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Minime. 854
- Subject: Minime. 854
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 17 Jun 2009 01:11:06 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 854 del 17 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Cecita' 2. Il passo dell'oca 3. Ancora un voto contro il golpe berlusconiano 4. La consultazione dei collaborazionisti 5. Al convegno di Roma del 15 giugno 2009 sull'"Agenda della mobilita'" unanime, straordinario apprezzamento per la relazione della dottoressa Antonella Litta 6. Cristina Carpinelli: Tamara Chikunova 7. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 8. Guenter Grass ricorda Heinrich Boell 9. Roberto Francavilla presenta "Chiquinho" di Baltasar Lopes 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CECITA' Come si fa a non vedere che l'Italia da otto anni sta partecipando a una guerra terrorista e stragista in Afghanistan? Come si fa ad ignorare l'enormita' di questo crimine? Come si fa ad occultare questa flagrante e pervasiva violazione della legalita' costituzionale e del diritto internazionale? Come si fa a non capire che vi e' una sola umanita' e che chi non si oppone alla guerra si fa complice dell'uccisione di esseri umani? 2. EDITORIALE. IL PASSO DELL'OCA La riorganizzazione delle squadracce fasciste: sotto gli occhi di tutti. Le deportazioni - le deportazioni, deportazioni, si' -: sotto gli occhi di tutti. I campi di concentramento: sotto gli occhi di tutti. L'introduzione nel nostro paese del regime dell'apartheid: sotto gli occhi di tutti. * Contrastare occorre la politica razzista del governo golpista. Impedire occorre che il razzismo sia fatto legge dello stato, poiche' dove c'e' il razzismo non vi e' piu' autentica legge ma solo dispiegata barbara ferocia. Fermare la marcia su Roma. Difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani. Scegliere la nonviolenza, occorre. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 3. LE ULTIME COSE. ANCORA UN VOTO CONTRO L'EVERSIONE BERLUSCONIANA Ovunque si voti per i ballottaggi degli enti locali, si voti contro l'eversione dall'alto berlusconiana. Si voti per la democrazia contro la dittattura, si voti per la legalita' contro il regime della corruzione, si voti per la solidarieta' contro la ferocia, si voti per la civilta' contro la barbarie, si voti per l'umanita' contro il razzismo. Ovunque sia possibile, nelle forme in cui sia possibile. 4. LE ULTIME COSE. LA CONSULTAZIONE DEI COLLABORAZIONISTI Il referendum consolida il regime dell'eversione dall'alto. Che vincano i si' o che vincano i no, esso e' complice del regime della corruzione e falsifica i termini della questione. Che non sono, come vogliono i promotori, i promotori pentiti, gli avventurieri di tutte le risme e gli abbindolati di tutte le coste, se sia preferibile bipartitismo o bipolarismo. I termini reali della questione sono: democrazia o dittatura (e sia pur dittatura videocratica). Noi che siamo antitotalitari siamo contrari tanto all'attuale sistema elettorale calderoliano (un sistema elettorale che il suo stesso ideatore defini' col pittoresco epiteto di "porcata"), quanto al sistema elettorale calderoliano peggiorato in senso ancor piu' monopolistico. Noi siamo per la democrazia. A un referendum che e' comunque un avallo al golpe berlusconiano noi ci opponiamo nell'unico modo possibile, nitido e intransigente: con la tecnica nonviolenta del boicottaggio. Noi non votiamo per decidere se essere schiavi di due o se essere schiavi di uno. Noi non vogliamo essere schiavi. Noi siamo e vogliamo essere cittadini della repubblica italiana. 5. INIZIATIVE. AL CONVEGNO DI ROMA DEL 15 GIUGNO 2009 SULL'"AGENDA DELLA MOBILITA'" UNANIME, STRAORDINARIO APPREZZAMENTO PER LA RELAZIONE DELLA DOTTORESSA ANTONELLA LITTA Al convegno di Roma del 15 giugno 2009 (presso la Sala dei Vigili urbani, in via della Consolazione 4) sul tema "Presentazione dell'Agenda della mobilita'. Proposte per evitare la congestione, il furto del tempo, l'inquinamento, gli incidenti, per costruire insieme una mobilita' desiderabile" ha ottenuto un unanime, straordinario apprezzamento la relazione della dottoressa Antonella Litta, portavoce del comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo. La dottoressa Litta e' intervenuta sul tema della necessaria ed urgente riduzione del trasporto aereo, analizzandone