Minime. 853



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 853 del 16 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La guerra
2. Il razzismo e lo squadrismo
3. Il referendum
4. I ballottaggi
5. Floriana Lipparini: La strada
6. Fabio Mini: La guerra vera
7. Giobbe Santabarbara: Contro tutte le uccisioni
8. Tiziana Bartolini: 50 e 50, un passo avanti
9. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
10. Alcuni estratti da "Il dolore dell'indeterminato" di Axel Honneth
11. Massimo L. Salvadori: La crisi strutturale della democrazia
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA GUERRA

La guerra e' nemica dell'umanita'.
L'Italia ripudia la guerra: cosi' e' scritto nella legge fondamentale del
nostro paese.
Cessi immediatamente l'illegale, criminale partecipazione italiana alla
guerra afgana.
La guerra e' nemica dell'umanita'.

2. EDITORIALE. IL RAZZISMO E LO SQUADRISMO

Il ritorno delle camicie nere. Il ritorno delle leggi razziali. Il ritorno
delle deportazioni. Il ritorno dei campi di concentramento.
O si difendono i diritti umani di tutti gli esseri umani, o non vi sara'
sicurezza per nessuno; oggi gli schiavisti e i totalitari perseguitano i
migranti, domani perseguiteranno tutti.
Vi e' una sola umanita'.

3. LE ULTIME COSE. IL REFERENDUM

Diciamolo senza tanti giri di parole: questo referendum ha come effetto
reale di rafforzare la deriva plebiscitaria e totalitaria nel nostro paese:
se vincono i si' un solo partito prendera' tutto il potere politico -
monopolizzando esecutivo e legislativo in un colpo -; se vincono i no, si
conferma la legge elettorale vigente, che e' gia' l'orgia
dell'antidemocrazia. Non resta che rifiutarsi di votare, negare la propria
complicita' all'eversione dall'alto.
Rifiutando le tre schede referendarie, se ci si presenta alle urne per i
ballottaggi; non andando affatto a votare, in tutti gli altri luoghi.
Lo diciamo con amarezza: anche l'astensione dal voto e' per noi una ferita,
e sappiamo che verra' presentata dai mass-media compiacenti con la deriva
antidemocratica come disaffezione alla partecipazione, come diserzione,
rinuncia, delega in bianco ad altri. Ma in questo caso non e' cosi'. A
fronte di un voto che e' comunque in entrambi i suoi possibili poli (il si'
e il no ai quesiti) un avallo del golpe antidemocratico in corso, ebbene,
l'unica posizione corretta, l'unica scelta giusta, e' non partecipare,
negando il consenso alla trappola, esercitando il diritto e il dovere del
rifiuto.

4. LE ULTIME COSE. I BALLOTTAGGI

Ovunque sia possibile, nei ballottaggi per le elezioni amministrative si
voti per i candidati e le coalizioni antiberlusconiane, antieversive,
antirazziste; si voti per la legalita' e per i diritti umani di tutti gli
esseri umani.
Il golpe berlusconiano, razzista ed anomico, puo' essere contrastato: ma e'
essenziale che nelle istituzioni locali vi sia un contrappeso - e un
baluardo - rispetto al governo centrale dell'eversione dall'alto e al
parlamento asservito dei clientes della coalizione piduista; un contrappeso,
e un baluardo, che difenda la legalita' e la democrazia, che favorisca
l'interazione tra cittadini e istituzioni, che sia fedele alla civilta'
giuridica, all'ordinamento istituzionale dello stato di diritto, ai diritti
umani di tutti gli esseri umani ed alla civilta' tout court.

5. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: LA STRADA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) riprendiamo il
seguente intervento col titolo "Dove passa la strada del cambiamento?" e il
sommario "Tutto sembra confermare che la strada per le donne non puo'
passare dalla vecchia pratica partitica"]

Dopo le veline ecco le "amazzoni". Non si sa perche' vengano cosi' definite,
se non per ignoranza: le amazzoni leggendarie non stavano certo al servizio
di un uomo!
Ed ecco un migliaio di donne che accettano tutte felici di farsi "convocare"
in massa dal sultano straniero, ignorando bellamente le gravi accuse che
altre donne gli hanno indirizzato per gli orrori che avvengono in Libia nei
centri di raccolta.
Donne, immagini di donne, corpi di donne, tragedie di donne come quella di
Vira Orlova, la badante ucraina morta per dissanguamento dopo un aborto
spontaneo. Non ha cercato aiuto perche' era "clandestina" e temeva di essere
espulsa. Ecco cosa significa in Italia stare "come una donna sulla terra".
E corpi di donne usati a fini politici prima, durante e dopo le elezioni.
Non i corpi reali al centro della vita pubblico/privata, come vorremmo che
fosse, ma corpi-immagine, corpi-merce utili per ricatti incrociati fra
protagonisti maschi.
Proprio come accadeva in epoche primordiali, quando i corpi delle figlie
date in matrimonio sigillavano patti di alleanza fra capi tribali. O come
accade nelle guerre, quando si stuprano le donne del nemico per umiliarne
l'orgoglio.
Corpi di donne come medium di relazioni puramente maschili.
Queste elezioni hanno detto la solita, eterna cosa: come soggetti a pieno
titolo le donne non esistono.
Singole (per quanto rare) candidature femminili sono state in realta' molto
votate (non solo il "fenomeno" Serracchiani), e puo' far piacere che alcune
donne si dimostrino piu' credibili, piu' brave, piu' serie, siamo d'accordo:
ma in cosa si discostano dal neutro dei loro partiti?
Cosa ne e' della domanda di cambiamento radicale nel rapporto fra i sessi?
Questa amara assenza va di pari passo con il trionfo europeo e locale di una
destra razzista e xenofoba, cioe' becera e maschilista al massimo grado, per
propria intima essenza, e con la debole presenza di una "sinistra"
narcisista, autoreferente, ma soprattutto neutra, non interessata a una
concezione sessuata della politica. Per non parlare del fatto che gli unici
due partiti vincenti - Lega e Idv - sono proprio quelli piu' machisti.
Tutto sembra confermare che la strada per le donne non puo' passare dalla
vecchia pratica partitica, li' c'e' uno sbarramento insuperabile perche' la
concezione stessa di tale struttura - puramente elettoralistica, numerica,
formale e gerarchica - e' incompatibile con le modalita' differenti della
politica e della pratica delle donne, o almeno con quelle che in teoria
dovrebbero essere le nostre modalita' differenti.
Ora poi che la sinistra e' in una drammatica crisi, e' facile il ripetersi
di un fenomeno gia' visto in occasioni storiche: possiamo noi donne parlare
di femminismo quando "sta per scoppiare la guerra"?
Possiamo noi donne parlare di femminismo quando "bisogna difendersi dal
fascismo"?
Possiamo noi donne parlare di femminismo quando c'e' "la crisi economica"?
Un indebito senso di colpa induce le donne a desistere, a mettere in secondo
piano le proprie rivendicazioni, quando invece e' proprio l'esclusione delle
donne dalla costruzione sociale il peccato originale che ha prodotto questo
tipo di civilta' violenta, ingiusta e distorta, e soltanto la ricomposizione
equilibrata dei ruoli fra i generi potra' dar vita a un nuovo disegno.
Dovremmo chiederci se di questo passo il percorso del femminismo non
restera' chiuso in un limbo da cui non si riesce a uscire. E dovremmo
chiederci perche' sia cosi' difficile trovare il coraggio di scegliere
nettamente una politica di movimento che porti al centro della scena il
conflitto non soltanto con il capitalismo, il liberismo e la
globalizzazione, ma soprattutto con l'impianto patriarcale di ogni
costruzione, inclusi quei partiti, o meglio quella "parte" che per tanto
tempo, ignorandone aspetti contraddittori e anzi inaccettabili (sulla
violenza, sulle guerre, sulla liberta', sul sessismo...), ha rappresentato
anche agli occhi di molte donne un baluardo contro le ingiustizie sociali di
questo modello di mondo.
A questo punto dovrebbe essere chiaro che l'attardarsi nelle illusioni e
nelle fedelta' partitiche non paga e anzi ci ricaccia continuamente
indietro.
Forse l'unico segnale interessante, un piccolo spiraglio di ottimismo, e' il
crescere in Europa dei verdi.
La critica al modello di sviluppo economicista e industrialista implica la
proposta di un modello di societa' non soltanto sostenibile,
antimilitarista, non eurocentrico, nonviolento, ma anche fortemente
permeabile alla visione "altra" del femminile. Non e' un caso che il
pensiero delle ecofemministe vi abbia contribuito alle origini, quando i
verdi erano piu' movimento che partito.
L'ecologismo guarda il mondo in modo nuovo e diverso, rovesciando molti
punti di vista e proponendo visioni alternative.
In quest'area, una presenza femminile piu' forte e consapevole potrebbe fare
la differenza e segnare la strada del cambiamento.
Forse.

