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Minime. 852
- Subject: Minime. 852
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 15 Jun 2009 01:05:49 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 852 del 15 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Contrastare la guerra e il razzismo 2. Il quesito 3. Stefano Rodota': La luce del sole 4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 5. Annamaria Rivera ricorda Ivan Della Mea 6. Valentino Parlato ricorda Vittorio Nistico' 7. Alcuni estratti da "Diavolo di un Keynes" di Alain Minc (parte seconda e conclusiva) 8. Una presentazione di "Condividere il mondo" di Luce Irigaray 9. Una presentazione di "Ritorno alla terra" di Vandana Shiva 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CONTRASTARE LA GUERRA E IL RAZZISMO Che impegno di pace e', quello che non si oppone alla guerra? Che impegno per i diritti umani e', quello che non si oppone al razzismo? 2. REFERENDUM. IL QUESITO - Preferite il male o il peggio? - Nessuno dei due, grazie. * Noi non partecipiamo al referendum dei golpisti del si' e dei golpisti del no. Noi rifiutiamo di essere complici di una trappola antidemocratica. 3. ITALIA. STEFANO RODOTA': LA LUCE DEL SOLE [Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 giugno 2009 col titolo "Il cittadino mortificato"] Un Parlamento mortificato, ridotto una volta di piu' a luogo di silenziosa ratifica della volonta' del Governo. Una magistratura resa impotente di fronte a fenomeni gravi di illegalita'. Un sistema della comunicazione espropriato della sua funzione di "ombudsman diffuso", della possibilita' di riferire fatti di indubbia rilevanza pubblica. Una societa' civile resa opaca e silenziosa dal divieto di assicurarle informazioni essenziali. Questo e' il cambiamento del sistema istituzionale e sociale che ci consegna la nuova legge sulle intercettazioni telefoniche. Siamo di fronte ad una nuova manifestazione di una linea ben nota, ad una accelerazione della irresistibile volonta' di liberarsi proprio di quei contrappesi, di quegli strumenti di garanzia che, in un sistema democratico, possono impedire la degenerazione del potere, il suo esercizio incontrollato, la creazione di sacche di impunita'. Per realizzare questo risultato si e' insistito molto sulla necessita' di tutelare la privacy delle persone, troppe volte violata. Ma questo argomento, in se' legittimo, e' stato trasformato in pretesto per una disciplina punitiva, che con la tutela della privacy non ha niente a che vedere. Negli anni passati, infatti, proposte di legge presentate dalle piu' diverse parti politiche avevano individuato i soli punti sui quali era necessario intervenire: divieto di pubblicare brani di intercettazioni ancora coperti dal segreto, irrilevanti per le indagini, riferiti a persone diverse dagli indagati. Obiettivi che possono essere raggiunti senza restringere, o addirittura cancellare, le possibilita' investigative da parte della magistratura e senza negare il diritto costituzionale all'informazione che, ricordiamolo, non e' privilegio del giornalista, ma elemento storicamente essenziale per il passaggio da suddito a cittadino. Perche', allora, un mutamento cosi' radicale dei contenuti della legge e la fretta nell'approvarla, ricorrendo al voto di fiducia? Una ragione, la piu' immediata, riguardava il rischio che, pure in una maggioranza che si proclama ad ogni passo compatta, si manifestassero quei dissensi e quelle proposte di emendamento gia' affiorati nelle dichiarazioni di alcuni parlamentari. Il voto di fiducia non solo accorcia i tempi, ma soprattutto obbliga al silenzio. Una finalita' di normalizzazione, dunque, una conferma ulteriore della considerazione del Parlamento come puro intralcio da rimuovere con qualsiasi mezzo, ignorando l'imperativo democratico che, soprattutto per le leggi incidenti su diritti fondamentali delle persone, imporrebbe la discussione piu' libera e aperta. Ma la fretta, questa volta, ha una ragione piu' profonda. Proprio in occasione delle ultime elezioni si e' visto che i mezzi d'informazione possono