i profili scientifici, medici, ambientali, socio-economici e culturali. Nella sua relazione la dottoressa Litta ha illustrato anche alcuni specifici casi di studio: in particolare la situazione di Ciampino, dove e' necessaria e urgente una drastica riduzione dei voli; e di Viterbo, in cui una sempre piu' ampia lotta popolare da due anni sta impedendo la scellerata realizzazione di un illegale mega-aeroporto nocivo e distruttivo che devasterebbe l'area archeologica e termale del Bulicame, le colture agricole circostanti, e provocherebbe gravi danni alla salute della popolazione. * Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla realizzazione del mega-aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11, pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia). Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente. 6. PROFILI. CRISTINA CARPINELLI: TAMARA CHIKUNOVA [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Chikunova contro la pena di morte" e il sommario "Uzbekistan. Da una drammatica esperienza personale alla battaglia per i diritti umani con l'associazione 'Madri contro la pena di morte e la tortura'. Tamara Ivanovna Chikunova: una donna che ha fatto cancellare la pena di morte nel suo paese"] Nel 1999, in Uzbekistan, alcuni attentati terroristici hanno portato a misure restrittive e all'arresto di centinaia di attivisti dell'opposizione, nonche' ad uno stretto giro di vite nei confronti delle istituzioni religiose musulmane locali. Negli anni successivi il profilo autoritario del governo di Karimov si e' andato rafforzando ulteriormente, facendo dell'Uzbekistan uno stato dispotico. L'opposizione ha cominciato ad agire nella clandestinita', mentre l'intimidazione e l'imprigionamento arbitrario di centinaia di dissidenti politici sono diventati normali strumenti di dissuasione. Tuttavia, la pressione esercitata da organismi internazionali e associazioni umanitarie ha favorito in seguito un clima di distensione, anche se il governo uzbeko continua a limitare la liberta' di parola e di stampa, mentre l'uso della tortura e' ancora frequente. Il presidente Islom Abdug'aniyevich Karimov e' stato rieletto per un altro mandato settennale nel dicembre 2007. E' in questo clima oppressivo e intimidatorio che va contestualizzata l'opera grande dell'uzbeka Tamara Ivanovna Chikunova, una donna cristiana ortodossa, che vive a Tashkent, capitale dell'Uzbekistan. Suo figlio Dmitrij, condannato a morte nel 1999, e' stato fucilato il 10 luglio 2000. Aveva 29 anni. In seguito alla sua tragedia familiare, Tamara ha deciso di fondare l'associazione "Madri contro la pena di morte e la tortura" assieme ad altre donne, che come lei hanno perduto i propri figli con un'esecuzione capitale. L'associazione, una piccola Ong che coinvolge un centinaio di persone tra volontari e membri provenienti da tutto l'Uzbekistan, lavora con altre organizzazioni internazionali tra cui Amnesty International e la comunita' di Sant'Egidio, che la rappresenta nel comitato esecutivo della Coalizione mondiale contro la pena di morte. Grazie anche all'appoggio della comunita' di Sant'Egidio, Tamara Chikunova, insieme al pool del "Soccorso legale di qualita'", ha contribuito a salvare dalla pena capitale 21 condannati e ad ottenere l'abolizione della pena di morte in Uzbekistan, dove ogni anno erano eseguite piu' di 200 condanne a morte. Le "Madri contro la pena di morte e la torturaí" non hanno portato avanti solo una campagna d'informazione, ma hanno anche agito concretamente a fianco dei detenuti in attesa dell'esecuzione. Nel 2008 l'Uzbekistan e' diventato il 134esimo paese abolizionista al mondo, il terzo dell'Asia Centrale, dopo Turkmenistan e Kyrgyzstan; dall'inizio dell'anno, infatti, nel paese a forte maggioranza islamica (76% su 25 milioni di abitanti) e' entrato in vigore, per decisione della Corte suprema, il decreto che abolisce la pena di morte firmato il primo agosto 2005 dal presidente uzbeko. A questo risultato si e' giunti anche, se non soprattutto, per l'indefesso lavoro di mobilitazione portato avanti dalla Chikunova. Afferma Tamara: "La situazione dei condannati a morte in Uzbekistan era davvero terribile... I familiari non potevano visitarli; i carcerati vivevano in spoglie stanze aspettando ogni momento l'esecuzione. Ne' loro, ne' i parenti, conoscevano l'ora dell'esecuzione perche' era tenuta