6. AFGHANISTAN. FABIO MINI: LA GUERRA VERA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 giugno 2009 col titolo "La guerra
vera".
Fabio Mini, come e' noto, e' un generale dell'esercito italiano dotato di
vastissima esperienza internazionale, di acuto giudizio e nitida scrittura.
Come abbiamo piu volte avuto occasione di dire e' una persona, e un autore,
da cui gli amici della nonviolenza hanno molto da imparare. Tra le opere di
Fabio Mini: Comandare e comunicare, Alinari, Firenze 1989, L'altra
strategia, Franco Angeli, Milano 1998; La guerra dopo la guerra, Einaudi,
Torino 2003; Soldati, Einaudi, Torino 2008. Riportiamo anche la seguente
scheda biobibliografica tratta da "Analisi Difesa" di qualche anno fa (in
cui pertanto non sono citati gli ultimi libri di Mini): "Fabio Mini e'
Tenente Generale dell'Esercito Italiano. Le sue specializzazioni militari
includono quelle in missili anticarro e difesa Nbc, ufficiale addetto alla
Pubblica Informazione della Nato, Ispettore Cbm per gli Accordi di Stoccolma
ed in Operazioni Psicologiche. Ha comandato tutti i livelli di unita'
meccanizzate, dal plotone alla brigata. Il suo ultimo incarico operativo e'
stato quello di comandante della Brigata "Legnano" durante l'operazione
"Vespri siciliani" contro il crimine organizzato in Sicilia. E' stato in
seguito responsabile della preparazione, addestramento e primo schieramento
della Brigata in Somalia. I suoi incarichi di Stato Maggiore comprendono
quelli di Ufficiale alle Operazioni e Difesa Nbc presso il IV Reggimento
Corazzato, e di Capo Sezione di Stato Maggiore presso la Brigata
meccanizzata "Granatieri di Sardegna". Dal 1979 al 1981 e' stato assegnato
negli Stati Uniti presso la IV Divisione di Fanteria a Fort Carson, nel
Colorado, dove ha svolto gli incarichi di Ufficiale addetto ai Piani ed
Operazioni, Secondo in Comando della Divisione Esercitazioni e Valutazioni
(EED) e Capo della Divisione Esercitazioni e Valutazioni/Centro Simulazione
Combattimento. Al suo ritorno in Italia ha prestato servizio quale Ufficiale
addetto al Reparto Impiego del Personale dello Stato Maggiore dell'Esercito,
Capo dell'Ufficio Studi e Coordinamento dello Stato Maggiore dell'Esercito,
Capo dell'Ufficio Pubblica Informazione e Portavoce del Capo di Stato
Maggiore dell'Esercito. Dal 1993 al 1996 ha svolto l'incarico di Addetto
militare a Pechino, Repubblica Popolare Cinese. Con il grado di Generale di
Divisione, ha diretto l'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze
(Issmi). Nel 1999 ha svolto due incarichi concomitanti presso lo Stato
Maggiore della Difesa quali Capo dell'Ufficio Generale per le Comunicazioni
e la Pubblica Informazione e Capo dell'Ufficio Generale di "Euroformazione".
A partire dal gennaio 2001 ha assunto la funzione di Comando Interforze
delle Operazioni nei Balcani. Nel 2002 il generale Mini ha assunto il
comando delle operazioni di pace in Kosovo a guida Nato (Kfor). Le sue
decorazioni comprendono l'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Omri),
la Medaglia al Merito Mauriziana, la Medaglia di Lungo Comando, la "U.S.
Army Commendation Medal" e la Medaglia "Ba Yi" della Repubblica Popolare
Cinese. Ha scritto molto su questioni militari, strategiche e geopolitiche.
Tra i suoi lavori i libri: Comandare e comunicare (Alinari, Firenze 1989), e
L'altra strategia (Franco Angeli, Milano 1998). E' autore di oltre venti
saggi e di molti articoli pubblicati su riviste militari e civili come "La
Rivista Militare", "Limes" e "Heartland". Nel 2001 ha curato la versione
italiana del libro Guerra senza limiti, i cui autori sono i colonnelli della
Repubblica Popolare Cinese Qiao Liang e Wang Xiaosui. Ha fondato e continua
a dirigere "Newstrategy", un istituto di ricerca e studio non a scopo di
lucro. E' membro delle Conferenze Mondiali Pugwash e del Comitato
scientifico di "Limes". Svolge regolarmente seminari informativi presso le
scuole ed i centri di addestramento nazionali dei Servizi di intelligence su
questioni strategiche dell'Asia, dell'Estremo Oriente e sul terrorismo e
crimine organizzato"]