contribuire a modificare l'agenda politica, che la voce dei cittadini informati puo' sopraffare una comunicazione addomesticata. Una situazione che deve essere apparsa intollerabile, che non deve consolidarsi. Ecco, allora, che si prende al volo l'occasione offerta dalla tutela della privacy per piegare la legge ad un'altra finalita', per interrompere fin dall'origine il circuito informativo. Per questo era necessario ridurre le informazioni che la magistratura puo' raccogliere. Per questo erano necessarie nuove barriere, per impedire che le informazioni potessero poi giungere ai cittadini, se non dopo essere state sterilizzate dal passare del tempo. All'intento originario di punire magistratura e stampa si e' aggiunta questa ulteriore urgenza. Non si puo' tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva. Di questa strategia, tanto rozza quanto efficace, si possono subito misurare le conseguenze. E' stato ricordato che i risultati appena raggiunti dalla Procura di Venezia nella lotta al traffico degli immigrati, proprio un tema sul quale insiste fino a un pericoloso parossismo repressivo l'attuale maggioranza, sono il frutto di intercettazioni durate due anni. Con le nuove norme questo non sarebbe stato possibile. Queste, infatti, prevedono che le intercettazioni possano durare due mesi al massimo, ed e' assai dubbio che nel caso veneziano potessero addirittura cominciare, viste le condizioni restrittive alle quali sono ormai subordinate. Le preoccupazioni espresse da magistrati e poliziotti, dunque, hanno un ben solido fondamento, e la contraddizione tra proclamazioni e strumenti dimostra quale sia il vero intento delle nuove norme. Da molti anni, peraltro, disprezzo per la legalita' e ostilita' per l'informazione vanno di pari passo, e la restrizione delle possibilita' investigative esigeva altrettante limitazioni della liberta' d'informazione. Il punto rivelatore e' rappresentato dal divieto di rendere pubbliche anche le intercettazioni non piu' coperte dal segreto. E il meccanismo delle sanzioni e' particolarmente grave, soprattutto perche', accanto a intimidatorie sanzioni penali per i giornalisti, introduce una "censura economica" piu' pesante di qualsiasi altro meccanismo di controllo. Poiche' si prevede che gli editori possano essere obbligati a pagare forti multe, e' ovvio che pretenderanno di minimizzare questo rischio, interferendo nel libero lavoro d'informazione. Cosi', "Il Padrone in redazione" non sara' piu' solo il titolo di un bel libro di Giorgio Bocca, ma il destino promesso al sistema italiano della comunicazione. Peraltro, proprio perche' non piu' coperte dal segreto, le intercettazioni saranno nelle mani di molti, a cominciare dalle schiere di avvocati e loro collaboratori che accompagnano ogni indagine di qualche peso. Cosi', il divieto di renderle pubbliche creera' un grumo oscuro, disponibile per manovre oblique, manipolazioni, persino ricatti (che cosa sarebbe accaduto con la segretezza coatta delle indagini sui "furbetti del quartierino" e dintorni?). Corretto corso della giustizia e diritti delle persone (privacy inclusa) saranno assai piu' a rischio di oggi, in assenza di quei benefici contrappesi democratici che si chiamano trasparenza e controllo diffuso. Il Presidente del Consiglio si accinge a partire per gli Stati Uniti. Chi sa se qualcuno dei suoi collaboratori, preparando i necessari dossier, pensera' di inserirvi la citazione di quel che scrisse un grande giudice costituzionale americano, Louis Brandeis: "La luce del sole e' il miglior disinfettante". 