segreta. I carcerieri non restituivano nemmeno il corpo dei condannati e non dicevano dove venivano sepolti per scoraggiare le indagini su eventuali segni di torture praticate in carcere". E cio' malgrado l'Uzbekistan avesse recepito nel proprio ordinamento giuridico l'articolo 17.8 del Documento di Copenaghen del 1990, che obbliga gli stati aderenti all'Osce a "rendere pubbliche le informazioni riguardanti l'utilizzo della pena di morte". Tamara stessa ha vissuto in prima persona questo dramma: un giorno si reca per l'ennesima volta nel carcere cittadino per visitare il figlio condannato a morte per un omicidio di cui si e' sempre dichiarato innocente. Mentre sta parlando con i secondini la donna sente degli spari: Dmitrij veniva giustiziato senza che lei ne sapesse nulla. Nessuno ha poi informato Tamara sul luogo di sepoltura del suo ragazzo. Da allora, la volonta' di porre fine a questi atti di odio e violenza e' diventata per lei motivo d'impegno civile. Nel settembre 2003, la Chikunova ha inaugurato una campagna mediatica per l'ottenimento di una moratoria sulla pena di morte nel suo paese, diffondendo un appello con una sottoscrizione mondiale: le adesioni si sono contate a migliaia in poche settimane. Tale mobilitazione sarebbe dovuta culminare in una conferenza a Tashkent il 5 dicembre 2003, che e' stata pero' impedita dal governo uzbeko con scuse pretestuose. Gli interventi delle diplomazie europee a Tashkent per la creazione di una rete di attenzione internazionale e sostegno locale si sono rivelati decisivi perche' l'associazione potesse proseguire il suo lavoro. Il primo luglio 2004 la Chikunova, per la sua opera meritoria, e' stata insignita a Roma del premio Colomba d'oro per la pace, conferitole dall'Istituto di studi politici internazionali "Archivio Disarmo". Tamara Chikunova, assieme a Dilobar Khudajberganova, sorella di un condannato a morte, ha poi intrapreso nell'autunno 2004 un lungo tour che ha toccato le maggiori citta' d'Europa e d'Italia, durante il quale ha denunciato la drammatica realta' della pena di morte nel suo paese. Al loro rientro le pressioni dei servizi segreti e della polizia uzbeka si sono intensificate. Dilobar ha ricevuto esplicite minacce di morte se avesse continuato a "propagandare azioni contro lo Stato". Ma l'associazione ha proseguito la sua attivita' in Uzbekistan e all'estero, conseguendo presto tangibili risultati. Il 28 gennaio 2005, il presidente uzbeko ha dichiarato di fronte alle camere parlamentari riunite in seduta comune: "Non stiamo parlando dell'introduzione di una moratoria come avviene in alcuni paesi dove i condannati devono aspettare per anni l'esecuzione della sentenza di morte, ma della completa abolizione della pena di morte... L'essenza delle riforme destinate a favorire il rinnovamento democratico della societa' civile rende necessario porre fine alle esecuzioni capitali". Il primo agosto 2005, Islom Karimov ha decretato l'abolizione della pena di morte nel paese, rinviando tuttavia di tre anni l'entrata in vigore del provvedimento: il tempo necessario - ha detto - per "costruire nuove carceri". Nel settembre dello stesso anno, Tamara e' stata insignita in Germania del Premio Norimberga per la sua strenua battaglia civile, e il primo gennaio 2008 il Senato dell'Uzbekistan ha abolito la pena di morte dalla Costituzione del paese, sostituendola con il carcere a vita, proprio all'indomani dell'approvazione della moratoria universale sulle esecuzioni da parte dell'Assemblea Generale dell'Onu (18 dicembre 2007). Attualmente coloro che erano stati condannati a morte si trovano ancora nei "bracci della morte". Nonostante l'emanazione del decreto presidenziale che ha commutato le sentenze di morte in ergastolo, non esiste ancora una giurisprudenza ordinaria che lo metta in pratica. Finche' la Corte Suprema non elaborera' e non approvera' un adeguamento legislativo al decreto presidenziale di abolizione, i prigionieri resteranno nei "bracci della morte". Secondo quanto fissato dal decreto, le pene massime sono ora l'ergastolo e la condanna a 20-25 anni di reclusione, e l'attentato alla vita di una persona, in qualunque circostanza esso si verifichi, e' considerato un grave crimine. A spingere la "pasionaria" uzbeka in questo pionieristico impegno sul fronte dei diritti umani, che le ha causato non pochi problemi, e' stata una precisa motivazione