Gli attacchi continui alle nostre truppe in Afghanistan non sono fatalita'
ne' incidenti di percorso ma azioni e reazioni di una guerra che dura da
otto anni e che ci ha visto sempre distratti e impreparati. Dobbiamo finirla
di dar credito a quelli che ce l'hanno presentata come un'operazione di pace
facendo assumere ai nostri soldati maggiori rischi, ma dobbiamo anche
finirla di dare ascolto ai falchi da salotto che incitano alla violenza. I
primi ci hanno esposto ai rischi della finzione della pace e i secondi ci
espongono ai rischi della finzione della guerra calandoci in Afghanistan
come nei fumetti, con i buoni da un lato e i cattivi dall'altro, con i boom,
bang, smash. Dobbiamo anche smetterla di far credere che la responsabilita'
degli attacchi sia tutta dei presunti Taliban che nelle nostre province al
confine con l'Iran non ci vivono e non ci vanno volentieri. Dobbiamo
smettere di crederci legittimati perche' siamo dalla parte del governo.
Dobbiamo finirla di credere che il modo giusto di combattere sia solo quello
dei piu' forti.
La guerra in Afghanistan, quella vera, e' un misto d'insurrezione, guerra
civile, criminalita', terrorismo e disperazione. L'approccio dei nostri
alleati e' stato quello della repressione in un territorio occupato e
ostile. La nostra preparazione si e' basata sul peacekeeping e sui conflitti
a bassa intensita'. In realta' sia noi che gli alleati abbiamo dimenticato
gli afgani e siamo stati sul territorio, con i mitra o la cazzuola,
ammazzando o sfornando pizze dalle otto alle cinque. Gli americani si sono
accorti che la loro guerra non funziona. La nuova strategia militare
americana vuole la penetrazione tra la gente, il consenso e la cooperazione.
Non vuole affatto che ogni azione inneschi una vendetta e che ogni vittima
ingiustificata crei decine di nuovi oppositori e rivoltosi. Il comandate
americano e Nato in Afghanistan e' stato mandato a casa perche' la nuova
strategia presidenziale ha bisogno di un nuovo comandante. Il suo successore
e' un esperto di forze speciali, infiltrazioni, intelligence, guerra
psicologica, consiglieri militari. Da noi i soliti falchi lo ritengono
l'uomo dal pugno di ferro e sperano in nuove mattanze. Sara' difficile, a
meno che non voglia farsi buttar fuori. Ai nostri soldati dobbiamo
finalmente dire la verita' e indicare un modello operativo coerente con il
tipo di guerra da combattere. A meno che non vogliamo farci massacrare o
buttare fuori a pedate.