4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 5. LUTTI. ANNAMARIA RIVERA RICORDA IVAN DELLA MEA [Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per questo ricordo di Ivan Della Mea] Stanotte e' morto Ivan Della Mea, un pezzo importante della nostra storia, uno degli animi piu' miti, sensibili, generosi che abbia mai conosciuto, uno dei miei amici piu' cari. 6. LUTTI. VALENTINO PARLATO RICORDA VITTORIO NISTICO' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2009 col titolo "La scomparsa di Vittorio Nistico', grande animatore dell''Ora' di Palermo"] Vittorio Nistico' ci ha lasciato. Per molti di noi, che - come dice una cara amica - "siamo di leva" richiama un'appassionata storia, pubblica e privata. Vittorio Nistico' era "l'Ora" di Palermo, lo straordinario quotidiano che per alcuni decenni racconto' e infiammo' una Sicilia assai diversa da quella di oggi. E richiama alla mente il gruppo dei giornalisti e collaboratori de "l'Ora": Giuliana Saladino e lo straordinario Marcello Cimino (a me era capitato di conoscere in Libia da ragazzino il padre, l'autorevole colonnello Cimino) e poi ancora Mario Farinelli, Michele Perriera, Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia, Aldo Costa, Etrio Fidora e la fotografa Letizia Battaglia: "l'Ora" pubblicava foto che spesso valevano un editoriale. A Vittorio Nistico' dobbiamo molti insegnamenti, ma soprattutto l'importanza della passione, pur necessaria per fare questo lavoro di giornalisti. Il distacco, che, forse, e' proprio dello storico, non si addice a noi giornalisti. Grazie Vittorio. 7. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "DIAVOLO DI UN KEYNES" DI ALAIN MINC (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Alain Minc, Diavolo di un Keynes. La vita di John Maynard Keynes, Utet Libreria, Torino 2008 (edizione originale: Une sorte de diable. Les vies de John M. Keynes, Grasset & Fasquelle, Paris 2006)] Da pagina 147 Questo periodo di lavoro intenso e' inasprito da un'inattesa e violenta discussione fra Keynes e George Bernard Shaw. Motivo del litigio: Marx. Punto di partenza: il resoconto di Shaw, sul "New Statesman", di una visita a Stalin dalla quale era tornato convinto dei meriti dell'Unione Sovietica. Pretesto: una reazione in cui Keynes marca il proprio disaccordo circa il fatto che "il tempo, le societa' per azioni e la pubblica amministrazione hanno silenziosamente collocato la classe salariata al potere. Non ancora il proletariato, ma i salariati certamente". Meno impressionabile di altri dall'oracolo di Cambridge, Shaw replica che Marx e' un "best seller", e che "la Rivoluzione russa e' stata fatta da uomini ispirati da lui, in modo piu' diretto e piu' esclusivo di quanto non fosse stato per la Riforma in rapporto a Lutero e Calvino e per la Rivoluzione francese in rapporto a Rousseau e Voltaire". Punto sul vivo, Keynes replica: "I miei sentimenti verso il Capitale sono gli stessi che verso il Corano. Riconosco la sua grande importanza storica, e so che tanti, che non possono essere tutti classificati come idioti, lo vedono come una specie di fonte d'ispirazione. Ma quando lo apro non riesco proprio a capire come possa fare questo effetto. Le sue lugubri controversie sono datate, e sembrano straordinariamente inintelligibili per essere adottate come base di discussione. Com'e' possibile che un libro simile abbia potuto mettere a ferro e fuoco meta' del globo?". Shaw non si lascia sopraffare: "Potrei accumulare ogni sorta di fatti che datano dagli anni Ottanta [dell'Ottocento] e che vi proverebbero che sono le vostre idee a essere indietro di quarant'anni... Cambridge ha dimenticato tutto questo, e vi ha lasciato con l'impressione che io sia una specie di parroco scoraggiato dopo avere letto il Villaggio abbandonato di Goldsmith. Che Dio vi aiuti, voi non sapete nulla di tutto questo mentre Cambridge vi ha convinto di sapere tutto, tipico risultato dell'universita'. Vi consiglio di scuotervi di dosso tutto questo o Cambridge vi annientera' completamente, allo stesso modo in cui il Parlamento ha annientato MacDonald... Siete un giovane brillante e promettente, con il tremendo handicap costituito dal processo di nullificazione di Cambridge e qualche scintilla di cultura che vi rende interessante. Proprio per questo ho scritto quello che ho scritto, per salvarvi da una o due gaffe sulle cose che vi hanno preceduto". La radicale messa in causa di una Cambridge che Maynard considera l'unico "sale della terra", il ritorno allo statuto di giovane dotato, il tono paternalistico di Shaw sono, naturalmente, altrettante provocazioni. Che portano Keynes a