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Minime. 853
- Subject: Minime. 853
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 16 Jun 2009 01:07:13 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 853 del 16 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. La guerra 2. Il razzismo e lo squadrismo 3. Il referendum 4. I ballottaggi 5. Floriana Lipparini: La strada 6. Fabio Mini: La guerra vera 7. Giobbe Santabarbara: Contro tutte le uccisioni 8. Tiziana Bartolini: 50 e 50, un passo avanti 9. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 10. Alcuni estratti da "Il dolore dell'indeterminato" di Axel Honneth 11. Massimo L. Salvadori: La crisi strutturale della democrazia 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LA GUERRA La guerra e' nemica dell'umanita'. L'Italia ripudia la guerra: cosi' e' scritto nella legge fondamentale del nostro paese. Cessi immediatamente l'illegale, criminale partecipazione italiana alla guerra afgana. La guerra e' nemica dell'umanita'. 2. EDITORIALE. IL RAZZISMO E LO SQUADRISMO Il ritorno delle camicie nere. Il ritorno delle leggi razziali. Il ritorno delle deportazioni. Il ritorno dei campi di concentramento. O si difendono i diritti umani di tutti gli esseri umani, o non vi sara' sicurezza per nessuno; oggi gli schiavisti e i totalitari perseguitano i migranti, domani perseguiteranno tutti. Vi e' una sola umanita'. 3. LE ULTIME COSE. IL REFERENDUM Diciamolo senza tanti giri di parole: questo referendum ha come effetto reale di rafforzare la deriva plebiscitaria e totalitaria nel nostro paese: se vincono i si' un solo partito prendera' tutto il potere politico - monopolizzando esecutivo e legislativo in un colpo -; se vincono i no, si conferma la legge elettorale vigente, che e' gia' l'orgia dell'antidemocrazia. Non resta che rifiutarsi di votare, negare la propria complicita' all'eversione dall'alto. Rifiutando le tre schede referendarie, se ci si presenta alle urne per i ballottaggi; non andando affatto a votare, in tutti gli altri luoghi. Lo diciamo con amarezza: anche l'astensione dal voto e' per noi una ferita, e sappiamo che verra' presentata dai mass-media compiacenti con la deriva antidemocratica come disaffezione alla partecipazione, come diserzione, rinuncia, delega in bianco ad altri. Ma in questo caso non e' cosi'. A fronte di un voto che e' comunque in entrambi i suoi possibili poli (il si' e il no ai quesiti) un avallo del golpe antidemocratico in corso, ebbene, l'unica posizione corretta, l'unica scelta giusta, e' non partecipare, negando il consenso alla trappola, esercitando il diritto e il dovere del rifiuto. 4. LE ULTIME COSE. I BALLOTTAGGI Ovunque sia possibile, nei ballottaggi per le elezioni amministrative si voti per i candidati e le coalizioni antiberlusconiane, antieversive, antirazziste; si voti per la legalita' e per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Il golpe berlusconiano, razzista ed anomico, puo' essere contrastato: ma e' essenziale che nelle istituzioni locali vi sia un contrappeso - e un baluardo - rispetto al governo centrale dell'eversione dall'alto e al parlamento asservito dei clientes della coalizione piduista; un contrappeso, e un baluardo, che difenda la legalita' e la democrazia, che favorisca l'interazione tra cittadini e istituzioni, che sia fedele alla civilta' giuridica, all'ordinamento istituzionale dello stato di diritto, ai diritti umani di tutti gli esseri umani ed alla civilta' tout court. 5. