Minime. 851



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 851 del 14 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La guerra
2. Il razzismo
3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
4. Alcuni estratti da "Diavolo di un Keynes" di Alain Minc (parte prima)
5. Letture: Toti Scialoja, Poesie (1979-1998)
6. Riletture: Emily Dickinson, Tutte le poesie
7. Riletture: Erasmo da Rotterdam, Colloquia
8. Riletture: Alvaro Romei (a cura di), Il leone del deserto
9. Riedizioni: Karl Marx, Il capitale
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA GUERRA

L'Italia e' in guerra ormai da otto anni. Una guerra alla quale la
Costituzione della Repubblica Italiana proibisce al nostro paese di
partecipare. Una guerra terrorista e stragista, razzista e imperialista,
mafiosa e totalitaria. Una guerra che sta causando sofferenze immense alla
popolazione afgana, e pericoli enormi per l'umanita' intera.
*
"L'Italia ripudia la guerra" e' scritto nella legge fondamentale del nostro
paese.
Cosa si aspetta a tornare al rispetto della legge?
Cosa si aspetta a tornare al rispetto per le vite umane?
Cosa si aspetta a tornare alla pace e all'impegno per la pace?

2. LE ULTIME COSE. IL RAZZISMO

Le deportazioni.
I campi di concentramento.
Il regime della segregazione razzista.
Le squadracce.
Davvero l'Italia nel 2009 deve tornare ad essere l'Italia del ventennio
fascista?
*
Cosa si aspetta ad opporsi al razzismo?
Cosa si aspetta ad opporsi allo squadrismo?
Cosa si aspetta ad opporsi all'apartheid?
Cosa si aspetta ad opporsi ai campi di concentramento?
Cosa si aspetta ad opporsi alle deportazioni?

3. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "DIAVOLO DI UN KEYNES" DI ALAIN MINC (PARTE
PRIMA)
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Alain Minc, Diavolo di un Keynes. La vita di John Maynard Keynes, Utet
Libreria, Torino 2008 (edizione originale: Une sorte de diable. Les vies de
John M. Keynes, Grasset & Fasquelle, Paris 2006)]

Indice del volume
Prefazione; Capitolo 1. Quel pedigree cosi' "british"; Capitolo 2.
Un'educazione di lusso; Capitolo 3. Un dandy, piu' che un funzionario;
Capitolo 4. I primi passi del grande curioso; Capitolo 5. Bloomsbury, o la
marginalita' trionfante; Capitolo 6. La guerra. Keynes mobilitato sul fronte
delle idee; Capitolo 7. "Le conseguenze economiche della pace", o Keynes
finalmente libero; Capitolo 8. L'inizio della metamorfosi; Capitolo 9.
Un'ossessione: la ricostruzione d'Europa; Capitolo 10. In guerra contro la
barbara reliquia; Capitolo 11. Alle prese con un paese in declino; Capitolo
12. Un crac keynesiano: il 1929; Capitolo 13. Da Keynes al keynesismo;
Capitolo 14. Il lento apprendistato del tragico della storia; Capitolo 15.
Dall'economia del fronte al fronte economico; Capitolo 16. Alla ricerca
dell'oro americano; Capitolo 17. Alla ricerca di un nuovo ordine mondiale;
Capitolo 18. L'ambigua consacrazione di Bretton Woods: Capitolo 19. L'ultimo
duello; Conclusione. L'eredita' paradossale; Bibliografia; Indice dei nomi.
*
Da pagina VII
Prefazione
Perche' Keynes? Reverenza verso l'opera? Riconoscenza per un keynesismo che
ha plasmato l'ultimo mezzo secolo, inventando senza saperlo l'"economia
sociale di mercato"? Riflesso anglofilo? Tutte queste cose, forse, ma
soprattutto altro. La convinzione che l'uomo Keynes sia ancora piu' grande
della sua opera. Il fascino che emana da un ficcanaso senza pari.
L'ammirazione per una permanente alchimia dei contrari: quella
dell'obiettore di coscienza che serve il proprio paese in guerra,
dell'emarginato che si insedia nel cuore dell'establishment, del gran
borghese elitista che diventa l'idolo delle sinistre di tutto il mondo,
dello speculatore che diffida del mercato, dell'esteta che si consacra alle
discipline piu' austere, dell'intellettuale che si sogna uomo di Stato, del
consigliere che s'immagina uomo d'azione... I Keynes sono tanti, ma ne
compongono uno solo. Si tratto', per usare l'espressione che lui stesso
impiego' per Freud, di "una specie di diavolo", di un essere che avrebbe
potuto essere dilaniato da quella complessita' che, invece, ne plasmo'
l'unita'. Nessun sospetto di schizofrenia, nessun senso d'incoerenza. Keynes
non manco' mai di tenere con mano ferma i fili della sua strana
personalita'. Cocteau affermava che "il talento fa cio' che vuole, il genio
cio' che puo'". In questo senso Keynes possedeva un talento immenso.