tagliar corto: "Grazie della vostra lettera. Provero' a prendermi a cuore i vostri consigli... Ma per comprendere il mio stato d'animo dovete sapere che sto scrivendo un libro sulla teoria economica che, mi pare, rivoluzionera' ampiamente - non in un colpo solo, immagino, ma nel corso dei dieci anni a venire - il modo in cui il mondo si avvicina ai problemi economici. Quando la mia nuova teoria sara' stata debitamente assimilata e vi si mescoleranno politica, sentimenti e passioni, non posso prevedere quale ne sara' finalmente l'effetto sugli intrighi e gli affari. Ma ci sara' un grande cambiamento, e in particolare i fondamenti ricardiani del marxismo finiranno in frantumi". Esistono, per Keynes, due diverse filiazioni economiche: una discendente da Ricardo, alla quale appartiene Marx ma la cui validita' attuale e' pari a zero, e una costituita dall'eredita' di Malthus, nella quale si colloca, e che puo' sboccare grazie a lui in una vera e propria rivoluzione intellettuale. Keynes manifesta, una volta di piu', la sua cecita' davanti alla dimensione non strettamente economica del marxismo: ne' le forze sociali, ne' i meccanismi che regolano la societa' trovano spazio nel suo modo di ragionare. Ma la brutalita' della polemica con un George Bernard Shaw, che non puo' fingere, come con tanti altri, che sia una nullita', lo obbliga ad assumere su di se' il peso della propria ambizione. Che e' immensa. Letta nel 1934, una frase simile sembra avere il marchio della hybris, e senza dubbio tale fu la sensazione di Shaw. Ma con il passare dei decenni essa suona incredibilmente premonitrice. E davvero, come scrive Maynard, sara' mescolandosi a "politica, sentimenti e passioni" che il keynesismo diverra' uno dei miti chiave del XX secolo. * Da pagina 150 Nonostante creda di lavorare per salvare il mondo trovandone la chiave economica, Maynard prova sempre il bisogno di condurre piu' vite in una - speculatore, collezionista, fondatore, donatore. E in ogni occasione lo fa con il medesimo insieme di entusiasmo e meticolosita', eccesso e inventiva. Come potrebbe non irritare gli accademici, i borghesi e gli artisti calpestando i loro giardini nel momento stesso in cui, entrato in scena, prepara "la propria Teoria della relativita'"? Simbolo dell'ubiquita' di Maynard, la pubblicazione della Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta e l'inaugurazione dell'Arts Theatre hanno luogo lo stesso giorno, il 4 febbraio 1936. Libro di una vita, la Teoria generale e' naturalmente marchiata dalle ambiguita' dell'autore. E' un libro teorico con una finalita' pratica. La presenza imponente della matematica e' temperata da innumerevoli digressioni, artistiche e storiche. La logica fa bella coppia con il lirismo. I concetti sfidano direttamente le consuetudini della City. Universitari, banchieri, uomini politici si sentono chiamati in causa allo stesso modo, chi in un capitolo chi in un altro. La freddezza del ragionamento maschera appena la passione dell'autore. Come tutti i libri che sono di per se' una rivoluzione, questo e' una specie di Ufo: coerente e prolifico, lineare e destrutturato, ordinato e irrazionale, cartesiano e intuitivo, moralista e scettico, poetico e oscuro. A opera multiforme, reazioni diverse. Malgrado sia punto nel vivo dalle critiche che l'opera gli rivolge, e' Pigou colui che descrive meglio questo oggetto improbabile: "Abbiamo seguito un artista che lancia frecce alla luna". Operazione poetica, certo, che pero' va a scatenare una guerra di religione nel mondo degli economisti. E' questo scontro a fondare il keynesismo. Keynes, come si dice, svolge un servizio di "assistenza clienti". Malgrado gli appelli alla calma di Lydia, si butta a corpo morto nella battaglia d'opinione. "Ho un gusto cosi' tremendo per la discussione - scrive alla moglie - che mi e' difficile restare fuori dal dibattito". Per questo restituisce colpo su colpo ai suoi detrattori senza curarsi di ringraziare chi lo elogia. Senza dubbio, del resto, gli omaggi che riceve gli sembrano mera manifestazione di lucidita' e di buon senso. La difesa del libro