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: LA STRADA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) riprendiamo il seguente intervento col titolo "Dove passa la strada del cambiamento?" e il sommario "Tutto sembra confermare che la strada per le donne non puo' passare dalla vecchia pratica partitica"] Dopo le veline ecco le "amazzoni". Non si sa perche' vengano cosi' definite, se non per ignoranza: le amazzoni leggendarie non stavano certo al servizio di un uomo! Ed ecco un migliaio di donne che accettano tutte felici di farsi "convocare" in massa dal sultano straniero, ignorando bellamente le gravi accuse che altre donne gli hanno indirizzato per gli orrori che avvengono in Libia nei centri di raccolta. Donne, immagini di donne, corpi di donne, tragedie di donne come quella di Vira Orlova, la badante ucraina morta per dissanguamento dopo un aborto spontaneo. Non ha cercato aiuto perche' era "clandestina" e temeva di essere espulsa. Ecco cosa significa in Italia stare "come una donna sulla terra". E corpi di donne usati a fini politici prima, durante e dopo le elezioni. Non i corpi reali al centro della vita pubblico/privata, come vorremmo che fosse, ma corpi-immagine, corpi-merce utili per ricatti incrociati fra protagonisti maschi. Proprio come accadeva in epoche primordiali, quando i corpi delle figlie date in matrimonio sigillavano patti di alleanza fra capi tribali. O come accade nelle guerre, quando si stuprano le donne del nemico per umiliarne l'orgoglio. Corpi di donne come medium di relazioni puramente maschili. Queste elezioni hanno detto la solita, eterna cosa: come soggetti a pieno titolo le donne non esistono. Singole (per quanto rare) candidature femminili sono state in realta' molto votate (non solo il "fenomeno" Serracchiani), e puo' far piacere che alcune donne si dimostrino piu' credibili, piu' brave, piu' serie, siamo d'accordo: ma in cosa si discostano dal neutro dei loro partiti? Cosa ne e' della domanda di cambiamento radicale nel rapporto fra i sessi? Questa amara assenza va di pari passo con il trionfo europeo e locale di una destra razzista e xenofoba, cioe' becera e maschilista al massimo grado, per propria intima essenza, e con la debole presenza di una "sinistra" narcisista, autoreferente, ma soprattutto neutra, non interessata a una concezione sessuata della politica. Per non parlare del fatto che gli unici due partiti vincenti - Lega e Idv - sono proprio quelli piu' machisti. Tutto sembra confermare che la strada per le donne non puo' passare dalla vecchia pratica partitica, li' c'e' uno sbarramento insuperabile perche' la concezione stessa di tale struttura - puramente elettoralistica, numerica, formale e gerarchica - e' incompatibile con le modalita' differenti della politica e della pratica delle donne, o almeno con quelle che in teoria dovrebbero essere le nostre modalita' differenti. Ora poi che la sinistra e' in una drammatica crisi, e' facile il ripetersi di un fenomeno gia' visto in occasioni storiche: possiamo noi donne parlare di femminismo quando "sta per scoppiare la guerra"? Possiamo noi donne parlare di femminismo quando "bisogna difendersi dal fascismo"? Possiamo noi donne parlare di femminismo quando c'e' "la crisi economica"? Un indebito senso di colpa induce le donne a desistere, a mettere in secondo piano le proprie rivendicazioni, quando invece e' proprio l'esclusione delle donne dalla costruzione sociale il peccato originale che ha prodotto questo tipo di civilta' violenta, ingiusta e distorta, e soltanto la ricomposizione equilibrata dei ruoli fra i generi potra' dar vita a un nuovo disegno. Dovremmo chiederci se di questo passo il percorso del femminismo non restera' chiuso in un limbo da cui non si riesce a uscire. E dovremmo chiederci perche' sia cosi' difficile trovare il coraggio di scegliere nettamente una politica di movimento che porti al centro della scena il conflitto non soltanto con il capitalismo, il liberismo e la globalizzazione, ma soprattutto con l'impianto patriarcale di ogni costruzione, inclusi quei partiti, o meglio quella "parte" che per tanto tempo, ignorandone aspetti contraddittori e anzi inaccettabili (sulla violenza, sulle guerre, sulla liberta', sul sessismo...), ha rappresentato anche agli occhi di molte donne un baluardo contro le ingiustizie sociali di questo modello di mondo. A questo punto dovrebbe essere chiaro che l'attardarsi nelle illusioni e nelle fedelta' partitiche non paga e anzi ci ricaccia continuamente