Condurre una vita plurale, in fondo, e' affare da pessimisti, da scettici e
da agnostici: poiche' non c'e' che una vita sola, e per di piu' assai breve,
tanto vale viverne piu' d'una allo stesso tempo. Anche da questo punto di
vista Keynes ci e' maestro.
*
Da pagina 31
Capitolo 3. Un dandy, piu' che un funzionario
Al suo ingresso nella vita attiva Keynes ha ventitre' anni. L'uomo possiede
una sua allure: alto, espressivo, reca ancora i segni della bruttezza che da
bambino lo ha fatto soffrire. Ama imporsi, e sa come farlo. Pochissimo
disposto a compromessi, conosce il proprio valore - meglio: lo sopravvaluta.
Impregnato senza saperlo di una visione nietzschiana della vita, e' affabile
con gli Uebermenschen, i superuomini, ossia i suoi eguali, come e' scostante
verso gli Untermenschen, i sottouomini, cioe' tutti gli altri. Individuo
d'elite in una nazione d'elite: tale, in fondo, la sua cosmogonia. Non sono
esattamente le qualita' piu' adatte per accomodarsi in un'immensa macchina
burocratica. A quell'epoca l'Amministrazione britannica non da' alcun tipo
di formazione alle sue nuove reclute, e Keynes entra nell'Indian Office come
semplice funzionario. Addetto alla contabilita', dunque alla noia; questa,
per ora, la sua sorte. Lo distaccano presso il dipartimento militare, al
massimo un'ora di effettivo lavoro al giorno, con missioni esaltanti come
l'imbarco di dieci tori provenienti dalla Scozia e diretti a Bombay.
Trasferito qualche mese piu' tardi al dipartimento di statistica, fisco e
commercio, puo' mettere le mani su faccende piu' stimolanti: negoziati
commerciali con la Germania, un conflitto con la Russia nel Golfo Persico,
la regolamentazione dell'oppio e il commercio della iuta nelle Indie.
E tuttavia nulla, nella natura di Keynes, lo predispone alla vita
burocratica. "Tutta la macchina e' governata da mummie; la meta' almeno dei
membri presenti mostra segni manifesti di decrepitezza, e gli altri se ne
stanno zitti": tale la sua descrizione della prima grande riunione ufficiale
cui assiste. A un anno dall'arrivo e' gia' stanco: "Sono completamente
sfinito da questo posto - scrive a Strachey -, credo che daro' le
dimissioni. Ora che la novita' e' svanita mi annoio per il novanta per cento
del tempo, e mi sento irragionevolmente irritato per il restante dieci per
cento, ogni volta che mi bloccano durante i ragionamenti. Ti fa impazzire
vedere trenta persone che ti riducono all'impotenza quando sei praticamente
sicuro di avere ragione". Di qui l'accanimento con cui prosegue una tesi in
matematica statistica, per riaprire all'occorrenza i giochi accademici e
tornare in una Cambridge abbandonata forse troppo in fretta. Keynes consacra
dalle due alle quattro ore al giorno a lavorare sulla teoria delle
probabilita', senza che questo gli pesi perche' sembra avere trovato,
finalmente, una branca della matematica meno spiacevole delle altre.
L'essenziale, pero', e' evidentemente altrove, nella vita privata, nelle
attivita' mondane. Alloggiato in un appartamento di servizio a Saint James
Court, con compiti burocratici fondamentalmente stanziali, padrone della
propria agenda accademica, ha tutto il tempo di gettarsi a corpo morto nella
vita londinese. Certo, si lamenta dell'"epidemia di cene, cinque in sei
giorni", ma in realta' vi si adatta con piacere.
Non e' nemmeno un Rastignac inglese: i circoli del potere non l'attirano
granche'. Come al solito, ha piu' voglia di coltivare le proprie reti di
amici - gli etoniani, i cantabrigiani, e davanti a tutti gli Apostoli -, ma
anche di crearsi nuovi interlocutori e centri d'interesse imprevisti. La
mondanita', in fondo, non e' che uno strumento della sua curiosita'. Che
puo' prendere la forma di un gusto nascente per la pittura - fara' il suo
primo acquisto nel 1907, rendendone immediatamente conto a Florence -,
oppure del sostegno a un femminismo in piena ascesa, sotto la sferza di
un'amica di lady Strachey, o ancora della vita culturale piu' classica -
teatro, opera, balletto, sotto l'influenza di questo e quest'altro. Ma la
mondanita' e' soprattutto il pretesto per fare nuovi incontri, alcuni
puramente intellettuali, altri diretti dal desiderio omosessuale.
Da questo secondo punto di vista fa irruzione nella vita di Maynard un uomo
che diventera' il suo contemporain capital, Duncan Grant. Come di frequente,
all'origine dell'incontro sta la filiera di conoscenze di Strachey.
