Minime. 854



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 854 del 17 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Cecita'
2. Il passo dell'oca
3. Ancora un voto contro il golpe berlusconiano
4. La consultazione dei collaborazionisti
5. Al convegno di Roma del 15 giugno 2009 sull'"Agenda della mobilita'"
unanime, straordinario apprezzamento per la relazione della dottoressa
Antonella Litta
6. Cristina Carpinelli: Tamara Chikunova
7. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
8. Guenter Grass ricorda Heinrich Boell
9. Roberto Francavilla presenta "Chiquinho" di Baltasar Lopes
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'


1. EDITORIALE. CECITA'

Come si fa a non vedere che l'Italia da otto anni sta partecipando a una
guerra terrorista e stragista in Afghanistan?
Come si fa ad ignorare l'enormita' di questo crimine?
Come si fa ad occultare questa flagrante e pervasiva violazione della
legalita' costituzionale e del diritto internazionale?
Come si fa a non capire che vi e' una sola umanita' e che chi non si oppone
alla guerra si fa complice dell'uccisione di esseri umani?

2. EDITORIALE. IL PASSO DELL'OCA

La riorganizzazione delle squadracce fasciste: sotto gli occhi di tutti.
Le deportazioni - le deportazioni, deportazioni, si' -: sotto gli occhi di
tutti.
I campi di concentramento: sotto gli occhi di tutti.
L'introduzione nel nostro paese del regime dell'apartheid: sotto gli occhi
di tutti.
*
Contrastare occorre la politica razzista del governo golpista.
Impedire occorre che il razzismo sia fatto legge dello stato, poiche' dove
c'e' il razzismo non vi e' piu' autentica legge ma solo dispiegata barbara
ferocia.
Fermare la marcia su Roma.
Difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Scegliere la nonviolenza, occorre.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. LE ULTIME COSE. ANCORA UN VOTO CONTRO L'EVERSIONE BERLUSCONIANA

Ovunque si voti per i ballottaggi degli enti locali, si voti contro
l'eversione dall'alto berlusconiana. Si voti per la democrazia contro la
dittattura, si voti per la legalita' contro il regime della corruzione, si
voti per la solidarieta' contro la ferocia, si voti per la civilta' contro
la barbarie, si voti per l'umanita' contro il razzismo. Ovunque sia
possibile, nelle forme in cui sia possibile.

4. LE ULTIME COSE. LA CONSULTAZIONE DEI COLLABORAZIONISTI

Il referendum consolida il regime dell'eversione dall'alto.
Che vincano i si' o che vincano i no, esso e' complice del regime della
corruzione e falsifica i termini della questione. Che non sono, come
vogliono i promotori, i promotori pentiti, gli avventurieri di tutte le
risme e gli abbindolati di tutte le coste, se sia preferibile bipartitismo o
bipolarismo.
I termini reali della questione sono: democrazia o dittatura (e sia pur
dittatura videocratica).
Noi che siamo antitotalitari siamo contrari tanto all'attuale sistema
elettorale calderoliano (un sistema elettorale che il suo stesso ideatore
defini' col pittoresco epiteto di "porcata"), quanto al sistema elettorale
calderoliano peggiorato in senso ancor piu' monopolistico.
Noi siamo per la democrazia.
A un referendum che e' comunque un avallo al golpe berlusconiano noi ci
opponiamo nell'unico modo possibile, nitido e intransigente: con la tecnica
nonviolenta del boicottaggio.
Noi non votiamo per decidere se essere schiavi di due o se essere schiavi di
uno. Noi non vogliamo essere schiavi. Noi siamo e vogliamo essere cittadini
della repubblica italiana.

5. INIZIATIVE. AL CONVEGNO DI ROMA DEL 15 GIUGNO 2009 SULL'"AGENDA DELLA
MOBILITA'" UNANIME, STRAORDINARIO APPREZZAMENTO PER LA RELAZIONE DELLA
DOTTORESSA ANTONELLA LITTA

Al convegno di Roma del 15 giugno 2009 (presso la Sala dei Vigili urbani, in
via della Consolazione 4) sul tema "Presentazione dell'Agenda della
mobilita'. Proposte per evitare la congestione, il furto del tempo,
l'inquinamento, gli incidenti, per costruire insieme una mobilita'
desiderabile" ha ottenuto un unanime, straordinario apprezzamento la
relazione della dottoressa Antonella Litta, portavoce del comitato che si
oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del
trasporto aereo.
La dottoressa Litta e' intervenuta sul tema della necessaria ed urgente
riduzione del trasporto aereo, analizzandone i profili scientifici, medici,
ambientali, socio-economici e culturali.
Nella sua relazione la dottoressa Litta ha illustrato anche alcuni specifici
casi di studio: in particolare la situazione di Ciampino, dove e' necessaria
e urgente una drastica riduzione dei voli; e di Viterbo, in cui una sempre
piu' ampia lotta popolare da due anni sta impedendo la scellerata
realizzazione di un illegale mega-aeroporto nocivo e distruttivo che
devasterebbe l'area archeologica e termale del Bulicame, le colture agricole
circostanti, e provocherebbe gravi danni alla salute della popolazione.
*
Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla
realizzazione del mega-aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di
medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in
Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica
presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione
di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani
sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato
sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11,
pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per
l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia).
Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale
ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni
medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi
africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di
programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato
"Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla
legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente.