indietro. Forse l'unico segnale interessante, un piccolo spiraglio di ottimismo, e' il crescere in Europa dei verdi. La critica al modello di sviluppo economicista e industrialista implica la proposta di un modello di societa' non soltanto sostenibile, antimilitarista, non eurocentrico, nonviolento, ma anche fortemente permeabile alla visione "altra" del femminile. Non e' un caso che il pensiero delle ecofemministe vi abbia contribuito alle origini, quando i verdi erano piu' movimento che partito. L'ecologismo guarda il mondo in modo nuovo e diverso, rovesciando molti punti di vista e proponendo visioni alternative. In quest'area, una presenza femminile piu' forte e consapevole potrebbe fare la differenza e segnare la strada del cambiamento. Forse. 6. AFGHANISTAN. FABIO MINI: LA GUERRA VERA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 giugno 2009 col titolo "La guerra vera". Fabio Mini, come e' noto, e' un generale dell'esercito italiano dotato di vastissima esperienza internazionale, di acuto giudizio e nitida scrittura. Come abbiamo piu volte avuto occasione di dire e' una persona, e un autore, da cui gli amici della nonviolenza hanno molto da imparare. Tra le opere di Fabio Mini: Comandare e comunicare, Alinari, Firenze 1989, L'altra strategia, Franco Angeli, Milano 1998; La guerra dopo la guerra, Einaudi, Torino 2003; Soldati, Einaudi, Torino 2008. Riportiamo anche la seguente scheda biobibliografica tratta da "Analisi Difesa" di qualche anno fa (in cui pertanto non sono citati gli ultimi libri di Mini): "Fabio Mini e' Tenente Generale dell'Esercito Italiano. Le sue specializzazioni militari includono quelle in missili anticarro e difesa Nbc, ufficiale addetto alla Pubblica Informazione della Nato, Ispettore Cbm per gli Accordi di Stoccolma ed in Operazioni Psicologiche. Ha comandato tutti i livelli di unita' meccanizzate, dal plotone alla brigata. Il suo ultimo incarico operativo e' stato quello di comandante della Brigata "Legnano" durante l'operazione "Vespri siciliani" contro il crimine organizzato in Sicilia. E' stato in seguito responsabile della preparazione, addestramento e primo schieramento della Brigata in Somalia. I suoi incarichi di Stato Maggiore comprendono quelli di Ufficiale alle Operazioni e Difesa Nbc presso il IV Reggimento Corazzato, e di Capo Sezione di Stato Maggiore presso la Brigata meccanizzata "Granatieri di Sardegna". Dal 1979 al 1981 e' stato assegnato negli Stati Uniti presso la IV Divisione di Fanteria a Fort Carson, nel Colorado, dove ha svolto gli incarichi di Ufficiale addetto ai Piani ed Operazioni, Secondo in Comando della Divisione Esercitazioni e Valutazioni (EED) e Capo della Divisione Esercitazioni e Valutazioni/Centro Simulazione Combattimento. Al suo ritorno in Italia ha prestato servizio quale Ufficiale addetto al Reparto Impiego del Personale dello Stato Maggiore dell'Esercito, Capo dell'Ufficio Studi e Coordinamento dello Stato Maggiore dell'Esercito, Capo dell'Ufficio Pubblica Informazione e Portavoce del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Dal 1993 al 1996 ha svolto l'incarico di Addetto militare a Pechino, Repubblica Popolare Cinese. Con il grado di Generale di Divisione, ha diretto l'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (Issmi). Nel 1999 ha svolto due incarichi concomitanti presso lo Stato Maggiore della Difesa quali Capo dell'Ufficio Generale per le Comunicazioni e la Pubblica Informazione e Capo dell'Ufficio Generale di "Euroformazione". A partire dal gennaio 2001 ha assunto la funzione di Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Nel 2002 il generale Mini ha assunto il comando delle operazioni di pace in Kosovo a guida Nato (Kfor). Le sue decorazioni comprendono l'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Omri), la Medaglia al Merito Mauriziana, la Medaglia di Lungo Comando, la "U.S. Army Commendation Medal" e la Medaglia "Ba Yi" della Repubblica Popolare Cinese. Ha scritto molto su questioni militari, strategiche