Cresciuto in India, Duncan esprime un'originalita' che non puo' che
affascinare Maynard: un vero spostato - c'e' qualcosa di piu' eccitante?
Meno colto del gruppo degli Apostoli, in compenso possiede qualita' che a
essi risultano poco familiari: la bellezza - gli Apostoli, Maynard per
primo, sono per lo piu' brutti -, la vivacita' di spirito - di contro alla
loro serieta' che puo' diventare pomposita' -, un'acutezza di sguardo e di
giudizio poco comuni - il resto del gruppo, al confronto, sembra fatto di
conformisti. E poi, per tutti quei giovani che hanno sognato l'arte mentre
studiavano la matematica, Grant puo' contare su quell'insigne superiorita'
che gli da' il fatto di essere un artista, un pittore per la precisione. In
questo ambiente omosessuale che pratica lo scambio senza saperlo, e senza
proclamarlo, si produce quello che doveva succedere: Duncan e Maynard si
innamorano l'uno dell'altro. Lytton soffre come un martire, a giudicare da
quanto scrive a Leonard Woolf: "Puoi immaginarti che tortura sia sapere come
un fatto acquisito che qualcuno per il quale ti faresti sventrare si sta
prostituendo con Keynes".
Il legame fra Grant e Keynes non sara' un'avventura, ma durera' fino al
1914; coabiteranno in appartamenti separati per salvare ancora le apparenze,
ma vivranno di fatto insieme. Keynes si lascia andare a una dipendenza
amorosa che gli e' poco familiare. Cosi' scrive a Duncan, il 2 agosto 1908:
"Purtroppo riesco a lavorare solo il minimo, ma passo i piu' radiosi dei
miei giorni a pensare a te, con amore". Abituati, come siamo divenuti per la
maggior parte, alla legittimita' delle coppie omosessuali, per noi e'
difficile rendersi conto delle tensioni che possono avere toccato l'anima di
Keynes. Funzionario di uno Stato che, sotto la regina Vittoria, aveva eretto
il pudore in arte di vivere, prigioniero di una vita di famiglia
onnipresente, rispettoso di convenzioni sociali che detesta, e' condannato
alla doppiezza, alla dissimulazione, all'ipocrisia.
*
Da pagina 125
Un crac keynesiano: il 1929
Malgrado sia uno speculatore accorto, Keynes non possiede il sesto senso di
certuni che riescono ad annusare in anticipo le scosse di Borsa, e quindi ad
anticiparle con loro grande profitto. Nel 1926 aveva addirittura scritto:
"Nella nostra vita non conosceremo piu' alcun crollo di Borsa". E il
Giovedi' nero, il 24 ottobre del 1929, non misura le conseguenze
dell'avvenimento, lanciando dalle colonne del "New York Evening Post"
l'errata profezia per cui "l'economia mondiale conoscera' un periodo di
bassi tassi d'interesse con tanto maggior profitto del mondo degli affari".
L'uomo di mercato non scorgeva il colpo in arrivo, e nemmeno il
macroeconomista. Considerando unicamente l'inflazione dei prezzi, non si era
preoccupato del fenomeno dell'inflazione degli attivi. Come trader,
peraltro, aveva la testa altrove, avendo investito parecchio sul mercato
delle materie prime ed essendo stato totalmente preso in contropiede, al
punto di vedere la propria fortuna ridotta di quattro quinti alla fine del
1929. In una banca di investimenti si puo' essere licenziati per molto,
molto meno... Keynes fa dello smacco una lezione e rinuncia, secondo
l'espressione dei piccoli operatori di Borsa, a "battere il mercato" per
optare definitivamente per quello che si chiamerebbe oggi il metodo Warren
Buffett, ossia scegliere con attenzione alcune azioni e conservarle a lungo
termine, contro venti e maree.
Lo shock di Borsa ha comunque un effetto positivo su di lui: come scrive a
Lydia, "ritorna di moda". La tradizione politica vuole, in effetti, che i
governi reagiscano agli imprevisti moltiplicando libri bianchi, commissioni
tecnocratiche, consulte di esperti; e' una maniera poco costosa di occupare
il terreno, e nulla puo' ancora escludere che queste riflessioni non
producano qualche idea recuperabile. Ramsay MacDonald aveva avuto modo di
apprezare Maynard in occasione di tre "pranzi di teste" - altro vecchio
metodo degli uomini di potere - nell'autunno del 1929. Ora se ne avvale
doppiamente, nominandolo alla testa di un Economic Advisory Council - un
comitato di consulta economica - e designandolo membro della Commissione
Macmillan. Per un uomo che aspira sempre a giocare il ruolo di eminenza
grigia tali nomine sono una mano santa: gli permettono di far progredire le
sue idee attraverso vie trasversali senza rischiare di urtare contro
opposizioni troppo personalizzate. Keynes, dai tempi della sua prima
prestazione, prima della guerra, in seno alla Commissione reale per la
moneta indiana, non ha mai perduto il gusto per questo genere di attivita'.