di fede: "Sappiamo che ci sono persone che usano il nome di Dio per spargere odio e violenza... Noi, con piu' impegno di ieri, crediamo che la religione non debba mai giustificare l'odio e la violenza. Pace e' il nome di Dio". E proprio questa fede le ha consentito di superare umiliazioni e pressioni psicologiche esercitate su di lei perche' si convincesse ad abbandonare la sua opera in difesa del rispetto per la vita. E' stata chiamata "la madre dell'assassino", e' stata accusata di favoreggiamento della prostituzione, di essere una terrorista musulmana, piu' volte ha ricevuto minacce di morte da agenti di polizia e da ignoti. Ciononostante, ha proseguito impassibile la sua battaglia contro la pena di morte. E non solo nel suo paese, ma anche in quelli limitrofi come il Kyrgyzstan. Nei suoi "bracci della morte" giacevano condannati che erano cittadini uzbeki e russi. Tamara si e' rivolta al governo kyrgyzo e ai difensori locali dei diritti umani con un appello per l'abolizione della pena di morte. Ha trovato il sostegno dell'associazione "Cittadini contro la Ccorruzione", diretta da Tolekan Ismailova, e con lei ha duramente lavorato per l'abolizione della condanna a morte in Kyrgyzstan. Il 26 giugno 2007 e' stata approvata la legge che ha sancito l'abolizione giuridica della pena di morte dal codice penale kyrgyzo. Tamara e' in questo momento impegnata per la stessa causa in Kazakhstan, Mongolia e (forse) Bielorussia. Paesi nei quali e' praticata la tortura, che come la pena capitale rappresenta un'esplicita violazione del diritto alla vita, e come tale da considerare, secondo le parole di Tamara, "omicidio premeditato", e pertanto i colpevoli dovrebbero essere condannati. 7. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 8. MEMORIA. GUENTER GRASS RICORDA HEINRICH BOELL [Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 maggio 2009col titolo "L'ultimo desiderio del mio amico Heinrich Boell" e il sommario "Erano le cattiverie sui giornali del gruppo Springer, di cui era vittima da anni. La sconcezza dei titoli cubitali. La volonta' di annientamento di un'orda di cinici di professione che si facevano chiamare giornalisti". La traduzione e' di Claudio Groff] Aveva dieci anni piu' di me, anni terribili, confusamente rivoluzionari, forse meravigliosi. Sui suoi primi romanzi e racconti, di solito avuti in prestito, ho messo le mani negli anni Cinquanta: Il treno era in orario, Dov'eri, Adamo?, le storie brevi, piu' tardi Casa senza custode. (...) Solo in seguito Boell divenne per me il modello della persona che rendeva pubblico il suo essere pro o contro, che in caso di necessita' metteva da parte il manoscritto e usciva per discutere, spesso appassionatamente, fuori, dove il vento spirava sempre in direzione contraria. Amato, certo, ammirato all'estero, ha offerto a molti lettori e ascoltatori un orientamento e un concetto di liberta' che non si riduceva all'economia di mercato. Forse per questo e' stato detestato da una cricca di politici e dai loro tirapiedi, fino al giorno della sua morte, il 6 luglio 1985. (...) Bo'll aveva preso le sue precauzioni. A meta' degli anni Settanta, insieme alla moglie Annemarie, era uscito dalla chiesa come "corporazione di diritto pubblico", ma restava legato alla fede cattolica. Era contro, anzi, disprezzava la chiesa ufficiale e i suoi intrallazzi. Definirlo, come allora d'abitudine, un cattolico di sinistra sarebbe stato inadeguato; la sua comprensione per l'essenza del cristianesimo era piu' radicale di quanto uno di sinistra, io ad esempio, si potesse mai sognare, e piu' libera di quanto avesse concesso questo o quel papa. (...) * Il giorno del suo funerale era estate. Lasciammo la chiesa, dove il prete aveva parlato in tono amichevole di non so piu' cosa. Io nel mio vestito nero preso in prestito, che mi ballava addosso. E adesso accadde una cosa perfettamente in carattere con Heinrich Boell e che certo e' rimasta indimenticabile per tutti gli amici in lutto che volevano accompagnarlo nel suo ultimo viaggio: davanti alla bara, portata a spalla, davanti alla famiglia e al lungo corteo di amici, degli zingari suonarono melodie che si perdevano malinconicamente nel vento, eppure sembravano fatte per ballare. (...) Un suono che conosceva il dolore e tuttavia rendeva allegri. E' stato un suo desiderio, non voglio dire l'ultimo. Un'indicazione dell'uomo pacificamente