fa nascere una setta, questa penetra fra le elite, e queste ultime creano un dibattito d'opinione: alla fine, l'universo economico si dividera' fra keynesiani e antikeynesiani, senza lasciare spazio a quanti si rifiutano di arruolarsi nell'uno o nell'altro dei due campi. I giornali popolari entreranno nel gioco non meno delle riviste piu' specialistiche. Lo spartiacque nel mondo universitario, come ha notato Samuelson, diviene di ordine generazionale: "La Teoria generale si e' diffusa tra gli economisti con meno di trentacinque anni come un'epidemia... Quelli che hanno piu' di cinquant'anni, invece, sono totalmente immuni dal virus". Per i primi si tratta, secondo le parole di Bensusan-Butt, "meno di un lavoro di teoria economica che un manifesto in favore della ragione e della felicita'... Stabilisce una base razionale e un'ambizione morale all'interno di un progresso possibile dello spirito umano che le persone della mia generazione non possono trovare da nessun'altra parte". Al contrario le maggiori cattedre universitarie, americane soprattutto, si sentono aggredite, e reagiscono con un misto di ostilita' e incompresione, benche' alcune fra esse non osino negare l'importanza dell'opera. I suoi quattro grandi critici d'Oltreatlantico sono Hansen, Schumpeter, Knight e Viner. Il primo rifiuta il principio di equilibrio della sottoccupazione. Il secondo va piu' lontano - e' il temperamento di Schumpeter - vedendo nella Teoria una "regressione scientifica" dotata di tutti i "vizi ricardiani", piena di "tautologie paradossali e di errori, ma soprattutto un lavoro che combina la ricerca e la politica, il che svilisce la prima senza migliorare la seconda". Gli ultimi due, docenti a Chicago, prefigurano quella che sara' appunto la "scuola di Chicago": ortodossi e monetaristi ante litteram, si rifiutano di fare propria la preferenza per la liquidita' e il culto del deficit pubblico. In compenso e' proprio negli Stati Uniti che emerge quel luogo da cui parleranno i portavoce di Keynes. Harvard, naturalmente. Tutto predispone l'elite wasp, democratica, rooseveltiana, europea nel cuore e nello spirito, a sentirsi dalla stessa parte del maestro di Cambridge. Paul Samuelson, Galbraith, Tobin, Solow diventeranno i missionari del keynesismo. * Da pagina 153 La tentazione, davanti a un simile scalpore, e' sempre quella della "ricerca della paternita' intellettuale". La novita' ha piu' di un padre? C'e' intuizione comune, concomitanza di tempi, plagio? E' l'eterna questione della relativita' ristretta: Einstein ne e' stato l'unico inventore? Ha utilizzato i lavori di Henri Poincare'? E quest'ultimo e' stato vittima di un'ingiustizia? L'Henri Poincare' del nostro caso si chiama Michal Kalecki. E' un economista polacco che, fra il 1933 e il 1935, ha pubblicato tre articoli nella sua lingua, con le idee fondamentali della Teoria generale. Leggendo quest'opera, dichiara di avere vissuto "la sensazione straordinaria di leggere praticamente parola per parola i propri pensieri, espressi da qualcun altro. Persino le battute erano le stesse". Kalecki e' certamente una pasta d'uomo; non spinge piu' in la' la "ricerca della paternita'". Cosi' come Gunnar Myrdal, il celebre economista svedese, non attacca briga con Keynes, quando il suo Equilibrio monetario aveva fatto ben piu' che aprire la strada alla Teoria generale. In realta', Maynard e' stato protetto dalla propria immagine di franco tiratore geniale. I suoi colleghi poterono contestare l'opera, ma non presero nemmeno in considerazione che l'autore avesse potuto commettere plagio, copiare o semplicemente essere influenzato... Cosa nasconde dunque quest'opera che fa epoca, nei suoi diciassette capitoli e nelle sue quattrocento pagine? Nulla sulle forze sociali, i comportamenti collettivi, i fattori di produzione, la societa', l'economia-mondo. Nulla dunque sui mutamenti tecnologici, sulla dinamica del capitalismo, il movimento della storia. Nulla, in una parola, sui fenomeni di lungo periodo. E' un libro consacrato all'immediato, al breve termine, alla ricerca del pieno impiego. Nemmeno la