e geopolitiche. Tra i suoi lavori i libri: Comandare e comunicare (Alinari, Firenze 1989), e L'altra strategia (Franco Angeli, Milano 1998). E' autore di oltre venti saggi e di molti articoli pubblicati su riviste militari e civili come "La Rivista Militare", "Limes" e "Heartland". Nel 2001 ha curato la versione italiana del libro Guerra senza limiti, i cui autori sono i colonnelli della Repubblica Popolare Cinese Qiao Liang e Wang Xiaosui. Ha fondato e continua a dirigere "Newstrategy", un istituto di ricerca e studio non a scopo di lucro. E' membro delle Conferenze Mondiali Pugwash e del Comitato scientifico di "Limes". Svolge regolarmente seminari informativi presso le scuole ed i centri di addestramento nazionali dei Servizi di intelligence su questioni strategiche dell'Asia, dell'Estremo Oriente e sul terrorismo e crimine organizzato"] Gli attacchi continui alle nostre truppe in Afghanistan non sono fatalita' ne' incidenti di percorso ma azioni e reazioni di una guerra che dura da otto anni e che ci ha visto sempre distratti e impreparati. Dobbiamo finirla di dar credito a quelli che ce l'hanno presentata come un'operazione di pace facendo assumere ai nostri soldati maggiori rischi, ma dobbiamo anche finirla di dare ascolto ai falchi da salotto che incitano alla violenza. I primi ci hanno esposto ai rischi della finzione della pace e i secondi ci espongono ai rischi della finzione della guerra calandoci in Afghanistan come nei fumetti, con i buoni da un lato e i cattivi dall'altro, con i boom, bang, smash. Dobbiamo anche smetterla di far credere che la responsabilita' degli attacchi sia tutta dei presunti Taliban che nelle nostre province al confine con l'Iran non ci vivono e non ci vanno volentieri. Dobbiamo smettere di crederci legittimati perche' siamo dalla parte del governo. Dobbiamo finirla di credere che il modo giusto di combattere sia solo quello dei piu' forti. La guerra in Afghanistan, quella vera, e' un misto d'insurrezione, guerra civile, criminalita', terrorismo e disperazione. L'approccio dei nostri alleati e' stato quello della repressione in un territorio occupato e ostile. La nostra preparazione si e' basata sul peacekeeping e sui conflitti a bassa intensita'. In realta' sia noi che gli alleati abbiamo dimenticato gli afgani e siamo stati sul territorio, con i mitra o la cazzuola, ammazzando o sfornando pizze dalle otto alle cinque. Gli americani si sono accorti che la loro guerra non funziona. La nuova strategia militare americana vuole la penetrazione tra la gente, il consenso e la cooperazione. Non vuole affatto che ogni azione inneschi una vendetta e che ogni vittima ingiustificata crei decine di nuovi oppositori e rivoltosi. Il comandate americano e Nato in Afghanistan e' stato mandato a casa perche' la nuova strategia presidenziale ha bisogno di un nuovo comandante. Il suo successore e' un esperto di forze speciali, infiltrazioni, intelligence, guerra psicologica, consiglieri militari. Da noi i soliti falchi lo ritengono l'uomo dal pugno di ferro e sperano in nuove mattanze. Sara' difficile, a meno che non voglia farsi buttar fuori. Ai nostri soldati dobbiamo finalmente dire la verita' e indicare un modello operativo coerente con il tipo di guerra da combattere. A meno che non vogliamo farci massacrare o buttare fuori a pedate. 7. AFGHANISTAN. GIOBBE SANTABARBARA: CONTRO TUTTE LE UCCISIONI La guerra e' sempre assassina. Essa consiste nell'uccisione massiva di esseri umani. E sono quindi assassini gli strumenti della guerra: le armi, gli eserciti. Una e' la scelta da fare: cessare di uccidere. Ed abolire quindi le guerre, le armi, gli eserciti. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 8. INIZIATIVE. TIZIANA BARTOLINI: 50 E 50, UN PASSO AVANTI [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "50e50, un passo avanti" e il sommario "Udi. Campagna 50e50: audizione al Senato"] "Non era un atto dovuto, e quindi abbiamo apprezzato che la Commissione Affari Costituzionali del Senato ci abbia convocato come proponenti di legge di iniziativa popolare e noi, nel pieno rispetto delle istituzioni, abbiamo impostato la presentazione della nostra iniziativa sottolineandone la validita' sul piano normativo". E' grande la soddisfazione che ha espresso l a delegazione dell'Unione donne in Italia (Udi) - Milena Carone, Maria Cristina Rizzo e Claudia Mattia, cioe' tre delle firmatarie e depositarie della proposta di legge di iniziativa popolare dell'Udi che e' andata sotto il nome della campagna 50e50 - subito dopo l'incontro in Senato che si e' tenuto mercoledi' 10 giugno. Sotto un cocente sole romano con le spalle alla magnifica Piazza Navona un presidio dell'Udi ha atteso il termine dell'incontro con bandiere e striscioni. "Dobbiamo riconoscere al senatore Enzo Bianco di aver voluto dare seguito all'impegno preso quando era presidente della Commissione nella precedente legislatura: tenere vivo un rapporto con i cittadini e le associazioni attraverso le audizioni nella fase di esame delle nuove normative". Milena Carone ha sintetizzato cosi' il suo intervento: "Mantenendoci su un profilo istituzionale e giuridico, abbiamo chiesto conto al Parlamento della logica che ha consentito nel 2003 di approvare una modifica della Costituzione introducendo le quote, scelta che tra l'altro noi non condividevamo, e nel 2005 sconfessare quella scelta rigettando una piccola modifica normativa. Forti anche della storia dell'Udi, abbiamo rintuzzato le obiezioni di rigidita' informando la Commissione che e' di questi mesi una petizione della lobby europea delle donne basata sul concetto del 50 e 50 e la cui prima firmataria e' la vicepresidente della Commissione europea Margot Wallstroem. Questo a riprova che la scelta dell'Udi e' piu' che sostenibile. Il punto forte del nostro ragionamento e' stata la richiesta di presenza paritaria e non di rappresentanza che si richiede non per aiutare le donne, ma per aiutare la democrazia". L'attenzione per gli argomenti portati dall'Udi e' stata notevole anche da parte degli altri senatori e senatrici presenti che si sono presi l'impegno di comunicarci quando iniziera' la discussione in aula. 9. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 10. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "IL DOLORE DELL'INDETERMINATO" DI AXEL HONNETH [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Axel Honneth, Il dolore dell'indeterminato. Una attualizzazione della filosofia politica di Hegel, Manifestolibri, Roma 2003 (ed. originale: Leiden an Unbestimmtheit. Eine Reaktualisierung der Hegelschen Rechtsphilosophie, Philipp Reclam, Stuttgart 2001)] Indice del volume Introduzione. Intersoggettivita' e conflitti: il modello comunicativo tra crisi e progresso, di Antonio Carnevale; I. La Filosofia del diritto come teoria della giustizia. 1. L'idea della liberta' individuale: condizioni intersoggettive di autonomia; 2. Il "diritto" nella Filosofia del diritto: sfere necessarie dell'autorealizzazione; II. La relazione tra teoria della giustizia e diagnosi dell'epoca. 3. Soffrire di indeterminatezza: le patologie della liberta' individuale; 4. La "liberazione" dal dolore: il significato terapeutico dell'eticita'; III. La dottrina dell'eticita' come teoria normativa del moderno. 5. Autorealizzazione e riconoscimento: le condizioni per l'eticita'; 6. La sovraistituzionalizzazione dell'eticita': problemi dell'impostazione hegeliana; Note. * Da pagina 37 La Filosofia del diritto come teoria della giustizia Sebbene si stia manifestando nella situazione filosofica attuale una sorprendente rinascita del pensiero di Hegel, rinascita che sembra addirittura preparare il cammino per un superamento dell'abisso che separa la tradizione analitica da quella continentale, la sua Filosofia del diritto e' finora rimasta senza alcun influsso sui dibattiti contemporanei di filosofia politica. In quest'ambito, dopo che si era repentinamente demolita la fase del disincanto marxistico circa il diritto