7. AFGHANISTAN. GIOBBE SANTABARBARA: CONTRO TUTTE LE UCCISIONI

La guerra e' sempre assassina.
Essa consiste nell'uccisione massiva di esseri umani.
E sono quindi assassini gli strumenti della guerra: le armi, gli eserciti.
Una e' la scelta da fare: cessare di uccidere.
Ed abolire quindi le guerre, le armi, gli eserciti.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

8. INIZIATIVE. TIZIANA BARTOLINI: 50 E 50, UN PASSO AVANTI
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "50e50, un passo
avanti" e il sommario "Udi. Campagna 50e50: audizione al Senato"]

"Non era un atto dovuto, e quindi abbiamo apprezzato che la Commissione
Affari Costituzionali del Senato ci abbia convocato come proponenti di legge
di iniziativa popolare e noi, nel pieno rispetto delle istituzioni, abbiamo
impostato la presentazione della nostra iniziativa sottolineandone la
validita' sul piano normativo". E' grande la soddisfazione che ha espresso l
a delegazione dell'Unione donne in Italia (Udi) - Milena Carone, Maria
Cristina Rizzo e Claudia Mattia, cioe' tre delle firmatarie e depositarie
della proposta di legge di iniziativa popolare dell'Udi che e' andata sotto
il nome della campagna 50e50 - subito dopo l'incontro in Senato che si e'
tenuto mercoledi' 10 giugno.
Sotto un cocente sole romano con le spalle alla magnifica Piazza Navona un
presidio dell'Udi ha atteso il termine dell'incontro con bandiere e
striscioni. "Dobbiamo riconoscere al senatore Enzo Bianco di aver voluto
dare seguito all'impegno preso quando era presidente della Commissione nella
precedente legislatura: tenere vivo un rapporto con i cittadini e le
associazioni attraverso le audizioni nella fase di esame delle nuove
normative".
Milena Carone ha sintetizzato cosi' il suo intervento: "Mantenendoci su un
profilo istituzionale e giuridico, abbiamo chiesto conto al Parlamento della
logica che ha consentito nel 2003 di approvare una modifica della
Costituzione introducendo le quote, scelta che tra l'altro noi non
condividevamo, e nel 2005 sconfessare quella scelta rigettando una piccola
modifica normativa. Forti anche della storia dell'Udi, abbiamo rintuzzato le
obiezioni di rigidita' informando la Commissione che e' di questi mesi una
petizione della lobby europea delle donne basata sul concetto del 50 e 50 e
la cui prima firmataria e' la vicepresidente della Commissione europea
Margot Wallstroem. Questo a riprova che la scelta dell'Udi e' piu' che
sostenibile. Il punto forte del nostro ragionamento e' stata la richiesta di
presenza paritaria e non di rappresentanza che si richiede non per aiutare
le donne, ma per aiutare la democrazia".
L'attenzione per gli argomenti portati dall'Udi e' stata notevole anche da
parte degli altri senatori e senatrici presenti che si sono presi l'impegno
di comunicarci quando iniziera' la discussione in aula.

9. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

10. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "IL DOLORE DELL'INDETERMINATO" DI AXEL HONNETH
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Axel
Honneth, Il dolore dell'indeterminato. Una attualizzazione della filosofia
politica di Hegel, Manifestolibri, Roma 2003 (ed. originale: Leiden an
Unbestimmtheit. Eine Reaktualisierung der Hegelschen Rechtsphilosophie,
Philipp Reclam, Stuttgart 2001)]