combattivo, il quale - suppongo - amando soffrire e compatire sarebbe stato un cristiano dei tempi antichi, ma che si adirava se gli capitavano sott'occhio i tardi mandatari della fede in veste di sacerdoti. Cosi' si legge nella Lettera a un giovane cattolico, che Boell ha scritto nel libro degli ospiti per i sommi sacerdoti nel 1958, dunque al tempo del miracolo economico: "... Loro sono tutti abbastanza intelligenti e accorti per capire quanto la quasi-concordanza tra Cdu e Chiesa sia funesta, perche' puo' avere come conseguenza la morte della teologia; e' semplicemente e solamente penoso leggere le prese di posizione dei teologi riguardo ai problemi della politica; e' qualcosa che mira decisamente a Bonn, e dietro ogni frase si percepisce uno zelo che attende soltanto una pacca sulla spalla". Questo giudizio essenziale eppure esatto, perche' pronunciato ben conoscendo l'aria viziata cattolico-renana, puo' essere preso a modello per molte di quelle repliche che nel corso dei decenni Boell considero' necessarie solo in quanto gli sembrava "penoso" e certamente anche blasfemo che un partito facesse uso indebito del nome di Cristo sbattendo la C sopra la sua insegna commerciale e che i suoi membri si chiamassero cristianodemocratici. E lui, lui che gia' allora era tacciato da "moralista", lui, che oggi con il solito gesto sprezzante si vorrebbe ancora mettere da parte sotto questa categoria, lui, quell'uomo vulnerabile, che nulla e certo non il premio Nobel per la letteratura protesse dall'essere continuamente diffamato e offeso fino all'anno della morte sulle pagine di un potentissimo gruppo editoriale, lui, il piu' solidale di tutti gli scrittori, che fino alla fine si era adoperato per scrittori perseguitati in tutto il mondo, a volte arrivando anche alla loro liberazione, lui stavamo portando alla tomba. (...) * Forse, gia' mentre portavamo la bara, poi davanti alla tomba aperta, mi e' tornato alla mente il nostro ultimo incontro. Mia moglie ed io andammo a trovarlo in ospedale. Cerco' di minimizzare la causa della sua temporanea permanenza - i disturbi circolatori che non volevano andarsene - e ci racconto' come, con l'ultimo avanzo di charme, fosse sempre riuscito a scroccare sigarette all'infermiera di notte. Solo verso la fine della visita ci fece capire cosa lo affliggeva piu' dell'insufficienza cardiaca, degli scompensi circolatori, del diabete. Erano le cattiverie sui giornali del gruppo Springer, di cui era vittima da anni. La sconcezza dei titoli cubitali. La volonta' di annientamento di un'orda di cinici di professione che si facevano chiamare giornalisti. Quello che era successo a lui anch'io l'avevo sperimentato a sufficienza. Ma mi toccavano appena, le menzogne messe sulla carta dalla "BildZeitung" o da "Welt am Sonntag". Dopotutto avevo vinto la causa intentata contro di me da una dozzina e piu' di giornalisti di Springer per un commento pronunciato nel corso della trasmissione televisiva "Panorama". Che trionfo! Nulla e' piu' piacevole di un processo vinto contro i fabbricanti di opinione pubblica che si atteggiano a onnipotenti. * A Boell questo trionfo fu negato. Si difese con discorsi, lettere ai lettori, articoli. Cosi' nel '72, quando in un delirio di autosopravvalutazione una Rote Armee Fraktion pretese di dichiarare guerra allo Stato che odiava. Lui era dell'opinione che "un salvacondotto per Ulrike Meinhoff" potesse portare a un processo equo e alla fine dell'isteria che si andava diffondendo; un pio, forse troppo ingenuo desiderio. Di conseguenza divento' il bersaglio delle peggiori insinuazioni. Sotto il titolo "Bisogna oltrepassare i limiti", per difendersi da sospetti che sembravano non aver fine e tentavano di farlo passare per complice del terrorismo, concludendo un articolo scrisse: "E da ultimo una preghiera ai signori di casa Springer: scioglietemi dal contratto che a causa della concentrazione editoriale mi ha trasformato da innocuo autore della Ullstein in autore della SpringerUllstein. Ci separano mondi, muri, ordini di far fuoco. Ho molte pecche, ma di questa, della pecca di essere un autore di Springer, adesso vorrei finalmente liberarmi". * Sul piano letterario Boell ha dato forma nel modo piu' valido alla comprensione di un giornalismo fino al giorno d'oggi tanto indegno quanto nauseante, in particolare quello della "Bild-Zeitung", scrivendo il romanzo? o