moderno come mera sovrastruttura, negli ultimi anni ha avuto luogo, piuttosto, un ritorno su un ampio fronte al paradigma razionale di tradizione kantiana, il quale domina sostanzialmente la discussione da Rawls a Habermas; e proprio mentre questi due autori tanto si sforzano per dare una collocazione reale, appartenente alla scienza sociale, alle loro concezioni di giustizia kantiana, tanto poco nello stesso tempo il modello teorico della filosofia hegeliana del diritto gioca un qualunque ruolo determinante. In riferimento alla situazione qui accennata, anche quel contromovimento politico-filosofico che, mettendo insieme un po' artificialmente teorici cosi' differenti come Charles Taylor, Michael Walzer o Alasdair MacIntyre, viene indicato sotto il titolo di "comunitarismo", non ha potuto cambiare di molto le cose. In queste ultime impostazioni, infatti, e' stata tanto forte la tendenza ad un privilegiamento dell'etica a discapito di un principio formalistico della morale, del valore della relazione comunitaria contro la liberta' dell'arbitrio individuale, che non e' mai stato veramente intrapreso un tentativo per rendere la Filosofia del diritto di Hegel ancora una volta feconda per il discorso della filosofia politica; e a questo proposito e' addirittura di sintomatico significato che autori come Michael Walzer, Alasdair MacIntyre o Joseph Raz, oggi, cerchino di mantenere rispetto alla filosofia politica di Hegel la maggior distanza possibile. Quello che rende questo generale isolamento della filosofia del diritto hegeliana, ad un primo sguardo, cosi' difficile da capire, e' il fatto che il suo testo possiede una serie di caratteristiche teoretiche che possono farlo apparire invece quanto mai appropriato per lo stadio attuale della nostra discussione. Partendo dal fatto che oggi e' assai diffusa la consapevolezza della necessita' di una contestualizzazione sociale dei principi della giustizia ricavati in maniera formale, il tentativo hegeliano dovrebbe, in realta', risultare attraente per dare una cornice istituzionale ai principi astratti del diritto moderno e della morale. Inoltre, data la crescente incertezza su quale luogo il diritto formale debba avere nella nostra prassi morale quotidiana, lo sforzo hegeliano di sviluppare un tipo di metateoria etica del diritto dovrebbe apparire estremamente allettante; e infine potrebbe anche essere non privo di stimoli per la problematica attuale della filosofia politica che Hegel sviluppi i principi della sua teoria del diritto in un'intima connessione con una diagnosi epocale, al cui centro si pone l'affermarsi di una minacciosa individualizzazione. Ma tutti questi evidenti pregi sembra non abbiano avuto finora la capacita' di far riconquistare alla Filosofia del diritto di Hegel un posto legittimo nella filosofia politica contemporanea; anzi anche la' dove, nella discussione con Rawls o Habermas, il ricorso alla sua opera s'imporrebbe, ogni tentativo di una riattualizzazione sistematica e' stato, com'Ë ben noto, evitato. * Da pagina 67 La relazione tra teoria della giustizia e diagnosi dell'epoca Prima che io prosegua in questo mio tentativo di riattualizzazione indiretta della Filosofia del diritto, puo' essere utile riassumere cio' che abbiamo fin qui compreso a proposito dell'intenzione e della suddivisione del testo. Se si parte dalle intenzioni tramite le quali Hegel, nei suoi sforzi, si e' lasciato guidare, il tutto potrebbe essere riassunto cosi': in accordo con Kant e Fichte, anche l'autore della Filosofia del diritto pensa che ogni teoria normativa della giustizia nelle societa' moderne debba essere ancorata al principio della liberta' individuale di tutti i soggetti; ma a differenza di entrambi i suoi predecessori, e in cio' vengono ripresi i motivi dei suoi primi scritti, egli crede che un simile concetto di autonomia individuale o di liberta' debba essere reso piu' complesso, in modo che anche la materia delle autodeterminazioni riflessive, cioe' i nostri first-order