Cosi' si getta a corpo morto nel lavoro al fine di pesare sui dibattiti di
questi due collegi di esperti.
La missione della Commissione Macmillan, e' vero, non era semplice. Il
ritorno al gold standard a una parita' eccessiva esigeva il mantenimento dei
tassi d'interesse a un livello sufficientemente elevato per attirare
capitali esteri ed evitare trasferimenti d'oro oltreconfine, ma proprio
tassi di quel livello provocavano il languore degli investimenti produttivi
e dunque frenavano la crescita. Keynes riesce a far adottare nel rapporto
finale conclusioni in linea con la filosofia che sta contemporaneamente
elaborando nel Trattato della moneta, in particolare la necessita' di
pilotare ormai la moneta in funzione dell'obiettivo del pieno impiego. In
compenso, e' solo attraverso l'"opinione dissenziente" di alcuni membri
riuniti attorno a Maynard che sara' evocata l'idea di un grande programma di
lavori pubblici.
Ma e' in merito a un tema che non ci si attenderebbe da un rampollo della
tradizione liberale britannica che Keynes prende in contropiede i colleghi.
Nelle commissioni cui partecipa si mette a difendere l'instaurazione di
misure protezionistiche in nome della priorita' dell'impiego: per lui si
tratta di rendere possibile un programma massiccio di spese pubbliche sotto
l'ala protettrice, per tutta la durata della crisi, dei diritti doganali. La
ricerca febbrile ed empirica di soluzioni puo' spingere Keynes a passare
sopra le fedelta' personali, come ha dimostrato la rottura con Asquith, come
le tradizioni ideologiche. Rinunciare al libero scambio equivale, da parte
di un whig, a quello che per un cattolico sarebbe il dogma dell'Immacolata
concezione. Non c'e' dubbio che Maynard viva con disagio una tale inversione
di marcia. Da li' la sua collera verso Lionel Robbins, beniamino della
Commissione e speranza piu' brillante della comunita' economica britannica,
quando questi gli si oppone e pretende di esprimere un'opinione divergente
in calce al rapporto. Ricordando questo episodio nella sua autobiografia,
Robbins, divenuto nel frattempo lord Robbins, scrivera' che Maynard poteva
"avere accessi di rabbia praticamente incontrollabili". L'abbandono del gold
standard da parte della Gran Bretagna nel 1931 e il relativo ribasso della
sterlina permetteranno a Keynes di ricredersi sulla questione del
protezionismo, ma due anni piu' tardi arrivera' un nuovo voltafaccia:
l'instaurazione dei diritti doganali, in fondo, non e' ai suoi occhi che una
misura tecnica reversibile, e non un mutamento fondamentale di filosofia
economica. Ma quello che non riesce a capire, nella sua indifferenza per le
lobby e gli altri gruppi di pressione, e' che i tanti attori sociali che
traggono vantaggio dalle protezioni doganali faranno di tutto per
perpetuarle ad aeternum.
I lavori della Commissione Macmillan permettono a Keynes di evadere un poco
dal suo ghetto accademico e borghese. E' in quest'occasione che scopre
Ernest Bevin, segretario generale delle Trade Unions. I due si lanciano in
un'operazione di mutua seduzione, al punto che il sindacalista vedra' in
Maynard "un economista pieno di simpatie per la classe operaia". E' vero che
la dimostrazione di Keynes della rigidita' dei salari e del peso delle forze
sociali e storiche nella determinazione di quelli non poteva che piacere a
un sindacalista, che vi poteva trovare la definizione teorica di quello che
egli poteva sperimentare nella vita quotidiana. Su questo punto Keynes
precisa il suo pensiero a Macmillan: "Io non credo a una legge economica in
grado di spiegare perche' i salari si devono ridurre con facilita' piu' che
a una legge che dica il contrario. E' una questione di fatti. Le leggi
economiche non cambiano i fatti; si limitano a dire quali sono le loro
conseguenze". Fatto sta che davanti agli ortodossi della Commissione i due
nuovi compari, Bevin e Maynard, si trovano dalla stessa parte della
barricata, ostili al gold standard e alla flessibilita' salariale; per la
prima volta Keynes si allontana dalla gauche caviar britannica per tessere
legami con la classe operaia e le sue organizzazioni di rappresentanza. Ma
di certo ne' lui ne' Bevin possono immaginare che il loro duo sia una
prefigurazione del compromesso sociale dei "Trenta gloriosi".