il racconto?, voglio dire la novella L'onore perduto di Katharina Blum. Che ha per sottotitolo "Ovvero: come puo' nascere e dove conduce la violenza". Quando lo portammo alla tomba, guardando sua moglie Annemarie ebbi la certezza di voler portare avanti il boicottaggio della stampa di Springer, deciso nel 1968 durante l'ultima riunione del Gruppo 47, fin quando i dirigenti del complesso editoriale si fossero decisi a porgere pubbliche scuse alla famiglia Boell. Cosa che fino ad oggi non e' avvenuta. I ducetti attuali - direttore della "BildZeitung" in testa - pensano sempre di essere in possesso di una patente d'immunita' che permette loro di diffamare e di offendere come e' stato diffamato e offeso Heinrich Boell fino all'anno della sua morte. 9. LIBRI. ROBERTO FRANCAVILLA PRESENTA "CHIQUINHO" DI BALTASAR LOPES [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2009 col titolo "Tristi tropici nello sguardo di un bambino. Un classico da Capo Verde" e il sommario "Pubblicato nel 1947 e uscito ora per le Edizioni Lavoro, Chiquinho, capolavoro di Baltasar Lopes. L'Unesco lo ha inserito tra i libri che vanno tutelati come patrimonio dell'umanita'"] Un paradigma forse inconsapevole della critica letteraria postcoloniale, scarabocchiato con rara pertinenza e concisione su una parete del bagno del Ritz Clube di Lisbona, locale africano in voga negli anni '80 e '90, recitava: "Per noi capoverdiani Chiquinho e' il nostro Camoes". Quelle parole affidate alla ciclicita' di un rituale anonimo e prosaico contenevano la dichiarazione di identita' del soggetto, la dialettica istituita nei confronti del discorso egemonico, l'assorbimento, la negoziazione e il rifiuto del canone coloniale e la costruzione del "terzo spazio" (l'ibrido!), preconizzato da Homi Bhabha. Un romanzo realista (regionalista nelle tassonomie coeve) come Chiquinho, scritto negli anni '30 in un arcipelago lontano e minato da devastanti carestie, Capo Verde, dunque in una periferia coloniale spesso ignorata perfino dalle mappe africane per la sua eccentrica allocazione (non da ultimo metaforica: nel mezzo fra Europa, Brasile e Africa, fra opposte matrici e suggestioni) nella condizione di subalternita' decretata dallo status di colonia (per di piu' colonia di un regime totalitario in ascesa), paese africano e dunque incluso in quell'ambiguo corpus geopolitico chiamato "Terzo mondo", aspirava addirittura a sostituirsi ai Lusiadi, ovvero al poema epico dello splendido Cinquecento lusitano, simbolo del modello esportato e imposto alla colonia, per secoli, dalle antologie e dai catechisti dell'Impero. In quel graffito esemplare, l'epopea del creolo, dell'isolano in fuga dalla miseria e dall'abbandono e costretto alla prova esiziale dello sradicamento e dell'emigrazione, veniva opposta all'epopea di Vasco da Gama. L'oceano come condanna (tatuato nelle cifre indelebili delle catene della tratta) disegnava il rovescio della medaglia della gloriosa sfida marittima all'ignoto geografico e del suo conseguente apparato di vicere' ed empori commerciali. * Sulle rotte dell'Atlantico Il romanzo in questione, Chiquinho (ora tradotto in italiano per le Edizioni Lavoro a cura di Vincenzo Barca), scritto dal capoverdiano Baltasar Lopes, pubblicato nel 1947 e inserito dall'Unesco nella lista dei libri da tutelare come patrimonio dell'umanita', anticipava molti dei temi che avrebbero attraversato la letteratura isolana: la partenza, la distanza, l'isolamento, la siccita', filoni affrontati dalla generazione di Lopes con gli strumenti mutuati dal Neorealismo portoghese ma soprattutto, per affinita' di oikos, dal grande romanzo regionalista brasiliano di Graciliano Ramos, di Jose' Lins do Rego e del primo Amado, quello di Jubiaba' e Mar Morto; il richiamo dell'Africa ovvero la matrice bantu, il segno della tratta, il sincretismo antropologico e, sebbene ancora in maniera velata, l'afflato panafricanista che sarebbe diventato presto una delle bandiere della militanza anticolonialista; infine la prospettiva, incisa nel codice genetico del creolo, del depaysement (ancorche' saldato all'unica ipotesi di sopravvivenza e di ascesa sociale), in questo caso impostato sulla rotta atlantica verso Boston e i porti del New England, dove ancora oggi risiede una delle piu' popolose comunita' della diaspora capoverdiana protagonista, fin dal XIX secolo, dell'epopea delle baleniere