6. PROFILI. CRISTINA CARPINELLI: TAMARA CHIKUNOVA
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Chikunova contro la
pena di morte" e il sommario "Uzbekistan. Da una drammatica esperienza
personale alla battaglia per i diritti umani con l'associazione 'Madri
contro la pena di morte e la tortura'. Tamara Ivanovna Chikunova: una donna
che ha fatto cancellare la pena di morte nel suo paese"]

Nel 1999, in Uzbekistan, alcuni attentati terroristici hanno portato a
misure restrittive e all'arresto di centinaia di attivisti dell'opposizione,
nonche' ad uno stretto giro di vite nei confronti delle istituzioni
religiose musulmane locali. Negli anni successivi il profilo autoritario del
governo di Karimov si e' andato rafforzando ulteriormente, facendo
dell'Uzbekistan uno stato dispotico. L'opposizione ha cominciato ad agire
nella clandestinita', mentre l'intimidazione e l'imprigionamento arbitrario
di centinaia di dissidenti politici sono diventati normali strumenti di
dissuasione. Tuttavia, la pressione esercitata da organismi internazionali e
associazioni umanitarie ha favorito in seguito un clima di distensione,
anche se il governo uzbeko continua a limitare la liberta' di parola e di
stampa, mentre l'uso della tortura e' ancora frequente. Il presidente Islom
Abdug'aniyevich Karimov e' stato rieletto per un altro mandato settennale
nel dicembre 2007.
E' in questo clima oppressivo e intimidatorio che va contestualizzata
l'opera grande dell'uzbeka Tamara Ivanovna Chikunova, una donna cristiana
ortodossa, che vive a Tashkent, capitale dell'Uzbekistan. Suo figlio
Dmitrij, condannato a morte nel 1999, e' stato fucilato il 10 luglio 2000.
Aveva 29 anni. In seguito alla sua tragedia familiare, Tamara ha deciso di
fondare l'associazione "Madri contro la pena di morte e la tortura" assieme
ad altre donne, che come lei hanno perduto i propri figli con un'esecuzione
capitale. L'associazione, una piccola Ong che coinvolge un centinaio di
persone tra volontari e membri provenienti da tutto l'Uzbekistan, lavora con
altre organizzazioni internazionali tra cui Amnesty International e la
comunita' di Sant'Egidio, che la rappresenta nel comitato esecutivo della
Coalizione mondiale contro la pena di morte. Grazie anche all'appoggio della
comunita' di Sant'Egidio, Tamara Chikunova, insieme al pool del "Soccorso
legale di qualita'", ha contribuito a salvare dalla pena capitale 21
condannati e ad ottenere l'abolizione della pena di morte in Uzbekistan,
dove ogni anno erano eseguite piu' di 200 condanne a morte. Le "Madri contro
la pena di morte e la torturaí" non hanno portato avanti solo una campagna
d'informazione, ma hanno anche agito concretamente a fianco dei detenuti in
attesa dell'esecuzione. Nel 2008 l'Uzbekistan e' diventato il 134esimo paese
abolizionista al mondo, il terzo dell'Asia Centrale, dopo Turkmenistan e
Kyrgyzstan; dall'inizio dell'anno, infatti, nel paese a forte maggioranza
islamica (76% su 25 milioni di abitanti) e' entrato in vigore, per decisione
della Corte suprema, il decreto che abolisce la pena di morte firmato il
primo agosto 2005 dal presidente uzbeko. A questo risultato si e' giunti
anche, se non soprattutto, per l'indefesso lavoro di mobilitazione portato
avanti dalla Chikunova.
Afferma Tamara: "La situazione dei condannati a morte in Uzbekistan era
davvero terribile... I familiari non potevano visitarli; i carcerati
vivevano in spoglie stanze aspettando ogni momento l'esecuzione. Ne' loro,
ne' i parenti, conoscevano l'ora dell'esecuzione perche' era tenuta segreta.
I carcerieri non restituivano nemmeno il corpo dei condannati e non dicevano
dove venivano sepolti per scoraggiare le indagini su eventuali segni di
torture praticate in carcere". E cio' malgrado l'Uzbekistan avesse recepito
nel proprio ordinamento giuridico l'articolo 17.8 del Documento di
Copenaghen del 1990, che obbliga gli stati aderenti all'Osce a "rendere
pubbliche le informazioni riguardanti l'utilizzo della pena di morte".
Tamara stessa ha vissuto in prima persona questo dramma: un giorno si reca
per l'ennesima volta nel carcere cittadino per visitare il figlio condannato
a morte per un omicidio di cui si e' sempre dichiarato innocente. Mentre sta
parlando con i secondini la donna sente degli spari: Dmitrij veniva
giustiziato senza che lei ne sapesse nulla. Nessuno ha poi informato Tamara
sul luogo di sepoltura del suo ragazzo. Da allora, la volonta' di porre fine
a questi atti di odio e violenza e' diventata per lei motivo d'impegno
civile.
Nel settembre 2003, la Chikunova ha inaugurato una campagna mediatica per
l'ottenimento di una moratoria sulla pena di morte nel suo paese,
diffondendo un appello con una sottoscrizione mondiale: le adesioni si sono
contate a migliaia in poche settimane. Tale mobilitazione sarebbe dovuta