volitions, possano essere concettualizzati come un elemento di liberta' o, forse meglio, come medium dell'espressione del nostro Se'. Cosa questo possa significare, Hegel lo spiega paradigmaticamente con il caso dell'amicizia, dove noi ci limitiamo volontariamente alla preferenza per una determinata inclinazione, ma contemporaneamente, con la pratica dell'amicizia, facciamo una esperienza di autorealizzazione illimitata e libera. Percio' un concetto sufficientemente complesso della liberta' individuale dev'essere concepito in modo tale da generalizzare il caso dell'amicizia per dar luogo alla struttura comunicativa dell'esser presso di se' nell'altro: gli individui sono veramente liberi solo la' dove sono in grado di modellare le proprie inclinazioni e i propri bisogni in conformita' con l'universalita' delle interazioni sociali, la pratica delle quali puo' essere contemporaneamente esperita come espressione di una soggettivita' illimitata. Facendo riferimento alla tarda produzione di Harry Frankfurt, si potrebbe forse anche dire che l'autentica liberta' consiste in una autolimitazione a favore di altri che puo' essere compresa d'altra parte come l'espressione piu' intensa di una soggettivita' senza costrizioni, come un essere presso di se'. Muovendo da questa conclusione, Hegel arriva ad una prima anticipazione della sua teoria generale della giustizia moderna, condividendo con Kant e Fichte la convinzione che una tale concezione deve poter determinare in maniera essenziale le condizioni della realizzazione dell'autonomia o del libero volere: se la liberta' individuale si contraddistingue in primo luogo come l'essere presso di se' nell'altro, allora la giustizia nelle societa' moderne si commisura sulla capacita' di queste di garantire le condizioni di una tale esperienza comunicativa e quindi di consentire a ogni singolo la partecipazione a nessi di interazione non deformata. Accentuando questo punto si puo' affermare che Hegel, in nome della liberta' individuale, caratterizza le relazioni comunicative come il bene fondamentale, del quale dispongono le societa' moderne dal punto di vista della giustizia. Naturalmente qui, come gia' menzionato, l'uso di espressioni economiche, quale quella di bene, non deve indurre al pensiero che Hegel, nella sua determinazione della giustizia, sia approdato a regole della distribuzione in senso rawlsiano; piuttosto egli sembra partire dall'ipotesi che le relazioni comunicative appartengono alla classe di quei beni che possono essere generati e conservati solo attraverso pratiche comuni cosicche' si puo' parlare al massimo di una generale predisposizione delle condizioni che consentono tali pratiche. Del resto sono convinto che, approfondendo l'elaborazione di questa differenza tra Hegel e Rawls, si puo' arrivare a riconoscere i contorni della concezione della giustizia della Filosofia del diritto. 11. LIBRI. MASSIMO L. SALVADORI: LA CRISI STRUTTURALE DELLA DEMOCRAZIA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 giugno 2009 col titolo "La deriva autoritaria delle democrazie", il sommario "Esce il nuovo saggio di Massimo L. Salvadori. Bisogna porre sotto controllo le oligarchie economiche, garantire la liberta' dell'informazione e la voce delle minoranze, tutelare i diritti sociali dei piu' deboli" e la nota redazionale "Esce in questi giorni Democrazie senza democrazia di Massimo L. Salvadori (Laterza, pp. 96, euro 14). Qui anticipiamo alcune pagine dell'Introduzione"] Quando oggi parliamo di democrazia, usiamo un termine che e' sinonimo di liberaldemocrazia o democrazia liberale. Infatti la democrazia diretta dell'Atene del V secolo a. C. e quella a cui in tempi moderni si e' tentato di dar vita prima nell'effimera Comune di Parigi del 1871 e poi nella Russia bolscevica tra il 1918 e l'inizio degli anni '20 non sono modelli ed esperienze attivi nella nostra societa': l'una perche' espressione di una realta' troppo arcaica, l'altra non foss'altro perche' soffocata dalle sue