di New Bedford e di Nantucket. * Le influenze della Negritudine Un triste tropico, dunque, ma osservato da un bambino sul molo: alle spalle la terra, il campo semantico delle radici e della madre; di fronte, la linea dell'orizzonte, l'evocazione struggente della terralonge, ovvero la terra contemplata nella distanza, gli Stati Uniti e il ricongiungimento paterno nel segno dell'emigrazione. Nel mezzo, i fili di un delicato e profondo Bildungsroman in cui Chiquinho, il giovane protagonista eponimo, transitando confuso fra gli spazi della sua formazione creola e i suoi struggenti passaggi di eta', dai codici dell'africanita' appresi da una nonna assai nera e tellurica al borgo del Calejao a quelli piu' "occidentali" della vivace e cosmopolita Mindelo, citta' principale dell'isola di Sao Vicente, ci conduce fatalmente verso l'ora dell'addio. Il primo capitolo di Chiquinho viene pubblicato proprio a Mindelo nel marzo del 1936, sul numero 1 della rivista "Claridade": Baltasar Lopes ne e' l'anima, insieme a Manuel Lopes e a Jorge Barbosa, la cosiddetta triade della Caboverdianidade. "Claridade" nasce come pagina di letteratura affine a movimenti nodali nella storia dell'affermazione di culture della diaspora africana quali il Rinascimento negro negli Stati Uniti, l'Indigenismo afro-haitiano di Jacques Romain, il Negrismo cubano di Alejo Carpentier, e, piu' di tutti, il movimento afro-parigino della Negritudine (Cahier d'un retour au pays natal di Aime' Cesaire risale al 1939, anche se un fondamentale precedente va rintracciato nel romanzo antillano Batouala, di Rene' Maran, sorprendente premio Goncourt nel 1921). Alla base di "Claridade", esplicitato nella frase manifesto "fincar os pes no chaoª (piantare i piedi nella terra, nel suolo), risiede un progetto fortemente identitario costruito sull'idea di "essere autenticamente". Dal punto di vista letterario si operava un rinnovamento delle forme e della materia e il definitivo scollamento da quelle fonti erudite che i poeti della generazione precedente avevano affannosamente (e quanto eccentricamente!) cercato nella teogonia esiodea e nel ciclo di Eracle per costruire una mitologia delle origini inattaccabile e soprattutto "classica" secondo la quale l'arcipelago sarebbe nato dai lapilli esplosi di Atlantide. Dal punto di vista sociale e antropologico, il creolo avrebbe dovuto affermarsi come soggettivita' indipendente, amarsi esaltando la propria terra alla maniera dell'ufanismo brasiliano, celebrando le proprie radici (e rispondendo, ma solo in un secondo momento, al forte richiamo - saldamente politico - di Madre Africa). * Un paradigma di miscidazione Difficile, tuttavia, celebrare una crosta vulcanica di sabbia e sale abbandonata ai soffi calamitosi dell'harmattan perfino da quella madrepatria lusitana che per secoli ne aveva sfruttato - fino all'esaurimento - le poche risorse. Anche per questo, piu' del paesaggio a cui manca la sublime potenza della natura brasiliana, lo sforzo mitopoietico degli intellettuali caboverdianistas prediligeva l'elemento umano, concepito in una terra che era disabitata fino all'arrivo del navigatore lusitano e genovese, prima dei coloni andalusi, ebrei, algarvios e prima degli schiavi strappati alle coste del Golfo di Guinea, e percio' vero paradigma di miscidazione. Nel molo da cui il giovane Chiquinho contempla l'oceano traendone le coordinate empiriche della propria condizione, che e' quella in senso lato di un'intera societa', e le sue conseguenze (isolamento, forzata mobilita' demografica, partenza e ritorno, diaspora) potremmo individuare uno dei topoi ricorrenti della letteratura capoverdiana e al contempo uno dei simboli piu' evidenti del legame con la matrice portoghese. Il molo, infatti, costituisce insieme il luogo simbolico dove si concentra la ricerca mitica, letteraria e antropologica sull'arcipelago e sul nodo, non del tutto disciolto, che salda le isole all'ex tutrice coloniale. Una sorta di molo ideale, per citare l'Ode marittima di Pessoa, un'essenza di molo africano da cui salpano navi negriere o vapori carichi di migranti, ma anche il molo delle caravelle portoghesi pronte a doppiare il Capo di Buona Speranza dirette alle Indie. * Strategie di controllo Il doppio e' cifra ontologica dell'ibrido creolo: in Chiquinho ogni tensione e' oscillante, ogni decisione contiene la consapevolezza letale del suo