L'esercizio dei libri bianchi ha bisogno, per ben funzionare, che ciascun
membro della Commissione trattenga i colpi, non pretenda di avere l'ultima
parola, non cerchi di imporre il suo dominio intellettuale, insomma metta il
proprio esprit de finesse al servizio dell'esprit de geometrie. Keynes fa
esattamente il contrario. Chiunque abbia presieduto tavoli di questo genere
non avra' alcuna difficolta' a immaginare che per lord Macmillan Maynard
doveva essere piu' o meno un incubo. La Commissione diventa un ring e il
dibattito una successione di colpi ben assestati. Keynes propina ai colleghi
un resume' del Trattato: oltre al combattimento sui salari condotto di
conserva con Bevin, martella con la sua dottrina dell'equilibrio fra
risparmio e investimento, con la sua concezione del "sistema chiuso" in cui
la banca centrale puo' ridurre i tassi fino al raggiungimento di
quell'equilibrio, con la sua certezza di avere trovato la chiave esplicativa
della disoccupazione inglese.
Proseguendo questo suo one man show intellettuale, infila anche i rimedi: la
svalutazione come ultima istanza, ma prima di essa una riduzione negoziata
di tutti i redditi, l'instaurazione del reddito minimo - una prefigurazione
dell'Rmi francese - piuttosto che del salario minimo, l'erezione di diritti
doganali temporanei, e soprattutto una politica di investimenti pubblici
finanziata attraverso il prestito. Senza contare la creazione di imposte
tese a scoraggiare gli investimenti all'estero, la fondazione di
un'istituzione finanziaria dotata di risorse a lungo termine che dovranno
essere trasformate in mutui alle piccole imprese, una politica di
concertazione fra le Banche centrali per fissare parita' compatibili con i
costi di produzione di ciascun paese. Quella che, senza saperlo, Keynes
enuncia e' la politica economica del mezzo secolo seguente: politica dei
prezzi e dei redditi, gestione della domanda pubblica, trasformazione
finanziaria lungo-breve termine, accordi monetari internazionali.
Dietro stimolo dello shock del 1929 Keynes si stacca dal plotone degli
economisti per diventare anticipatore e profeta, e cominciare a meritare
quella posizione d'eccezione che occupera', un po' come Einstein per le
scienze fisiche. La sua relazione davanti alla Commissione Macmillan dura
nove ore in totale, con una incredibile performance fisica e intellettuale.
Agli altri membri dell'areopago e' subito evidente che quello cui stanno
assistendo e' un avvenimento di primaria importanza, ma, passato il primo
stupore, le istanze istituzionali riprendono i propri diritti. La lobby
della Bank of England, in particolare, respinge l'accusa di essere il
principale colpevole della disoccupazione. Il Tesoro rifiuta di essere
trascinato in un ciclo non controllato di spese di bilancio, e avanza
abilmente l'argomentazione che un indebitamento pubblico troppo elevato
spingerebbe al rialzo i tassi d'interesse, determinando un effetto contrario
all'obiettivo di Keynes che e' quello di abbassarli per incoraggiare gli
investimenti. Gli economisti classici non si rassegnano alla rigidita' dei
salari. Il padronato continua a sognare un aggiustamento verso il basso
delle remunerazioni. Quando il gruppo passa alla fase di redazione del
rapporto, le suggestioni di Keynes sono smussate una dopo l'altra. Il loro
peso e' assai scarso a fronte dell'alleanza fra i conservatori di ogni
estrazione, benche' i colleghi ne riconoscano l'ascendente intellettuale.
Maynard trae da quest'esperienza una lezione decisiva: definire
empiricamente una nuova politica economica e' una scommessa, se prima non se
ne definiscono i fondamenti concettuali. La necessita' di stabilire una
Teoria generale e' a questo punto, per lui, un'urgenza.
*
Da pagina 137
Da Keynes al keynesismo
Al netto della sua vita agitata, del suo attivismo giornalistico, della sua
bulimia relazionale, del suo smodato desiderio di influenza, Keynes resta un
intellettuale convinto del primato della riflessione e della teoria. Faccia
a faccia con il disastro della Grande depressione non puo' accontentarsi di
influenzare marginalmente l'azione degli uomini politici come un tecnocrate
di alto rango o di lanciare nel dibattito pubblico qualche idea iconoclasta
come un giornalista di grido. Quello che vuole e' inventare una teoria
sufficientemente ampia da spiegare la crisi e spiegare i mezzi per uscirne,
e non limitarsi a raccogliere alla bell'e meglio i concetti di una scienza
economica di cui lo stato del mondo, all'inizio degli anni Trenta, basta a
dimostrare i limiti. E' Einstein alla ricerca della relativita' generale.