contraddizioni interne e da quelle stesse forze che, dopo averla proposta e agitata come modello universale, hanno rapidamente costruito una dittatura di partito sfociata nel totalitarismo. La democrazia di cui parliamo e a cui facciamo riferimento e' dunque il sistema politico e istituzionale che si e' formato dal connubio con il liberalismo: un connubio non facile e segnato da molte tensioni, su cui mi sono soffermato analizzando tre tipi di regimi. Il primo e' il sistema liberale a suffragio ristretto e basato sui partiti, sui parlamenti e sul governo dei notabili di matrice aristocratica e borghese. Il secondo - il primo regime liberaldemocratico - e' caratterizzato dal suffragio allargato o universale, dall'avvento sulla scena pubblica dei partiti organizzati di massa, dal dispiegarsi di acuti conflitti sociali e ideologici tra le classi e le loro rappresentanze politiche e parlamentari. Il terzo - il secondo regime liberaldemocratico - e' segnato, nel quadro dell'indebolimento e per aspetti importanti dalla scomparsa della sovranita' degli Stati, dallo strapotere di oligarchie dominanti della finanza e dell'industria a livello internazionale, dal venir meno delle precedenti antitesi di classe e ideologiche, dalla trasformazione dei grandi partiti di massa organizzati sul territorio in "partiti leggeri" che si mobilitano essenzialmente in vista delle tornate elettorali e non poggiano piu' su quadri intermedi e gruppi di militanti sempre attivi e distribuiti capillarmente nel territorio, dalla formazione di una opinione pubblica inerte, forgiata prioritariamente dai mezzi di informazione di massa. Si tratta non gia' di un sistema in cui i cittadini costituiscono le primarie cellule viventi di regimi dotati di una sostanziale natura democratica, bensi' di un sistema in cui i governi ricevono una sorta di passiva incoronazione dal basso, sono "governi a legittimazione popolare passiva". Constatata la crisi strutturale della democrazia, chi scrive si e' posto in conclusione l'interrogativo se sia dato o meno credere nella possibilita' di un suo rilancio, diciamo pure di una sua rinascita all'altezza dei problemi di un mondo in continua trasformazione con ritmi che non hanno precedenti nella storia. Lo spero ma non m'azzardo a dare una risposta. Occorre nondimeno cercare di stabilire qualche punto fermo, qualche parametro. Tre paiono i presupposti principali di questa rinascita: 1) la capacita' delle autorita' politiche dei singoli Stati e degli organismi internazionali di porre sotto controllo le oligarchie economiche, in modo da togliere loro il potere di agire pressoche' indisturbate nel perseguire i propri interessi particolari e da impedire il ripetersi di crisi catastrofiche come quella scoppiata nell'autunno del 2008; 2) la sottrazione ai potentati della finanza e dell'industria di un dominio sui mass-media che vanifica la possibilita' stessa di una opinione pubblica informata in maniera veritiera e realmente pluralistica, e il conferimento del dovuto spazio anzitutto alle minoranze quotidianamente minacciate di essere ridotte al silenzio o all'irrilevanza; 3) un'energica azione volta a combattere l'eccesso di disuguaglianze economiche che rendono una parola vuota la solidarieta', minano la coesione sociale e pongono i non tutelati, i poveri, gli emarginati in una posizione che non e' di cittadini ma, agli estremi, di veri e propri paria di nuova generazione. Il che vuol dire il ritorno alle politiche di protezione e potenziamento dei "diritti sociali" e delle istituzioni del welfare che nell'ultimo trentennio il neoconservatorismo liberistico ha frontalmente combattuto e il cui ambito e la cui incidenza sono stati fortemente ridotti. Insomma, una robusta combinazione di elementi tale da dare alla democrazia un volto insieme liberale e sociale. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 853 del 16 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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