Indice del volume
Introduzione. Intersoggettivita' e conflitti: il modello comunicativo tra
crisi e progresso, di Antonio Carnevale; I. La Filosofia del diritto come
teoria della giustizia. 1. L'idea della liberta' individuale: condizioni
intersoggettive di autonomia; 2. Il "diritto" nella Filosofia del diritto:
sfere necessarie dell'autorealizzazione; II. La relazione tra teoria della
giustizia e diagnosi dell'epoca. 3. Soffrire di indeterminatezza: le
patologie della liberta' individuale; 4. La "liberazione" dal dolore: il
significato terapeutico dell'eticita'; III. La dottrina dell'eticita' come
teoria normativa del moderno. 5. Autorealizzazione e riconoscimento: le
condizioni per l'eticita'; 6. La sovraistituzionalizzazione dell'eticita':
problemi dell'impostazione hegeliana; Note.
*
Da pagina 37
La Filosofia del diritto come teoria della giustizia
Sebbene si stia manifestando nella situazione filosofica attuale una
sorprendente rinascita del pensiero di Hegel, rinascita che sembra
addirittura preparare il cammino per un superamento dell'abisso che separa
la tradizione analitica da quella continentale, la sua Filosofia del diritto
e' finora rimasta senza alcun influsso sui dibattiti contemporanei di
filosofia politica. In quest'ambito, dopo che si era repentinamente demolita
la fase del disincanto marxistico circa il diritto moderno come mera
sovrastruttura, negli ultimi anni ha avuto luogo, piuttosto, un ritorno su
un ampio fronte al paradigma razionale di tradizione kantiana, il quale
domina sostanzialmente la discussione da Rawls a Habermas; e proprio mentre
questi due autori tanto si sforzano per dare una collocazione reale,
appartenente alla scienza sociale, alle loro concezioni di giustizia
kantiana, tanto poco nello stesso tempo il modello teorico della filosofia
hegeliana del diritto gioca un qualunque ruolo determinante. In riferimento
alla situazione qui accennata, anche quel contromovimento
politico-filosofico che, mettendo insieme un po' artificialmente teorici
cosi' differenti come Charles Taylor, Michael Walzer o Alasdair MacIntyre,
viene indicato sotto il titolo di "comunitarismo", non ha potuto cambiare di
molto le cose. In queste ultime impostazioni, infatti, e' stata tanto forte
la tendenza ad un privilegiamento dell'etica a discapito di un principio
formalistico della morale, del valore della relazione comunitaria contro la
liberta' dell'arbitrio individuale, che non e' mai stato veramente
intrapreso un tentativo per rendere la Filosofia del diritto di Hegel ancora
una volta feconda per il discorso della filosofia politica; e a questo
proposito e' addirittura di sintomatico significato che autori come Michael
Walzer, Alasdair MacIntyre o Joseph Raz, oggi, cerchino di mantenere
rispetto alla filosofia politica di Hegel la maggior distanza possibile.
Quello che rende questo generale isolamento della filosofia del diritto
hegeliana, ad un primo sguardo, cosi' difficile da capire, e' il fatto che
il suo testo possiede una serie di caratteristiche teoretiche che possono
farlo apparire invece quanto mai appropriato per lo stadio attuale della
nostra discussione. Partendo dal fatto che oggi e' assai diffusa la
consapevolezza della necessita' di una contestualizzazione sociale dei
principi della giustizia ricavati in maniera formale, il tentativo hegeliano
dovrebbe, in realta', risultare attraente per dare una cornice istituzionale
ai principi astratti del diritto moderno e della morale. Inoltre, data la
crescente incertezza su quale luogo il diritto formale debba avere nella
nostra prassi morale quotidiana, lo sforzo hegeliano di sviluppare un tipo
di metateoria etica del diritto dovrebbe apparire estremamente allettante; e
infine potrebbe anche essere non privo di stimoli per la problematica
attuale della filosofia politica che Hegel sviluppi i principi della sua
teoria del diritto in un'intima connessione con una diagnosi epocale, al cui
centro si pone l'affermarsi di una minacciosa individualizzazione. Ma tutti
questi evidenti pregi sembra non abbiano avuto finora la capacita' di far
riconquistare alla Filosofia del diritto di Hegel un posto legittimo nella