demografia, per la quale Maynard nutre una predilezione e che l'ha spinto sulle tracce di Malthus, gioca il minimo ruolo, pur essendo l'unica tendenza di fondo che lui sia disposto a prendere in considerazione. Se, scrivendo il suo Trattato della moneta, Keynes aveva dimenticato quello che definisce il suo talento di saggista - l'ossessivita', la focalizzazione, l'univocita' della tesi -, nella Teoria generale non compie lo stesso errore. Quest'opera, malgrado la complessita', mira a un messaggio subliminale, semplicissimo, alla portata dell'opinione pubblica: il balzo economico non e' ne' automatico, ne' rapido; solo una politica appositamente disegnata puo' provocarlo. Al servizio di questo postulato, un'idea cardine pensata per rispondere allo smarrimento nato dal perpetuarsi della crisi: abbandonata a se stessa, l'economia liberale rischia di sprofondare in un equilibrio persistente di sottoccupazione. A sostegno di quest'affermazione, infine, una concatenazione teorica articolata attorno ai principi di base del keynesismo: la propensione al consumo, la preferenza per la liquidita', l'efficienza marginale del capitale, la politica monetaria attiva. Come si conviene a ogni libro emblematico, c'e' anche la grande querelle, in questo caso la critica a trecentosessanta gradi dei classici, ossia, per Keynes, di tutti gli economisti, Malthus escluso. E' presente in lui una dedizione all'idea di tabula rasa che nemmeno Marx aveva fatto propria. L'autore del Capitale aveva riconosciuto dei predecessori; Maynard no. Infine, ogni libro seminale esige pezzi di bravura e digressioni che possono essere letti separatamente rispetto al filo dell'argomentazione; e da questo punto di vista i lettori della Teoria generale hanno mille occasioni di divagazione. Il comportamento del consumatore, l'ossessivita' dello speculatore, il cromosoma dell'imprenditore, la cecita' del governatore della Banca centrale: tanti personaggi che, sotto la penna tagliente di Maynard, fanno parlare, riflettere, reagire. Tutto si connette in una dimostrazione che, in un autore il cui prisma intellettuale e' cosi' tipicamente anglosassone, ha un inatteso sentore cartesiano. Keynes congegna un puzzle concettuale. Primo pezzo: la preferenza per la liquidita'. Vista a distanza di tanto tempo, l'idea ha qualcosa da "Caffe' Commercio". La ripartizione, da parte di un individuo, del proprio risparmio fra moneta e titoli traduce la sua preferenza per la liquidita'. Bella scoperta... Piu' interessante l'idea che il tasso d'interesse non giochi nella determinazione del livello di risparmio, ma nella parte che gli individui conservano liquida. Ossia pesa su uno degli elementi che fondano la preferenza per la liquidita': il desiderio di speculazione. Di qui, il secondo pezzo: la determinazione del tasso d'interesse. A differenza degli economisti classici, per i quali il tasso d'interesse pareggia risparmio e investimento, Keynes vi vede la risultante del confronto tra domanda e offerta di moneta. Tanto i motivi di transazione e di precauzione non dipendono dal tasso d'interesse, tanto quest'ultimo determina la parte di domanda di moneta legata a fini speculativi. Il processo puo' andare lontano: piu' basso e' il tasso piu' i risparmiatori conservano i propri averi sotto forma di liquidita': e' la celebre "trappola della liquidita'". Quanto all'offerta di moneta, essa e' esogena al sistema poiche' e' determinata dalle sole autorita' monetarie. Il tasso, dunque, a credere a Keynes, e' "il prezzo che equilibra desiderio di detenere ricchezza sotto forma di moneta e quantita' di moneta disponibile". Aumentare tale quantita' fa diminuire il livello del tasso, fino al momento in cui si spalanca la trappola della liquidita', e allora nulla serve piu'. Da questa angolatura, la situazione del Giappone degli ultimi quindici anni e' un'illustrazione perfetta del precetto di Keynes. Terzo pezzo: il legame fra impiego e domanda. Keynes critica piu' radicalmente la concezione che gli economisti classici hanno dell'impiego che non le loro teorie monetarie. Rigetta il postulato secondo il