Nel 1932 scrive che "gli economisti, nella loro devozione alla teoria
dell'equilibrio di autoaggiustamento, si sono complessivamente ingannati nei
loro consigli pratici... mentre l'istinto degli addetti ai lavori si e'
rivelato nell'insieme piu' solido". Ora, ai suoi occhi non e' conforme
all'ordine delle cose dello spirito che gli esperti d'economia pratica siano
piu' sagaci dei teorici. Di qui l'urgenza di rendere alla riflessione
l'importanza che le spetta. Deciso a lanciarsi all'inseguimento della teoria
vincente, Keynes per ora non entra in lizza, imponendosi un abito di
scienziato ritirato nell'ascesi del contatto esclusivo con carta e penna.
Procede in questo modo, secondo il suo temperamento, stando dappertutto e da
nessuna parte, discutendo con ognuno, muovendo le idee come i pezzi sulla
scacchiera.
Con il passare degli anni l'uomo non diventa piu' facile. Questo ci dice
l'esperienza vissuta da Isaiah Berlin, a sedere di fianco a Keynes nella
sala da pranzo del King's College. Keynes si volta verso di lui solo
all'ultima portata: "Come mai siete qui? Cosa fate?". Risposta di Berlin:
"Tengo una conferenza al Moral Science Club questa sera". "Su che cosa?".
"Il piacere". "Davvero! E' un argomento idiota". Keynes prende il menu' e
aggiunge: "Che si mangia? Zuppa? Perche' non fare una conferenza sulla
zuppa? In fondo e' un buon argomento" - e si gira di nuovo, lasciando Berlin
sconcertato, senza piu' rivolgergli la parola. Sicuro di essere il piu'
intelligente in ogni consesso non si trattiene dal far schioccare la propria
arroganza come un domatore la sua frusta. Uomini politici, amministratori
della National Mutual, colleghi universitari, tutti devono sopportare il suo
sarcasmo e il suo disdegno. Eppure e' lo stesso uomo che da' prova, a
momenti, della credulita' tipica degli spiriti superiori, come quando nel
1930 investe denaro in un procedimento destinato a trasformare il piombo in
oro! Ugualmente e' capace di fare affermazioni che, involontariamente, sono
colorate di dadaismo: nel 1932, davanti a una commissione pubblica, dichiara
che il gusto per la speculazione di Borsa e' eccezionalmente sviluppato
negli Stati Uniti perche' non vi cresce abbastanza erba da permettere il
progresso delle corse dei cavalli... Ed e' sempre lo stesso uomo capace di
bombardare di lettere il consiglio comunale della localita' in cui risiede
in vacanza perche' gli si e' indebitamente chiesto di donare una somma
microscopica a titolo di contribuzione per le attivita' della squadra dei
vigili del fuoco. Aggressivita', malafede, naivete', comportamenti
ossessivi: non sono forse altrettanti tratti assai classici dei geni? E
adesso Keynes e' ormai pronto a dimostrare, per la prima volta, che un
pizzico di genio lo possiede davvero.
Tuttavia, come se si trattasse di sgombrare la strada alla sua impresa
intellettuale sbarazzandosi definitivamente dei suoi orpelli di saggista,
nell'autunno del 1931 pubblica Esortazioni e profezie - nel titolo originale
Essays in Persuasion, "tentativi per convincere" -, raccolta dei suoi
principali testi non teorici, "grida di una Cassandra - scrive - che non
riesce mai a influenzare a tempo debito il corso degli avvenimenti". Quel
senso di malinconia tipico di ogni saggista... Come tutte le Cassandre
Maynard pensa senza dubbio che le sue due vittorie tardive, la fine delle
riparazioni e l'abolizione del gold standard, avrebbero potuto essere
anticipate se gli uomini politici l'avessero ascoltato con il rispetto che
merita. Un'idea del genere presuppone di trascendere completamente la
realta': un saggio, un articolo, una tribuna non sono che bottiglie gettate
in mare che, sballottate dagli avvenimenti, possono a volte toccare terra.
Nondimeno non si nega il piacere di complimentarsi con MacDonald, che nel
luglio del 1932 presiede la conferenza di Losanna, incaricata di porre un
termine alle riparazioni: "Ne e' passato di tempo da quando nel giugno del
1919 diedi le dimissioni dalla delegazione britannica a Parigi con rabbia e
tormento. Il pasticcio di tutti questi anni ha qualcosa di prodigioso, ma e'
consolante vedere che, alla fine, e' stato spazzato via". Cassandra non
riesce a resistere al desiderio di autocongratularsi.
Passare da un saggio a una grande opera teorica non e' una mossa semplice.