culminare in una conferenza a Tashkent il 5 dicembre 2003, che e' stata
pero' impedita dal governo uzbeko con scuse pretestuose. Gli interventi
delle diplomazie europee a Tashkent per la creazione di una rete di
attenzione internazionale e sostegno locale si sono rivelati decisivi
perche' l'associazione potesse proseguire il suo lavoro. Il primo luglio
2004 la Chikunova, per la sua opera meritoria, e' stata insignita a Roma del
premio Colomba d'oro per la pace, conferitole dall'Istituto di studi
politici internazionali "Archivio Disarmo".
Tamara Chikunova, assieme a Dilobar Khudajberganova, sorella di un
condannato a morte, ha poi intrapreso nell'autunno 2004 un lungo tour che ha
toccato le maggiori citta' d'Europa e d'Italia, durante il quale ha
denunciato la drammatica realta' della pena di morte nel suo paese. Al loro
rientro le pressioni dei servizi segreti e della polizia uzbeka si sono
intensificate. Dilobar ha ricevuto esplicite minacce di morte se avesse
continuato a "propagandare azioni contro lo Stato". Ma l'associazione ha
proseguito la sua attivita' in Uzbekistan e all'estero, conseguendo presto
tangibili risultati. Il 28 gennaio 2005, il presidente uzbeko ha dichiarato
di fronte alle camere parlamentari riunite in seduta comune: "Non stiamo
parlando dell'introduzione di una moratoria come avviene in alcuni paesi
dove i condannati devono aspettare per anni l'esecuzione della sentenza di
morte, ma della completa abolizione della pena di morte... L'essenza delle
riforme destinate a favorire il rinnovamento democratico della societa'
civile rende necessario porre fine alle esecuzioni capitali". Il primo
agosto 2005, Islom Karimov ha decretato l'abolizione della pena di morte nel
paese, rinviando tuttavia di tre anni l'entrata in vigore del provvedimento:
il tempo necessario - ha detto - per "costruire nuove carceri". Nel
settembre dello stesso anno, Tamara e' stata insignita in Germania del
Premio Norimberga per la sua strenua battaglia civile, e il primo gennaio
2008 il Senato dell'Uzbekistan ha abolito la pena di morte dalla
Costituzione del paese, sostituendola con il carcere a vita, proprio
all'indomani dell'approvazione della moratoria universale sulle esecuzioni
da parte dell'Assemblea Generale dell'Onu (18 dicembre 2007).
Attualmente coloro che erano stati condannati a morte si trovano ancora nei
"bracci della morte". Nonostante l'emanazione del decreto presidenziale che
ha commutato le sentenze di morte in ergastolo, non esiste ancora una
giurisprudenza ordinaria che lo metta in pratica. Finche' la Corte Suprema
non elaborera' e non approvera' un adeguamento legislativo al decreto
presidenziale di abolizione, i prigionieri resteranno nei "bracci della
morte". Secondo quanto fissato dal decreto, le pene massime sono ora
l'ergastolo e la condanna a 20-25 anni di reclusione, e l'attentato alla
vita di una persona, in qualunque circostanza esso si verifichi, e'
considerato un grave crimine.
A spingere la "pasionaria" uzbeka in questo pionieristico impegno sul fronte
dei diritti umani, che le ha causato non pochi problemi, e' stata una
precisa motivazione di fede: "Sappiamo che ci sono persone che usano il nome
di Dio per spargere odio e violenza... Noi, con piu' impegno di ieri,
crediamo che la religione non debba mai giustificare l'odio e la violenza.
Pace e' il nome di Dio". E proprio questa fede le ha consentito di superare
umiliazioni e pressioni psicologiche esercitate su di lei perche' si
convincesse ad abbandonare la sua opera in difesa del rispetto per la vita.
E' stata chiamata "la madre dell'assassino", e' stata accusata di
favoreggiamento della prostituzione, di essere una terrorista musulmana,
piu' volte ha ricevuto minacce di morte da agenti di polizia e da ignoti.
Ciononostante, ha proseguito impassibile la sua battaglia contro la pena di
morte. E non solo nel suo paese, ma anche in quelli limitrofi come il
Kyrgyzstan. Nei suoi "bracci della morte" giacevano condannati che erano
cittadini uzbeki e russi. Tamara si e' rivolta al governo kyrgyzo e ai
difensori locali dei diritti umani con un appello per l'abolizione della
pena di morte. Ha trovato il sostegno dell'associazione "Cittadini contro la
Ccorruzione", diretta da Tolekan Ismailova, e con lei ha duramente lavorato
per l'abolizione della condanna a morte in Kyrgyzstan. Il 26 giugno 2007 e'
stata approvata la legge che ha sancito l'abolizione giuridica della pena di
morte dal codice penale kyrgyzo.
Tamara e' in questo momento impegnata per la stessa causa in Kazakhstan,
Mongolia e (forse) Bielorussia. Paesi nei quali e' praticata la tortura, che
come la pena capitale rappresenta un'esplicita violazione del diritto alla
vita, e come tale da considerare, secondo le parole di Tamara, "omicidio
premeditato", e pertanto i colpevoli dovrebbero essere condannati.

7. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. MEMORIA. GUENTER GRASS RICORDA HEINRICH BOELL
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 maggio 2009col titolo "L'ultimo
desiderio del mio amico Heinrich Boell" e il sommario "Erano le cattiverie
sui giornali del gruppo Springer, di cui era vittima da anni. La sconcezza
dei titoli cubitali. La volonta' di annientamento di un'orda di cinici di
professione che si facevano chiamare giornalisti". La traduzione e' di
Claudio Groff]

Aveva dieci anni piu' di me, anni terribili, confusamente rivoluzionari,
forse meravigliosi. Sui suoi primi romanzi e racconti, di solito avuti in
prestito, ho messo le mani negli anni Cinquanta: Il treno era in orario,
Dov'eri, Adamo?, le storie brevi, piu' tardi Casa senza custode. (...) Solo
in seguito Boell divenne per me il modello della persona che rendeva
pubblico il suo essere pro o contro, che in caso di necessita' metteva da
parte il manoscritto e usciva per discutere, spesso appassionatamente,
fuori, dove il vento spirava sempre in direzione contraria. Amato, certo,
ammirato all'estero, ha offerto a molti lettori e ascoltatori un
orientamento e un concetto di liberta' che non si riduceva all'economia di
mercato. Forse per questo e' stato detestato da una cricca di politici e dai
loro tirapiedi, fino al giorno della sua morte, il 6 luglio 1985. (...)
Bo'll aveva preso le sue precauzioni. A meta' degli anni Settanta, insieme
alla moglie Annemarie, era uscito dalla chiesa come "corporazione di diritto
pubblico", ma restava legato alla fede cattolica. Era contro, anzi,
disprezzava la chiesa ufficiale e i suoi intrallazzi. Definirlo, come allora
d'abitudine, un cattolico di sinistra sarebbe stato inadeguato; la sua
comprensione per l'essenza del cristianesimo era piu' radicale di quanto uno
di sinistra, io ad esempio, si potesse mai sognare, e piu' libera di quanto
avesse concesso questo o quel papa. (...)
*
Il giorno del suo funerale era estate. Lasciammo la chiesa, dove il prete
aveva parlato in tono amichevole di non so piu' cosa. Io nel mio vestito
nero preso in prestito, che mi ballava addosso. E adesso accadde una cosa
perfettamente in carattere con Heinrich Boell e che certo e' rimasta
indimenticabile per tutti gli amici in lutto che volevano accompagnarlo nel
suo ultimo viaggio: davanti alla bara, portata a spalla, davanti alla
famiglia e al lungo corteo di amici, degli zingari suonarono melodie che si
perdevano malinconicamente nel vento, eppure sembravano fatte per ballare.
(...) Un suono che conosceva il dolore e tuttavia rendeva allegri. E' stato
un suo desiderio, non voglio dire l'ultimo. Un'indicazione dell'uomo
pacificamente combattivo, il quale - suppongo - amando soffrire e compatire
sarebbe stato un cristiano dei tempi antichi, ma che si adirava se gli
capitavano sott'occhio i tardi mandatari della fede in veste di sacerdoti.
Cosi' si legge nella Lettera a un giovane cattolico, che Boell ha scritto
nel libro degli ospiti per i sommi sacerdoti nel 1958, dunque al tempo del
miracolo economico: "... Loro sono tutti abbastanza intelligenti e accorti
per capire quanto la quasi-concordanza tra Cdu e Chiesa sia funesta, perche'
puo' avere come conseguenza la morte della teologia; e' semplicemente e
solamente penoso leggere le prese di posizione dei teologi riguardo ai
problemi della politica; e' qualcosa che mira decisamente a Bonn, e dietro
ogni frase si percepisce uno zelo che attende soltanto una pacca sulla
spalla". Questo giudizio essenziale eppure esatto, perche' pronunciato ben
conoscendo l'aria viziata cattolico-renana, puo' essere preso a modello per
molte di quelle repliche che nel corso dei decenni Boell considero'
necessarie solo in quanto gli sembrava "penoso" e certamente anche blasfemo
che un partito facesse uso indebito del nome di Cristo sbattendo la C sopra
la sua insegna commerciale e che i suoi membri si chiamassero