quale il salario reale si stabilizza in modo da "attirare sul mercato tutto il volume di lavoro effettivamente impiegato". In queste condizioni, nulla garantisce piu' l'automaticita' del pieno impiego. Keynes in realta' parte dal presupposto per cui i salari reagiscono in funzione non del salario reale, ma di quello nominale: "E' possibile - scrive - che entro un certo limite le esigenze della manodopera poggino su un minimo di salario nominale anziche' su un minimo di salario reale... Mentre la manodopera abitualmente resiste alla riduzione dei salari nominali, non e' nelle sue abitudini ridurre il lavoro a ciascun rincaro dei prezzi dei beni di consumo". Dunque si puo' assistere a una diminuzione dell'impiego che corrisponde a una riduzione dei salari nominali e a un rialzo dei salari reali. Ed effettivamente il livello dei salari reali non e' in alcun modo determinato dal negoziato sociale, bensi' da un fascio di forze economiche. In condizioni simili nulla stabilisce che, al livello del salario reale raggiunto, tutta l'offerta di lavoro arrivi a essere occupata. Questo dipende da tutt'altro parametro, la domanda effettiva. Con questo siamo alla quarta tessera del puzzle. Keynes si serve di parole castigate per definirla: "Il volume dell'impiego, tanto nelle singole imprese e industrie quanto nel loro insieme, e' governato dall'ammontare di 'prodotto' che gli imprenditori sperano di ottenere dal volume di produzione che gli corrisponde". Contrariamente a quanto stabilito dalla legge di Jean-Baptiste Say, questa domanda non e' automaticamente uguale all'offerta. Puo' accadere quando si e' al pieno impiego, ma resta possibile anche il contrario: "Il solo fatto che esista un'insufficienza della domanda effettiva puo' arrestare, e frequentemente arresta l'aumento dell'impiego prima che esso abbia raggiunto il proprio livello massimo". Dunque tutto si gioca sulla domanda effettiva. La quale si compone "dell'ammontare che ci si aspetta di vedere che la comunita' spenda per il consumo e per i nuovi investimenti". L'uno e gli altri sono funzione della propensione al consumo e dell'incentivo a investire, rispettivamente quinto e sesto pezzo del nostro puzzle keynesiano. Alla base della propensione al consumo si colloca una legge psicologica: "In media, e per la maggior parte del tempo, gli uomini tendono ad accrescere i propri consumi a misura dell'aumento del proprio reddito, ma non di una quantita' grande quanto l'aumento del reddito". La parte di reddito consacrata al consumo diminuisce man mano che il reddito cresce; ossia, l'aumento del reddito "si accompagna a un aumento piu' marcato del risparmio". Indipendentemente dal ruolo che Keynes assegna alla propensione al consumo all'interno del proprio macchinario macroeconomico, essa costituisce, senza un'esplicita volonta' da parte dell'autore, la sola apertura ideologica nella quale la sinistra possa inserirsi: l'egualitarismo accresce la propensione a consumare, dunque la domanda effettiva e l'impiego. Se la propensione al consumo e' stabile ogni progressione dell'occupazione suppone una crescita degli investimenti per il gioco del moltiplicatore, settimo pezzo del puzzle. Prendiamo, come si dice nelle enunciazioni matematiche, un investimento pari a 100. Esso genera un reddito di 100 che gli individui ripartiranno, in funzione della loro propensione al consumo, fra, ad esempio, un consumo pari a 80 e un risparmio pari a 20. Gli 80 consumati andranno ad altri attori che a loro volta li ripartiranno pure secondo una proporzione 80/20. Il gioco continuera' a funzionare finche' i 100 inizialmente investiti avranno generato un reddito di 500, esso stesso diviso fra 400 di consumo e 100 di risparmio. L'impatto dell'investimento sull'occupazione dipende dalla propensione marginale al consumo: piu' questa e' forte, piu' il moltiplicatore sara' elevato, piu' l'occupazione salira'. Una vera benedizione per i sacerdoti del "rilancio popolare"... Il risparmio non appare piu', come era per gli economisti classici, il frutto di un comportamento virtuoso, con il finanziamento dell'investimento come risultato; il risparmio e' invece un freno al motore economico, poiche' riduce l'impatto del moltiplicatore. E' un pilastro della morale borghese quello che Keynes, silenziosamente, liquida. 