Non si tratta di dar mano a un secondo Trattato della moneta, che Maynard
stesso riconosce astruso e oscuro, e che non sfugge ai difetti dei compendi
accademici che sommano una comunicazione universitaria dopo l'altra, piu'
interessante per le sue digressioni che per il filo della dimostrazione. Non
e' strofinando le proprie idee con quelle dei colleghi stranieri che Keynes
pensa di trovare la sua pietra filosofale. Gli economisti francesi gli sono
sempre sembrati "antidiluviani"; in Germania trova interesse a dialogare con
banchieri, industriali e sindacalisti, ma ignora superbamente gli
universitari; per quanto riguarda il mondo accademico americano, la
diffidenza e' la stessa che prova per tutto quanto viene da Oltreoceano;
riconosce l'esistenza di scuole economiche in Svezia e in Austria, ma le
guarda con condiscendenza. Intriso, una volta di piu', del sentimento della
superiorita' britannica e della convinzione che l'elite dell'elite risiede
nel Regno Unito, dalle parti di Oxford e Cambridge, non dialoga in realta'
che con i propri pari, pur giudicandoli inferiori a lui.
Keynes crede alle virtu' dell'intelligenza nel 1932 piu' ancora che al
debutto della sua carriera. E' sinceramente convinto che la crisi sia il
risultato di errori intellettuali, e che la soluzione verra' quando si sara'
trovata la vera direzione concettuale. I suoi riflessi lo collocano ora piu'
che mai agli antipodi di Marx. Non c'e' spazio ne' per la dialettica, ne'
per lo scontro delle forze sociali; solo l'intelligenza ben applicata puo'
rimettere la storia sul suo cammino. Di qui il suo interesse per "strofinare
le meningi" con altri esseri superiori. In questo spirito Keynes tiene
un'abbondante corrispondenza, fra il 1931 e il 1933, con Hawtrey, Robertson
e Hayek; trova in Richard Kahn un interlocutore privilegiato; riprende gusto
per le conversazioni e i dibattiti in cui, da oltre dieci anni, svolge gli
onori del padrone di casa; mette alla prova l'evoluzione del proprio
pensiero sulle platee piu' sofisticate; ruota attorno alle idee chiave di
moltiplicatore o di trappola della liquidita', che lancia a caso in
innumerevoli conferenze.
Al di la' delle apparenze resta pero' un lavoratore solitario capace di
restare inchiodato al tavolo, come un matematico alla ricerca della
soluzione di un problema. Non sa resistere alla semplice gioia del
ricercatore fortunato che fa una scoperta. Dopo avere affermato che "in
tutte le circostanze ordinarie il volume dell'impiego dipende dalla
quantita' d'investimento" esclama: "Noi siamo in grado di galvanizzare le
nostre ovvieta', sono generalizzazioni di un'importanza pratica
considerevole. Credo in effetti che chiunque avra' perfettamente colto il
truismo AQ = AI - AF - AE e avra' lasciato questo liquido privo di colore,
inoperante di per se', penetrare le proprie ossa sino al midollo, non sara'
piu' la medesima persona". Pronunciate in pubblico, parole simili non
possono naturalmente che lasciare interdetto un pubblico tradizionale e
razionalista. Stupefacente fusione di innovazione intellettuale, lirismo
affettivo e arroganza conclamata! Ma si tratta dello stesso uomo capace di
affermare, con umilta', che "Richard Kahn mi ha dimostrato che l'importante
scoperta che ho fatto la settimana scorsa e' un errore totale" - tale e' il
suo desiderio di arrivare allo scopo. Ed e' sempre lui che informa Lydia "di
avere scarabocchiato diciannove pagine in tre ore e mezzo", impresa che lo
fa assomigliare, quanto a energia da grafomane, a un Balzac dell'economia.
Solitario e comunitario, tracotante e modesto, individualista e cooperativo,
autistico e conversatore al tempo stesso, il Keynes che prepara la sua
Teoria generale dell'occupazione e' un uomo in trance. Usa ogni mezzo a sua
disposizione, si attiva, si agita, si innervosisce, si concentra, si
sconvolge, si riprende. Dalle conferenze agli articoli, dagli scambi
epistolari ai dibattiti, i temi della Teoria generale emergono poco a poco,
ma in modo impressionista. Una volta e' la petizione di principio secondo
cui, se la domanda e' insufficiente, le imprese subiscono perdite quale che
sia la flessibilita' dei salari, una tesi contraria alla vecchia teoria
dell'equilibrio fra impiego e salario. Un'altra volta emerge il concetto
della preferenza per la liquidita', indipendentemente dalla redditivita'
degli investimenti. In occasione di una controversia entrano in scena i
primi passi verso l'idea del moltiplicatore d'investimento e le premesse di
una filosofia monetaria che assegna alla Banca centrale l'obiettivo di
fissare il tasso d'interesse al livello che conduce all'investimento
ottimale.