cristianodemocratici. E lui, lui che gia' allora era tacciato da
"moralista", lui, che oggi con il solito gesto sprezzante si vorrebbe ancora
mettere da parte sotto questa categoria, lui, quell'uomo vulnerabile, che
nulla e certo non il premio Nobel per la letteratura protesse dall'essere
continuamente diffamato e offeso fino all'anno della morte sulle pagine di
un potentissimo gruppo editoriale, lui, il piu' solidale di tutti gli
scrittori, che fino alla fine si era adoperato per scrittori perseguitati in
tutto il mondo, a volte arrivando anche alla loro liberazione, lui stavamo
portando alla tomba. (...)
*
Forse, gia' mentre portavamo la bara, poi davanti alla tomba aperta, mi e'
tornato alla mente il nostro ultimo incontro. Mia moglie ed io andammo a
trovarlo in ospedale. Cerco' di minimizzare la causa della sua temporanea
permanenza - i disturbi circolatori che non volevano andarsene - e ci
racconto' come, con l'ultimo avanzo di charme, fosse sempre riuscito a
scroccare sigarette all'infermiera di notte. Solo verso la fine della visita
ci fece capire cosa lo affliggeva piu' dell'insufficienza cardiaca, degli
scompensi circolatori, del diabete. Erano le cattiverie sui giornali del
gruppo Springer, di cui era vittima da anni. La sconcezza dei titoli
cubitali. La volonta' di annientamento di un'orda di cinici di professione
che si facevano chiamare giornalisti. Quello che era successo a lui anch'io
l'avevo sperimentato a sufficienza. Ma mi toccavano appena, le menzogne
messe sulla carta dalla "BildZeitung" o da "Welt am Sonntag". Dopotutto
avevo vinto la causa intentata contro di me da una dozzina e piu' di
giornalisti di Springer per un commento pronunciato nel corso della
trasmissione televisiva "Panorama". Che trionfo! Nulla e' piu' piacevole di
un processo vinto contro i fabbricanti di opinione pubblica che si
atteggiano a onnipotenti.
*
A Boell questo trionfo fu negato. Si difese con discorsi, lettere ai
lettori, articoli. Cosi' nel '72, quando in un delirio di
autosopravvalutazione una Rote Armee Fraktion pretese di dichiarare guerra
allo Stato che odiava. Lui era dell'opinione che "un salvacondotto per
Ulrike Meinhoff" potesse portare a un processo equo e alla fine dell'isteria
che si andava diffondendo; un pio, forse troppo ingenuo desiderio. Di
conseguenza divento' il bersaglio delle peggiori insinuazioni. Sotto il
titolo "Bisogna oltrepassare i limiti", per difendersi da sospetti che
sembravano non aver fine e tentavano di farlo passare per complice del
terrorismo, concludendo un articolo scrisse: "E da ultimo una preghiera ai
signori di casa Springer: scioglietemi dal contratto che a causa della
concentrazione editoriale mi ha trasformato da innocuo autore della Ullstein
in autore della SpringerUllstein. Ci separano mondi, muri, ordini di far
fuoco. Ho molte pecche, ma di questa, della pecca di essere un autore di
Springer, adesso vorrei finalmente liberarmi".
*
Sul piano letterario Boell ha dato forma nel modo piu' valido alla
comprensione di un giornalismo fino al giorno d'oggi tanto indegno quanto
nauseante, in particolare quello della "Bild-Zeitung", scrivendo il romanzo?
o il racconto?, voglio dire la novella L'onore perduto di Katharina Blum.
Che ha per sottotitolo "Ovvero: come puo' nascere e dove conduce la
violenza". Quando lo portammo alla tomba, guardando sua moglie Annemarie
ebbi la certezza di voler portare avanti il boicottaggio della stampa di
Springer, deciso nel 1968 durante l'ultima riunione del Gruppo 47, fin
quando i dirigenti del complesso editoriale si fossero decisi a porgere
pubbliche scuse alla famiglia Boell. Cosa che fino ad oggi non e' avvenuta.
I ducetti attuali - direttore della "BildZeitung" in testa - pensano sempre
di essere in possesso di una patente d'immunita' che permette loro di
diffamare e di offendere come e' stato diffamato e offeso Heinrich Boell
fino all'anno della sua morte.