contrario, ogni partenza presuppone l'ipotesi di un definitivo distacco - simile a una morte -, ogni rinuncia evoca i futuri non realizzati, la possibilita' sfumata di una vita altra. Nella doppia esitazione di Chiquinho di fronte al bivio costituito dal restare e dal partire e dall'adesione alla radice nera della sua cultura e dal fascino innegabile esercitato dal "mondo la' fuori", e' facile intuire la questione del sincretismo culturale capoverdiano e dei suoi dilemmi irrisolti. Vissuto spesso come un compromesso, soprattutto negli anni del rinascimento culturale ('30 e '40), genero' una tensione tra due direttrici che esaltavano opposte incidenze nel tessuto della nuova simbiosi creola: da una parte l'attrazione nella galassia panafricanista; dall'altra il riconoscimento di una predominanza della matrice euro-lusitana. Le generazioni di intellettuali che seguirono "Claridade", contestando il supposto evasionismo dei predecessori (Lopes incluso), respinsero in modo polemico, perfino violento, tanto la persistenza di una parentela lusitana quanto l'ipotesi dell'abbandono delle isole. L'esitazione di Chiquinho avrebbe dovuto confluire in un impegno intellettuale radicalmente antievasionista, nell'engagement del discorso politico: la lotta per l'indipendenza, ottenuta soltanto fra il 1974 e il 1975, uni' di fatto Capo Verde alle altre colonie africane del Portogallo e in particolare alla Guinea Bissau nel nome di Amilcar Cabral, leader libertario e illuminato, assassinato a Conakry nel 1973 dalla polizia politica salazarista. Eppure e' lecito cogliere in Chiquinho cosi' come, in senso lato, nell'opera di Baltasar Lopes la critica, non sempre costretta nei codici della metafora, nei confronti della politica ultramarina portoghese. Certo e' ancora lontano lo scaturire della fiamma prometeica e liberatrice della negritudine aggressiva, dell'esortazione alle armi. Nelle pagine di "Claridade", tuttavia, e' nitida la consapevolezza dell'utilizzo della scrittura come strategia di controllo da parte della propaganda salazarista: da qui il progetto di resistere al discorso egemonico utilizzando i suoi stessi strumenti, non solo nella prosa e nella poesia ma in un generale atteggiamento intellettuale, considerato allora al limite della sovversione, che comprendeva la ricerca linguistica e antropologica operata dall'interno (il soggetto colonizzato studia se stesso e si rappresenta) in opposizione programmatica al reportage pittoresco, al saggio pseudoscientifico sul folklore, alla raccolta innocente ed esotista di miti e leggende, generi in gran voga nell'ambito della cultura ufficiale. Lo studio sul rituale sincretico della tabanca, per esempio, pubblicato da Felix Monteiro su "Claridade" nel 1948, rappresenta un caso di vera e propria etnografia resistente. * L'insularita' e il suo rovescio Nel romanzo di Baltasar Lopes anche il lessico dell'immaginario oceanico, cosi' legato a cio' che Edward Said ha definito nazionalismo delle "narrative eroiche", di eredita' romantica, viene lentamente staccato dal corpo coloniale per redimersi in una nuova rappresentazione. E' chiara l'opposizione alle forme di quel nazionalismo mitico e metastorico che in Portogallo coniuga la poesia saudosista e decadente di inizio Novecento al fascismo e al colonialismo di Salazar. L'insularita' si incasella come elemento base nella visione di un nazionalismo culturale creolo al quale piu' tardi, fatalmente, si sarebbe sovrapposto quello politico. In questo senso Chiquinho, romanzo precursore, contribuisce alla costruzione di una forma nazionale plasmata proprio attorno alla dimensione marittima nella quale sarebbe comunque impossibile non cogliere i residui, pur discussi e archiviati, del canone lusitano. Tuttavia, nell'ibridismo, codice della creolita' capoverdiana, si scardina definitivamente ogni pervicace arroccamento dei modelli: la lingua, il canone letterario, l'eredita' della Storia. Chiquinho e "Claridade" ne costituiscono le corrispondenze in letteratura, dando vita a quello che potremmo definire, rischiando l'ossimoro, un caso assai raro e felice di "cosmopolitismo periferico", sfida culturale dagli esiti sorprendenti alla prigione dell'isolamento geografico. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 854 del 17 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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