Assai stranamente, piu' Keynes manifesta la propria originalita'
concettuale, piu' sente il bisogno di inventarsi una filiazione
intellettuale. Cosi' decide di mettersi all'ombra di Malthus. Non e' la
prima volta che si occupa delle idee di questo vecchio presbiteriano, ma
quale puo' essere la bizzarra attrazione che lo spinge ad affermare, nel
corso di una conferenza, che "Malthus tratta dell'economia monetaria tale
quale essa e', mentre Ricardo si muove in un'economia monetaria neutra,
ossia fittizia"? Com'e' possibile che il padre della teoria della domanda si
ponga nella scia del creatore del sottoconsumo? Keynes arriva addirittura,
il 30 ottobre del 1932, a scrivere a Lydia - che tali controversie lasciano
ovviamente indifferente - che "se solo Malthus, invece di Ricardo, fosse
stato l'ispiratore degli economisti del XIX secolo, in quale mondo piu'
saggio e piu' ricco vivremmo oggi". Sorprendente confessione, se ancora ce
ne fosse bisogno, della sua convinzione che lo stato delle cose non e'
null'altro che l'espressione delle idee di alcuni happy few!
Tornando, in una lettera a Harrod del 1936, sulla gestazione della Teoria
generale durante quegli anni, spiega di avere avuto tre intuizioni
successive, improvvise come la mela di Newton: la legge secondo cui, quando
il reddito cresce, lo scarto fra tale reddito e il consumo aumenta; la
certezza che il tasso d'interesse manifesta la preferenza per la liquidita';
infine, la convinzione, seguita a una caterva di errori e a innumerevoli
tentativi di comprensione, che l'efficienza marginale del capitale e' il
legame fra i due precetti precedenti. Alla fine del 1932 Keynes ha gia' in
mano i mattoni della sua costruzione, e ora non gli resta che concludere la
Teoria.
(Parte prima - segue)

5. LETTURE. TOTI SCIALOJA: POESIE (1979-1998)
Toti Scialoja, Poesie (1979-1998), Garzanti, Milano 2002, 2004, pp. 556,
euro 16,50. Con una prefazione di Giovanni Raboni, il lavoro sulla parola di
Scialoja qui documentato e' sovente gustoso e talora fascinatore, talaltra
invece meccanico e ripetitivo. Ma sempre e' un'esplorazione a cavallo tra
semantica e metrica, arte della concreta visione e gioco aereo del suono,
che reca non di rado una liberta' e una felicita' autentiche. Non e' la
poesia che piu' parla al nostro cuore (quella tutta filosofica - ovvero
materialistica e storica, abissalmente sulla verita' dell'umana condizione
concentrata, in fuoco e ghiaccio e pietra e vento - dei tragici greci e di
Leopardi); ma e' pure nei suoi esiti migliori pura e lieve una gioia - e un
esperimento, un'esperienza viva della lingua e del mondo.

6. RILETTURE. EMILY DICKINSON: TUTTE LE POESIE
Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, pp. LXII +
1858. A cura di Marisa Bulgheroni, col testo originale a fronte, uno dei
piu' flagranti ed enigmatici capolavori dello spirito umano.

7. RILETTURE. ERASMO DA ROTTERDAM: COLLOQUIA
Erasmo da Rotterdam, Colloquia, Einaudi, Torino 2002, pp. XCVI + 1536, euro
75. Col testo latino a fronte, a cura di Cecilia Asso, con un'introduzione
di Adriano Prosperi. Eccellente edizione di un libro che puo' accompagnarti
per tutta la vita come un ottimo amico. Fra tanti altri meriti, quest'opera
e' anche da mezzo millennio il migliore ausilio per accostarsi alla lingua
latina.

8. RILETTURE. ALVARO ROMEI (A CURA DI): IL LEONE DEL DESERTO
Alvaro Romei (a cura di), Il leone del deserto. La guerriglia libica di Omar
Muktar contro i fascisti italiani. La storia, la realta' e i dialoghi del
film di Mustapha Akkad, Napoleone, Roma 1985, pp. 128, lire 20.000. Con un
ampio apparato iconografico e varie schede informative, il libro presenta la
sceneggiatura del film "Il leone del deserto" dedicato alla figura di Omar
Muktar, eroe della resistenza libica assassinato dal criminale regime
coloniale italiano.

9. RIEDIZIONI. KARL MARX: IL CAPITALE
Karl Marx, Il capitale, Utet, Torino 1974-1987, Mondadori, Milano 2009, 3
voll. per pp. 1116 + 682 + 1232, euro 12,90 per ciascun volume (in
supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Aurelio Macchioro e Bruno
Maffi una classica edizione del capolavoro del pensiero economico e politico
del XIX secolo. Cosa dire ancora di quest'opera cosi' decisiva? Che la si
potrebbe leggere come si legge Epicuro e come si legge Balzac; come si legge
Michelet e come si legge Freud. O come si legge Germinal di Zola o le
Lettera dal carcere di Gramsci o Guerra e pace di Tolstoj. E che risuona
ancora il suo appello alla lotta contro l'ingiustizia, alla lotta perche' i
vivi non siano sopraffatti dall'inerte, alla lotta per la verita' e la
liberazione di tutte e tutti.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 851 del 14 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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