9. LIBRI. ROBERTO FRANCAVILLA PRESENTA "CHIQUINHO" DI BALTASAR LOPES
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2009 col titolo "Tristi tropici
nello sguardo di un bambino. Un classico da Capo Verde" e il sommario
"Pubblicato nel 1947 e uscito ora per le Edizioni Lavoro, Chiquinho,
capolavoro di Baltasar Lopes. L'Unesco lo ha inserito tra i libri che vanno
tutelati come patrimonio dell'umanita'"]

Un paradigma forse inconsapevole della critica letteraria postcoloniale,
scarabocchiato con rara pertinenza e concisione su una parete del bagno del
Ritz Clube di Lisbona, locale africano in voga negli anni '80 e '90,
recitava: "Per noi capoverdiani Chiquinho e' il nostro Camoes". Quelle
parole affidate alla ciclicita' di un rituale anonimo e prosaico contenevano
la dichiarazione di identita' del soggetto, la dialettica istituita nei
confronti del discorso egemonico, l'assorbimento, la negoziazione e il
rifiuto del canone coloniale e la costruzione del "terzo spazio"
(l'ibrido!), preconizzato da Homi Bhabha.
Un romanzo realista (regionalista nelle tassonomie coeve) come Chiquinho,
scritto negli anni '30 in un arcipelago lontano e minato da devastanti
carestie, Capo Verde, dunque in una periferia coloniale spesso ignorata
perfino dalle mappe africane per la sua eccentrica allocazione (non da
ultimo metaforica: nel mezzo fra Europa, Brasile e Africa, fra opposte
matrici e suggestioni) nella condizione di subalternita' decretata dallo
status di colonia (per di piu' colonia di un regime totalitario in ascesa),
paese africano e dunque incluso in quell'ambiguo corpus geopolitico chiamato
"Terzo mondo", aspirava addirittura a sostituirsi ai Lusiadi, ovvero al
poema epico dello splendido Cinquecento lusitano, simbolo del modello
esportato e imposto alla colonia, per secoli, dalle antologie e dai
catechisti dell'Impero. In quel graffito esemplare, l'epopea del creolo,
dell'isolano in fuga dalla miseria e dall'abbandono e costretto alla prova
esiziale dello sradicamento e dell'emigrazione, veniva opposta all'epopea di
Vasco da Gama. L'oceano come condanna (tatuato nelle cifre indelebili delle
catene della tratta) disegnava il rovescio della medaglia della gloriosa
sfida marittima all'ignoto geografico e del suo conseguente apparato di
vicere' ed empori commerciali.
*
Sulle rotte dell'Atlantico
Il romanzo in questione, Chiquinho (ora tradotto in italiano per le Edizioni
Lavoro a cura di Vincenzo Barca), scritto dal capoverdiano Baltasar Lopes,
pubblicato nel 1947 e inserito dall'Unesco nella lista dei libri da tutelare
come patrimonio dell'umanita', anticipava molti dei temi che avrebbero
attraversato la letteratura isolana: la partenza, la distanza, l'isolamento,
la siccita', filoni affrontati dalla generazione di Lopes con gli strumenti
mutuati dal Neorealismo portoghese ma soprattutto, per affinita' di oikos,
dal grande romanzo regionalista brasiliano di Graciliano Ramos, di Jose'
Lins do Rego e del primo Amado, quello di Jubiaba' e Mar Morto; il richiamo
dell'Africa ovvero la matrice bantu, il segno della tratta, il sincretismo
antropologico e, sebbene ancora in maniera velata, l'afflato panafricanista
che sarebbe diventato presto una delle bandiere della militanza
anticolonialista; infine la prospettiva, incisa nel codice genetico del
creolo, del depaysement (ancorche' saldato all'unica ipotesi di
sopravvivenza e di ascesa sociale), in questo caso impostato sulla rotta
atlantica verso Boston e i porti del New England, dove ancora oggi risiede
una delle piu' popolose comunita' della diaspora capoverdiana protagonista,
fin dal XIX secolo, dell'epopea delle baleniere di New Bedford e di
Nantucket.
*
Le influenze della Negritudine
Un triste tropico, dunque, ma osservato da un bambino sul molo: alle spalle
la terra, il campo semantico delle radici e della madre; di fronte, la linea
dell'orizzonte, l'evocazione struggente della terralonge, ovvero la terra
contemplata nella distanza, gli Stati Uniti e il ricongiungimento paterno
nel segno dell'emigrazione. Nel mezzo, i fili di un delicato e profondo
Bildungsroman in cui Chiquinho, il giovane protagonista eponimo, transitando