filosofia politica contemporanea; anzi anche la' dove, nella discussione con
Rawls o Habermas, il ricorso alla sua opera s'imporrebbe, ogni tentativo di
una riattualizzazione sistematica e' stato, com'Ë ben noto, evitato.
*
Da pagina 67
La relazione tra teoria della giustizia e diagnosi dell'epoca
Prima che io prosegua in questo mio tentativo di riattualizzazione indiretta
della Filosofia del diritto, puo' essere utile riassumere cio' che abbiamo
fin qui compreso a proposito dell'intenzione e della suddivisione del testo.
Se si parte dalle intenzioni tramite le quali Hegel, nei suoi sforzi, si e'
lasciato guidare, il tutto potrebbe essere riassunto cosi': in accordo con
Kant e Fichte, anche l'autore della Filosofia del diritto pensa che ogni
teoria normativa della giustizia nelle societa' moderne debba essere
ancorata al principio della liberta' individuale di tutti i soggetti; ma a
differenza di entrambi i suoi predecessori, e in cio' vengono ripresi i
motivi dei suoi primi scritti, egli crede che un simile concetto di
autonomia individuale o di liberta' debba essere reso piu' complesso, in
modo che anche la materia delle autodeterminazioni riflessive, cioe' i
nostri first-order volitions, possano essere concettualizzati come un
elemento di liberta' o, forse meglio, come medium dell'espressione del
nostro Se'.
Cosa questo possa significare, Hegel lo spiega paradigmaticamente con il
caso dell'amicizia, dove noi ci limitiamo volontariamente alla preferenza
per una determinata inclinazione, ma contemporaneamente, con la pratica
dell'amicizia, facciamo una esperienza di autorealizzazione illimitata e
libera. Percio' un concetto sufficientemente complesso della liberta'
individuale dev'essere concepito in modo tale da generalizzare il caso
dell'amicizia per dar luogo alla struttura comunicativa dell'esser presso di
se' nell'altro: gli individui sono veramente liberi solo la' dove sono in
grado di modellare le proprie inclinazioni e i propri bisogni in conformita'
con l'universalita' delle interazioni sociali, la pratica delle quali puo'
essere contemporaneamente esperita come espressione di una soggettivita'
illimitata.
Facendo riferimento alla tarda produzione di Harry Frankfurt, si potrebbe
forse anche dire che l'autentica liberta' consiste in una autolimitazione a
favore di altri che puo' essere compresa d'altra parte come l'espressione
piu' intensa di una soggettivita' senza costrizioni, come un essere presso
di se'.
Muovendo da questa conclusione, Hegel arriva ad una prima anticipazione
della sua teoria generale della giustizia moderna, condividendo con Kant e
Fichte la convinzione che una tale concezione deve poter determinare in
maniera essenziale le condizioni della realizzazione dell'autonomia o del
libero volere: se la liberta' individuale si contraddistingue in primo luogo
come l'essere presso di se' nell'altro, allora la giustizia nelle societa'
moderne si commisura sulla capacita' di queste di garantire le condizioni di
una tale esperienza comunicativa e quindi di consentire a ogni singolo la
partecipazione a nessi di interazione non deformata.
Accentuando questo punto si puo' affermare che Hegel, in nome della liberta'
individuale, caratterizza le relazioni comunicative come il bene
fondamentale, del quale dispongono le societa' moderne dal punto di vista
della giustizia. Naturalmente qui, come gia' menzionato, l'uso di
espressioni economiche, quale quella di bene, non deve indurre al pensiero
che Hegel, nella sua determinazione della giustizia, sia approdato a regole
della distribuzione in senso rawlsiano; piuttosto egli sembra partire
dall'ipotesi che le relazioni comunicative appartengono alla classe di quei
beni che possono essere generati e conservati solo attraverso pratiche
comuni cosicche' si puo' parlare al massimo di una generale predisposizione
delle condizioni che consentono tali pratiche. Del resto sono convinto che,
approfondendo l'elaborazione di questa differenza tra Hegel e Rawls, si puo'
arrivare a riconoscere i contorni della concezione della giustizia della
Filosofia del diritto.

