in tal
modo potranno prendere la parola e incidere sul cambiamento.
Recentemente queste donne si sono costituite in un movimento globale volto
al raggiungimento di equita' e giustizia all'interno della famiglia
musulmana e affinche' eguaglianza, non discriminazione, giustizia e dignita'
siano la base di tutte le relazioni umane. Il movimento ha lanciato un
progetto, chiamato musawah, che nell'arco di tre anni prevede una serie di
workshop e convegni volti a formulare un canovaccio di diritto di famiglia
entro la cornice valoriale musulmana, canovaccio sul quale poi i singoli
paesi potranno promulgare leggi che tengano conto delle specificita' locali.
La quasi assoluta indifferenza in Italia rispetto a questi movimenti che
all'interno dell'Islam occupano certamente un posto di rilievo e' perlomeno
strana. Questo atteggiamento non e' condiviso, ad esempio, dalle studiose e
dagli studiosi di altri paesi, che operano in collaborazione con le donne
musulmane, trovando cosi' un punto in comune di discussione, di lavoro e di
pensiero. Certamente un dibattito sul velo fa piu' audience e accogliere, al
contrario, una forma di pensiero musulmana ci costringe a riconoscerla.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 254 del 18 giugno 2009

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