confuso fra gli spazi della sua formazione creola e i suoi struggenti
passaggi di eta', dai codici dell'africanita' appresi da una nonna assai
nera e tellurica al borgo del Calejao a quelli piu' "occidentali" della
vivace e cosmopolita Mindelo, citta' principale dell'isola di Sao Vicente,
ci conduce fatalmente verso l'ora dell'addio.
Il primo capitolo di Chiquinho viene pubblicato proprio a Mindelo nel marzo
del 1936, sul numero 1 della rivista "Claridade": Baltasar Lopes ne e'
l'anima, insieme a Manuel Lopes e a Jorge Barbosa, la cosiddetta triade
della Caboverdianidade. "Claridade" nasce come pagina di letteratura affine
a movimenti nodali nella storia dell'affermazione di culture della diaspora
africana quali il Rinascimento negro negli Stati Uniti, l'Indigenismo
afro-haitiano di Jacques Romain, il Negrismo cubano di Alejo Carpentier, e,
piu' di tutti, il movimento afro-parigino della Negritudine (Cahier d'un
retour au pays natal di Aime' Cesaire risale al 1939, anche se un
fondamentale precedente va rintracciato nel romanzo antillano Batouala, di
Rene' Maran, sorprendente premio Goncourt nel 1921).
Alla base di "Claridade", esplicitato nella frase manifesto "fincar os pes
no chaoª (piantare i piedi nella terra, nel suolo), risiede un progetto
fortemente identitario costruito sull'idea di "essere autenticamente". Dal
punto di vista letterario si operava un rinnovamento delle forme e della
materia e il definitivo scollamento da quelle fonti erudite che i poeti
della generazione precedente avevano affannosamente (e quanto
eccentricamente!) cercato nella teogonia esiodea e nel ciclo di Eracle per
costruire una mitologia delle origini inattaccabile e soprattutto "classica"
secondo la quale l'arcipelago sarebbe nato dai lapilli esplosi di Atlantide.
Dal punto di vista sociale e antropologico, il creolo avrebbe dovuto
affermarsi come soggettivita' indipendente, amarsi esaltando la propria
terra alla maniera dell'ufanismo brasiliano, celebrando le proprie radici (e
rispondendo, ma solo in un secondo momento, al forte richiamo - saldamente
politico - di Madre Africa).
*
Un paradigma di miscidazione
Difficile, tuttavia, celebrare una crosta vulcanica di sabbia e sale
abbandonata ai soffi calamitosi dell'harmattan perfino da quella madrepatria
lusitana che per secoli ne aveva sfruttato - fino all'esaurimento - le poche
risorse. Anche per questo, piu' del paesaggio a cui manca la sublime potenza
della natura brasiliana, lo sforzo mitopoietico degli intellettuali
caboverdianistas prediligeva l'elemento umano, concepito in una terra che
era disabitata fino all'arrivo del navigatore lusitano e genovese, prima dei
coloni andalusi, ebrei, algarvios e prima degli schiavi strappati alle coste
del Golfo di Guinea, e percio' vero paradigma di miscidazione.
Nel molo da cui il giovane Chiquinho contempla l'oceano traendone le
coordinate empiriche della propria condizione, che e' quella in senso lato
di un'intera societa', e le sue conseguenze (isolamento, forzata mobilita'
demografica, partenza e ritorno, diaspora) potremmo individuare uno dei
topoi ricorrenti della letteratura capoverdiana e al contempo uno dei
simboli piu' evidenti del legame con la matrice portoghese. Il molo,
infatti, costituisce insieme il luogo simbolico dove si concentra la ricerca
mitica, letteraria e antropologica sull'arcipelago e sul nodo, non del tutto
disciolto, che salda le isole all'ex tutrice coloniale. Una sorta di molo
ideale, per citare l'Ode marittima di Pessoa, un'essenza di molo africano da
cui salpano navi negriere o vapori carichi di migranti, ma anche il molo
delle caravelle portoghesi pronte a doppiare il Capo di Buona Speranza
dirette alle Indie.
*
Strategie di controllo
Il doppio e' cifra ontologica dell'ibrido creolo: in Chiquinho ogni tensione
e' oscillante, ogni decisione contiene la consapevolezza letale del suo
contrario, ogni partenza presuppone l'ipotesi di un definitivo distacco -
simile a una morte -, ogni rinuncia evoca i futuri non realizzati, la
possibilita' sfumata di una vita altra. Nella doppia esitazione di Chiquinho