11. LIBRI. MASSIMO L. SALVADORI: LA CRISI STRUTTURALE DELLA DEMOCRAZIA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 giugno 2009 col titolo "La deriva
autoritaria delle democrazie", il sommario "Esce il nuovo saggio di Massimo
L. Salvadori. Bisogna porre sotto controllo le oligarchie economiche,
garantire la liberta' dell'informazione e la voce delle minoranze, tutelare
i diritti sociali dei piu' deboli" e la nota redazionale "Esce in questi
giorni Democrazie senza democrazia di Massimo L. Salvadori (Laterza, pp. 96,
euro 14). Qui anticipiamo alcune pagine dell'Introduzione"]

Quando oggi parliamo di democrazia, usiamo un termine che e' sinonimo di
liberaldemocrazia o democrazia liberale. Infatti la democrazia diretta
dell'Atene del V secolo a. C. e quella a cui in tempi moderni si e' tentato
di dar vita prima nell'effimera Comune di Parigi del 1871 e poi nella Russia
bolscevica tra il 1918 e l'inizio degli anni '20 non sono modelli ed
esperienze attivi nella nostra societa': l'una perche' espressione di una
realta' troppo arcaica, l'altra non foss'altro perche' soffocata dalle sue
contraddizioni interne e da quelle stesse forze che, dopo averla proposta e
agitata come modello universale, hanno rapidamente costruito una dittatura
di partito sfociata nel totalitarismo.
La democrazia di cui parliamo e a cui facciamo riferimento e' dunque il
sistema politico e istituzionale che si e' formato dal connubio con il
liberalismo: un connubio non facile e segnato da molte tensioni, su cui mi
sono soffermato analizzando tre tipi di regimi. Il primo e' il sistema
liberale a suffragio ristretto e basato sui partiti, sui parlamenti e sul
governo dei notabili di matrice aristocratica e borghese. Il secondo - il
primo regime liberaldemocratico - e' caratterizzato dal suffragio allargato
o universale, dall'avvento sulla scena pubblica dei partiti organizzati di
massa, dal dispiegarsi di acuti conflitti sociali e ideologici tra le classi
e le loro rappresentanze politiche e parlamentari.
Il terzo - il secondo regime liberaldemocratico - e' segnato, nel quadro
dell'indebolimento e per aspetti importanti dalla scomparsa della sovranita'
degli Stati, dallo strapotere di oligarchie dominanti della finanza e
dell'industria a livello internazionale, dal venir meno delle precedenti
antitesi di classe e ideologiche, dalla trasformazione dei grandi partiti di
massa organizzati sul territorio in "partiti leggeri" che si mobilitano
essenzialmente in vista delle tornate elettorali e non poggiano piu' su
quadri intermedi e gruppi di militanti sempre attivi e distribuiti
capillarmente nel territorio, dalla formazione di una opinione pubblica
inerte, forgiata prioritariamente dai mezzi di informazione di massa. Si
tratta non gia' di un sistema in cui i cittadini costituiscono le primarie
cellule viventi di regimi dotati di una sostanziale natura democratica,
bensi' di un sistema in cui i governi ricevono una sorta di passiva
incoronazione dal basso, sono "governi a legittimazione popolare passiva".
Constatata la crisi strutturale della democrazia, chi scrive si e' posto in
conclusione l'interrogativo se sia dato o meno credere nella possibilita' di
un suo rilancio, diciamo pure di una sua rinascita all'altezza dei problemi
di un mondo in continua trasformazione con ritmi che non hanno precedenti
nella storia. Lo spero ma non m'azzardo a dare una risposta. Occorre
nondimeno cercare di stabilire qualche punto fermo, qualche parametro.
Tre paiono i presupposti principali di questa rinascita: 1) la capacita'
delle autorita' politiche dei singoli Stati e degli organismi internazionali
di porre sotto controllo le oligarchie economiche, in modo da togliere loro
il potere di agire pressoche' indisturbate nel perseguire i propri interessi
particolari e da impedire il ripetersi di crisi catastrofiche come quella
scoppiata nell'autunno del 2008; 2) la sottrazione ai potentati della
finanza e dell'industria di un dominio sui mass-media che vanifica la
possibilita' stessa di una opinione pubblica informata in maniera veritiera
e realmente pluralistica, e il conferimento del dovuto spazio anzitutto alle
minoranze quotidianamente minacciate di essere ridotte al silenzio o
all'irrilevanza; 3) un'energica azione volta a combattere l'eccesso di
disuguaglianze economiche che rendono una parola vuota la solidarieta',
minano la coesione sociale e pongono i non tutelati, i poveri, gli
emarginati in una posizione che non e' di cittadini ma, agli estremi, di
veri e propri paria di nuova generazione. Il che vuol dire il ritorno alle
politiche di protezione e potenziamento dei "diritti sociali" e delle
istituzioni del welfare che nell'ultimo trentennio il neoconservatorismo
liberistico ha frontalmente combattuto e il cui ambito e la cui incidenza
sono stati fortemente ridotti. Insomma, una robusta combinazione di elementi
tale da dare alla democrazia un volto insieme liberale e sociale.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 853 del 16 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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