8. LIBRI. UNA PRESENTAZIONE DI "CONDIVIDERE IL MONDO" DI LUCE IRIGARAY [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente scheda di presentazione editoriale] Luce Irigaray, Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp. 133, euro 14. * In questo libro, Luce Irigaray, una delle piu' innovative pensatrici del nostro tempo, torna a interrogare il rapporto con l'alterita'. Siamo infatti abituati a considerare l'altro come un individuo tra tanti senza dedicare abbastanza attenzione al mondo e alla cultura a cui appartiene. La nostra maniera di vivere l'alterita' risulta quindi sottoposta ai nostri propri valori e l'altro, sia esso il nostro compagno o la nostra compagna, un figlio, un amico, un'amica, oppure uno straniero, e' avvicinato come un simile. La differenza tra noi e' allora percepita in modo esclusivamente quantitativo, non qualitativamente, e questo non favorisce la coesistenza, la pace, l'amore. Dopo la critica nietzcheana alla tradizione culturale dell'Occidente e la decostruzione heideggeriana della nostra concezione della verita', Luce Irigaray, in quanto donna, chiama in causa la validita' dei concetti di similitudine, similarita', identita' e, perfino, uguaglianza, che stanno alla base della logica occidentale. L'autrice spiega come, prima di cercare la trascendenza in qualche ideale soprasensibile, che non corrisponde alla nostra totale e universale umanita', sia necessario rispettare la trascendenza dell'altro, qui e vicino a noi, cioe' la sua irriducibile alterita'. 9. LIBRI. UNA PRESENTAZIONE DI "RITORNO ALLA TERRA" DI VANDANA SHIVA [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente scheda di presentazione editoriale] Vandana Shiva, Ritorno alla terra. La fine dell'ecoimperialismo, Fazi, Roma 2009, pp. 246, euro 18,50, traduzione di Giuliano Bottani e Simonetta Levantini. * Mai come oggi, a causa del progressivo esaurimento del petrolio e di cambiamenti climatici sempre piu' violenti, la necessita' di fonti energetiche alternative e sostenibili sta diventando impellente. Ma nonostante l'urgenza delle istanze ecologiste, l'Occidente industrializzato non ha ancora compreso cio' che il resto del mondo sa gia' da tempo: ci stiamo rapidamente avvicinando a una catastrofe alimentare. Le fattorie stanno sparendo, i cibi geneticamente modificati si stanno diffondendo a macchia d'olio, il prezzo del pane continua a salire. E l'utilizzo di soluzioni alternative alle risorse tradizionali, come gli ogm per aumentare la produzione del Terzo Mondo e i biocarburanti in sostituzione dei combustibili fossili, non fa che aggravare la situazione, perche' presuppone il ricorso sempre piu' massiccio a un'agricoltura industriale. In questo volume Vandana Shiva spiega perche' i tre problemi piu' urgenti per l'umanita' - la fame nel mondo, il peak oil, il surriscaldamento globale - siano profondamente collegati tra loro e perche' ogni tentativo di risolverne uno, senza implicare necessariamente tutti gli altri, si sia rivelato finora fallimentare. Una triplice questione che rappresenta, al contempo, una triplice opportunita' per ripensare a livello globale la politica agricola, energetica, ambientale. Libro forte e visionario, lettura obbligatoria per chiunque abbia a cuore il futuro del pianeta, Ritorno alla terra ci invita a immaginare una realta' in cui gli esseri umani contano piu' dei profitti e auspica una ripresa dei principi della cultura contadina, basata su produzioni di nicchia, sostenibilita', comunita' locali, giustizia ambientale. Vandana Shiva ci dimostra cosi' che e' ancora possibile immaginare un futuro in cui si riuscira' a superare la dipendenza dal petrolio e dalle assurde regole dettate da una globalizzazione sfrenata. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 852 del 15 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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