di fronte al bivio costituito dal restare e dal partire e dall'adesione alla
radice nera della sua cultura e dal fascino innegabile esercitato dal "mondo
la' fuori", e' facile intuire la questione del sincretismo culturale
capoverdiano e dei suoi dilemmi irrisolti.
Vissuto spesso come un compromesso, soprattutto negli anni del rinascimento
culturale ('30 e '40), genero' una tensione tra due direttrici che
esaltavano opposte incidenze nel tessuto della nuova simbiosi creola: da una
parte l'attrazione nella galassia panafricanista; dall'altra il
riconoscimento di una predominanza della matrice euro-lusitana. Le
generazioni di intellettuali che seguirono "Claridade", contestando il
supposto evasionismo dei predecessori (Lopes incluso), respinsero in modo
polemico, perfino violento, tanto la persistenza di una parentela lusitana
quanto l'ipotesi dell'abbandono delle isole. L'esitazione di Chiquinho
avrebbe dovuto confluire in un impegno intellettuale radicalmente
antievasionista, nell'engagement del discorso politico: la lotta per
l'indipendenza, ottenuta soltanto fra il 1974 e il 1975, uni' di fatto Capo
Verde alle altre colonie africane del Portogallo e in particolare alla
Guinea Bissau nel nome di Amilcar Cabral, leader libertario e illuminato,
assassinato a Conakry nel 1973 dalla polizia politica salazarista.
Eppure e' lecito cogliere in Chiquinho cosi' come, in senso lato, nell'opera
di Baltasar Lopes la critica, non sempre costretta nei codici della
metafora, nei confronti della politica ultramarina portoghese. Certo e'
ancora lontano lo scaturire della fiamma prometeica e liberatrice della
negritudine aggressiva, dell'esortazione alle armi. Nelle pagine di
"Claridade", tuttavia, e' nitida la consapevolezza dell'utilizzo della
scrittura come strategia di controllo da parte della propaganda salazarista:
da qui il progetto di resistere al discorso egemonico utilizzando i suoi
stessi strumenti, non solo nella prosa e nella poesia ma in un generale
atteggiamento intellettuale, considerato allora al limite della sovversione,
che comprendeva la ricerca linguistica e antropologica operata dall'interno
(il soggetto colonizzato studia se stesso e si rappresenta) in opposizione
programmatica al reportage pittoresco, al saggio pseudoscientifico sul
folklore, alla raccolta innocente ed esotista di miti e leggende, generi in
gran voga nell'ambito della cultura ufficiale. Lo studio sul rituale
sincretico della tabanca, per esempio, pubblicato da Felix Monteiro su
"Claridade" nel 1948, rappresenta un caso di vera e propria etnografia
resistente.
*
L'insularita' e il suo rovescio
Nel romanzo di Baltasar Lopes anche il lessico dell'immaginario oceanico,
cosi' legato a cio' che Edward Said ha definito nazionalismo delle
"narrative eroiche", di eredita' romantica, viene lentamente staccato dal
corpo coloniale per redimersi in una nuova rappresentazione. E' chiara
l'opposizione alle forme di quel nazionalismo mitico e metastorico che in
Portogallo coniuga la poesia saudosista e decadente di inizio Novecento al
fascismo e al colonialismo di Salazar. L'insularita' si incasella come
elemento base nella visione di un nazionalismo culturale creolo al quale
piu' tardi, fatalmente, si sarebbe sovrapposto quello politico.
In questo senso Chiquinho, romanzo precursore, contribuisce alla costruzione
di una forma nazionale plasmata proprio attorno alla dimensione marittima
nella quale sarebbe comunque impossibile non cogliere i residui, pur
discussi e archiviati, del canone lusitano. Tuttavia, nell'ibridismo, codice
della creolita' capoverdiana, si scardina definitivamente ogni pervicace
arroccamento dei modelli: la lingua, il canone letterario, l'eredita' della
Storia. Chiquinho e "Claridade" ne costituiscono le corrispondenze in
letteratura, dando vita a quello che potremmo definire, rischiando
l'ossimoro, un caso assai raro e felice di "cosmopolitismo periferico",
sfida culturale dagli esiti sorprendenti alla prigione dell'isolamento
geografico.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 854 del 17 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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